Prospettive assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999

 

 

gli americani: no alla riduzione delle tasse, sì allo sviluppo della sicurezza sociale

 

 

Anche se con molta lentezza, un sempre maggior numero di persone si rende conto dell’esigenza di assicurare a se stesse ed ai propri congiunti condizioni di vita accettabili nei casi di gravi infermità e quindi soprattutto durante la vecchiaia.

Una conferma arriva dagli Stati Uniti. Vittorio Zucconi su “la Repubblica” dell’8 settembre 1999 ha scritto quanto segue:

«Dall’America, che vent’anni or sono lanciò nel mondo la “rivoluzione fiscale” di Reagan, arriva adesso il segnale shock della “controrivoluzione”. Mentre le nazioni degli Stati Uniti d’Europa sono ancora impantanate, con una generazione di ritardo sugli Stati Uniti d’America, nel dilemma tra fisco e stato sociale, il pubblico americano imbocca la strada opposta: rifiuta addirittura un assegno da 792 miliardi di dollari – circa un milione e cinquecentomila miliardi di lire – che il suo Parlamento vorrebbe regalargli sotto forma di drastici tagli alle tasse sul reddito e chiede che quei soldi vengano spesi invece per scuole, sanità, pensioni, assistenza, per quel che resta del Welfare State. Non è un refuso di stampa, né un’invenzione giornalistica di fine estate. È soltanto la conferma che in una democrazia matura, gli elettori sono spesso più avanti, e spesso più responsabili, di chi li governa.

«Lo shock d’autunno che ha colto in contropiede il Congresso americano al suo ritorno in aula ieri dopo le vacanze, è, visto dall’Italia, la classica storia alla rovescia, il caso esemplare dell’“uomo che morde il cane”. Prima della chiusura per ferie, in giugno, la maggioranza repubblicana che controlla le due Camere del Parlamento Usa a Washington aveva preparato la proposta di bilancio per il prossimo anno fiscale, la “finanziaria” da approvare entro il primo ottobre, con gli occhi ben fissi sulle elezioni politiche e presidenziali dell’anno Duemila. E poiché da vent’anni la legge dei sondaggi dice che vince sempre chi promette meno tasse, i repubblicani avevano creduto di fare il loro dovere elettorale. Di fronte a una previsione – per noi italiani semplicemente fantascientifica – che indica in 3 trilioni di dollari (sei milioni di miliardi di lire) l’attivo del bilancio federale nella decade 2000-2009 deputati e senatori avevano deciso di restituire ai contribuenti quasi un terzo di quel “profitto”, appunto 792 miliardi di dollari, aspettandosi in cambio la gratitudine, e quindi i voti dei cittadini.

«Sorpresa, sorpresa. Sondaggio dopo sondaggio, a grande maggioranza, dalle comunità dei “farmers” in Oklahoma alle metropoli cosmopolite dell’Est e dell’Ovest, dalle case di riposo per anziani ai banchieri di Wall Street, la risposta è stata unanime: no, grazie. Questi 792 miliardi di dollari, questo milione e cinquecentomila miliardi di lire sono un “caval donato” al quale gli americani hanno guardato bene in bocca e quello che hanno visto non gli è piaciuto. “Certamente  – hanno risposto gli interrogati – pagare meno tasse e conservare qualche soldo in più dentro le tasche fa piacere a tutti, ma ci sono problemi più urgenti e importanti da risolvere con quei soldi per il futuro”. C’è l’istruzione pubblica, da irrobustire e migliorare e c’è il fondo nazionale della sicurezza sociale, il fondo che paga le pensioni pubbliche e che promette di restare senza soldi in dieci anni, dunque privando delle pensioni minime la generazione di coloro che oggi hanno cinquant’anni (...). Ci sono i programmi di assistenza sanitaria agli anziani e ai poveri, “Medicaid” e “Medicare”, in crescente difficoltà finanziaria. E c’è soprattutto il sentimento diffuso, a destra come a sinistra, che si siano tagliati ormai abbastanza rami secchi dal vecchio albero del Welfare State e la grande potatura degli anni ’80 e ’90 abbia avuto l’effetto voluto sull’economia: il numero di americani che ricevono assegni di sussistenza si è dimezzato, da 8 a quattro milioni di persone negli anni ’90, mentre la disoccupazione è al minimo storico del dopoguerra (...).

«L’elettorato, la gente, ha misurato la realtà con quel metro che i politici spesso ignorano, il metro della propria esperienza quotidiana e ha capito che trovarsi due o trecento mila lire in più all’anno nella busta paga (questo sarebbe lo “sconto”) mentre l’edificio della sicurezza sociale si sgretola e le scuole pubbliche affondano sarebbe un pessimo affare e ha respinto la “irresponsabilità” demagogica dei partiti (...)».

A nostro avviso si tratta di una grande lezione di civiltà dei cittadini americani.

È auspicabile che anche in Italia i Sindacati dei lavoratori e le organizzazioni dei commercianti, degli artigiani, dei coltivatori diretti e delle altre categorie professionali si rendano finalmente conto che per la stragrande maggioranza dei loro aderenti il periodo più problematico della vita non è quello lavorativo, ma quello della terza età qualora sopravvengano malattie invalidanti.

 

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