Prospettive
assistenziali, n. 127, luglio-settembre 1999
Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
Estremamente
rare le richieste di accesso all’identità dei propri procreatori da parte dei
figli adottivi
Dal 1967, anno di entrata in
vigore della legge n. 431 sull’adozione speciale, al 1998 sono stati adottati
in Italia 88.577 minori, di cui 61.695 italiani e 26.882 stranieri. È questo
sicuramente un dato incoraggiante e positivo: minori privi delle indispensabili
cure morali e materiali hanno avuto una famiglia vera e legittima. Molti di
loro ormai sono adulti e sono in grado di raccontare la loro esperienza in
quanto veri protagonisti dell’adozione; alcune loro testimonianze sono state
raccolte nel libro di E. De Rienzo, C. Saccoccio, F. Tonizzo e G. Viarengo,
“Storie di figli adottivi”, UTET Libreria, 1999.
Uno dei temi in materia di
adozione, dibattuto anche a livello parlamentare, è quello dell’accesso dei
figli adottivi all’identità dei genitori biologici.
L’ANFAA ha scritto in merito ai
Tribunali per i minorenni che hanno trasmesso i dati che seguono.
I Tribunali per i minorenni di
Messina, Ancona, Sassari, Trieste, Bologna, Reggio Calabria, Caltanissetta,
Trento e Taranto non hanno ricevuto nei primi cinque mesi del 1999 nessuna
richiesta, da parte di figli adottivi adulti, di accesso all’identità dei loro
genitori biologici.
I Tribunali per i minorenni di
Perugia, Bolzano e L’Aquila, nello stesso periodo, hanno ricevuto una sola
richiesta ciascuno da parte di un figlio adottivo, che non era stato
riconosciuto alla nascita; quello di Cagliari una sola richiesta, non meglio
precisata; quello di Campobasso una sola richiesta da parte di un figlio
adottato che ha saputo in età adolescenziale o adulta di essere stato adottato.
Al Tribunale per i minorenni di
Palermo si sono rivolti 2 figli adottivi adulti che hanno saputo in età
adolescenziale o adulta di essere stati adottati.
A quello di Genova 3, di cui 2
non riconosciuti alla nascita. Al Tribunale di Venezia si sono rivolti 4 figli
adottivi; sono stati 4 anche quelli che hanno interpellato il Tribunale di
Roma: di questi 2 non erano stati riconosciuti alla nascita.
Per gli stessi motivi al
Tribunale per i minorenni di Firenze si sono rivolti, sempre nei primi cinque
mesi di quest’anno, 5 figli adottivi adulti, di cui 4 non riconosciuti alla
nascita. Sono stati 5 anche quelli che hanno interpellato il Tribunale per i
minorenni di Torino, di loro due non riconosciuti alla nascita.
Sono state 9 le richieste
ricevute dal Tribunale per i minorenni di Milano da parte di figli adottivi, di
cui 3 non riconosciuti alla nascita. 11, invece, sono quelle ricevute dal
Tribunale di Lecce da parte di figli adottivi che, con lettere, telefonate o
personalmente chiedevano di conoscere l’identità dei genitori biologici. Hanno
in totale risposto 22 Tribunali per i minorenni su 29. Complessivamente si
tratta di 48 richieste di cui 16 provenienti da adottati non riconosciuti,
persone che, dunque, in qualsiasi caso, non potranno avere notizie sulla loro
madre biologica, che si è avvalsa del diritto alla segretezza del parto. Va
notato inoltre che 3 richieste provengono da figli adottivi che hanno saputo
del loro status solo in età adulta.
La
vicenda del bambino down non riconosciuto alla nascita
In merito alla vicenda del bambino Down non riconosciuto, l’ANFAA ha emesso
il 10 agosto 1999 il seguente comunicato stampa:
Il doloroso caso del bambino Down
non riconosciuto alla nascita, a differenza del fratello gemello, ha suscitato
una vasta eco e forti emozioni.
La vicenda suggerisce alcune
considerazioni. Si osserva in primo luogo che non tutti i giornali si sono
posti in una posizione di obiettiva informazione.
Non è stato ad esempio
sottolineato sufficientemente come nel nostro ordinamento il riconoscimento del
figlio da parte della donna che partorisce non sia obbligatorio. Le gestanti
che si trovano nella drammatica condizione di non poter riconoscere il figlio,
possono infatti contare sulla gratuità e segretezza del parto e sulla
necessaria assistenza prima, durante e dopo l’evento. Si tratta di norme di
grande civiltà, spesso poco conosciute. Non bisognerebbe dimenticare che dalla
diffusa disinformazione su questo argomento nasce il tragico fenomeno degli
infanticidi e dei neonati gettati vivi nei cassonetti.
Ci è sembrato fuori luogo anche
la lettura moralistica della vincenda da parte di alcuni mezzi di informazione
e la tendenza a criminalizzare i genitori biologici e, viceversa, a considerare
“eroi” i coniugi che si sono offerti di adottare il bimbo Down. La voglia di
ergersi a giudici ci sembra del tutto inopportuna. Siamo certi che per i
genitori biologici, giovanissimi, probabilmente poco informati ed impauriti, la
decisione non sia stata presa a cuore leggero.
Anche per quanto riguarda i
genitori aspiranti adottivi del bambino disabile c’è stato un difetto di
informazione. Le adozioni difficili (o “di frontiera”) sono più frequenti di
quanto si pensi. La cultura dell’accettazione del bambino diverso o
problematico si va diffondendo. Importante sarebbe che a questa crescente e
responsabile disponibilità delle coppie facesse riscontro un adeguato sostegno
da parte delle istituzioni (Regioni, enti locali, magistratura minorile) e dei
servizi sociali.
Un’ultima considerazione. Nella
vicenda il diritto alla segretezza e il rispetto della vita privata sono stati
violati. Numerosi indizi atti a identificare i protagonisti della vicenda
(l’ospedale dove è avvenuto il parto gemellare, l’età e la residenza della
coppia, l’ospedale dove avverrà l’intervento chirurgico, la residenza dei
genitori aspiranti adottivi) sono stati resi noti. Ciò costituisce violazione
della carta di Treviso, recepita dall’art. 7 del “Codice deontologico” dei
giornalisti, della legge sulla privacy e delle norme che stabiliscono la
segretezza in materia di adozione.
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