Prospettive assistenziali, n. 126, aprile-giugno 1999

 

 

Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

 

Il dramma dei 20 mila minori ancora ricoverati in istituto *

 

Si è molto discusso, negli ultimi tempi, di abusi sui minori nell’ambito della famiglia. Senza voler sminuire la portata di questi abusi (su cui, purtroppo, si interviene sovente tardi e male) l’ANFAA vuole richiamare l’attenzione su un dramma troppe volte dimenticato (anche se è solo di due giorni fa la notizia della condanna di un educatore di comunità): il ricovero in istituto.

Non possiamo ignorare che ancora almeno 20 mila minori nel nostro Paese trascorrono gli anni fondamentali della loro vita in istituto: è questa una forma di abuso e violenza “istituzionale” di cui si parla pochissimo ma che provoca conseguenze gravissime sulla vita dei bambini e ragazzi ricoverati.

Chi ci conosce come associazione e conosce me personalmente potrebbe essere tentato di pensare che questo è il solito attacco gratuito agli istituti ma, purtroppo, per loro non è così; il “Rapporto 1996 sulla condizione dei minori in Italia, Diritto di crescere e disagio”, pubblicato dal Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri cita testualmente: «... l’istituto non è in grado di dare risposte esaustive a quello che è il bisogno primario di un soggetto in età evolutiva: di realizzare cioè in modo compiuto un regolare processo di identificazione personale e di socializzazione. Nell’anonimo ambiente dell’istituto, infatti, non potranno facilmente realizzarsi i rapporti affettivi strutturanti e stabili, nella necessaria standardizzazione della vita che deve essere fortemente organizzata, non vi è abbastanza spazio per un’educazione alla libertà creativa ed alla capacità critica (per cui il ragazzo, a seconda delle sue caratteristiche di personalità, sarà portato o ad una passività preoccupante perché lo rende succube di chiunque voglia manipolarlo, o ad un’aggressività tanto più pericolosa quanto più drasticamente repressa); nella conoscenza solo di persone adulte aventi ruoli professionali ben definiti mancherà al ragazzo la reale e strutturante esperienza di un dialogo interpersonale; nell’inevitabile monotonia di una vita collegiale tutta scandita sulla base di regole predeterminate mancheranno stimoli a coltivare interessi essenziali per un’adeguata crescita ...».

Confortati quindi da un così qualificato intervento e augurandoci che l’ampio utilizzo dell’istituzionalizzazione dei minori ancora oggi praticata in Italia sia, nella più ottimistica valutazione, un semplice gesto di menefreghismo o un retaggio del passato (come ancora ieri ci segnalava la prof. Salviati nel suo contributo), abbiamo attivato l’iniziativa “20 mila minori hanno diritto a una famiglia ma vivono in istituto” che vuole richiamare le istituzioni sul gravissimo problema di questi oltre 20 mila bambini privati di un loro diritto fondamentale proponendo:

– la costituzione, l’aggiornamento, la qualificazione dello strumento dell’anagrafe dei minori fuori famiglia ricoverati in strutture (istituti e comunità) anche a carattere psico-medico-pedagogico e nei collegi;

– la fissazione della data entro la quale debba obbligatoriamente cessare l’utilizzo degli istituti a fini residenziali per minori in allontanamento temporaneo dalla famiglia;

– chiediamo infine anche una maggior attenzione sui minori ricoverati (e non solo su quelli) da parte della magistratura minorile che sovente dimentica le proprie competenze in merito.

Per evitare che, nuovamente, ci sia qualcuno che rivede in queste dichiarazioni “il canto del cigno di un eterno contestatore” desidero solo segnalare che Luigi Fadiga, Presidente del Tribunale per i minorenni del Lazio, durante il convegno di Roma del 15 giugno 1997 “Istituti mai più”, ha avuto modo di affermare che dall’esame degli elenchi dei minori ricoverati negli istituti di Roma risulta che «35 casi non sono mai stati segnalati né dal Giudice tutelare né dai servizi. Non li conoscevano. Di questi 35 casi ce ne sono due che sono in istituto da più di 8 anni. Uno di questi due è stato ricoverato nel 1987 a sette mesi di vita ed è ancora lì. ... Cinque di questi bambini sono lì da più di sette anni ... – e così via –. In altre parole 14 casi su 35 sono in istituto da oltre 5 anni e nessuno li ha mai segnalati...»; la relazione è proseguita poi con un elenco impressionante di dati sulle omissioni del Giudice tutelare e dei servizi.

Non possiamo credere che queste cose possano succedere solo a Roma; questo è uno dei casi dove il Presidente del Tribunale per i minorenni ha avuto il coraggio di denunciare una situazione di violenza nei confronti dei bambini, ma quante altre sono le situazioni di questo genere; siamo certi ad esempio che in Ligura, seconda regione (dopo la Calabria e prima della Sicilia) nel rapporto fra minori in istituto e minori residenti, non ci siano casi di questo genere? I giudici tutelari visitano personalmente e con regolarità gli istituti e le comunità di accoglienza?

Queste omissioni (o forse addirittua omertà) sono reati e violenze gravissime nei confronti dei minori (così come dispone l’art. 70 della legge 184/1983) ed è gravissimo che non vengano colpiti coloro che, omettendo di segnalare le situazioni di abbandono, impediscono ai minori di vivere circondati dall’affetto di una famiglia.

Tornando al problema degli abusi, vorrei richiamare l’urgenza di una svolta sul problema dell’infanzia violata perché è necessario prevenire gli abusi e le violenze, anche sessuali, nei confronti dei bambini non solo all’interno delle famiglie ma anche negli istituti e nelle altre strutture educativo-assistenziali o di accoglienza, strutture in cui vivono attualmente almeno 20 mila minori, di cui non si occupano quasi mai i mezzi di informazione e dove possono svilupparsi tendenze morbose e abusi sessuali sui bambini ricoverati da parte di ragazzi più grandi e di operatori che vi lavorano.

Per dare supporto a queste gravissime dichiarazioni vorrei ancora una volta citare le dichiarazioni di un magistrato, Melita Cavallo, giudice presso il Tribunale per i minorenni di Napoli, che nel contributo inserito nel volume “Pianeta infanzia: questioni e documenti” (pubblicato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze nel 1998) segnala come la situazione odierna dei minori ricoverati in istituto non è molto diversa da quella descritta 25 anni fa nel libro “Il Paese dei Celestini” (cfr. Prospettive assistenziali, n. 124, dicembre 1998).

È necessario spezzare la catena che fa sì che bambini abusati diventino adulti abusanti.

Sulle violenze e sulle omissioni da parte delle istituzioni ci sarebbero ancora moltissime cose da dire così come vorrei parlarvi della “Lettera aperta ai Consiglieri della Regione Lombardia” nella quale abbiamo denunciato una situazione gravissima anche “nel profondo nord” ma purtroppo il tempo a disposizione è quasi finito; rimando quindi chi fosse interessato alla lettura della documentazione che è a disposizione presso il banco della nostra associazione e, quindi, concludo questo intervento con due casi, veri, di cui esistono i relativi fascicoli di tribunale (v. Prospettive assistenziali, n. 124/1998).

La storia di Michele (nome di fantasia) che, in stato di presunto abbandono da parte dei genitori, è stato affidato ad una famiglia in attesa di definire le pratiche di adozione.

A questo punto alcuni parenti hanno fatto ricorso in Corte d’appello ed il Tribunale per i minorenni ha, senza aver sentito le parti né nominato un tutore che potesse far valere le ragioni del minore, revocato il decreto di adottabilità. Il procedimento va avanti con una perizia da parte di un consulente del Tribunale che dichiara i parenti ricorrenti assolutamente inidonei per l’educazione e l’accudimento del bambino; dopo tale perizia (e sempre senza che il minore venga in alcun modo tutelato da una figura istituzionale) la Corte d’appello emette una prima sentenza ordinando la ripresa dei rapporti fra i ricorrenti ed il bambino.

Il Tribunale per i minorenni cerca a questo punto di prendere tempo ma, dopo un ulteriore ricorso in appello, i parenti ottengono la ripresa dei rapporti con il bambino con una sentenza che cita: «... la ripresa dei rapporti costituisce un arricchimento per il minore...». Peccato che i giudici della Corte d’appello non abbiano visto che nell’ultima relazione dei servizi, fra l’altro e ribadendo l’inidoneità dei parenti, si diceva: «... la ripresa dei rapporti non può, in alcun modo, portare arricchimento per Michele...»”.

Ma ancora più aberrante è la storia di Cecilia (anche questo, ovviamente, è un nome di fantasia).

La piccola Cecilia, inoltre, ha fatto evidenti racconti di molestie da parte dei familiari della madre alla famiglia affidataria ed il responsabile del servizio pubblico che ha valutato la situazione non ha potuto escludere che possa aver subito violenza.

La mamma di Cecilia ha dichiarato ai servizi sociali di essere spaventata per la possibilità che sua figlia possa tornare a casa dei parenti con il rischio che alla piccola possa accadere quanto è successo a lei che, molestata fin dall’età di pochi anni dal padre, è stata violentata al momento dello sviluppo; è scappata di casa ma è stata violentata da un gruppo di ragazzi; al suo rientro sono proseguiti gli abusi in famiglia finché (sempre secondo il suo racconto) è rimasta incinta ed è stata fatta abortire a “botte”; finalmente i servizi l’hanno collocata in comunità ma, rientrando a casa il sabato e la domenica, non vengono interrotti gli abusi.

Il racconto di questa situazione è stato verbalizzato dai servizi che a loro volta hanno segnalato i fatti al Tribunale.

Quale è stato il risultato di queste perizie, relazioni e segnalazioni? È stata ordinata dal Tribunale la ripresa dei rapporti con quella famiglia e, naturalmente, non è stato nominato un tutore per la bambina che possa, in qualche modo, cercare di curare i suoi interessi.

Per questi bambini chi sono i veri violentatori: la famiglia o le istituzioni?

 

* Intervento svolto da Giovanni Battista Minuto, Segretario nazionale dell’ANFAA, al Convegno internazionale “Bambini vittime”, Genova, 27-28 gennaio 1999.

 

 

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