Prospettive
assistenziali, n. 126, aprile-giugno 1999
i bisogni dimenticati:
quali prospettive?
La Caritas italiana e la
Fondazione Zancan hanno pubblicato presso la Casa editrice Feltrinelli due
rapporti:
– il primo, che reca il titolo “I bisogni dimenticati - Rapporto 1996 su
emarginazione ed esclusione sociale” (1997, pag. 292, L. 30.000), analizza
la condizione anziana, i problemi dei minori e dei giovani a rischio, i
fenomeni legati alla dipendenza, l’immigrazione e la situazione detentiva;
– il secondo, avente per oggetto “Gli ultimi della fila - Rapporto 1997 sui
bisogni dimenticati” (1998, pag. 266, L. 22.000) affronta gli argomenti
relativi alla tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, le
persone senza fissa dimora, la disoccupazione giovanile, i malati psichiatrici,
l’usura.
I due rapporti, in cui sono
raccolti non solo dati quantitativi ma anche elementi di valutazione
qualitativa, hanno lo scopo di fornire un aggiornamento puntuale sui problemi
dell’emarginazione e dell’esclusione sociali e contribuire, quindi, a far
crescere la cultura della solidarietà per la costruzione di una società attenta
anche alle esigenze delle persone più deboli.
Come contrastare l’emarginazione e l’esclusione sociale
Nell’introduzione del primo
volume, Tiziano Vecchiato e Walter Nanni, a cui si deve l’impostazione e la
redazione dei due rapporti, sostengono che «i
nodi critici che spesso ostacolano l’attuazione di politiche sociali efficaci
ruotano attorno ad una serie di contraddizioni: l’insufficiente realizzazione
dei servizi essenziali, la sporadica e formale attuazione dei distretti
sociosanitari, la mancata formazione dei responsabili dei servizi, lo scarso
investimento negli interventi ad elevata integrazione sociosanitaria, la
cronica insufficienza delle risorse destinate ai servizi territoriali e
domiciliari, la sistematica incertezza nella ripartizione della spesa sociale e
sanitaria, tale per cui spesso persone anziane non autosufficienti, malate
croniche, vedono messo in discussione il loro diritto alla salute, cioè ad
avere prestazioni sanitarie fondamentali, garantite invece agli altri
cittadini».
Aggiungono che «queste funzioni spesso nascono da
responsabilizzazioni parziali e simulate, da mancate collaborazioni e
integrazioni, da conflittualità fra settori, da contrapposizioni improprie tra pubblico
e privato, dalla insufficiente definizione delle condizioni di accesso e di
esigibilità dei servizi, soprattutto nel caso di bisogni che richiederebbero un
approccio globale e integrato».
In sostanza, secondo gli Autori, l’esclusione e l’emarginazione
potrebbero essere efficacemente contrastate mediante misure di natura tecnica:
l’attuazione dei distretti, lo sviluppo degli interventi ad elevata
integrazione sociosanitaria, l’attribuzione di risorse ai servizi territoriali
e domiciliari, la formazione dei responsabili dei servizi, ecc.
Dunque, non esisterebbero
problemi politici di tipo generale: le disuguaglianze sociali sarebbero
solamente la conseguenza di una cattiva e correggibile disorganizzazione.
Anche la Caritas asserisce che la
risoluzione delle ingiustizie esistenti potrebbe essere realizzata mediante
apporti individuali. Infatti, nell’introduzione del primo volume precisa che
oggi per un approccio corretto al problema dei poveri occorrono «una catechesi e una liturgia che sappiano
parlare a tutti a partire da linguaggi e gesti semplici, profondamente calati
nell’umanità delle persone e trasparenti sul mistero di Dio-Amore; la creazione
di “luoghi” (parrocchie, associazioni, movimenti, strutture e servizi
educativi, assistenziali, sanitari...) in cui le persone possano crescere
attraverso l’esperienza dell’incontro e dell’accoglienza, la riflessione non
astratta sui valori, il confronto arricchente con le diversità, la ricerca di
una spiritualità incarnata, la relativizzazione di ogni progetto “terreno”».
Analoghi concetti sono presenti
nell’introduzione del secondo volume redatta da Mons. Benito Cocchi, Presidente
della Caritas italiana, il quale, dopo aver affermato che il rapporto del 1997 «è una provocazione a non dimenticare tutte
quelle persone che di fronte ai servizi pubblici si trovano a fare la fila, che
non possono permettersi i servizi privati, che sperimentano disfunzioni e
ritardi pagati prima di tutto dagli ultimi», segnala che il progetto
culturale della Caritas italiana ha i seguenti obiettivi: «Contribuire a ritrovare radici profonde; valorizzare ogni autentica
risorsa umana e soprattutto dare senso all’attesa di futuro delle giovani
generazioni; richiamare ciascuno alla fedeltà ai propri doveri personali,
professionali e sociali; costruire e partire dal territorio e nell’ottica della
sussidiarietà una socialità accogliente, non emarginante e capace di gratuità;
ritornare alla pratica onesta della politica per la via della coerenza e nella
prospettiva del servizio; accogliere la sfida di un privato sociale che nel
gestire i servizi alla persona si propone come fattore attivo di cittadinanza
solidale».
Dunque, la catechesi, la
liturgia, l’impegno personale e la creazione di “luoghi” di solidale
accoglienza, servizio sarebbero condizioni sufficienti e risolutive per
rimuovere le attuali situazioni di emarginazione e di esclusione sociali.
D’altra parte la condivisibile richiesta della “pratica onesta della politica”
è e resta una semplice aspirazione nell’attuale società (1).
Questa visione, a nostro avviso
molto semplicistica e con risultati operativi estremamente circoscritti, non
sembra essere condivisa da Tiziano Vecchiato che nell’introduzione del secondo
rapporto rileva che gli ostacoli principali frapposti alla solidarietà e alla
socialità «sono riconoscibili nel
dibattito sulla riforma dello Stato sociale, se si considerano le forti
pressioni ad archiviare l’universalismo solidale per procedere verso modelli di
Welfare di tipo assicurativo, cioè a
consumo individuale».
Purtroppo, il progressivo
allontanamento dei più deboli (malati psichiatrici gravi, anziani cronici,
tossici e alcoldipendenti) dal Servizio sanitario nazionale, il confinamento
presso le cooperative sociali di soggetti in difficoltà compresi quelli con
piena capacità lavorativa (2), la riproposizione di strutture scolastiche per
gli alunni handicappati, i livelli ben al di sotto del minimo vitale delle
pensioni di inabilità (L. 388.460 al mese) e di quelle minime di vecchiaia (L.
697.700 mensili) ed i contenuti delle proposte di legge presentate al
Parlamento per la riforma dell’assistenza sono elementi fortemente negativi sul
piano umano e sociale. Tuttavia questa situazione si è realizzata, sviluppata e
ancora si espande nella quasi assoluta carenza di iniziative concrete di
denuncia e di proposte alternative: sempre più flebili sono addirittura le voci
di coloro che si limitano alle proteste verbali.
Il consenso democratico rafforza le disuguaglianze?
Nel volume “Il consenso democratico rafforza le disuguaglianze? - Riflessioni
sulle politiche sociali” (3), Mons. Giovanni Nervo riporta l’opinione del
Sen. Lipari secondo cui non si può più ricorrere all’art. 3 della Costituzione
(4) «per promuovere l’uguaglianza dei
cittadini non perché il dettato costituzionale non sia solido ma perché non c’è
la forza politica di tradurre il dettato costituzionale in leggi e
istituzioni».
Infatti, secondo lo stesso Sen.
Lipari «nel sistema democratico la
maggioranza, usando la sua forza, tende a consolidare il suo benessere e a
emarginare nell’assistenza la minoranza in difficoltà».
Mons. Nervo, sviluppando i
concetti sopra espressi, precisa che «questa
tendenza attraversa tutte le istituzioni democratiche – Parlamento, Consigli
regionali e comunali, partiti, sindacati – ed è comune a tutti i paesi
occidentali: è la cosiddetta teoria della “società dei due terzi”. Le attuali
forze democratiche perciò finiscono col rafforzare le disuguaglianze». Pertanto
«il vero problema non è che mancano le
risorse, ma che esse vengono destinate agli interessi più forti, che esprimono
una domanda politica più forte e che hanno maggiore capacità di pressione
politica».
I rischi di eutanasia sociale
Se quella di Mons. Nervo
– come riteniamo anche noi – è la fotografia oggettiva della situazione, allora
le proposte avanzate nei due rapporti della Caritas italiana e della Fondazione
Zancan non sono in grado di superare i «rischi
di eutanasia sociale» indicati da Tiziano Vecchiato nell’introduzione del
secondo rapporto.
Al riguardo, è giusta l’affermazione
dello stesso Vecchiato secondo cui le numerose situazioni di bisogno, finora
rimaste senza alcuna risposta, nascono «da
esperienze di separazione: dalla propria famiglia, dalla propria terra, dalla
propria casa, dagli affetti» e che «è
da questa logica che nascono i contenitori specializzati per le diverse
cronicità», contenitori la cui logica «nasconde
discariche umane, differenziate per problemi, quasi fossero luoghi di
stoccaggio della sofferenza».
Questo essendo il quadro globale,
non ci sembra di poter concordare con la posizione di Tiziano Vecchiato secondo
cui il problema di fondo è quello di «trovare
soluzioni alternative alla separazione della sofferenza e dalla diversità,
senza allontanare le persone», anche se si tratta di scopi validissimi che
anche l’ANFAA, l’ULCES e il CSA perseguono fin dalla loro costituzione.
A nostro avviso, l’obiettivo
finale da perseguire è la prevenzione dell’emarginazione e dell’esclusione,
mentre l’umanizzazione delle conseguenze derivanti dalle diseguaglianze sociali
ha certamente un alto valore: è una tappa da conquistare, ma non è il traguardo
conclusivo.
Inoltre, per l’avvio di rigorose
ed efficaci iniziative contro le disparità sociali, occorre tener conto non
solo dell’esclusione realizzata mediante il ricovero in strutture chiuse, ma
anche dell’emarginazione in ambienti apparentemente aperti. Ci riferiamo, a
titolo esemplificativo, a quei soggetti deboli che, se supportati in modo
adeguato, possono positivamente inserirsi nelle classi normali, mentre vengono
collocati in classi e scuole speciali. Pensiamo ai giovani con piena capacità
lavorativa relegati nelle cooperative sociali ed ai giovani in difficoltà
avviati in centri diurni ad essi riservati.
Dalla solidarietà ai diritti
Com’è risaputo, le disuguaglianze
sociali, l’emarginazione e l’esclusione sociale si fondano sul non
riconoscimento della pari dignità di tutte le persone e dei loro diritti
fondamentali: alla famiglia, alle cure sanitarie, all’abitazione,
all’istruzione, al lavoro, ecc.
Alcuni diritti sono già
attualmente esigibili, altri devono ancora essere previsti da specifiche norme
di legge.
Mentre la stragrande maggioranza
dei cittadini è in grado di far rispettare le proprie prerogative, uno dei
problemi cruciali della lotta contro l’emarginazione sociale riguarda la tutela
dei diritti (e quindi, molto spesso, anche delle esigenze vitali) delle persone
che non sono in grado di autodifendersi.
Gli interventi svolti per la
salvaguardia dei diritti di questi soggetti sono la cartina di tornasole delle
finalità realmente perseguite dalle chiese, dai sindacati, dal volontariato e
dalle altre organizzazioni sociali.
Ovviamente, non sono sufficienti
le dichiarazioni verbali, i messaggi, gli appelli: occorre operare
concretamente affinché Giovanni, totalmente privo di assistenza morale e
materiale da parte dei suoi genitori sia segnalato al fine di essere dichiarato
in stato di adottabilità; bisogna intervenire per evitare le dimissioni
ospedaliere di Luigi, allo stadio terminale a causa del cancro che l’ha
colpito; è necessario agire perché Mario, handicappato intellettivo di grado
medio, che ha terminato la scuola dell’obbligo, possa frequentare un corso
prelavorativo in modo da acquisire la formazione indispensabile per poter
usufruire della legge sul collocamento obbligatorio.
Non mancano certamente le
difficoltà per ottenere il rispetto delle esigenze e dei diritti degli
emarginati e degli esclusi. Le più rilevanti sono quelle culturali.
Al riguardo Mons. Nervo afferma
che:
– «la cultura cattolica è più attenta all’assistenza che alla tutela dei
diritti, e ha una certa difficoltà a coniugare armonicamente carità e
giustizia»;
– in campo cattolico «la formazione morale è rivolta più alla
giustizia commutativa (a ciascuno il suo, il rispetto della proprietà privata,
la condanna del furto personale e il dovere della restituzione) che alla
giustizia sociale e alla solidarietà come impegno per il bene comune»;
– «la comunità cristiana (le parrocchie, la formazione del clero, le
associazioni cattoliche) ha un certo distacco dalle realtà concrete della vita
della comunità civile organizzata» (5).
Per quanto riguarda la cultura
laica, sia quella liberale che quelle socialista e marxista, sono note le
gravissime carenze di conoscenza delle questioni riguardanti l’emarginazione e
l’esclusione sociale, di dibattito, di iniziative e di esperienze nei confronti
delle persone e dei nuclei familiari incapaci di provvedere autonomamente alle
proprie esigenze.
Conclusioni
I due volumi della Caritas
italiana e della Fondazione Zancan forniscono preziose informazioni a coloro
(persone singole e organizzazioni) che sono interessati alle esigenze della
fascia più debole della popolazione.
Per quanto concerne le iniziative
da intraprendere per contrastare l’emarginazione e l’esclusione, riteniamo che
occorra prioritariamente affrontare le questioni relative alla prevenzione
delle cause che provocano le disuguaglianze e le ingiustizie sociali.
È altresì necessario unire
l’azione rivendicativa e la tutela dei casi singoli, anche allo scopo di
evitare che gli interventi si limitino a semplici azioni esortative.
Le persone incapaci di
autodifendersi, il cui numero è certamente superiore ad un milione, hanno
urgentissimo bisogno di interventi concreti.
(1) Cfr.
Antonio Gambino, “Il ritorno della disuguaglianza”, Il Mulino, n. 4, luglio-agosto 1995 e le affermazioni di Mons.
Nervo riportate più avanti in questo numero.
(2) Si
vedano i preoccupanti contenuti della redigenda legge sul collocamento
obbligatorio al lavoro.
(3)
Edizioni Dehoniane, Bologna, 1994.
(4)
L’art. 3 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali.
«È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscano
il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
(5) Cfr. la nota
2.
www.fondazionepromozionesociale.it