Prospettive
assistenziali, n. 126, aprile-giugno 1999
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Notizie
PER I MALATI IL SOCIALE È TERAPIA
Sul n. 7, 15 aprile 1999 di Prospettive sociali e sanitarie, è
riportato un ottimo articolo di Benedetto Saraceno, Direttore del Dipartimento
di salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in cui fra l’altro
viene affermato che «non c’è un punto
dove finisce il sanitario e comincia il sociale, ma il sociale è sanitario, il
sociale è cura, e al contrario, là dove manchino queste dimensioni si avrà
semplicemente una “cattiva cura”, una “terapia inadeguata”. Tutto questo gli
psichiatri e spesso gli amministratori
fanno fatica a capirlo e continuano a pensare che la dimensione sociale del
trattamento delle malattie mentali è una sorta di optional, lodevole, segno di
apertura mentale, da perseguirsi tuttavia fino a dove i finanziamenti lo
permettano. Non si tratta di eliminare un optional erogabile solo in tempi di
vacche grasse, ma di assumersi la piena responsabilità che tale eliminazione
azzoppa la terapeutica, la rende meno efficace. In altre parole, è come dire
che non tutti gli strumenti chirurgici saranno sterilizzati poiché mancano i
fondi. Chi facesse questa dichiarazione sarebbe accusato di togliere ai malati
il diritto a cure appropriate ed esporli a rischi addizionali».
L’Autore, dunque, sostiene – come
abbiamo sempre asserito anche noi – che l’integrazione fra sanitario e sociale
non è in grado di fornire risposte adeguate alle esigenze dei malati (siano
essi psichiatrici o con altre patologie), mentre è indispensabile l’assunzione
diretta da parte di tutto il personale della sanità (medici, infermieri,
riabilitatori, inservienti, impiegati, ecc.) delle valenze umanizzanti,
relazionali e sociali che, unite alle altre prestazioni sanitarie, sono la base
per cure effettivamente valide.
Concordiamo, inoltre, con le
seguenti affermazioni di Benedetto Saraceno: «È il tempo della partecipazione (degli utenti, dei familiari, delle
organizzazioni non governamentali, del privato sociale senza fini di lucro), è
il tempo della partnership (non si
danno servizi comunitari senza un serio coinvolgimento delle comunità), è il
tempo del rigore e della valutazione (soltanto linee guide chiare,
intelligenti, non ambigue, dettagliate, attente non solo a inventariare
burocraticamente strutture e procedure ma anche a valutare gli esiti per i
pazienti), e, se sarà il caso, sarà di nuovo il tempo degli schieramenti».
Osserviamo solamente che, in base alla nostra
esperienza ultratrentennale, si oppongono alla partecipazione di base non solo
gli amministratori di tutti i partiti, ma spesso anche gli operatori.
Occorrerebbe, pertanto, che i
gruppi di volontariato presentassero specifiche piattaforme rivendicative sulle
esigenze degli utenti e sulle prestazioni che dovrebbero essere garantite.
UN TERZO DEI MINORI DICHIARATI ADOTTABILI
RESTA SENZA FAMIGLIA
Il Centro nazionale di
documentazione ed analisi sull’infanzia e l’adolescenza ha recentemente
pubblicato il volume “Pianeta infanzia: questioni e documenti” (pag. 408) in
cui sono affrontati i seguenti temi: popolazione, matrimoni, nascite e
interruzioni di gravidanza, i minori e la famiglia, i figli nelle separazioni e
nei divorzi, adozioni e affidamenti preadottivi, i minori stranieri in Italia,
la scuola dell’infanzia, l’istruzione, i minori con handicap nelle scuole, la
spedalizzazione, le malattie infettive e l’Aids, mortalità e cause di morte,
suicidi e tentativi di suicidio, gli incidenti stradali, i minori scomparsi, i
minori e la tossicodipendenza, i minori e la giustizia, le violenze sui minori,
la povertà, dati indiretti sul lavoro minorile, comportamenti che influenzano
la salute e altri aspetti della vita quotidiana, organi di tutela dei minori e
misure adottate.
I dati statistici, raccolti in
oltre 350 pagine, sono commentati da Alfredo Carlo Moro.
Non sono state inserite le tavole
relative ai minori ricoverati in istituto, in quanto gli ultimi dati dell’ISTAT
si riferiscono al 1992.
Per quanto riguarda i minori
dichiarati in stato di adottabilità, risulta che solo il 65,5% sono accolti in
adozione. «C’è dunque una parte
consistente di bambini adottabili – più di un terzo – che non vengono adottati
per quanto la domanda di adozione sia estremamente più forte dell’offerta
rappresentata da questi stessi bambini».
Una situazione allarmante che
dovrebbe essere affrontata con la massima urgenza e attenzione dalle
organizzazioni di tutela dell’infanzia, allo scopo di individuarne le cause e i
possibili rimedi.
Per ottenere la pubblicazione,
rivolgersi all’Istituto degli Innocenti, Piazza Santissima Annunziata 12, 50122
Firenze, tel. 055.24.91.743, fax 055.24.91.744.
NEGATIVE CONSEGUENZE DEI LUOGHI
COMUNI SUGLI ANZIANI
Per moltissimi giovani gli
anziani sono insopportabili. È questo l’allarmante risultato di una indagine
pubblicata sul numero di dicembre 1998 del mensile «Noi Donne», indagine condotta su 850 intervistati di età compresa
fra i 18 ed i 30 anni.
Come riferisce La Stampa del 6 dicembre 1998 «un giovane su due odia gli anziani e
vorrebbe confinarli su un’isola deserta», mentre il 47 per cento degli
interpellati sostiene che «per pagare
loro le pensioni dobbiamo lavorare il triplo».
A nostro avviso la posizione dei
giovani è la diretta conseguenza dei fuorvianti luoghi comuni pubblicizzati dai
mezzi di comunicazione di massa, dai politici e spesso anche da persone che si
definiscono esperti del settore.
A nostro avviso non è
assolutamente vera la cosiddetta “catastrofe demografica” per il fatto che
negli ultimi decenni, insieme al notevole aumento della durata media della
vita, vi è stato un rilevante miglioramento delle condizioni di salute e di
autonomia dei “nuovi vecchi”, tanto che la situazione generale di un
settantenne dei nostri giorni è paragonabile a quella di un cinquantenne
dell’inizio del secolo.
Di questo occorrerebbe tener
conto a meno che si voglia gonfiare il problema per colpire le vistose carenze
di intervento.
Per quanto riguarda le pensioni
di vecchiaia, occorre ricordare che i lavoratori hanno versato i contributi
assicurativi richiesti dalle leggi approvate dal Parlamento.
Se i conti sono stati sbagliati e
soprattutto se sono stati dirottati finanziamenti, peraltro imponenti, per
motivi clientelari, occorre che le autorità competenti (Parlamento, Governo,
INPS, ecc.) forniscano alla popolazione e, in particolare, ai giovani
informazioni corrette e non si continui ad attribuire ai pensionati colpe
assolutamente inesistenti.
RITARDI INTOLLERABILI DELL’ISTAT
Riportiamo il testo dell’interrogazione al Ministro per la solidarietà
sociale presentata alla Camera dei deputati il 17 marzo dall’On. Maria Pia
Valetto Bitelli.
Analoga iniziativa è stata assunta nello stesso giorno al Senato dal Sen.
Giancarlo Tapparo.
Testo dell’interrogazione
Per sapere,
– premesso che:
risulta risalire all’anno 1995
l’ultima pubblicazione dell’annuario «Statistiche della previdenza, della
sanità e dell’assistenza» edito dall’Istat, riguardante gli anni 1992 e 1993;
la conoscenza aggiornata dei dati
contenuti in tale annuario dovrebbe essere una delle condizioni necessarie per
una puntuale ed efficace programmazione degli interventi socio-sanitari da
parte di tutti i soggetti a ciò preposti –
quali siano le ragioni del
ritardo della pubblicazione dell’annuario sopra citato contenente i dati
relativi agli anni più recenti;
se e quali iniziative intenda
assumere nei confronti dei soggetti eventualmente inadempienti incaricati di
raccogliere, trasmettere e rendere pubblici tali dati;
se, infine, non ritenga utile
definire con il concorso dell’Istat quali siano gli elementi indispensabili da
censire per poter valutare l’evoluzione delle forme di assistenza territoriale
e residenziale, con particolare riferimento ai dati statistici a carattere
nazionale e regionale relativi agli affidamenti familiari a scopo educativo
alle comunità alloggio ed ai ricoveri in istituto.
RAPPORTO SUL VOLONTARIATO
Dal secondo rapporto presentato
l’11 febbraio 1999 dalla Fondazione italiana del volontariato risulta che alla
fine del 1997 le organizzazioni di volontariato censite erano 12.909 con circa
400 mila attivisti, equamente distribuiti fra donne e uomini.
Il volontario “tipo” è un adulto:
ha un’età media di 41 anni. Il contributo di giovani ed anziani appare invece
del tutto marginale. Il 31,5 per centro ha tra i 30 e i 45 anni; il 29 per
cento tra i 46 e i 65 anni, con una piccola prevalenza delle donne sugli
uomini: 50,3 contro il 49,7%. Il volontario medio è in possesso di un diploma
di scuola superiore, il 14% è laureato e il 42% è in possesso dell’obbligo
scolastico. E ancora: intorno alla figura del volontario che lavora (il 45%) compaiono
altre figure come le casalinghe (13%), i pensionati (19%), gli studenti 14%) e
le persone in cerca di occupazione (l’8%). L’impegno medio settimanale è di
cinque ore, soltanto un volontario ogni cinque supera la soglia delle otto ore
settimanali di impegno. I settori dove operano sono la sanità e l’assistenza.
Il volontariato è in profonda
trasformazione: tra il ’93 e il ’97 sono diminuite percentualmente le
organizzazioni di esplicita ispirazione cattolica (dal 40,4% al 36,3%), mentre
sono aumentate di 12 punti quelle non confessionali.
(da l’Unità del 12 febbraio 1999)
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