Prospettive
assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999
Importante
sentenza sulla illegittimità della richiesta di contribuzioni economiche ai
pazienti psichiatrici
Nel n. 114, aprile-giugno 1996, di Prospettive assistenziali, avevamo riferito che il Ragioniere Generale
dello Stato in data 10 aprile 1996 aveva inviato al Direttore generale e al
Rappresentante del tesoro in seno al Collegio provvisorio dei Conti dell’USSL 5
di Como, alla Procura della Corte dei Conti di Milano, al Ministero della
sanità e alla Direzione Generale del tesoro la nota prot. 128214 (Divisione
11ª) in cui segnalava che l’Azienda USSL 5 di Como aveva trattenuto dalle
pensioni dei ricoverati oltre 35 miliardi senza avere alcun titolo per
sottrarre l’imponente somma ai pazienti. In particolare il Ragioniere Generale
dello Stato aveva scritto quanto segue:
– «non si evince in base a
quali specifiche norme regionali o nazionali avvenga l’introito delle pensioni
per conto dei ricoverati da parte dell’Azienda»;
– «non è chiaro in base a
quali norme viene trattenuta, talora contro la volontà dei pazienti, una quota
percentuale di dette pensioni per il pagamento di rette anch’esse prive di
valido riferimento normativo»;
– «alcune delle fattispecie
considerate potrebbero configurare precise responsabilità da perseguire nelle
sedi opportune».
Nonostante la suddetta autorevole presa di posizione, l’USSL n. 5 aveva
insistito nel pretendere dai ricoverati il versamento di contributi a titolo di
retta.
Su iniziativa di Andrea Lanfranchi, Presidente dell’ASVAP, Associazione
volontariato aiuto ammalati psichici, è stato presentato ricorso all’Autorità
giudiziaria.
In data 18 ottobre 1999 il Giudice ha pronunciato la sentenza che
riportiamo integralmente.
Testo
della sentenza n. 289/1999
Il Giudice del Lavoro di
Como, Dottor Beniamino Fargnoli, ha emesso la seguente sentenza nella causa di
lavoro promossa con ricorso depositato in data 15.04.99 da B.S., B.G., B.A.,
B.N., B.L. e A.B., in persona del loro amministratore provvisorio L.A. per
nomina del giudice tutelare di Como; C.E., in persona del suo amministratore
provvisorio; C.P., per nomina del giudice tutelare di Como; B.G., in persona
del suo amministratore provvisorio; B.R., per nomina del giudice tutelare di
Como; B.L., in persona del suo amministratore provvisorio; B.R., per nomina del
giudice tutelare di Como; A.E., in persona del suo amministratore provvisorio;
A.E.A., per nomina del giudice tutelare di Como; B.L.C., in persona del suo
amministratore provvisorio; B.E., per nomina del giudice tutelare di Como;
B.G., in persona del suo amministratore provvisorio; A.V., per nomina del
giudice tutelare di Como; C.E., in persona del suo amministratore provvisorio;
C.G., per nomina del giudice tutelare di Como; B.A., in persona del suo
amministratore provvisorio; B.E., per nomina del giudice tutelare di Como;
C.F., in persona del suo amministratore provvisorio; B.I., per nomina del
giudice tutelare di Como; A.F., B.S., C.A., A.F., B.E., C.G., B.A., B.L.,
personalmente; B.R., nella sua qualità di erede di B.A.; tutti elettivamente
domiciliati in Como, Via D. n. ... presso l’Avv. V.C. che li rappresenta e
difende per delega in calce alla copia notificata del decreto ingiuntivo (salvo
quest’ultimo – B. – per delega in calce alla comparsa di costituzione in data
5.12.1995), tranne C.F., in persona come sopra, che è elettivamente domiciliato
in Como, Via M. n. 3, presso l’Avv. P.B. che lo rappresenta e difende in forza
di procura notarile ad litem in data
16.12.1996 n. 971 a rep. dr. I.G. in G. e C.A., C.T., C.V., C.D., C.V. e C.S.,
nella loro qualità di eredi di C.F., con gli Avv. B.B. e L.S.; C.M.L., quale
erede di B.N., con l’Avv. G.M., ricorrenti, contro USSL n. 5, Gestione
Liquidatoria, elettivamente domiciliata in Como, Via Diaz n. 91, presso lo
studio dell’Avv. M.R. che la rappresenta e difende in giudizio, giusta delega a
margine, resistente.
Oggetto: Controversia di lavoro - Causa assegnata a sentenza all’udienza del
18.10.99.
Conclusioni
Per i ricorrenti: “rigettare l’istanza di provvisoria esecuzione;
– dichiarare la nullità,
annullare, revocare e rendere comunque inefficaci i decreti ingiuntivi opposti
previa disapplicazione della deliberazione n. 275/83 del Comitato di gestione
USSL n. 5 e successive, esecutive ed integrative, in quanto illegittime, e
comunque dichiarare non dovute le somme richieste a titolo di retta;
– in via subordinata previo
accertamento dell’inadempimento agli obblighi di erogazione di prestazioni
socio-sanitarie conformi a livelli qualitativamente accettabili, condannare
l’USSL al risarcimento del danno da determinarsi in corso di causa anche
mediante ricorso a criteri di equità, da compensarsi con quanto risultasse
dovuto per retta e con condanna dell’USSL al pagamento della differenza;
– in via riconvenzionale:
previo accertamento da eseguirsi in corso di causa condannare l’USSL alla
restituzione di quanto trattenuto, con vincolo di indisponibilità per il
malato, ovvero di quanto incamerato dalla stessa successivamente all’entrata in
vigore della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, con gli
interessi e la rivalutazione monetaria da ogni singola operazione a saldo;
– con vittoria di
spese, diritti ed onorari di causa, compresa la fase conclusasi davanti al
Tribunale di Como, oltre al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. da
liquidarsi equitativamente”.
Per USSL n. 5 - Gestione Liquidatoria: “respingere tutte le domande formulate da
parte attrice opponente in riassunzione in quanto infondate. Spese rifuse”.
Fatto
Con ricorso depositato in
data 15.04.99, B.S., B.G., B.A., B.N., B.L.D., A.B., C.E., C.E., B.G., B.L.,
A.E., B.L.C., B.G., A.G., C.E., B.A., C.F., A.F., B.S., C.A., A.F., B.E., C.G.,
B.A., B.L., B.R., nella sua qualità di erede di B.A., ricoverati nell’Ospedale
San Martino di Como, Via Castelnuovo, già “manicomio”, chiedevano la revoca dei
decreti ingiuntivi emessi dal Presidente del Tribunale di Como il 12.1.95 su
istanza della USSL n. 5, Gestione Liquidatoria (ex USSL n. 11).
I decreti avevano come
oggetto le rette di degenza nell’ospedale, in ossequio alla delibera n. 275 del
24.02.83, emessa dal Comitato di Gestione USSL n. 11.
Gli opponenti, secondo la
USSL, dovevano essere condannati a pagare le rette di degenza.
Chiedevano, quindi, la
conferma dei decreti ingiuntivi opposti.
I degenti destinatari dei
decreti ingiuntivi, si opponevano con atti del 30.01.95.
Sostenevano che la riforma
sanitaria e l’abolizione dei manicomi, “novelle” del 1978, avevano abrogato i
regi decreti del 1909 e del 1931. Tali norme amministrative prevedevano il
recupero delle spese di spedalità, da parte degli enti pubblici, nei confronti
degli alienati mentali, ricoverati e non indigenti.
In via riconvenzionale,
chiedevano le somme accantonate dall’USSL a far tempo dal 1983 sulle pensioni
dei degenti.
L’accantonamento era stato
possibile in seguito ad una delega, rilasciata alla USSL dai degenti non
interdetti e non abilitati.
Riuniti i procedimenti in
data 6.6.95, il Tribunale di Como, emetteva sentenza di incompetenza funzionale
il 12.11.98.
Allora i degenti e gli
eredi dei defunti, proponevano ricorso al giudice del lavoro con ricorso in
riassunzione 15.4.99.
Ribadivano l’infondatezza
dei decreti ingiuntivi emessi e l’annullamento della delibera USSL n. 11
275/83.
In via riconvenzionale domandavano, accertata la gratuità dei
ricoveri, la restituzione delle quote pensionistiche trattenute dal 1983 per
far fronte al pagamento delle rette.
La USSL n. 5 - Gesione
liquidatoria si costituiva ribadendo l’onerosità dei ricoveri, in quanto gli
alienati mentali erano estranei al Servizio sanitario nazionale.
In via riconvenzionale,
esigeva il pagamento delle rette di degenza, ammontanti a cifre diverse per
ogni ricorrente.
All’udienza del 18.10.99,
espletata l’istruttoria, i difensori concludevano come da verbali in atti.
Motivazione
1) Legge 13.5.1978 n. 180 - La questione, posta all’attenzione del Giudice del
lavoro è di natura squisitamente ermeneutica. I degenti dell’ex manicomio,
sostengono che l’entrata in vigore delle nuove leggi sanitarie, abbiano
abrogato le precedenti riforme, che consentivano il recupero delle spese di
spedalità nei confronti dei ricoverati non indigenti.
La USSL, per contro,
ritiene che la gratuità delle cure sanitarie introdotte dalle novelle del ’78,
attengano alla terapia fisica e non già a quella psichica.
La tesi attrice appare più
fondata.
La prima argomentazione,
discende dalla introduzione dell’ordinamento giuridico della legge 180/78. Tale
normativa, ha soppresso “de jure” i
manicomi in cui fino ad allora gli alienati mentali erano stati ricoverati.
Lo scopo risiedeva nel
tutelare la società dai comportamenti anomali.
La legge 180/78 partiva
invece dal presupposto innovatore: la malattia psichica è una patologia al pari
della malattia fisica.
Il concetto di alienato
mentale da emarginare, doveva essere quindi soppresso. Vi sono solo i malati
psichici da curare analogamente ai malati fisici.
È opportuno vedere più in
dettaglio, la genesi del passaggio delle leggi di inizio secolo alla riforma
sanitaria.
La legge 14 febbraio 1904
n. 36 regolava i rapporti attinenti gli alienati mentali. Era una legge che considerava
il fenomeno “malattia mentale” prevalentemente sotto l’aspetto poliziesco;
l’art. 1 della legge recitava: «Debbono essere custodite e curate nei manicomi
le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano
pericolose per sé e per gli altri o riescano di pubblico scandalo...»; come si
vede era prevalentemente l’interesse della difesa della società dal «pericolo»
o dal «pubblico scandalo», che gli alienati potevano causare; era invece quasi
del tutto assente la preoccupazione sanitaria per gli stessi alienati. Il
ricovero in manicomio era il cardine del sistema; l’intervento dell’autorità di
Pubblica sicurezza e del Pubblico ministero i mezzi processuali normali; il
ricovero era deciso dal Tribunale e, nei casi di urgenza, dal Pretore.
All’inizio degli anni ’70,
si delineò nel Paese un movimento contro la segregazione nei manicomi e contro
il disumano trattamento che clamorosi casi giudiziari avevano rivelato essere
avvenuti. Si propose di abolire i manicomi e di assimilare gli alienati mentali
agli altri malati, curandoli negli ospedali civili. Per sopprimere i manicomi,
fu chiesto un referendum abrogativo che aveva raccolto circa 700.000 firme. Al
fine di evitare il confronto generalizzato, e per prevenire una eventuale carenza
legislativa in un settore così delicato, i partiti politici decisero di
modificare la legge.
Nel frattempo, era in corso
di redazione la riforma sanitaria, poi, pubblicata col numero 833 nel 1978. Si
ricorse (allora) alle norme della riforma già elaborate in tema di salute
mentale e si «stralciarono» gli allora articoli 30 e 54 del progetto di riforma
in un provvedimento legislativo approntato in tutta fretta.
In 24 giorni le Commissioni
legislative esaminarono, discussero e approvarono un disegno governativo di
undici articoli, chiamato colloquialmente «nuova legge sui manicomi».
Essa fu emanata il 13
maggio 1978 col numero 180; fu perciò nota anche come «legge numero
centottanta»; aveva efficacia provvisoria, in attesa della promulgazione della
riforma sanitaria, di cui non era che una parziale anticipazione. Infatti,
quando fu pubblicata la legge riforma, sulla Gazzetta ufficiale del 28 dicembre
1978, la legge n. 180 cessò nella massima parte di aver valore, in quanto la
riforma conteneva anche le norme riguardanti gli alienati mentali. Ma non erano
gli articoli 30 e 54 che la legge «stralcio» n. 180 aveva assunto; infatti, il
22 giugno 1978, la Camera dei deputati aveva approvato un complesso di
disposizioni leggermente diverse da quelle recepite dalla n. 180. E tuttavia di
questa, i vigenti articoli 33, 34 e 35 mantengono i caratteri essenziali.
Il baricentro giuridico è
trasferito dalla tutela della società dalle alienazioni mentali, alla
assistenza sanitaria degli alienati.
Il carattere «sanitario» ha
sostituito l’aspetto «poliziesco» della legge n. 36 del 1904. Scompaiono perciò
gli interventi dell’autorità di polizia e del Pubblico ministero; il ricovero è
soprattutto volontario e quello obbligatorio è limitato a pochi casi ben
definiti. Si pone l’accento sull’aspetto preventivo, coerentemente ai principi
degli artt. 1 e 2 della riforma. Si considera la salute in maniera unitaria,
come psichica e fisica allo stesso tempo, e si eliminano gli istituti che
comportavano segregazione e custodia dell’alienato, tant’è che la legge fa
espresso divieto di costruire nuovi manicomi.
Le norme della riforma
hanno cercato di contemperare le diverse opinioni in questo campo: assimilare i
malati di mente a tutti gli altri malati; negare la necessità di qualsiasi
ricovero coatto, per la mancanza di ogni aspetto pericoloso nel comportamento
degli alienati; mantenere una certa tutela degli «altri» dalla condotta dei
malati di mente; privilegiare la più tipica autorità elettiva – il sindaco
– quale protagonista dei procedimenti di ricovero.
Ma la grande novità è
quella annunciata dal 1° comma dell’art. 1 della legge: i ricoveri ospedalieri
sono, di norma, volontari. Prima,
invece, la regola era la coattività dei ricoveri degli alienati; ora, solo
eccezionalmente, è ammesso il ricovero coattivo: e quando è consentito, esso è
circondato da numerosissime cautele, indice del disfavore con cui è guardato
dal legislatore.
Tale principio giuridico è
la conseguenza di una considerazione socio-sanitaria, frutto dell’ampio
dibattito politico di cui si è accennato e che è giunto alla seguente
conclusione: il malato di mente è un malato come tutti gli altri e quindi va
curato come tutti gli altri infermi, i quali si curano volontariamente e non
abbisognano di locali di terapia di carattere particolare. Da qui, la
volontarietà abituale del ricovero e l’abolizione dei manicomi.
Come si vede, la mutata “ratio” normativa della attuale politica
sanitaria, ha abrogato totalmente le vecchie norme, basate su desueti principi
giuridici.
Non esistono più alienati
mentali, ma esistono malati psichici. Per tutti i malati, anche quelli
psichici, la cura è gratuita.
Pertanto, gli enti
pubblici, nulla possono pretendere per i malati psichici, il cui ricovero ora è
sempre e solo volontario.
In conclusione la legge
180/78, ha radicalmente abrogato il regio decreto 615/1909.
2) Legge 23.12.1978 n. 833 - Il secondo motivo della preferenza alla tesi dei
degenti, risiede nei principi ispiratori della riforma sanitaria (833/78).
Anche qui, è opportuno un “excursus” storico.
Prima della riforma
sanitaria, la salute degli italiani era curata da una congerie di enti
pubblici, operanti alla stregua di convenzioni diverse; essi attuavano nei
confronti degli assistiti differenti metodi di terapia.
Questi enti raccoglievano i
fondi per far fronte alle spese terapeutiche attraverso contribuzioni
obbligatorie a carico dei datori di lavoro degli assistiti nonché degli
assistiti stessi. Corrispondevano poi le loro prestazioni in denaro (rimborsi
spese, ecc.), ovvero in natura (radiografie, cure termali, ecc.). Gestivano il
servizio in regime di monopolio, ciascuno in relazione ad una categoria di
lavoratori e sulla base della propria convenzione a suo tempo stipulata. Il più
importante degli istituti di assicurazione sociale era l’INAM (Istituto per
l’assicurazione contro le malattie) sorto nel 1943 dalla fusione delle Casse
mutue nazionali e locali di malattia; aveva come scopo istituzionale di
provvedere alla assicurazione contro le malattie dei lavoratori subordinati e
dei loro familiari.
Dei dipendenti statali, si
occupava invece l’ENPAS (Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i
dipendenti statali), creato nel 1942; ai dipendenti degli Enti pubblici e degli
Enti locali provvedevano altri due istituti: l’ENPDEP e l’INADEL. I lavoratori
dello spettacolo erano curati dall’ENPALS, gli impiegati nell’agricoltura
dall’ENPAIA. Ma le Casse mutue con competenza limitate a singole categorie
erano moltissime: notai, gli avvocati, gli agenti di commercio, i pescatori, i
geometri, i ragionieri e così via, ogni gruppo professionale aveva la propria
«Mutua» che forniva ai propri iscritti le prestazioni previste dalle relative
convenzioni.
Questi Enti di
assicurazione sociale avevano come fine di garantire i propri iscritti dal
verificarsi dell’«evento malattia professionale». Vi era inoltre l’INPS
(Istituto previdenza sociale), che, accanto alle finalità di assicurazione per
alcune malattie non professionali (tubercolosi, ecc.) e di alcuni rischi
sociali (disoccupazione involontaria, assegni familiari, ecc.), aveva il
compito di «previdenza»; e cioè accumulava i contributi obbligatori da versare
poi come «pensione» al verificarsi di situazioni di bisogno che sarebbero
intervenute: vecchiaia, disoccupazione, invalidità, ecc.
Il quadro della sicurezza
sociale («garanzia del lavoratore dai rischi sociali del lavoro») era
completato dagli istituti assistenziali e di prevenzione; i primi avevano come
scopo l’assistenza di particolari categorie di non lavoratori bisognosi e
tuttavia meritevoli delle pubbliche cure; gli istituti di prevenzione tendevano
ad evitare il verificarsi di incidenti nel corso di attività lavorative
particolarmente pericolose.
Tra gli enti assistenziali
più notevoli vi era l’ENAOLI che assisteva gli orfani dei lavoratori, l’Opera
nazionale per i pensionati d’Italia, l’Opera nazionale tra i mutilati e
invalidi del lavoro, ecc.
Tra gli enti di
prevenzione, particolare rilievo aveva l’ENPI (Ente nazionale per la
prevenzione degli infortuni), che mirava a promuovere lo studio di materie
organizzative e tecniche per prevenire infortuni e malattie professionali;
esercitava all’uopo la consulenza per le imprese industriali.
L’ANCC (Associazione per il
Controllo della Combustione) provvedeva alla prevenzione degli infortuni tra gli
utenti di apparecchi a pressione di vapore e a gas.
Di tutti questi enti di
assicurazione sociale, di prevenzione sociale, di assistenza e prevenzione, la
riforma ha lasciato solo l’INPS e l’INAIL, con competenze ridotte. Gli altri
sono stati soppressi e sono confluiti nel Servizio sanitario nazionale.
Una seconda differenza tra
l’attuale e la precedente situazione, concerne il numero degli assistiti. Prima
della «riforma», erano assistiti pubblicamente solo le categorie che prestavano
o avevano prestato una qualche attività lavorativa e i loro familiari.
Dei bisognosi, si
occupavano gli Enti locali o loro organi, quali per esempio l’ECA (Ente
comunale di assistenza); per l’assistenza economica e sanitaria il medico
condotto; per l’assistenza terapeutica, il Comune per le spese di ospedalità.
Invece, la «riforma» ha
esteso l’assistenza sanitaria a tutti indistintamente i cittadini,
indipendentemente dal lavoro svolto o dall’appartenenza a una certa categoria
professionale.
La precedente
regolamentazione comportava una gran quantità di strutture sanitarie pubbliche
diverse, una per ogni categoria professionale.
Oggi, tutte le strutture
pubbliche sono unificate e appartengono al Servizio sanitario nazionale, mentre
la convenzione con i medici è unica per ogni categoria sanitaria.
Il dibattito culturale e
politico già da tempo aveva rilevato l’inadeguatezza del «sistema delle mutue»,
caratterizzato da dispersione di strutture sanitarie, difformità delle
prestazioni e sperequazioni sociali. Inoltre, in nessun caso, il sistema
consentiva di programmare un piano sanitario nazionale, come da molte parti si
auspicava.
Si chiedeva quindi un
coordinamento tra i diversi servizi sanitari e una riduzione ad unità. In
questo spirito fu emanata la legge 29 giugno 1977 n. 349 che, continuando un
procedimento legislativo iniziato con la legge 17 agosto 1974, aboliva le
mutue, tendendo verso l’unificazione dei diversi sistemi.
La legge attribuiva alle
Regioni la responsabilità di erogare i fondi necessari per l’assistenza. Venivano
poi costituite particolari strutture territoriali destinate ad assolvere
compiti di unificazione amministrativa in attesa dell’attuazione del Servizio
sanitario nazionale: SAUB (strutture amministrative unitarie di base), le SAUI
(strutture amministrative unitarie intermedie) e le SAUR (strutture
amministrative unitarie regionali).
Questi organismi sono poi
confluiti nel SSN, il quale ora compie tutte le funzioni sanitarie prima
attuate anche dagli Enti mutualistici (assistenza medica generica e specialistica),
nonché tutti i compiti amministrativi, prima svolti dalle Strutture unitarie;
il SSN che ha anche assorbito le strutture sanitarie che intanto erano sorte
(Comitati sanitari di zona, Consorzi sanitari di zona) su base locale.
Il mutamento tra il periodo
pre-riforma e quello attuale non è solo strutturale, ma anche per le finalità
del sistema.
Prima, quasi tutto
l’apparato era essenzialmente basato sulla terapia. Dei numerosissimi enti
mutualistici che operavano, quasi tutti erano destinati ad intervenire a
malattia esplosa o a incidenti intervenuti. Solo due erano gli enti con scopi
precipuamente preventivi: l’ANCC e l’ENPI. Peraltro, ambedue agivano in campi
particolari e con competenze specificamente ristrette.
Le funzioni di prevenzione
sanitaria degli organi pubblici (profilassi generale del medico provinciale,
zooprofilassi del veterinario provinciale, laboratori di igiene provinciale,
consorzi antitubercolari) erano attuate dagli «addetti ai lavori» senza alcuna
collaborazione con i cittadini. Insomma il concetto di prevenzione era
decisamente sopraffatto dal «fatto-terapia».
La nuova concezione era
assolutamente innovatrice nella storia dell’Uomo. Infatti, fino ad allora si
parlava di «salute» soltanto quando si era colti da malattia e il problema era
demandato al medico, quale «colui che conosce e cura i morbi». Invece, ora, la
nuova filosofia sanitaria invertiva i termini dell’equazione: quello che conta
è la salute, il cui stato di armonia va conservato; l’anomalia, e cioè la
malattia, è aspetto secondario. Quello che importa, è mantenere la salute ed
evitare la malattia. E a tal fine il medico non occorre. Serve invece un
costante impegno personale e partecipato. Nasce il concetto culturale di
educazione sanitaria o alla salute, di cui la prevenzione non è la parte
tecnica.
Gli enti deputati dal SSN
ad attuare gratuitamente la cura dei cittadini sul territorio erano le USL
(USSL, in Lombardia).
Dopo una ristrutturazine
territoriale del 1985, le USL hanno lasciato il posto alle Aziende sanitarie
locali (ASL).
Queste sono le
organizzazioni sanitarie pubbliche eredi delle strutture e dei compiti delle
USL.
L’accentramento sanitario,
così introdotto dalla ASL, comprende anche la malattia psichica.
Alcune norme della riforma,
lo indicano chiaramente: «Art. 1 - La
Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La
tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità
e della libertà della persona umana».
È evidente che il
legislatore non fa nessuna differenza tra malattia fisica e psichica. L’art. 2
lett. g stabilisce: «Il
conseguimento delle finalità di cui al precedente articolo assicurato
mediante ... la tutela della salute mentale, privilegiando il momento
preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali in
modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione».
Il precetto, non poteva
essere più chiaro e più devastante per la tesi giuridica sostenuta dall’ASL
convenuta.
Nel nuovo contesto sociale
di assoluta parificazione sanitaria-psico-somatica, è stridente il voler
sostenere un differente trattamento dei malati psichici.
La parificazione è assoluta
e l’art. 51 della legge 833/78 dispone la gratuità di tutte le terapie.
In definitiva, la legge
833/78 così come la legge 180/78, hanno abrogato la legge 3.12.1931 n. 1580 e
il regio decreto n. 615/1909.
3) Terapia - Assistenza. Una delle
argomentazioni, evidenziate in udienza della USSL, consiste nella dicotomia
terapia-assistenza sociale.
Per la resistente solo la
terapia sarebbe gratuita ex legge 833/78.
L’assistenza sociale,
concetto diverso, sarebbe onerosa.
La prospettazione è
infondata.
Le emergenze processuali,
hanno, infatti, dimostrato che i degenti sono stati destinatari di vere e
proprie terapie. Essi, periodicamente, devono assumere farmaci sotto il
controllo medico. Sono spesso costretti a letto, per sottoporsi a precise
terapie sanitarie.
Nell’attuale ospedale di
San Martino, l’assoluta maggioranza del personale è medico e paramedico. Le
assistenti sociali, sono solamente tre.
Due di queste, sono state
udite ed hanno detto: «M.A., non posso
dare farmaci, il medico prescrive il farmaco, che viene somministrato dal
personale paramedico. Neppure l’ausiliario può somministrare farmaci. Ho visto
alcuni ricorrenti nell’ospedale psichiatrico di Como, di Via Castelnuovo. A
fine anni ’70 c’era un direttore e vari medici. Credo una dozzina, c’erano gli
infermieri e le assistenti sociali» (pag. 3 e 4 verbale udienze)... «La cura agli ospiti da parte dei medici è
stata di osservazione e prescrizione di farmaci psichiatrici. Coi nuovi farmaci
alcune situazioni sono migliorate. Anche quando la situazione non potrebbe mai
migliorare vengono dati farmaci per tenerla stazionaria. A queste persone un
medico internista prescrive la medicina per patologie secondarie, in questo
caso vengono ricoverati in un’altra struttura, quella ospedaliera» (pag. 4
verbale udienze).
Come si vede, è prevalente
l’aspetto sanitario su quello assistenziale. L’altra assistente sociale M. ha
detto: «Sono assistente sociale, ho
lavorato all’ospedale psichiatrico di Como. Riconosco alcuni nomi tra i
ricorrenti, che sono certamente stati ricoverati prima dell’ingresso della
legge 180. A questi ospiti viene somministrata una terapia psichiatrica, alcuni
erano abbastanza autonomi, alcuni addirittura uscivano per qualche ora dal
presidio. Avevamo anche dei pazienti allettati con handicap fisici» (pag. 5
verbale udienze).
Anche questa voce
processuale sottolinea la prevalenza dell’aspetto medico e della necessità di
terapia per i ricorrenti.
Di certo, essi
abbisognavano anche di assistenza non strettamente sanitaria. Insomma le
prestazioni loro dedicate erano promiscue.
In caso di prestazioni
promiscue, la Corte di Cassazione, attribuisce la prevalenza alla terapia e non
già all’assistenza: «Con riferimento ai
malati mentali cronici, in base al contributo disposto degli artt. 1, 51 e 75
legge n. 833/1978, 30 legge n. 730/1983, nonché 1 e 6 DPCM 8 agosto 1985, nel
caso in cui, oltre alle prestazioni socio-assistenziali, siano erogate
prestazioni sanitarie, l’attività va considerata di rilievo sanitario e,
pertanto, di competenza del Servizio sanitario nazionale; qualora invece, sia
prestata soltanto un’attività di sorveglianza e di assistenza non sanitaria,
l’attività va considerata di natura socio assistenziale e, pertanto, estranea
al Servizio sanitario» (Cass. 20.11.96 n. 10150).
Nella fattispecie, abbiamo
visto come l’aspetto terapeutico fosse non solo pari a quello assistenziale ma
addirittura nettamente prevalente.
Ne consegue che va accolta
la tesi dei degenti anche sotto questo aspetto processuale. Essi hanno perciò
diritto alla restituzione del denaro depositato con il loro consenso in un
fondo USSL.
La USSL cui è succeduta la
ASL, invece, non può pretendere le quote di degenza né per il 1993 (anno
relativo ai decreti ingiuntivi), né per qualsiasi altro periodo successivo al
1978.
I decreti ingiuntivi del Presidente del Tribunale di Como, vanno
quindi revocati e deve essere riconosciuto il diritto dei ricorrenti viventi o
degli eredi di quelli defunti alla gratuità della degenza dell’ospedale San
Martino.
L’ASL di Como è l’ente
pubblico territoriale ad appartenenza necessaria, succeduto a titolo universale
alla abrogata USSL (prima n. 11 e poi n. 5). Sotto questo aspetto gli effetti
del processo si riverberanno anche sulla ASL.
La delibera 275/83
dell’Organo sanitario pubblico prevedeva l’onerosità dei ricoveri degli
alienati mentali. All’uopo si rifaceva alle norme abrogate dalle leggi
sanitarie del 1978. Quella delibera è dunque illegittima per violazione di
legge. Deve essere perciò disapplicata «incidenter
tantum» ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 20.3.1865 n. 2248, alleg. E.
Le parti, non hanno saputo
chiarire al Giudice l’aspetto quantitativo della «repetitio indebiti». Sarà l’Ente pubblico debitore a restituire
nella maniera esatta quanto trattenuto ai rispetti aventi diritto.
Le somme restituenti,
dovranno essere aumentate ex art. 429 cpc.
Alla soccombenza, segue
l’obbligo delle spese processuali, che tenuto conto della complessità della
controversia si liquidano in L. 3.000.000 più IVA più addizionale.
P.Q.M.
Rigettata ogni altra
istanza, eccezione e deduzione;
revoca i decreti ingiuntivi
emessi dal Presidente del Tribunale di Como in data 12.1.95 su istanza
dell’USSL n. 11, poi USSL n. 5, Gestione liquidatoria e poi ASL di Como nei
confronti di B.S. ed altri 26 ricorrenti;
dichiara che il ricovero
nel già ospedale psichiatrico di Via Castelnuovo di Como dei ricorrenti è
gratuito e per l’effetto, sospende «incidenter
tantum», la delibera dell’USSL n. 275/83.
Condanna l’USSL-ASL al
pagamento delle spese processuali di controparte liquidate in L. 3.000.000 più
IVA più addizionale.
Como,
lì 18.10.99 - Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 1999
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