Prospettive assistenziali, n. 125, gennaio-marzo 1999
positive prese di
posizione sul volontariato
1. In occasione della terza Conferenza
nazionale sul volontariato, svoltasi a Foligno dall’11 al 13 dicembre 1998, la
Caritas italiana ha diffuso un documento che riproduciamo integralmente.
La Caritas precisa che, come risulta dagli atti
predisposti dal Ministero per gli affari sociali, la finalità vera della
Conferenza era la collocazione dei diversi soggetti del volontariato «all’interno
della rete dei servizi e del sistema di welfare», mentre «l’unica legittimazione del volontariato è quella che
l’articolo 2 della Costituzione riconosce alle formazioni sociali» (1).
La relazione introduttiva dell’On. Livia Turco non
solo ha confermato l’uso strumentale del volontariato, ma ha addirittura
concluso il suo discorso con queste parole: «Aiutare un
bambino a crescere, cercare di trasmettere calore e fiducia a un
tossicodipendente o ad un immigrato in carcere, far sentire meno solo un
anziano – questa vostra politica del quotidiano – è grande politica. È la
politica cui hanno bisogno le nostre democrazie per vincere le sfide che ci
stanno di fronte. Per questo la vostra azione è così preziosa e così
impegnativa».
Dunque, secondo il Ministro, il volontariato deve
essere al servizio delle istituzioni e svolgere attività consolatorie nei
confronti delle persone in difficoltà. Pertanto, come è stato rilevato anche
dalla Caritas, secondo il Governo non dovrebbe intervenire per l’individuazione
e la rimozione delle cause economiche e sociali del disagio e per la difesa delle
reali esigenze e dei diritti degli emarginati.
2. Riportiamo altresì l’intervento svolto da
Mons. Giovanni Nervo nella seduta plenaria conclusiva della Conferenza di
Foligno, da noi interamente condiviso.
documento
della caritas italiana
1. Note sull’impianto della Conferenza
Il documento
preparatorio della Conferenza, in tutte le sue stesure, rivela una netta
intenzione “funzionale”. Esso, infatti, prende in considerazione l’esperienza
complessiva e molteplice del volontariato in Italia rapportandola soprattutto
alle esigenze della riforma dello stato sociale. Suo fine dichiarato è quindi
quello di «costruire una proposta
politica che possa collocare i diversi soggetti del volontariato all’interno
della rete dei servizi e del sistema di welfare». Il sottotitolo della
conferenza specifica il riferimento finalistico abbinando al “nuovo welfare” anche la “coesione sociale”,
concetto “moderno” ma alquanto vago che può essere sinonimo di solidarietà ma
può anche indicare un generico desiderio di stabilità, meglio se ottenuta con
metodi consensuali. In definitiva, sembra fondato ritenere che l’attenzione sia
rivolta più che alla condizione di salute del volontariato alla condizione di
salute dei processi del nuovo welfare,
uno scenario in cui il soggetto è palesemente sopraffatto dall’oggetto.
In questa
cornice il volontariato rischia di essere “legittimato” più in ragione delle
posizioni che assume circa le scelte di politica sociale dei pubblici poteri
che non in ragione dei valori e delle motivazioni che fondano la sua stessa
esistenza. Poiché da tale premessa si fanno discendere molte conseguenze
problematiche, sembra opportuno ricordare che l’unica legittimazione del
volontariato è quella che l’art. 2 della Costituzione riconosce alle
“formazioni sociali”.
È giusto
aver presente che, oggettivamente, le attuali ipotesi di riforma dello stato
sociale vanno, salvo verifica, nella direzione di un pluralismo di soggetti,
configurando una “welfare society”
piuttosto che un “welfare state”.
Sotto questo profilo, anzi, il testo preparatorio esprime un apprezzamento per
una tendenza verso il “privato” senza una discriminante esplicita tra attività
lucrative e non lucrative. Ma va chiarito che il volontariato – non come
formula organizzativa ma come spirito animatore – conserva una propria autonoma
ragione di presenza e di azione anche se la linea di tendenza fosse quella del
mantenimento di strutture accentrate o quella della totale destrutturazione
privatistica della tutela sociale.
Le
considerazioni che precedono non inficiano, naturalmente, l’utilità della
riflessione sullo sviluppo dei rapporti tra volontariato e istituzioni
pubbliche ai vari livelli – che costituisce del resto l’oggetto principale
della legge 266/1991 – ma mettono in evidenza che tale approccio rivela un
limite e pone nuovi problemi.
Il mondo del
volontariato è indotto in particolare a chiedersi:
a) se accetta di esaurire nella
dimensione istituzionale la propria vocazione profonda;
b) se si sente compiutamente
rappresentato in una Conferenza dichiaratamente costruita per ottimizzare
l’inclusione del volontariato nel nuovo welfare.
Ne consegue
che il nodo della rappresentatività e della rappresentanza, che giustamente
s’intende affrontare, riguarda la stessa Conferenza. Essa va vissuta dunque
come un importante momento di riflessione e di confronto. Le sue conclusioni,
tuttavia, rifletteranno soltanto le opinioni, per quanto autorevoli, di chi vi
ha preso parte, senza pretese di valore erga
omnes.
2. L’evoluzione sociale e politica nell’impatto col volontariato
Il documento
preparatorio risolve il problema delle mutazioni che hanno interessato
l’insieme delle presenze sociali riferibili ad un’ispirazione solidale con un
passaggio dal singolare al plurale: non più “volontariato” ma “volontariati”.
L’operazione, già tentata in passato, non sembra apportare specifici elementi
di chiarezza. Essa formula bensì una sorta di catalogo delle singole forme di
volontariato (quello “parrocchiale”, quello “associativo”, quello di
“erogazione” (di servizi pubblici) e quello accasato all’interno di strutture
complesse di “terzo settore”) ma non specifica le conseguenze connesse
all’inclusione di parti del volontariato nell’una o nell’altra categoria.
Tuttavia il
tentativo di “pluralizzare” il volontariato fa da riscontro ad un mutamento
consistente intervenuto nella realtà sociale e nelle scelte politiche, al quale
non sembrano più corrispondere idee e concetti reputati validi solo pochi anni
or sono. Prima di passare alle definizioni occorre quindi riconsiderare il contesto.
Quando nel
1991 si varò la legge sul volontariato, fu generale il consenso sul concetto di
«attività di volontariato» come
quella «prestata in modo personale,
spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte,
senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà».
Si tratta di
un abito stretto per le molteplici propensioni del volontariato-plurale evocato
nel testo preparatorio della conferenza, che suggerisce, al limite, di
“riscrivere” il valore della gratuità all’interno di una definizione “in senso
più ampio”. Di più: mentre il requisito della gratuità è annoverato tra quelli
delle organizzazioni non iscritte, non se ne fa menzione per quelle iscritte.
Altri in
sede di studio ipotizza di sostituire “solidarietà” con “reciprocità”, concetti
per nulla coincidenti perché il secondo evoca uno scambio mentre il primo è
sinonimo di dono. Altri propone di istituire un “genere” più vasto – il
“solidariato” – dentro il quale ricomprendere sia la specie dello “spontaneo e
gratuito” sia la specie del “semigratuito” o del “retribuito”, ferme rimanendo
le motivazioni ideali e le finalità sociali. Dello stesso segno è una lettura
del “terzo settore” che comprenda anche il volontariato-gratuito, purché questa
sua caratteristica non sia stemperata nel complesso mondo della “impresa
sociale”, che resta “impresa” anche se non distribuisce profitti.
Ne deriva
un’esigenza di distinzione del volontariato rispetto ad altri soggetti del
Terzo Settore, evitando per un verso che il mantello del volontariato copra
entità altrettanto nobili e dignitose ma prive dell’impronta della gratuità e
per un altro che l’originalità del volontariato sia stemperata in un contesto
che non la valorizza. Ciò non impedisce di riconoscere che spesso le formazioni
di terzo settore derivano da nuclei originari di volontariato, ma consente di
mantenere una demarcazione senza la quale non avrebbe più senso il riferimento
al carattere personale e spontaneo della gratuità volontaria.
La ricerca
della Conferenza può essere viceversa spinta, sul terreno suo proprio, a
riconoscere che nel tempo il pubblico potere ha cambiato atteggiamento verso il
volontariato. Un interesse pubblico generico per le opere compiute dall’azione
volontaria, da riconoscere e integrare su domanda, si è trasformato in una
spinta promozionale, con una sorta di “devoluzione” più o meno programmata di
funzioni ed incarichi ad organismi del “privato sociale”, preesistenti o da
generare ad hoc, con i quali
convenzionarsi. Gli sviluppi della riforma sanitaria e le linee di quella dei
servizi sociali accentuano le tendenze identificando nei “piani di zona” i
luoghi dell’integrazione funzionale.
Lo scenario
della legge 266/1991 ne è risultato sconvolto. Il presupposto dell’inclusione dell’azione
volontaria nello stato sociale era, allora, quello della esistenza di un
«compiuto sistema di sicurezza sociale», come delineato nel Piano quinquennale
1965/1970 e gradualmente, anche se non completamente, attuato nei decenni
successivi.
Il volontariato
cresciuto negli anni Settanta aveva rapportato se stesso a quel modello
puntando su due obiettivi: concorrere ad umanizzare le prestazioni erogate dal
“pubblico” (ad esempio: le volontarie in ospedale) o entrando in campi non
ancora esplorati dal “pubblico” (ad esempio: servizi alle persone, comunità
antidroga, lotta all’AIDS). Negli anni seguenti, in connessione anche con la
crisi fiscale dello Stato, le istituzioni ad ogni livello sono diventate
committenti dell’azione volontaria, alla quale sono stati affidati compiti
sostitutivi di un’azione pubblica che veniva a cessare o si andava gradualmente
ritirando.
In questo
contesto dalla matrice del volontariato si sono originate molte formazioni di
impresa sociale, mentre altre iniziative imprenditoriali si sono presentate
come volontariato allo scopo di ottenere commesse; ed altre ancora sono state
“promosse” dall’Ente pubblico, per garantirsi costi certi (e ridotti) nella
erogazione di prestazioni sociali.
I ritardi
legislativi in materia di “ONLUS” e di “associazionismo” hanno oggettivamente
incanalato nell’alveo dell’unica legge esistente molte iniziative sorte con
motivazioni diverse – non necessariamente meno nobili – da quelle del
volontariato “storico”. Prenderne atto è doveroso. Dopo l’approvazione della
legge sulle “ONLUS” e dell’auspicabile rapido varo di quella
sull’“associazionismo di promozione sociale” si dovrebbe anzi sperare in una
minor confusione dei confini. Ma anche per questo, più che insistere sulla idea
dei “volontariati” al plurale, che continuerebbe il procedimento estensivo fin
qui descritto, sarebbe utile che la Conferenza rimettesse a fuoco il criterio
di identificazione del volontariato come lavoro di servizio libero, spontaneo,
non pagato, con una sua caratteristica “stabilità” nel senso che dura finché
dura il bisogno.
Toccherà poi
al volontariato così reidentificato valutare se e quanto restare separato, là
dove “è meglio essere soli”, oppure se e quanto accettare una collocazione
nell’area del Terzo Settore, con una propria specificità, ed anche con la
vocazione di trasfondere nelle nuove dimensioni il massimo dei valori che lo
caratterizzano o se addirittura configurarsi come un “Quarto Settore”. Il fatto
che la ricerca resti aperta e che sia difficile un approdo univoco non toglie
argomenti all’esigenza di evitare, per quanto possibile, sovrapposizioni e
confusioni.
3. Prospettive e proposte
In queste
condizioni sembra necessario suggerire alla Conferenza le seguenti esigenze:
a) giungere ad una chiara
classificazione delle varie componenti del Terzo Settore, individuandone le
diverse specificità giuridiche, organizzative, economiche in modo da riservare
al volontariato – lavoro di servizio spontaneo non pagato – una
collocazione distinta e visibile, si tratti di un “Quarto Settore” o di un’area
comunque ben delimitata;
b) conferire pari dignità a tutto il
volontariato nei vari ambiti (assistenza, sanità, educazione, protezione
civile, tutela dei beni culturali, tutela dell’ambiente, cooperazione
internazionale);
c) includere a tale riguardo non
solo il volontariato associato ma anche quello individuale e familiare,
dimensioni che lo stesso documento preparatorio sembra orientato a considerare;
d) riconoscere che il passaggio da
una associazione di volontariato ad una cooperativa di solidarietà sociale, ad
una impresa sociale, ad una istituzione non profit per assicurare un servizio
più costante e qualificato è una evoluzione positiva e specie nel Meridione,
può essere una via per creare posti di lavoro, sempreché sia netta la identità
diversa del gruppo di volontariato e della impresa sociale, come accade quando
l’associazione di volontariato funge da supporto e integrazione della impresa
sociale. Ciò comporta che le due istituzioni – associazione di
volontariato e impresa sociale – mantengano e presentino distinta e trasparente
la loro identità sia nella forma istituzionale, sia nell’organizzazione, sia
nell’amministrazione;
e) ribadire il valore della
gratuità/condivisione come elemento specifico e qualificante del volontariato e
come contributo culturale originale a confronto con la tesi che rifiuta la
categoria della gratuità come una superata espressione di paternalismo, mirando
ad assorbire tutto nell’ambito economico. Al contrario, la categoria della
gratuità come si esprime nel moderno volontariato lungi dall’indurre passività
in chi ha bisogno di aiuto, punta sulla promozione dei diritti dei soggetti
deboli ed esclusi per una loro piena integrazione nel tessuto sociale;
f) conseguentemente valorizzare,
nelle collaborazioni fra i servizi socio-sanitario-assistenziali pubblici e
privati del territorio, il contributo che il volontariato può offrire per la
costruzione e il consolidamento di autentiche relazioni umane e sociali con i
destinatari dei servizi e tra gli stessi operatori, nel presupposto che lo
sviluppo di relazioni d’aiuto promozionali e continuative è meglio assicurato
da un approccio gratuito a chi è nel disagio;
g) considerare tra le possibili
forme di espansione del volontariato quelle della cultura e delle professioni,
come messa a disposizione della comunità di una parte del tempo per prestazioni
gratuite di eguale livello di quelle pagate.
Si delineano
così i tratti qualificanti di un nuovo movimento in grado di riproporre, nel
contesto dei servizi “esternalizzati” e della mutazione istituzionale del
volontariato tradizionale, una carica di umanizzazione dell’esistente e di
esplorazione di nuovi territori analoga a quella manifestata nei confronti del welfare pubblico e delle sue strutture.
Ma per vincere la sfida il volontariato dovrà contare soltanto sulle energie
riproduttive della propria matrice originaria.
4. Alcuni aspetti specifici
Alcuni
approfondimenti vanno compiuti a proposito delle indicazioni del documento
preparatorio relative a:
– reti nazionali e rappresentanza. Dal
punto di vista del governo è comprensibile la tendenza a semplificare il
rapporto con entità organizzative nazionali per evitare le dispersioni della
frammentazione tra più interlocutori. Resta da vedere se identico sia
l’interesse del volontariato, specialmente se e quando dovesse prevalere un
centralismo organizzatorio che imporrebbe dal vertice le opzioni operative e
forse anche i modelli di convenzione, rovesciando di fatto la dinamica del
volontariato che va dal basso verso l’alto secondo una vocazione esplicitamente
o implicitamente federativa;
– centri di servizio per il volontariato. Occorre
verificare se e quanto i “centri” siano stati effettivamente a disposizione
delle organizzazioni di volontariato e da queste gestiti; o se invece non si
siano configurati come entità separate, più vicine alle logiche delle
fondazioni che alle esperienze del volontariato stesso. È da notare in ogni
caso che la massima parte di ciò che si produce attorno al volontariato è
frutto di una riflessione dall’esterno piuttosto che espressione delle sue
istanze immediate. Solleva dubbi al riguardo il fatto che il documento
preparatorio affermi che i centri di cui trattasi riguardano non solo il
volontariato e il Terzo Settore, «ma anche la formazione e il sostegno della
cittadinanza attiva», concetto quest’ultimo che meriterebbe un chiarimento,
dato che la sua semplice enunciazione presuppone che esista o possa esistere
una “cittadinanza passiva”, rinviando di conseguenza alla ricerca di quale autorità
sia abilitata a rilasciare i relativi attestati;
– registri delle organizzazioni di
volontariato. Occorre verificare i criteri ed i filtri – se ve ne sono
– con cui le Regioni e le Province attuano la normativa delle iscrizioni
ed in particolare se sia sempre ricercata l’esistenza dei requisiti previsti
dalla legge;
– formazione. Particolarmente
significativa e meritevole di sottolineatura è la parte del documento
preparatorio dedicata alla formazione, specialmente quando enuncia, tra i
criteri da seguire, quello di uno “specifico formativo” volto allo scopo di
alimentare uno “specifico del volontariato”. Poiché l’esigenza è pienamente
condivisibile, il passo ulteriore dovrebbe essere volto a specificare quali
siano in concreto le agenzie formative in grado di attuare – come si auspica –
una «formazione di base, specifica e di
settore, permanente, diffusa, di inserimento dei “nuovi” e dei “quadri” e
responsabili, che deve essere sia formazione motivazionale... sia formazione
alla cittadinanza attiva, sia formazione tecnica... sia formazione
socioculturale e politica». Ovviamente nel documento non si va oltre la
prospettazione dell’esigenza, ma è già molto che il problema sia stato posto
nell’indice;
– dimensione europea e internazionale. Particolarmente
saggio appare il consiglio, contenuto nel documento, di concentrare
l’autopresentazione del volontariato a scala europea come finalizzato
essenzialmente alla lotta all’esclusione sociale, evitando di metterlo in
concorrenza con altre “famiglie” meglio accreditate sul fronte della lotta alla
disoccupazione, come le imprese sociali e le ONLUS. Ma per far questo occorre
che anche a scala nazionale i concetti siano chiariti; e ciò vale anche per
quel che concerne l’impegno internazionale del volontariato.
5. Nuovi compiti dei soggetti animatori
1. Mentre il
volontariato “costituito” compie le sue prove sia in forme autonome sia
all’interno delle altre formazioni del “solidariato” in cui opera o si
trasforma, la rilevazione delle questioni insorte (e solo in parte censite
dalla Conferenza) rende indilazionabile una ricerca da parte di quei soggetti –
tra cui le comunità cristiane ed in esse la Caritas – che si propongono di
coltivare le motivazioni profonde, spirituali ed etiche, che reggono l’impegno
volontario in ogni sua manifestazione. Di questo c’è particolarmente bisogno
nel momento in cui l’intreccio sempre più stretto con la dimensione
istituzionale porta molti organismi di origine volontaria ad assumere essi
stessi connotati istituzionali o istituzionalmente compatibili, che ne mutano
necessariamente l’orientamento se non la natura.
Se il
volontariato è un valore, si fanno evidenti i segni di una crisi che tende a
ridurlo ad una condizione residuale. Senza svolgere qui un’analisi dei fenomeni
generali che determinano, nella società contemporanea, un minore apprezzamento
di ciò che è gratuito rispetto a ciò che riceve un compenso monetario, va
registrato il sintomo di un minor dinamismo ed anche di una minore densità
delle nuove leve del volontariato. Tra le possibili spiegazioni c’è il venire
meno di condizioni familiari e sociali che consentivano di cumulare l’azione
volontaria con il lavoro e/o lo studio. Per altri aspetti si fa sentire la
pressione della disoccupazione che, soprattutto nel Mezzogiorno, costringe alla
competizione per trovare un lavoro piuttosto che spingere alla prestazione
gratuita.
Ma l’analisi
sarebbe incompleta se non prendesse in esame anche gli aspetti soggettivi del
fenomeno, ravvisabili in un indebolirsi della matrice solidale e delle
motivazioni di carità che orientano al volontariato. L’affievolirsi del
ricambio generazionale desta preoccupazione in quanto rappresenta anche
l’indebolimento di un tessuto civile fondato sull’esercizio dei doveri della
solidarietà. Ne consegue che il massimo impegno deve dispiegarsi
nell’organizzare una vera e propria “logistica del volontariato”, come un nuovo
impulso ad orientare le giovani generazioni a dare tempo ed energie al servizio
disinteressato. In quest’impresa è inutile cercare riferimenti nei documenti
governativi; occorre attingere le risorse necessarie là dove esse esistono e
dove possono riprodursi secondo i bisogni.
Le chiese
sono i naturali luoghi di alimentazione della nuova leva del volontariato del
terzo millennio. Senza pretese esclusive, esse danno impulso ad una
testimonianza della carità che cerca, in primo luogo, i poveri e gli esclusi. I
frutti non mancheranno se l’impegno sarà assiduo e se si tradurrà prima ancora
che nella somministrazione dell’aiuto materiale, pur sempre necessario, nel
recupero di un atteggiamento di condivisione, di assunzione in proprio di una
parte del carico delle ingiustizie e dei dolori della terra. La Caritas
italiana è certamente impegnata su questa direttrice, ma è consapevole che non
basta quel che si è fatto finora. Occorre un forte impulso di innovazione e di
sperimentazione, accompagnato da uno straordinario sforzo di educazione
all’impegno volontario.
In questo
senso la distinzione tra volontariato ed altre opere solidali – più volte
marcata in questo testo – diventa essenziale per evitare che
l’approvazione di un progetto o l’ottenimento di una convenzione siano
considerati come il coronamento dell’istanza cristiana. Si può e si deve fare
altro lungo la linea della gratuità, della spontaneità, della condivisione. Si
può e si deve continuamente rigenerare il movimento mentre una parte di esso
s’innesta nella dimensione istituzionale; e nel frattempo si può e si deve
lavorare dentro le istituzioni della solidarietà, quelle pubbliche e quelle
private, affinché non faccia ulteriori vittime il germe del burocratismo e del
distacco della condizione umana.
In questo
modo non si ostacolano ma si promuovono i valori del “pubblico” mediante
un’opera di umanizzazione; e nello stesso tempo si aprono nuove frontiere su
versanti ancora chiusi della questione sociale. In una realtà che forse sta
riducendo la povertà complessiva, in senso statistico, ma che certamente rende
più poveri quelli che già lo sono o lo stanno diventando, la coscienza
cristiana è chiamata ad integrare l’impegno civile con l’impegno volontario. La
Caritas italiana, mentre si appresta a dare il proprio contributo di critica e
di proposta alla III Conferenza nazionale del volontariato, ritiene di dover
assicurare che il suo impegno non verrà meno né sul fronte della garanzia dei
diritti dei poveri né su quello dell’invenzione di nuove libere espressioni di
solidarietà, per umanizzare le politiche sociali e per preparare persone in
grado di rendere un servizio libero, spontaneo, gratuito.
intervento
di Mons. GIOVANNI nervo
Ringrazio il
sig. Ministro della fiducia che mi ha dimostrato invitandomi a presiedere
questa seduta plenaria.
Io ho potuto
seguire soltanto da lontano i vostri lavori; ma mi sembra abbastanza evidente
che il volontariato si trova in una fase di profonda evoluzione, promossa
consapevolmente o meno, dallo stesso volontariato: ne sono segno chiaro il
sottotitolo di questa Conferenza e i temi assegnati ai gruppi di lavoro. Se
confrontiamo questa III Conferenza con la prima ad Assisi l'evoluzione risulta
evidente.
In ogni fase
evolutiva ci sono elementi vitali nuovi che emergono e rami secchi che cadono,
ci sono certezze e nodi problematici, luci e ombre.
Penso
saranno state messe in evidenza dalle due tavole rotonde che io purtroppo non
ho potuto seguire; certamente, almeno io lo spero, emergeranno dalle relazioni
dei gruppi.
Per rendere
veramente proficuo il lavoro di questi giorni penso che noi, seguendo le
relazioni dei gruppi, dovremmo individuare gli elementi vitali nuovi di sviluppo
per farli crescere dopo questa Conferenza, e i nodi problematici da
approfondire successivamente.
Con questo
impegno di ascolto critico e costruttivo, possiamo passare a presentare alla
assemblea le relazioni dei gruppi.
Ho invitato
all'inizio l'assemblea a cogliere gli elementi vitali dello sviluppo e i nodi
problematici.
Consentitemi
di dire anch'io quelli che ho colto sentendo le sintetiche relazioni dei
gruppi, come contributo al documento finale che Emanuele Alecci presenterà a
nome di tutta la Conferenza.
Sono molto
contento che il dr. Bolaffi abbia assunto lui la guida dei lavori di questa
mattina: giunto all'ultimo momento mi sarebbe stato difficile farlo. Ma gli
sono riconoscente anche perché così mi ha lasciato lo spazio per dare un mio
piccolo contributo alla Conferenza che, nel ruolo assegnatomi dal Ministro di
moderatore, non avrei potuto fare. Mi sono segnato nove punti.
1. La
presenza contemporanea nella Conferenza delle varie forme di solidarietà
sociale organizzata sviluppatesi nel nostro Paese in questi anni,
particolarmente sotto l'impulso del volontariato, è importante perché segno
concreto della evoluzione sociale e campo di preziose sinergie; ma collocate
tutte in modo indifferenziato sotto un unico ombrellone, il volontariato – questa
è la Conferenza nazionale del Volontariato – possono creare confusioni dannose,
perché ciascuna ha proprie specificità di carattere giuridico, istituzionale,
operativo, amministrativo e finanziario.
L'associazionismo
sociale, le associazioni di volontariato, le cooperative sociali, le
cooperative di solidarietà sociale, le istituzioni non profit, le fondazioni
hanno una comune radice nella solidarietà sociale, ma, per poter sviluppare
utili sinergie fra di loro, è necessario definire con molta chiarezza
l'identità dei vari soggetti che vanno considerati di pari dignità.
Nelle
relazioni dei gruppi questo non è risultato molto chiaro e l'assembramento
sotto l'unica voce di volontariato può essere pericoloso e dannoso.
2. Mi sembra
di capire che questa Conferenza sia stata correttamente impostata sulla linea
concettuale e politica della legge 266 del 1991, che, per essere esatti, non è
la legge quadro sul volontariato, ma sui rapporti delle associazioni di
volontariato con le istituzioni.
La legge
infatti "riconosce il valore sociale e la funzione dell'attività di
volontariato... e ne favorisce l'apporto originale per il conseguimento delle
finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato,
dalle Regioni e dagli Enti locali".
Il volontariato
è considerato dunque come funzionale alle istituzioni: è riconosciuto cioè uno
dei ruoli del volontariato, quello di integrazione delle istituzioni.
È logico ed
è corretto che la Conferenza, promossa dalle istituzioni al più alto livello,
si sia posta come obiettivo lo sviluppo di questo ruolo.
È
sorprendente invece e un po' preoccupante che il volontariato che ha
collaborato con la istituzione nella preparazione e nella attuazione della
Conferenza, non abbia messo in rilievo se non molto velatamente e timidamente,
almeno da quanto si è sentito dalle relazioni dei gruppi, altri tre ruoli che
il volontariato ha acquisito soprattutto negli ultimi vent'anni: il ruolo più
proprio e originale del volontariato, cioè l'anticipazione di risposte a
bisogni emergenti ancor prima che siano percepiti dalle istituzioni; il ruolo
politico di stimolo e di controllo di base delle istituzioni, che, per poter
essere esercitato con sufficiente libertà, richiede autonomia economica e
politica e può essere meglio esercitato da chi non ha vincoli di convenzioni
con le istituzioni; il ruolo di promozione di una diffusa solidarietà di base.
Ho sentito
poi pochi accenni in questa Conferenza alla responsabilità irrinunciabile delle
istituzioni pubbliche, cioè della società organizzata nelle sue istituzioni, di
garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini attraverso la
programmazione, il reperimento, coordinamento, valorizzazione e finalizzazione
di tutte le risorse della comunità, e attraverso la vigilanza e il controllo. È
un ruolo non delegabile che non può essere surrogato né dal volontariato, né
dal non profit, né tanto meno dal mercato.
Con il vento che tira sarebbe stato auspicabile che in una Conferenza come
questa ci fosse stato da parte del volontariato un richiamo forte su questo
punto: è motivo di riflessione che non ci sia stato.
3. Il rapporto fra volontariato e imprese e il tema della gratuità hanno
bisogno di maggiori approfondimenti: quanto riferito dai gruppi mi sembra
ancora molto approssimativo e discutibile. Particolarmente su questo tema, come
su altri, sarebbe necessario far scendere la ricerca dal livello degli studiosi
accademici e degli esperti dei centri studi al livello dei volontari che
lavorano in prima linea, per essere più sicuri di essere aderenti alla realtà.
4. Anche il fenomeno della trasformazione delle associazioni di
volontariato verso la forma di impresa sociale, largamente presente nel mondo
del volontariato e delle cooperative di solidarietà sociale, andrebbe
approfondito con la ricerca e la sperimentazione, per individuare le condizioni
necessarie perché questa trasformazione costituisca uno sviluppo positivo, non
nasconda forme deleterie di lavoro nero, garantisca un equo trattamento agli
operatori ed eviti il deterioramento qualitativo dei servizi a danno degli
utenti.
5. Sulla
comunicazione, che ritengo fondamentale perché nell'opinione pubblica esiste
ciò che è conosciuto, vorrei sottolineare che l'oggetto dell'informazione non
dovrebbero essere anzitutto le associazioni di volontariato e la loro
affermazione, ma i problemi di chi non ha voce. La comunicazione dovrebbe
essere considerata e usata come condizione e strumento per la tutela dei
soggetti deboli con cui il volontariato opera.
I soggetti più importanti per noi qui oggi non sono quelli presenti in
questa sala, ma quelli che non ci sono e per cui e con cui noi lavoriamo.
6. Ho
sentito mettere sullo stesso piano il futuro servizio civile nazionale, il
presente servizio civile degli obiettori di coscienza e il volontariato.
Anche questi
sono soggetti che hanno una comune radice nella solidarietà sociale, ma hanno
caratteristiche proprie così diverse che sarebbe assai superficiale e negativo
assemblarli.
Sarà necessario invece approfondirne con lo studio e la sperimentazione le
specifiche identità e`le possibili sinergie.
7. Circa i
Centri di servizio si rende necessario che sia garantita, come vuole la legge,
la presenza effettiva del volontariato nella programmazione, gestione e
valutazione delle loro attività, mentre sembra che le sedi decisionali dei
Centri di servizio siano tendenzialmente occupate da figure istituzionali e da
rappresentanti degli istituti di credito.
Sembra che dalla Conferenza sia emersa più la preoccupazione che arrivino i
fondi, piuttosto che l'esigenza che il volontariato non sia soltanto
destinatario dei fondi, ma anche protagonista nella determinazione e nella
gestione dei programmi. Questa questione è strettamente legata all'autonomia e
alla libertà del volontariato. Se i Centri di servizio infatti non
distribuiranno finanziamenti di progetti, ma veri servizi, come ad esempio un
forte sostegno alla formazione, quale sarà la formazione? Per quali obiettivi?
8. Dalle relazioni dei gruppi ho sentito pochi riferimenti al volontariato
di protezione civile: eppure è un ambito di volontariato molto ampio, presente
su tutto il territorio nazionale, di carattere largamente popolare e di grande
attualità nel momento in cui la legge Bassanini accentua le funzioni degli enti
locali anche nella protezione civile e sta avanzando la prospettiva del
servizio civile nazionale che potrà avere un'ampia utilizzazione nella
protezione civile.
9. Non ho
sentito alcun cenno al ruolo che può avere il volontariato di professionisti,
sia nel periodo di attività professionale, sia dopo il pensionamento, non in
attività operative generiche, qui sono già molto presenti, ma in un ruolo
specifico di formazione e di consulenza a tutte le componenti del terzo
settore, compreso il volontariato: anche questa sarebbe una prospettiva interessante
per il futuro.
Il
volontariato, e in genere il terzo settore, potrebbero garantirsi al proprio
interno le risorse necessarie di persone e di professionalità per dare
qualificazione agli operatori e qualità ai servizi senza rendersi dipendenti
dai contributi degli enti pubblici e del mondo finanziario: il problema della
autonomia e della libertà è problema di ossigeno per la vita, ancor prima dei
soldi per le attività, che potrebbero venire largamente dalle libere donazioni
della società.
Nella prima
Conferenza sul volontariato noi avevamo auspicato con forza – il sen. Petrucci
se è presente lo ricorda – che il volontariato si facesse attivo e
protagonista, così da diventare un soggetto politico che si rapporta alla pari,
come componente della società civile, con le istituzioni.
Allora non
c'erano ancora le leggi sul volontariato e sulla cooperazione sociale. Il
Ministro di allora Jervolino ci aveva promesso la legge sul volontariato. Noi
avevamo chiesto che prima il Parlamento approvasse le leggi di riforma
dell'assistenza e degli enti locali.
Il modo con
cui è stata preparata e condotta questa Conferenza indica il cammino di
partecipazione del volontariato che è stato compiuto in questi anni. Sarebbe
auspicabile e io proporrei che questa partecipazione fosse accentuata nel
futuro nella preparazione alla quarta Conferenza.
Io penso che
i rappresentanti dei vari gruppi e organismi di volontariato che sono stati
invitati dal sig. Ministro a questa Conferenza sul volontariato dovrebbero
riportare questi temi all'interno dei loro gruppi e organismi e verificarli e
approfondirli con i volontari che operano in prima linea, non soltanto con i
quadri dirigenti.
In questo
modo il volontariato con il supporto delle istituzioni – credo che dobbiamo
essere riconoscenti al Ministro Turco per l'attenzione con cui segue tutti i
problemi sociali e in particolare il volontariato e dobbiamo essere
riconoscenti al Presidente del Consiglio per la sua presenza – e con il
contributo degli studiosi e degli esperti può diventare in pieno protagonista
del proprio lavoro.
In questo
modo può mantenere la propria identità, la propria libertà, che è essenziale
per il volontariato, e può dare un contributo originale alla coesione sociale
verso un nuovo welfare come si è proposta di fare questa Conferenza.
(1)
L’art. 2 della Costituzione recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale».
A sua
volta l’art. 3 stabilisce quanto segue: «Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali.
«È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
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