Prospettive
assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999
i
giudici tutelari non difendono il diritto alle cure sanitarie dei pazienti
psichiatrici e degli anziani cronici
In occasione
del trasferimento delle funzioni dei giudici tutelari dalle soppresse Preture
ai Tribunali, un gruppo di magistrati ha redatto un documento, integralmente
pubblicato su Minorigiustizia, n. 4, 1998, in cui viene segnalata la
necessità che «la riorganizzazione degli uffici giudiziari resa necessaria
dall’istituzione del giudice unico di primo grado deve essere l’occasione per
potenziare il ruolo del giudice tutelare che in una società con tasso crescente
di popolazione anziana, è destinato ad esercitare funzioni sempre più
rilevanti».
Inoltre, nel
suddetto documento si chiede che «il
passaggio del giudice tutelare al Tribunale, o alla sezione di famiglia del
Tribunale, non interrompa il percorso di specializzazione delle funzioni
tutelari» in quanto «la scelta della
specializzazione si impone per evidenti ragioni:
– perché il giudice tutelare deve essere facilmente
individuabile dagli operatori dei servizi sociali e sanitari e deve avere un
forte radicamento sul territorio che consenta la prossimità alle persone
interessate e lo ponga in grado di provvedere con tempestività ed efficacia (si
pensi ai provvedimenti di amministrazione provvisoria);
– perché occorrono attitudini ed una grandissima
competenza che deriva dall’esercizio di funzioni che richiedono anche
cognizioni extragiuridiche per gestire adeguatamente la persona incapace ed il
suo patrimonio (materia socio-sanitaria, elementi di gestione di un soggetto
psichiatrico nell’attuale contesto normativo di superamento della gestione
custodialistica, problematiche minorili conseguenti alle separazioni, ai
divorzi ed alla decadenza dei genitori);
– perché il giudice tutelare è anche un giudice
per i minori ed al pari del giudice minorile è chiamato ad applicare un diritto
che si sostanzia anche in norme extra-giuridiche, rispetto alle quali è
fondamentale saper leggere
l’interesse del minore per evitarne danni e sofferenze ulteriori».
Mentre
concordiamo pienamente con le considerazioni svolte nel documento citato,
osserviamo che – purtroppo – finora i giudici tutelari non hanno mai preso
alcuna iniziativa per difendere il diritto, previsto dalle leggi vigenti, alle
cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata dei malati di Alzheimer e
degli anziani cronici non autosufficienti dichiarati interdetti e quindi
rientranti nel loro ambito di intervento a seguito della nomina dei relativi
tutori.
Nei confronti
delle suddette persone, ai sensi dell’art. 344 del codice civile «il giudice tutelare soprintende alle tutele e alle
curatele ed esercita le altre funzioni affidategli dalla legge».
I giudici
tutelari non possono giustificare la loro assenza di iniziative a causa della
mancanza di mezzi. Infatti, la seconda parte dello stesso art. 344 dispone
quanto segue: «il giudice tutelare
può chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di
tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni».
Occorre,
dunque, che i giudici prendano finalmente atto delle esigenze e dei diritti dei
soggetti nei cui confronti devono sopraintendere alle tutele e predispongano le
misure necessarie per fornire risposte tempestive e valide.
A conferma
dell’inattività dei giudici tutelari nei confronti di persone totalmente
incapaci di autodifendersi, riportiamo integralmente la lettera inviata in data
4 dicembre 1998 dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti a tutti
i Giudici tutelari del Piemonte, lettera rimasta finora senza alcuna risposta.
Testo della lettera del 4.12.1998
Questo Coordinamento, che funziona ininterrottamente
dal 1970, segnala alla Vostra attenzione il tentativo in corso da parte della
Regione Piemonte di trasferire 550 ex degenti dell’ospedale psichiatrico dalla
competenza sanitaria (caratterizzata dalla presenza di importanti diritti
esigibili e della gratuità delle prestazioni, salvo ticket) a quella del
settore assistenziale (ancora fondata su un’ampia discrezionalità degli enti
pubblici e dell’obbligo del pagamento di rette di ricovero che arrivano a
60-100 mila lire al giorno).
A quanto risulta a questo Comitato, il trasferimento
viene fatto non nell’interesse prioritario degli utenti e allo scopo di
soddisfare più compiutamente le loro esigenze, ma per conseguire comunque
risparmi consistenti.
Infatti per i 550 pazienti trasferiti all’assistenza,
il costo totale è previsto in L. 18 miliardi e 31 milioni, per gli altri 550
utenti che continueranno ad essere a carico della sanità, la spesa è calcolata
in L. 40 miliardi e 150 milioni.
Segnaliamo inoltre alle S.V. di essere stati informati
che le visite mediche per la valutazione delle condizioni sanitarie dei
pazienti sono state effettuate senza richiedere il consenso informato dei
pazienti stessi o dei loro tutori, senza avere segnalato ai suddetti la
possibilità della presenza di un medico di fiducia e senza aver informato gli
interessati sulle rilevanti conseguenze in merito ai diritti personali
derivanti dal trasferimento della competenza dalla sanità all’assistenza e
senza aver segnalato la possibilità della presentazione di ricorsi.
La richiesta di intervento delle S.V. è motivata anche
dal fatto che, come risulta dall’allegato 2, le Aziende USL hanno introdotto
non solo metodi vessatori per scoraggiare le degenze sanitarie, ma anche
l’assurdo principio delle diagnosi “convenzionali”, in base al quale, ad
esempio, la demenza vascolare non viene più considerata una patologia, ma una
“involuzione organica conseguente all’età senile dell’individuo”, anche in questo
caso allo scopo di scaricare i pazienti dalla sanità all’assistenza.
In questo modo, sia nel momento attuale che in futuro
il Servizio sanitario nazionale assume l’arbitrario compito di curare solo i
malati acuti e di trasferire all’assistenza quelli con patologie inguaribili,
ma pur sempre curabili, non tenendo – fra l’altro – in nessuna
considerazione la sentenza della Corte di Cassazione n. 10150 del 1996.
Da quanto sopra, ne deriva anche che non è da
escludere che il metodo delle diagnosi “convenzionali” sia stato e sia adottato
per negare la condizione di malato curabile ai vecchi malati mentali, da anni,
se non da decenni, finora ricoverati in strutture psichiatriche.
Ciò premesso, si chiede alle S.V. di intervenire con
la massima urgenza al fine di evitare il trasferimento in strutture improprie
dei 550 pazienti finora considerati malati psichiatrici e per ottenere che le
eventuali visite mediche per l’accertamento delle condizioni di salute siano
effettuate nel pieno rispetto delle leggi vigenti e dei diritti dei cittadini.
Si precisa, a scanso di
equivoci, che questo Comitato è ben lieto se – finalmente – i malati
mentali e gli altri soggetti finora ricoverati in ospedali psichiatrici vengono
accolti presso Centri residenziali adeguati, ma richiama l’attenzione delle
S.V. sul fatto che, come prevede la bozza di delibera del 4.11.98, la Giunta
della Regione Piemonte vorrebbe utilizzare anche strutture non in possesso dei
requisiti stabiliti dal Consiglio regionale piemontese con delibera n. 357-1370
del 28 gennaio 1997.
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