Prospettive
assistenziali, n. 126, aprile-giugno 1999
un autorevole documento del consiglio superiore di sanità sulle
persone colpite da patologie croniche
Con grande soddisfazione pubblichiamo il documento “Questioni etiche nel
Piano sanitario nazionale 1998-2000: le persone affette da patologie croniche”,
predisposto dal Consiglio Superiore di Sanità nel marzo 1999.
Confidiamo vivamente che il Ministro della sanità, On. Rosy Bindi, traduca
le validissime indicazioni contenute nel suddetto documento in un apposito atto
di indirizzo in modo che venga confermata la competenza del Servizio sanitario
nazionale anche nei confronti delle persone colpite da malattie invalidanti e
da non autosufficienza, competenza peraltro prevista dalle leggi vigenti e
ribadita dalla sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 10150 del 1996.
Di conseguenza, fra l’altro, si porrà termine alle dannose interferenze del
settore della assistenza sociale, le cui finalità non riguardano certamente la
cura delle malattie acute o croniche.
Come abbiamo più volte affermato, e com’è anche previsto dalla proposta di
legge n. 5119 presentata alla Camera dei Deputati il 17 luglio 1998 dagli On.
Saia, Maura Cossutta e altri parlamentari (cfr. Prospettive assistenziali n. 124) e dal disegno di legge n. 3481
depositato al Senato in data 29 luglio 1998 dai Sen. Ripamonti, Manconi e
altri, accettiamo che, a partire dal 61° giorno di degenza presso le RSA, i
ricoverati siano tenuti a versare una somma non superiore al 70% del proprio
reddito pensionistico all’Azienda USL che fornisce le cure (comprese quelle
inerenti l’indennità di accompagnamento), garantendo in ogni caso al pensionato
una disponibilità di denaro sufficiente a provvedere alle prorie esigenze non
soddisfatte dall’istituzione (oneri a carico del ricoverato verso i propri
congiunti o terzi, mutui, vestiario, piccole spese personali, ecc.).
La condizione della persona con
patologia cronica e i problemi sanitari connessi a tale condizione coinvolgono
compotamenti singoli e decisioni pubbliche, valori umani e competenze
professionali, urgenze immediate e necessità di programmazione.
Si tratta di un ambito in cui
l’attenzione alla dimensione etica si esprime come attenzione alla qualità umana delle relazioni attraverso cui si
attuano l’attività sanitaria e sociale, dalle relazioni più semplici allo
strutturarsi di relazioni complesse come quelle organizzate nei servizi
sanitari.
La sfida della responsabilità
personale si esprime nell’intreccio delle libertà, quando occorre accettare i
limiti reali e insieme perseguire efficacemente il bene possibile.
Definizione e rilevanza della patologia cronica
Una persona con patologia cronica
è «persona affetta da una malattia di lunga durata, tendenzialmente lunga
quanto la vita del soggetto. Questa procura invalidità di vario grado; è dovuta
a cause non reversibili; richiede speciali forme di riabilitazione; impegna
l’interessato ad osservare prescrizioni e, spesso, ad apprendere un nuovo stile
di vita (dietetico, relazionale, motorio, ecc.); necessita di consistenti
periodi di controllo, di osservazione e di cura sia a domicilio sia in ambiti
specialistici» [1].
La malattia cronica è ben diversa
dalla malattia acuta. La malattia acuta può essere considerata un fenomeno
episodico e completo in sé; la condizione di malattia, cioè quello che il
paziente prova, è tutta spiegabile con il meccanismo anatomo-fisio-patologico
della malattia. Al contrario, ciò che il paziente prova in caso di malattia
cronica non è spiegabile solo in base al meccanismo fisiopatologico della
malattia [2]. Questo può costituire la base dell’esperienza del paziente, ma
tale esperienza include anche l’impatto sulla vita di ogni giorno, il danno a
funzioni necessarie per svolgere il proprio lavoro, il cambiamento delle
prospettive future del malato, una pesante influenza sul suo patrimonio economico.
La patologia cronica è certamente
la nuova frontiera della medicina negli anni presenti, e destinata ad aumentare
negli anni futuri: basti ricordare che, come il P.S.N. 1998-2000 sottolinea,
una categoria di persone sovente affette da patologie croniche, gli anziani
(>65 anni), nel 2020 costituirà il 23% della popolazione italiana mentre la
prospettiva di vita alla nascita sarà di 78,3 anni per i maschi e 84,6 per le
femmine; nella popolazione anziana di oggi, rispettivamente il 72% dei maschi e
60,7 delle femmine dichiara almeno due malattie croniche in atto.
La patologia cronica è la
protagonista delle patologie nella nostra società ed il già citato P.S.N. le
attribuisce attenzione prioritaria, non soltanto laddove essa viene espressamente
menzionata (parte dell’obiettivo II ed obiettivo IV), ma anche in tutte le
parti che riguardano la prevenzione.
Esito della malattia cronica: le alternative alla guarigione
La cura della persona affetta da
patologia cronica non ha necessariamente come esito la guarigione. Come sopra
accennato, dalla maggioranza delle malattie degenerative non si guarisce
completamente: si può superare una fase, uscire da un episodio, compensare una
situazione alterata, rendere la malattia compatibile con un determinato livello
di richiesta funzionale.
Pertanto, il concetto di cura va
visto estensivamente, includendo gli interventi che permettano una migliore
convivenza con la malattia cronica. Alla diagnosi della malattia deve allora
accompagnarsi una valutazione delle funzioni del paziente e delle sue
potenzialità. L’obiettivo della terapia può essere non quello della guarigione,
quando non realistico, ma quello dell’ottenimento della migliore possibile
funzione residua. Troppe volte viene trascurato il risultato parziale. Di
fronte ad una persona affetta da patologia cronica, l’obiettivo del risultato
totale può distrarre da risultati limitati ma accessibili [3].
Una particolare considerazione va
attribuita alle persone con patologie evolutive irreversibili: il P.S.N. prevede
la realizzazione di interventi domiciliari e residenziali finalizzati al
supporto dei malati ormai inguaribili ma che hanno diritto a ricevere tutte le
cure possibili nel tentativo di ridurre la sofferenza per migliorare la qualità
del tempo che resta loro da vivere. Tali cure costituiscono la cosiddetta
“medicina palliativa”, ormai ufficialmente accreditata [4], il cui scopo è di
controllare il dolore, altri eventuali sintomi ed il disagio psicologico.
Necessità e diritti della persona affetta da patologia cronica
In rapporto a quanto detto in
precedenza, deve modificarsi il “privilegio dell’acuto” che ancora caratterizza
largamente sia la mentalità medica che la mentalità della popolazione in
generale.
I bisogni da soddisfare
È eticamente corretto soddisfare
in via prioritaria:
– i bisogni legati alla possibilità di sopravvivere. Tenendo presente
che la cura della malattia, in particolare della patologia cronica, non ha
necessariamente come esito la guarigione, si tratta di assicurare la
sopravvivenza della persona, senza necessariamente pretendere che essa coincida
con la salute;
– i bisogni indispensabili non solo in termini di pura sopravvivenza;
sono quelli legati al poter esprimere l’intelligenza e la libertà in una vita
guidata da coscienza responsabile. Questi sono citati dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità nella sua definizione di “stato di salute”. Infatti,
nella definizione data nel 1986, veniva definito “salute”: “Uno stato
potenziale di benessere corrispondente alle caratteristiche fisico-biologiche.
Queste possono costituire una riserva: può essere una riserva buona, modesta o
scarsa, e che può variare a seconda della vita che una persona conduce. Perciò
una persona può costruirsi una riserva di salute o anche dissiparla. In questa
interpretazione la salute viene considerata come un mezzo per raggiungere un
fine: una risorsa per la vita di ogni giorno, che permette alla persona di
condurre una vita produttiva dal punto di vista individuale, sociale ed
economico” [5], mettendola in grado di convivere attivamente con la condizione
cronica, come puntualizzato nel Piano Sanitario e significativamente descritto
nell’espressione “Patto di solidarietà con il cittadino”.
Un aiuto a questo riguardo è
fornito ancora dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che, per quanto
riguarda la patologia cronica, ha promosso una classificazione nella quale
tende a mettere in risalto non tanto la malattia quanto le sue conseguenze. Si
tratta della “Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità
e degli Handicap” [6]. Questa classificazione si è rivelata uno strumento
utile per programmare la prevenzione (primaria, secondaria e terziaria), per
identificare i bisogni e la messa a punto di interventi concernenti l’ambiente
fisico, psicologico e sociale, e per valutare programmi individuali di
riabilitazione.
I diritti della persona affetta da patologia cronica
Nella prospettiva di convivenza
attiva con la propria condizione, espressa dall’OMS e ripresa dal Piano
Sanitario Nazionale, è da considerare che la persona con patologia cronica
presenta una serie di esigenze alle quali corrisponde una serie di diritti, dei
quali sovente l’operatore sanitario non tiene conto a sufficienza.
Si citano, ad esempio [7-8],
oltre ai diritti fondamentali della persona ad essere curata anche se
inguaribile ed a essere aiutata a mantenere lo stato di salute che le resta, il
diritto:
– a non venire trascurata perché
non costituisce un caso scientificamente interessante;
– a non vedersi negati
ausili che la aiuterebbero a vivere meglio;
– a non venire trasferita in
modo forzato dove “c’è posto”, lontano dalla casa e dagli affetti;
– ad essere ascoltata quando
esprime parere sulle cose che la riguardano direttamente.
È necessario menzionare il
diritto a non essere segregati dalla vita sociale, anzi al contrario essere
aiutati e stimolati a prendervi parte per quanto lo stato di salute lo
consenta. Questo ha tanto maggior rilievo quanto più giovane è la persona
affetta da patologia cronica, poiché in genere è più lungo il periodo di vita
che le si prospetta. Si prendano ad esempio coloro che sono affetti da diabete
giovanile, malattia che può comparire anche nell’infanzia, oppure persone
affette da una condizione congenita parzialmente disabilitante. In persone come
queste la prospettiva di vita può essere di molti decenni e pertanto la
socializzazione è particolarmente importante ed è in ogni caso utile anche per
la cura stessa di alcuni effetti della patologia.
Gli operatori sanitari tendono
talora a curare solo il guaribile, a ridurre il “prendersi cura” al “curare”,
con conseguenti problemi di medicalizzazione della vita; mentre è necessario
fare opera di maggior sintesi tra due aspetti diversi e complementari, la
dimensione tecnico-professionale e quella etico-antropologica.
Altro diritto che merita di
essere sottolineato è quello di poter stare a casa propria, in quanto, per il
paziente con patologia cronica, ciò significa essere circondato dai propri
affetti, ed è stato osservato che il paziente che può essere curato a domicilio
prova meno ansia e depressione che in una struttura di ospedalizzazione.
I doveri verso la persona affetta da patologia cronica
Doveri e responsabilità della pianificazione sanitaria
Uso delle strutture sanitarie
La pianificazione sanitaria
dovrebbe prevedere un uso delle strutture sanitarie diverso da quello
tradizionalmente prevalente. L’ospedalizzazione tradizionale, con un ingresso
ed un periodo di degenza che si conclude, non è più la risposta adatta per la
persona affetta da patologia cronica.
Altre modalità possono meglio
servire ad assistere i cronici:
– ospedalizzazione di giorno (day
hospital);
– ospedalizzazione ciclica:
due-tre giorni ogni tanto, per controllare il paziente e per aiutare la
famiglia a sopportare il peso dell’assistenza;
– ospedalizzazione a
domicilio, pianificata in modo da fornire prestazioni in buona misura
equivalenti a quelle ospedaliere (tranne che per gli interventi che richiedano
apparecchiature che sono solo nell’ospedale), sulla base di un programma terapeutico
definito anche nel tempo;
– assistenza domiciliare
integrata, realizzata garantendo continuità terapeutica fra ospedale e
territorio, nella logica di un circuito assistenziale e riabilitativo che
accompagna e sostiene la persona nel suo spazio di vita.
Per questo è necessario garantire
un’assistenza continuativa ed integrata fra ospedale e territorio e la
presenza, nei distretti, di unità di valutazione multidimensionale. Occorre
inoltre rispondere ai bisogni formativi nei servizi affinché essi siano capaci,
nel fornire assistenza sanitaria, anche di accogliere la persona nella sua
globalità.
Per realizzare un’adeguata
assistenza domiciliare sono necessarie tre condizioni: il consenso del
soggetto, un buon livello organizzativo della struttura sanitaria territoriale,
un sufficiente grado di accettazione e di preparazione della famiglia; la
seconda di queste condizioni è responsabilità della pianificazione sanitaria.
Attenzione alla riabilitazione
Dovrebbe essere più accentuata
l’attenzione alla riabilitazione. Si nota che questo aspetto della cura dei
pazienti viene per lo più sottovalutato. Ad esempio, mentre i DRG per la cura
di fatti acuti prevedono anche la fase della riabilitazione, in genere le
aziende sanitarie tendono a dimettere al più presto un paziente guarito, anche
se non ancora sottoposto a riabilitazione.
Al contrario dovrebbe essere
garantita la continuità assistenziale nell’ambito dei percorsi riabilitativi
personalizzati.
Le ragioni della scarsa
attenzione alla riabilitazione potrebbero essere più di una:
– la scarsa preparazione
dell’operatore sanitario a questa fase della cura del malato (causata a sua
volta da una modesta valutazione del valore della riabilitazione da parte della
maggioranza dei docenti nelle facoltà mediche);
– una concezione dell’assistenza
sanitaria eccessivamente “ospedalocentrica” da parte del SSN;
– il fatto che la
riabilitazione fornisce in generale alla struttura sanitaria una limitata
gratificazione in termini di immagine.
Una larga parte delle attività di
riabilitazione viene considerata di pertinenza non dell’assistenza sanitaria
bensì dell’assistenza sociale. Da parte sua l’OMS sostiene l’opportunità di
coniugare l’assistenza sanitaria e l’assistenza sociale, integrando le varie
dimensioni dell’inabilità in un approccio bio-psico-sociale [9].
La riabilitazione della persona
con patologia cronica dovrebbe invece essere vasta, per tendere non solo al
recupero nei limiti del possibile della funzione dell’organo leso, ma anche ad
un recupero globale della persona. CIò in linea con la definizione di salute
dell’OMS citata in precedenza. Tale recupero permetterebbe in molti casi alla
persona con patologia cronica di esercitare il diritto di avere cura di se
stessa, convivendo attivamente con la cronicità, e di svolgere una propria
attività nella società: pertanto risulterebbe vantaggiosa sia per la persona
che per la società anche dal punto di vista economico.
Attenzione alla prevenzione
Dovrebbe essere accentuata
l’attività dei servizi sanitari nel campo della promozione della salute, allo
scopo di prevenire malattie croniche; infatti molte malattie croniche, non
congenite, derivano da stili di vita dannosi; per questo va promossa
l’assunzione di responsabilità da parte di ogni persona circa gli effetti (su
di sé e sugli altri) di determinati stili di vita, ad esempio connessi al fumo,
all’abuso di alcol e di altre sostanze, ad abitudini alimentari inadeguate.
L’indirizzo di promozione della
salute è coerente con quanto previsto dal Piano Sanitario nell’Obiettivo I:
“Promuovere comportamenti e stili di vita per la salute”.
In questo la corresponsabilità
sociale coinvolge in particolare gli operatori del Servizio Sanitario, ma anche
in generale gli insegnanti e tutti gli operatori culturali.
Strettamente connessa a tale
dimensione culturale e formativa, con una seria attenzione all’ecologia, è la
dimensione politica e di programmazione, con l’esigenza di una reale
collaborazione tra i diversi organi istituzionali preposti, quando si tratta,
ad esempio, di opere urbanistiche e viarie, insediamenti industriali,
regolamenti e normative che incidono nel formarsi di modelli di comportamento
rilevanti sul piano della salute.
Doveri e responsabilità degli operatori sanitari
Il lavoro di équipe
Il medico che cura la persona affetta
da patologia cronica deve lavorare con tutta l’équipe assistenziale per il
vantaggio psicofisico del paziente e per una corretta ed etica gestione delle
risorse disponibili. Infatti l’assistenza domiciliare diventa integrata quando
professionalità diverse, sanitarie e sociali, collaborano per realizzare
progetti di cura unitari e mirati alla soddisfazione dei bisogni della persona
e della famiglia.
Per raggiungere questo obiettivo
è necessario rivedere le modalità formative del medico e degli altri professionisti
che andranno a costituire l’équipe “curante”, ma soprattutto è necessaria
l’attivazione della formazione permanente che, se attuata sistematicamente e in
forma multidisciplinare, consente un’adeguata integrazione fra gli operatori
sanitari, garantendo in questo modo continuità assistenziale e dando così
sicurezza alla persona stessa ed alla sua famiglia.
Il rapporto con il paziente
Il rapporto con la persona
affetta da patologia cronica deve essere di qualità analoga a quella che il
medico e gli altri operatori sanitari e sociali tengono con il paziente acuto,
dedicando particolare attenzione alle valenze etiche del rapporto con
l’assistito. Poiché questo rapporto è suscettibile di essere mantenuto
lungamente, deve essere adeguatamente approfondito sia con il paziente che con
i famigliari.
Tale rapporto probabilmente non
può essere demandato solo ad una singola figura professionale
deresponsabilizzando gli altri operatori che hanno in carico il paziente.
L’équipe curante deve essere, per
quanto possibile, sempre la medesima, garantendo continuità delle cure da parte
dei medesimi operatori. Mentre il paziente acuto viene curato del tutto dal
personale sanitario, la persona affetta da patologia cronica di solito (quando
non è ricoverata) si cura da sé con il contributo dell’équipe. E c’è una
differenza sostanziale se il paziente viene visto da sanitari diversi nel corso
di visite successive.
L’ambiente di vita del paziente
L’operatore deve prestare
particolare attenzione all’ambiente nel quale il paziente si trova. Notevole
importanza ha l’ambiente famigliare.
La presenza in casa di un paziente con patologia cronica incide su tutto il
nucleo famigliare, che diventa più vulnerabile. È compito dei servizi sanitari
e dei servizi sociali fornire un sostegno alla famiglia, sia nella fase di
preparazione ad accogliere il paziente in casa sia successivamente. Il sostegno
necessario può essere educativo-relazionale, economico-sociale e di altra
natura.
Anche l’ambiente edilizio nel quale la persona affetta da patologia
cronica vive (nella struttura sanitaria o, soprattutto, nella propria
abitazione) deve venire adeguato alle sue necessità. Sovente sono importanti
accorgimenti non onerosi, come l’acqua da bere a portata di mano o la facilità
di raggiungere i servizi igienici. Si tratta di fattori che nella persona
affetta da patologia cronica costituiscono un importante complemento alla
terapia e un fattore determinante per la qualità della vita.
Infatti l’ambiente di vita del
paziente è importante per aiutare a convivere attivamente con la patologia
cronica, valorizzando le proprie capacità. Lo spazio domestico del paziente
affetto da patologia cronica, deve essere interpretato ed organizzato con
sensibilità attenta alle necessità di chi sia in qualche misura disabile [10].
Nel campo degli ausili per l’autonomia prevale una logica di profitto che
talora costituisce la prima vera barriera per il paziente affetto da patologia
cronica. In una prospettiva etica questo atteggiamento deve essere contrastato
e denunciato. Sotto questa luce l’intervento pubblico non dovrebbe assumere
costi tenuti artificialmente elevati, bensì individuare strumenti di politica
economica tendenti a farli abbassare.
Doveri e responsabilità dei famigliari della persona affetta da patologia cronica
e dei servizi nei confronti della famiglia stessa
Le famiglie con persone affette
da patologia cronica sostengono carichi assistenziali a volte molto gravi,
derivanti dal lavoro di cura, dalla continuità dell’impegno, dall’intensità
emotiva del confronto con la sofferenza e la morte. Spesso esse sono lasciate
sole a sostenere responsabilità che, pur derivanti da legami affettivi e
parentali, non possono essere viste come una questione privata, da gestire nel
solo ambito dei rapporti famigliari.
Esse hanno bisogno e diritto di
essere aiutate e sostenute per convivere positivamente con la cronicità; a
questo scopo dovrebbero poter contare sull’aiuto dei servizi sanitari e
socio-assistenziali e sul sostegno di altre persone che, a titolo di volontariato
e di solidarietà sociale, condividano i problemi della persona malata e della
sua famiglia.
Questo può avvenire più
facilmente facendo prendere coscienza delle responsabilità reciproche, radicate
nei comuni diritti e doveri di solidarietà. Si tratta cioè di investire sul
piano culturale per allargare le responsabilizzazioni: dallo spazio famigliare
verso spazi più ampi di natura interpersonale e sociale.
Le situazioni famigliari sono
molto diversificate. Spesso le contraddizioni e le esperienze di conflitto
all’interno della famiglia, tenuto conto anche dell’attuale condizione dei
nuclei famigliari, rendono più difficoltose la gratuità e la reciprocità
proprie dei legami famigliari, riducono la percezione del dovere di aiuto,
fanno sembrare opzionale l’impegno di tutela dei soggetti più deboli.
A fronte dei doveri della
famiglia vanno però resi espliciti anche i doveri che i servizi hanno nei suoi
confronti, sotto forma di protocolli operativi e linee guida finalizzate a
qualificare il lavoro domiciliare, mettendolo in grado di dare risposte ai
bisogni di tutti i suoi destinatari: la persona con patologia cronica e chi si
prende cura di lei.
In particolare va evitato che lo
scarso impegno dei servizi, la frammentazione delle prestazioni, le mancate
integrazioni delle responsabilità e delle risorse professionali diventino
ragione o alibi per la resa di chi non si sente più in grado di gestire carichi
assistenziali molto gravosi.
La mancata assistenza dei servizi
sanitari può alimentare questi atteggiamenti, venendo meno ai compiti
istituzionali, oltre che professionali, del servizio e di quanti operano al suo
interno.
Bibliografia
1) Fabris F.: Ridefinizione dei
concetti di acuzie e di cronicità. In “Eutanasia da abbandono”, pp. 101-110, Rosenberg & Sellier (Torino),
1997.
2) Cassel E.J.: The future of the
doctor-payer-patient relationship. Journal of American Geriatrics Society 46,
318-321, 1998.
3) Fabris F.: op. cit.
4) Butler R.N., Burt R., Foley K.M., Morris
J., Morrison R.S.: Palliative medicine: providing care when cure is not
possible. Geriatrics
51, 33-36, 42-44, 1966.
5) Conferenza di Ottawa per la
promozione della salute, OMS, Ginevra, 1986.
6) International Classification of
Impairments, Disabilities and Handicap (ICIDH). A manual of classification relating
to consequences of diseases. WHO, Geneva, 1980.
7) Santanera F., Breda M.G.,
Dalmazio F.: Anziani malati cronici: i diritti negati. UTET (Torino) 1994.
8) Fondazione E. Zancan, I
diritti negati degli anziani non autosufficienti, Servizi Sociali n. 2/1988.
9) IDIDH-2. International Classification of
Impairments, Activities and Participation. Introduction Slide Set with Notes.
WHO, Geneva, 1997.
10) Moss P.: Negotiating spaces in home
environments: older women living with arthritis. Soc. Sci. Med. 45, 23-33,
1997.
www.fondazionepromozionesociale.it