Prospettive
assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999
Libri
Luciano
Gallino, Se tre milioni vi sembran pochi - Sui modi
per combattere la disoccupazione, Einaudi, Torino, 1998, pag. 257, L.
26.000
L’Autore analizza nella prima
parte del testo lo sviluppo economico italiano e mondiale dal dopoguerra ad
oggi e si sofferma sulle numerose ricette, che sono periodicamente proposte per
combattere la disoccupazione e che si richiamano soprattutto al modello
americano, sovente citato come esempio da seguire, ma che Gallino smonta, dati
alla mano.
Il suo è un punto di vista
piuttosto scettico, ma puntigliosamente argomentato per quanto riguarda la poca
credibilità delle soluzioni facili quali: flessibilità, lavoro interinale,
promozione dell’imprenditorialità, soluzioni che, a suo avviso, servono, al
limite, per contenere la disoccupazione, ma non a incrementare l’occupazione.
Non manca anche una certa ironia
nei confronti di altrettanti facili proposte “salvifiche” – così le
definisce – quali la riduzione dell’orario o lo sviluppo del terzo settore al
pari di quelle sempliciste di chi individua nello Stato sociale il colpevole di
tutti i mali.
Segue una seconda parte nella
quale Gallino presenta con estrema chiarezza “dove vanno a finire i posti di
lavoro” e passa dall’analisi degli effetti della globalizzazione del mercato e
dell’informatizzazione, a quelli determinati dall’economia sommersa rappresentata
da chi svolge il cosiddetto lavoro nero o doppio lavoro.
Gallino sottolinea come tra loro
si incontrano tutte le professioni immaginabili, comprese molte altamente qualificate:
biologi e giardinieri comunali, insegnanti e muratori, medici e impiegati
dell’industria, informatici e disegnatori, docenti universitari e funzionari
ministeriali, lavoratori autonomi o professionisti, regolarmente registrati,
che dichiarano solo una parte delle loro attività economiche (come il caso
dello specialista la cui visita costa il doppio se si richiede la fattura, o
l’idraulico, il commercialista, l’avvocato...), pensionati che lavorano anche
quando la loro posizione glielo vieterebbe, cassintegrati e lavoratori in
mobilità che lavorano anche se non dovrebbero, e tanti altri.
L’Autore evidenzia questo aspetto
del sommerso a fronte di un’immagine diffusa anche tra i sindacalisti e i
rappresentanti del Governo, secondo i quali questo fenomeno è rappresentato
quasi esclusivamente da imprese abusive che fan lavorare 12 ore al giorno
ragazzine minorenni pagandole poche lire.
L’individuazione dei suddetti
gruppi ci consente di capire quanto radicati ed estesi siano gli interessi
particolari di milioni di cittadini, che ostacolano la promozione di nuovi
posti di lavoro per difendere i propri privilegi.
Tuttavia Gallino non demorde e la
terza parte è dedicata tutta a sostenere la validità delle sue tesi per creare
nuova occupazione in quei settori in cui a suo dire “c’è molto da fare”:
ferrovie, poste, beni culturali, servizi alla persona, magistratura,
ambiente...
Traspare una vera preoccupazione
per il futuro di quei tre milioni di cittadini che non hanno (non potranno mai
avere un lavoro in grado di mantenerli), se non cambiano le politiche attuali
del mercato.
Due le osservazioni critiche: nel
caldeggiare il ruolo importante delle imprese, che secondo l’Autore la sinistra
deve imparare a valorizzare, non viene sufficientemente sottolineato quanto lo
Stato, già oggi, intervenga nei confronti del privato (ad esempio con gli
incentivi concessi attraverso la cassa integrazione, la mobilità, la
rottamazione) senza che per questo si sia ottenuto un aumento di posti di
lavoro.
Infine, l’immagine del cittadino-disoccupato
prospettata fa pensare ad un soggetto attivo, capace di autodeterminarsi e di
muoversi nel mercato del lavoro, nei cui riguardi finora non c’è stata
“politica del lavoro intelligente” da parte dello Stato. Manca totalmente anche
solo un richiamo a quei cittadini che per condizione sociale, problemi
personali, fisici o intellettivi (come ad esempio gli handicappati) hanno
ancora più difficoltà di altri ad inserirsi e dei quali però lo Stato dovrà ben
occuparsi per evitare che – a causa della mancanza di posti di lavoro idonei
– essi finiscano per andare ad aumentare le spese dello Stato sociale.
Carlo
calLIeri, Bruno Trentin, Il lavoro
possibile. Prospettive di inizio millennio, Rosenberg & Sellier,
Torino, 1997, pag. 92, L. 15.000
Il libro è costituito dalle
interviste effettuate da Angelo Varni a due protagonisti significativi
dell’impresa e del sindacato, chiamati a riflettere sull’evoluzione
dell’economia e delle regole del mercato del lavoro e sulla necessità sempre
più impellente di dare una risposta in termini di occupazione alle giovani
generazioni.
Sin dall’approccio iniziale, gli
intervistati suggeriscono una lettura più realistica del fenomeno
disoccupazione, che presenta in sé contraddizioni piuttosto marcate. Ad
esempio, si evidenzia che non è più il tempo di cercare il lavoro
“liberalizzante” e non alienante degli anni ’70, ma non è neppure vero che i
disoccupati sono tutti quelli iscritti al collocamento.
Secondo Trentin, lavoro nero e
lavoro sommerso fanno sì che il disoccupato “puro” degli anni cinquanta sia
oggi una categoria relativamente marginale, perché quasi tutti si arrangiano.
Nella stessa misura si può affermare che anche il lavoro precario e provvisorio
è in gran parte preferito ad uno sicuro ma meno gratificante, in attesa di
trovare (anche dopo anni) “quello scelto”. Sia Callieri che Trentin non
condividono, quindi, il clima di angoscia che si è creato attorno al lavoro che
mancherebbe, perché si tratta di accettare che la società italiana si è, e si
deve, necessariamente modificare per effetto di fenomeni che al massimo può
imparare a governare, ma non può impedire che accadano.
Quindi ciò che conta è ottenere
dallo Stato gli interventi di mediazione indispensabili per regolamentare
questo momento di transizione. Innanzitutto con la garanzia di interventi di
formazione volta a riqualificare chi ad esempio a 35-40 anni, rischia di essere
estromesso dal mercato del lavoro, perché non è in grado di tenere il passo con
la “robotizzazione” introdotta dall’impresa per far fronte alle richieste di
globalizzazione del mercato.
L’elemento formativo è in ogni
caso la caratteristica principale del nuovo modo di lavorare.
Lo Stato è chiamato nuovamente in
causa da entrambi anche per richiedere la preparazione di nuove figure
professionali in settori ancora poco sfruttati, dove sia Trentin che Callieri,
vedono aprirsi nuovi mercati: cultura, tempo libero, assistenza.
A loro avviso non mancano neppure
le risorse, sia nazionali, che europee; manca piuttosto la capacità di utilizzarle
correttamente.
Per Trentin la “non formazione”,
che è ritenuta una situazione devastante nella società del futuro, comincia coi
processi di diserzione scolastica, dalle elementari in poi. Sempre secondo
Trentin «stiamo assistendo a una
selezione brutale delle forze di lavoro in un contesto in cui, essendo così
fortemente carente il processo formativo, dalla scuola alla formazione
permanente, si possono innescare fra i giovani e fra gli anziani processi
irreversibili di esclusione dal lavoro e anche dalla vita civile».
Pertanto, un nuovo diritto al
lavoro non si può costruire con la deregolamentazione, ma è comunque
indiscutibile per Trentin che anche il sindacato deve scrollarsi di dosso la
vecchia mentalità, spesso corporativa, per un approccio nuovo al lavoro, che
per ora non c’è, proprio per una eccessiva difesa a oltranza del vecchio
sistema.
Che cosa viene proposto? In buona
sostanza sia Callieri che Trentin ritengono che si debba puntare sulla qualità
del lavoro. Sarà sempre maggiore la richiesta di responsabilità e di capacità
di assumere decisioni, che gratificheranno il lavoratore compensandolo per la
minore sicurezza. Tuttavia questo non può essere sufficiente e quindi si
propone condivisione o partecipazione agli utili o alle decisioni dell’impresa,
oltre alla garanzia della formazione continua. In questo panorama, che
riteniamo improponibile anche per le persone normalmente dotate, non c’è spazio
per il diritto al lavoro delle persone handicappate, specialmente di coloro che
hanno una limitata autonomia. Per questi soggetti, tanto Trentin, che Callieri
evidentemente hanno in mente solo soluzioni assistenziali ed emarginanti.
Maria Ludovica chiambretto - Lucia Genovese (a cura di), Cooperazione sociale e politiche attive del
lavoro - Il diritto al lavoro per le persone svantaggiate, Franco Angeli,
Milano, 1998, pag. 253, L. 28.000
La pubblicazione raccoglie gli
atti del convegno avente lo stesso titolo, svoltosi a Torino il 28 febbraio e
1° marzo 1997, promosso dalla Regione Piemonte, dal Comune di Torino, dalla
Legacoop e dalla Confcooperative Piemonte.
Osserviamo, in primo luogo, che
al convegno non è stato invitato a relazionare nemmeno un rappresentante delle
organizzazioni rappresentative dell’utenza. In secondo luogo, i lavori non
hanno fatto assolutamente chiarezza sul concetto di “svantaggiato” che
comprende soggetti con piena capacità lavorativa (la stragrande maggioranza
dell’utenza) e individui con menomazioni (ad esempio l’handicap intellettivo)
che determinano un rendimento sul posto di lavoro inferiore alla media delle
altre persone occupate. Inoltre, per tutti i soggetti si deve, ovviamente,
tener conto delle limitazioni, ma anche se non soprattutto della reale capacità
lavorativa che sono in grado di esprimere a seguito di una valida preparazione
professionale e di un oculato collocamento mirato.
Leggendo gli atti si ha la netta
sensazione di una autocelebrazione da parte dei promotori e di una scarsissima
considerazione delle esigenze dei lavoratori “svantaggiati” come se il loro inserimento
presso cooperative fosse in se stesso un fatto positivo, che non richiede
ulteriori valutazioni.
FRANCK LAMAGNERE, Manie, paure e idee fisse, Calderini,
Bologna, 1997, pag. XIV+154, L. 18.000
Cosa fare quando ci si lava in
maniera ossessiva? Quando si passa il tempo a mettere a posto, contare,
allineare, pulire? È patologico controllare dieci volte se abbiamo chiuso il
gas o collezionare e ammucchiare cose senza poter mai gettare via niente? E
poi, bisogna consultare uno specialista? Con quali possibilità di successo?
Certo, può capitare a tutti di ricontrollare scrupolosamente il rubinetto del
bagno o la manetta del gas prima di allontanarsi da casa per un viaggio, ma
cosa fare quando le piccole manie quotidiane superano il limite, trasformandosi
in una vera e propria malattia?
Il volume, scritto da uno
psichiatra, vuole dare un preciso messaggio al lettore: chi soffre di idee
fisse o di disturbi ossessivo-compulsivi non è solo, può essere capito e
aiutato, può, soprattutto, riconquistare la libertà perduta e una nuova qualità
di vita. Il primo obiettivo è di descrivere semplicemente, in un linguaggio
accessibile a tutti, spogliato di ogni gergo medico o psicoanalitico, i sintomi
dei pazienti che soffrono di nevrosi ossessiva, in modo che chi ne è affetto
possa riconoscerli semplicemente. Il secondo scopo è di far conoscere le cure
di questa malattia oggi disponibili, in particolare l’apporto determinante di
certe sostanze e di un tipo di psicoterapia, la psicoterapia
cognitivo-comportamentale. Talvolta associate, talvolta impiegate isolatamente,
queste cure recano un notevole sollievo, riducono o fanno sparire i disturbi e
dovrebbero essere conosciute e utilizzate in presenza di questi sintomi.
CAROLYN AINSCOUGH - KAY TOON, Liberarsi - Adulti che hanno subito abusi
sessuali nell’infanzia, Calderini, Bologna, 1997, pag. XVI+366, L. 18.000
Violenza sui bambini, abusi
sessuali perpetuati tra le mura domestiche, turismo sessuale a caccia di prede
adolescenti, scambio di informazioni e materiale pornografico attraverso
Internet. Pedofilia e abusi sui minori costituiscono una realtà talmente
ramificata e diffusa da costringere tutti a fronteggiarla come una vera e
propria emergenza. Ma cosa accade a questi bambini quando crescono?
Il volume vuole favorire il
processo di ricostruzione delle vittime ormai adulte. Si tratta di un libro
duro ma necessario, che affronta senza tabù quella domanda cruciale: cosa
accade a un adulto che nella propria infanzia ha dovuto subire il trauma di un
abuso sessuale? Gli effetti continuano purtroppo a ripercuotersi sulle vittime
anche a distanza di decenni: senso di colpa e di vergogna, depressione e ansia,
disordini alimentari, paura di stabilire relazioni sentimentali, problemi
sessuali.
Le autrici, molto note in Gran Bretagna
per il lavoro svolto con gruppi di donne che condividono questa drammatica
esperienza, danno voce alle vittime e offrono un contributo concreto e
suggerimenti pratici per spezzare finalmente le catene del passato e sviluppare
appieno la propria personalità.
Il volume potrà essere di grande
aiuto per tutti coloro che da bambini hanno subito abusi di tipo sessuale,
fisico o psicologico, per i loro amici e parenti, ma anche per chi deve a vario
titolo confrontarsi con una realtà così delicata: psicologi, assistenti
sociali, medici e infermieri, avvocati, agenti di polizia, associazioni di
volontariato.
GNUGO DE BAR, Strada, patria sinta - Cento anni di storia
nel racconto di un saltimbanco sinto, Fatatrac, Modena, 1998, pag. 54,
senza indicazione di prezzo
Il volume nasce da una felice
iniziativa del Comune di Modena, Settore istruzione e servizi sociali. Giacomo
(Gnugo) De Bar descrive le sue esperienze, raccolte da Luca Puggioli. È un
sinto che testimonia le difficoltà sue, della sua famiglia e dei suoi simili.
Una volta la vita era abbastanza facile: non mancavano i problemi, ma i sinti
erano rispettati, spesso benvoluti.
Quand’era giovane, l’Autore
faceva «tante amicizie» e «come artisti venivano invitati a cena a
casa dei gagi» e cioè dalla gente dei paesi in cui presentavano i loro
spettacoli circensi o installavano le giostre per i bambini. Adesso le cose
sono cambiate e Gnugo spera che «i gagi
smettano di considerarci male solo per il fatto che siamo sinti».
Dopo aver vissuto nel campo sosta
di Modena, aperto nel 1982, in cui ci sono più di 250 sinti, capisce che si
tratta di una struttura di emarginazione e protesta: «Mio nonno ha fatto la Grande Guerra; mio padre e tutti i miei zii la
Seconda Guerra Mondiale; io e i miei figli abbiamo fatto il militare: siamo
italiani di nascita da tante generazioni».
Avendo sempre lavorato in modo
onesto e non avendo mai avuto questioni con la giustizia, pretende giustamente «di poter avere ancora il sacrosanto diritto
di poter lavorare, senza essere continuamente discriminato e umiliato».
Di De Bar sono anche le
illustrazioni inserite nel volume che può essere richiesto al Comune di Modena,
Settore Istruzione.
LUIGI MEROLLA, La nascita della FNP-CISL, Edizioni
Lavoro, Roma, 1998, pag. 170, L. 25.000
È una pubblicazione che da un
lato è agiografica nei confronti della Federazione nazionale dei pensionati
della CISL (mai è stato commesso il minimo errore e tutto è stato previsto alla
perfezione) e, nello stesso tempo, è reticente sul problema più importante degli
ultimi decenni e che lo sarà sempre di più: quello degli anziani cronici non
autosufficienti.
Viene, addirittura, omesso il
ruolo determinante assunto dai Sindacati per l’approvazione della legge 4
agosto 1955 n. 692. Al riguardo viene solamente precisato che la legge suddetta
«estende l’assistenza sanitaria ai
pensionati di invalidità e vecchiaia».
Forse per non mettere in crisi
l’attuale operato della CISL e della FNP, nulla viene riferito in merito al
diritto, sancito dalla norma in oggetto, degli anziani cronici non
autosufficienti alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata, comprese
quelle ospedaliere, diritto non modificato, anzi confermato da tutte le
disposizioni successivamente approvate dal Parlamento in materia di sanità.
Nel volume del Merolla,
responsabile dell’Ufficio Studi della FNP-CISL, non viene nemmeno ricordato
che, quale contropartita del diritto di cui sopra, la legge 692/1955 aveva
previsto un aumento dei contributi a carico dei lavoratori e dei datori di
lavoro.
Nell’introduzione,
il sindacalista CISL Giuseppe Acocella, afferma giustamente che «non sarà del resto mai civile una nazione
che non affronta seriamente con il medesimo impegno il problema della difesa
del lavoro e il problema della dignità dell’esistenza degli anziani che hanno
speso la loro vita nel lavoro», ma non si comprende per quale motivo logico
(o politico-partitico?) non venga affrontata con gli indispensabili
approfondimenti la questione del milione (circa) di anziani colpiti da malattie
invalidanti.
www.fondazionepromozionesociale.it