Prospettive assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999

 

 

Importante sentenza sulla illegittimità della richiesta di contribuzioni economiche ai pazienti psichiatrici

 

Nel n. 114, aprile-giugno 1996, di Prospettive assistenziali, avevamo riferito che il Ragioniere Generale dello Stato in data 10 aprile 1996 aveva inviato al Direttore generale e al Rappresentante del tesoro in seno al Collegio provvisorio dei Conti dell’USSL 5 di Como, alla Procura della Corte dei Conti di Milano, al Ministero della sanità e alla Direzione Generale del tesoro la nota prot. 128214 (Divisione 11ª) in cui segnalava che l’Azienda USSL 5 di Como aveva trattenuto dalle pensioni dei ricoverati oltre 35 miliardi senza avere alcun titolo per sottrarre l’imponente somma ai pazienti. In particolare il Ragioniere Generale dello Stato aveva scritto quanto segue:

– «non si evince in base a quali specifiche norme regionali o nazionali avvenga l’introito delle pensioni per conto dei ricoverati da parte dell’Azienda»;

– «non è chiaro in base a quali norme viene trattenuta, talora contro la volontà dei pazienti, una quota percentuale di dette pensioni per il pagamento di rette anch’esse prive di valido riferimento normativo»;

– «alcune delle fattispecie considerate potrebbero configurare precise responsabilità da perseguire nelle sedi opportune».

Nonostante la suddetta autorevole presa di posizione, l’USSL n. 5 aveva insistito nel pretendere dai ricoverati il versamento di contributi a titolo di retta.

Su iniziativa di Andrea Lanfranchi, Presidente dell’ASVAP, Associazione volontariato aiuto ammalati psichici, è stato presentato ricorso all’Autorità giudiziaria.

In data 18 ottobre 1999 il Giudice ha pronunciato la sentenza che riportiamo integralmente.

 

 

Testo della sentenza n. 289/1999

 

Il Giudice del Lavoro di Como, Dottor Beniamino Fargnoli, ha emesso la seguente sentenza nella causa di lavoro promossa con ricorso depositato in data 15.04.99 da B.S., B.G., B.A., B.N., B.L. e A.B., in persona del loro amministratore provvisorio L.A. per nomina del giudice tutelare di Como; C.E., in persona del suo amministratore provvisorio; C.P., per nomina del giudice tutelare di Como; B.G., in persona del suo amministratore provvisorio; B.R., per nomina del giudice tutelare di Como; B.L., in persona del suo amministratore provvisorio; B.R., per nomina del giudice tutelare di Como; A.E., in persona del suo amministratore provvisorio; A.E.A., per nomina del giudice tutelare di Como; B.L.C., in persona del suo amministratore provvisorio; B.E., per nomina del giudice tutelare di Como; B.G., in persona del suo amministratore provvisorio; A.V., per nomina del giudice tutelare di Como; C.E., in persona del suo amministratore provvisorio; C.G., per nomina del giudice tutelare di Como; B.A., in persona del suo amministratore provvisorio; B.E., per nomina del giudice tutelare di Como; C.F., in persona del suo amministratore provvisorio; B.I., per nomina del giudice tutelare di Como; A.F., B.S., C.A., A.F., B.E., C.G., B.A., B.L., personalmente; B.R., nella sua qualità di erede di B.A.; tutti elettivamente domiciliati in Como, Via D. n. ... presso l’Avv. V.C. che li rappresenta e difende per delega in calce alla copia notificata del decreto ingiuntivo (salvo quest’ultimo – B. – per delega in calce alla comparsa di costituzione in data 5.12.1995), tranne C.F., in persona come sopra, che è elettivamente domiciliato in Como, Via M. n. 3, presso l’Avv. P.B. che lo rappresenta e difende in forza di procura notarile ad litem in data 16.12.1996 n. 971 a rep. dr. I.G. in G. e C.A., C.T., C.V., C.D., C.V. e C.S., nella loro qualità di eredi di C.F., con gli Avv. B.B. e L.S.; C.M.L., quale erede di B.N., con l’Avv. G.M., ricorrenti, contro USSL n. 5, Gestione Liquidatoria, elettivamente domiciliata in Como, Via Diaz n. 91, presso lo studio dell’Avv. M.R. che la rappresenta e difende in giudizio, giusta delega a margine, resistente.

 

Oggetto: Controversia di lavoro - Causa assegnata a sentenza all’udienza del 18.10.99.

 

Conclusioni

Per i ricorrenti: “rigettare l’istanza di provvisoria esecuzione;

– dichiarare la nullità, annullare, revocare e rendere comunque inefficaci i decreti ingiuntivi opposti previa disapplicazione della deliberazione n. 275/83 del Comitato di gestione USSL n. 5 e successive, esecutive ed integrative, in quanto illegittime, e comunque dichiarare non dovute le somme richieste a titolo di retta;

– in via subordinata previo accertamento dell’inadempimento agli obblighi di erogazione di prestazioni socio-sanitarie conformi a livelli qualitativamente accettabili, condannare l’USSL al risarcimento del danno da determinarsi in corso di causa anche mediante ricorso a criteri di equità, da compensarsi con quanto risultasse dovuto per retta e con condanna dell’USSL al pagamento della differenza;

– in via riconvenzionale: previo accertamento da eseguirsi in corso di causa condannare l’USSL alla restituzione di quanto trattenuto, con vincolo di indisponibilità per il malato, ovvero di quanto incamerato dalla stessa successivamente all’entrata in vigore della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, con gli interessi e la rivalutazione monetaria da ogni singola operazione a saldo;

– con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, compresa la fase conclusasi davanti al Tribunale di Como, oltre al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. da liquidarsi equitativamente”.

Per USSL n. 5 - Gestione Liquidatoria: “respingere tutte le domande formulate da parte attrice opponente in riassunzione in quanto infondate. Spese rifuse”.

 

Fatto

Con ricorso depositato in data 15.04.99, B.S., B.G., B.A., B.N., B.L.D., A.B., C.E., C.E., B.G., B.L., A.E., B.L.C., B.G., A.G., C.E., B.A., C.F., A.F., B.S., C.A., A.F., B.E., C.G., B.A., B.L., B.R., nella sua qualità di erede di B.A., ricoverati nell’Ospedale San Martino di Como, Via Castelnuovo, già “manicomio”, chiedevano la revoca dei decreti ingiuntivi emessi dal Presidente del Tribunale di Como il 12.1.95 su istanza della USSL n. 5, Gestione Liquidatoria (ex USSL n. 11).

I decreti avevano come oggetto le rette di degenza nell’ospedale, in ossequio alla delibera n. 275 del 24.02.83, emessa dal Comitato di Gestione USSL n. 11.

Gli opponenti, secondo la USSL, dovevano essere condannati a pagare le rette di degenza.

Chiedevano, quindi, la conferma dei decreti ingiuntivi opposti.

I degenti destinatari dei decreti ingiuntivi, si opponevano con atti del 30.01.95.

Sostenevano che la riforma sanitaria e l’abolizione dei manicomi, “novelle” del 1978, avevano abrogato i regi decreti del 1909 e del 1931. Tali norme amministrative prevedevano il recupero delle spese di spedalità, da parte degli enti pubblici, nei confronti degli alienati mentali, ricoverati e non indigenti.

In via riconvenzionale, chiedevano le somme accantonate dall’USSL a far tempo dal 1983 sulle pensioni dei degenti.

L’accantonamento era stato possibile in seguito ad una delega, rilasciata alla USSL dai degenti non interdetti e non abilitati.

Riuniti i procedimenti in data 6.6.95, il Tribunale di Como, emetteva sentenza di incompetenza funzionale il 12.11.98.

Allora i degenti e gli eredi dei defunti, proponevano ricorso al giudice del lavoro con ricorso in riassunzione 15.4.99.

Ribadivano l’infondatezza dei decreti ingiuntivi emessi e l’annullamento della delibera USSL n. 11 275/83.

 In via riconvenzionale domandavano, accertata la gratuità dei ricoveri, la restituzione delle quote pensionistiche trattenute dal 1983 per far fronte al pagamento delle rette.

La USSL n. 5 - Gesione liquidatoria si costituiva ribadendo l’onerosità dei ricoveri, in quanto gli alienati mentali erano estranei al Servizio sanitario nazio­nale.

In via riconvenzionale, esigeva il pagamento delle rette di degenza, ammontanti a cifre diverse per ogni ricorrente.

All’udienza del 18.10.99, espletata l’istruttoria, i difensori concludevano come da verbali in atti.

 

Motivazione

1) Legge 13.5.1978 n. 180 - La questione, posta all’attenzione del Giudice del lavoro è di natura squisitamente ermeneutica. I degenti dell’ex manicomio, sostengono che l’entrata in vigore delle nuove leggi sanitarie, abbiano abrogato le precedenti riforme, che consentivano il recupero delle spese di spedalità nei confronti dei ricoverati non indigenti.

La USSL, per contro, ritiene che la gratuità delle cure sanitarie introdotte dalle novelle del ’78, attengano alla terapia fisica e non già a quella psichica.

La tesi attrice appare più fondata.

La prima argomentazione, discende dalla introduzione dell’ordinamento giuridico della legge 180/78. Tale normativa, ha soppresso “de jure” i manicomi in cui fino ad allora gli alienati mentali erano stati ricoverati.

Lo scopo risiedeva nel tutelare la società dai comportamenti anomali.

La legge 180/78 partiva invece dal presupposto innovatore: la malattia psichica è una patologia al pari della malattia fisica.

Il concetto di alienato mentale da emarginare, doveva essere quindi soppresso. Vi sono solo i malati psichici da curare analogamente ai malati fisici.

È opportuno vedere più in dettaglio, la genesi del passaggio delle leggi di inizio secolo alla riforma sanitaria.

La legge 14 febbraio 1904 n. 36 regolava i rapporti attinenti gli alienati mentali. Era una legge che considerava il fenomeno “malattia mentale” prevalentemente sotto l’aspetto poliziesco; l’art. 1 della legge recitava: «Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose per sé e per gli altri o riescano di pubblico scandalo...»; come si vede era prevalentemente l’interesse della difesa della società dal «pericolo» o dal «pubblico scandalo», che gli alienati potevano causare; era invece quasi del tutto assente la preoccupazione sanitaria per gli stessi alienati. Il ricovero in manicomio era il cardine del sistema; l’intervento dell’autorità di Pubblica sicurezza e del Pubblico ministero i mezzi processuali normali; il ricovero era deciso dal Tribunale e, nei casi di urgenza, dal Pretore.

All’inizio degli anni ’70, si delineò nel Paese un movimento contro la segregazione nei manicomi e contro il disumano trattamento che clamorosi casi giudiziari avevano rivelato essere avvenuti. Si propose di abolire i manicomi e di assimilare gli alienati mentali agli altri malati, curandoli negli ospedali civili. Per sopprimere i manicomi, fu chiesto un referendum abrogativo che aveva raccolto circa 700.000 firme. Al fine di evitare il confronto generalizzato, e per prevenire una eventuale carenza legislativa in un settore così delicato, i partiti politici decisero di modificare la legge.

Nel frattempo, era in corso di redazione la riforma sanitaria, poi, pubblicata col numero 833 nel 1978. Si ricorse (allora) alle norme della riforma già elaborate in tema di salute mentale e si «stralciarono» gli allora articoli 30 e 54 del progetto di riforma in un provvedimento legislativo approntato in tutta fretta.

In 24 giorni le Commissioni legislative esaminarono, discussero e approvarono un disegno governativo di undici articoli, chiamato colloquialmente «nuova legge sui manicomi».

Essa fu emanata il 13 maggio 1978 col numero 180; fu perciò nota anche come «legge numero centottanta»; aveva efficacia provvisoria, in attesa della promulgazione della riforma sanitaria, di cui non era che una parziale anticipazione. Infatti, quando fu pubblicata la legge riforma, sulla Gazzetta ufficiale del 28 dicembre 1978, la legge n. 180 cessò nella massima parte di aver valore, in quanto la riforma conteneva anche le norme riguardanti gli alienati mentali. Ma non erano gli articoli 30 e 54 che la legge «stralcio» n. 180 aveva assunto; infatti, il 22 giugno 1978, la Camera dei deputati aveva approvato un complesso di disposizioni leggermente diverse da quelle recepite dalla n. 180. E tuttavia di questa, i vigenti articoli 33, 34 e 35 mantengono i caratteri essenziali.

Il baricentro giuridico è trasferito dalla tutela della società dalle alienazioni mentali, alla assistenza sanitaria degli alienati.

Il carattere «sanitario» ha sostituito l’aspetto «poliziesco» della legge n. 36 del 1904. Scompaiono perciò gli interventi dell’autorità di polizia e del Pubblico ministero; il ricovero è soprattutto volontario e quello obbligatorio è limitato a pochi casi ben definiti. Si pone l’accento sull’aspetto preventivo, coerentemente ai principi degli artt. 1 e 2 della riforma. Si considera la salute in maniera unitaria, come psichica e fisica allo stesso tempo, e si eliminano gli istituti che comportavano segregazione e custodia dell’alienato, tant’è che la legge fa espresso divieto di costruire nuovi manicomi.

Le norme della riforma hanno cercato di contemperare le diverse opinioni in questo campo: assimilare i malati di mente a tutti gli altri malati; negare la necessità di qualsiasi ricovero coatto, per la mancanza di ogni aspetto pericoloso nel comportamento degli alienati; mantenere una certa tutela degli «altri» dalla condotta dei malati di mente; privilegiare la più tipica autorità elettiva – il sindaco – quale protagonista dei procedimenti di ricovero.

Ma la grande novità è quella annunciata dal 1° comma dell’art. 1 della legge: i ricoveri ospedalieri sono, di norma, volontari. Prima, invece, la regola era la coattività dei ricoveri degli alienati; ora, solo eccezionalmente, è ammesso il ricovero coattivo: e quando è consentito, esso è circondato da numerosissime cautele, indice del disfavore con cui è guardato dal legislatore.

Tale principio giuridico è la conseguenza di una considerazione socio-sanitaria, frutto dell’ampio dibattito politico di cui si è accennato e che è giunto alla seguente conclusione: il malato di mente è un malato come tutti gli altri e quindi va curato come tutti gli altri infermi, i quali si curano volontariamente e non abbisognano di locali di terapia di carattere particolare. Da qui, la volontarietà abituale del ricovero e l’abolizione dei manicomi.

Come si vede, la mutata “ratio” normativa della attuale politica sanitaria, ha abrogato totalmente le vecchie norme, basate su desueti principi giuridici.

Non esistono più alienati mentali, ma esistono malati psichici. Per tutti i malati, anche quelli psichici, la cura è gratuita.

Pertanto, gli enti pubblici, nulla possono pretendere per i malati psichici, il cui ricovero ora è sempre e solo volontario.

In conclusione la legge 180/78, ha radicalmente abrogato il regio decreto 615/1909.

2) Legge 23.12.1978 n. 833 - Il secondo motivo della preferenza alla tesi dei degenti, risiede nei principi ispiratori della riforma sanitaria (833/78).

Anche qui, è opportuno un “excursus” storico.

Prima della riforma sanitaria, la salute degli italiani era curata da una congerie di enti pubblici, operanti alla stregua di convenzioni diverse; essi attuavano nei confronti degli assistiti differenti metodi di terapia.

Questi enti raccoglievano i fondi per far fronte alle spese terapeutiche attraverso contribuzioni obbligatorie a carico dei datori di lavoro degli assistiti nonché degli assistiti stessi. Corrispondevano poi le loro prestazioni in denaro (rimborsi spese, ecc.), ovvero in natura (radiografie, cure termali, ecc.). Gestivano il servizio in regime di monopolio, ciascuno in relazione ad una categoria di lavoratori e sulla base della propria convenzione a suo tempo stipulata. Il più importante degli istituti di assicurazione sociale era l’INAM (Istituto per l’assicurazione contro le malattie) sorto nel 1943 dalla fusione delle Casse mutue nazionali e locali di malattia; aveva come scopo istituzionale di provvedere alla assicurazione contro le malattie dei lavoratori subordinati e dei loro familiari.

Dei dipendenti statali, si occupava invece l’ENPAS (Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i dipendenti statali), creato nel 1942; ai dipendenti degli Enti pubblici e degli Enti locali provvedevano altri due istituti: l’ENPDEP e l’INADEL. I lavoratori dello spettacolo erano curati dall’ENPALS, gli impiegati nell’agricoltura dall’ENPAIA. Ma le Casse mutue con competenza limitate a singole categorie erano moltissime: notai, gli avvocati, gli agenti di commercio, i pescatori, i geometri, i ragionieri e così via, ogni gruppo professionale aveva la propria «Mutua» che forniva ai propri iscritti le prestazioni previste dalle relative convenzioni.

Questi Enti di assicurazione sociale avevano come fine di garantire i propri iscritti dal verificarsi dell’«evento malattia professionale». Vi era inoltre l’INPS (Istituto previdenza sociale), che, accanto alle finalità di assicurazione per alcune malattie non professionali (tubercolosi, ecc.) e di alcuni rischi sociali (disoccupazione involontaria, assegni familiari, ecc.), aveva il compito di «previdenza»; e cioè accumulava i contributi obbligatori da versare poi come «pensione» al verificarsi di situazioni di bisogno che sarebbero intervenute: vecchiaia, disoccupazione, invalidità, ecc.

Il quadro della sicurezza sociale («garanzia del lavoratore dai rischi sociali del lavoro») era completato dagli istituti assistenziali e di prevenzione; i primi avevano come scopo l’assistenza di particolari categorie di non lavoratori bisognosi e tuttavia meritevoli delle pubbliche cure; gli istituti di prevenzione tendevano ad evitare il verificarsi di incidenti nel corso di attività lavorative particolarmente pericolose.

Tra gli enti assistenziali più notevoli vi era l’ENAOLI che assisteva gli orfani dei lavoratori, l’Opera nazionale per i pensionati d’Italia, l’Opera nazionale tra i mutilati e invalidi del lavoro, ecc.

Tra gli enti di prevenzione, particolare rilievo aveva l’ENPI (Ente nazionale per la prevenzione degli infortuni), che mirava a promuovere lo studio di materie organizzative e tecniche per prevenire infortuni e malattie professionali; esercitava all’uopo la consulenza per le imprese industriali.

L’ANCC (Associazione per il Controllo della Combustione) provvedeva alla prevenzione degli infortuni tra gli utenti di apparecchi a pressione di vapore e a gas.

Di tutti questi enti di assicurazione sociale, di prevenzione sociale, di assistenza e prevenzione, la riforma ha lasciato solo l’INPS e l’INAIL, con competenze ridotte. Gli altri sono stati soppressi e sono confluiti nel Servizio sanitario nazionale.

Una seconda differenza tra l’attuale e la precedente situazione, concerne il numero degli assistiti. Prima della «riforma», erano assistiti pubblicamente solo le categorie che prestavano o avevano prestato una qualche attività lavorativa e i loro familiari.

Dei bisognosi, si occupavano gli Enti locali o loro organi, quali per esempio l’ECA (Ente comunale di assistenza); per l’assistenza economica e sanitaria il medico condotto; per l’assistenza terapeutica, il Comune per le spese di ospedalità.

Invece, la «riforma» ha esteso l’assistenza sanitaria a tutti indistintamente i cittadini, indipendentemente dal lavoro svolto o dall’appartenenza a una certa categoria professionale.

La precedente regolamentazione comportava una gran quantità di strutture sanitarie pubbliche diverse, una per ogni categoria professionale.

Oggi, tutte le strutture pubbliche sono unificate e appartengono al Servizio sanitario nazionale, mentre la convenzione con i medici è unica per ogni categoria sanitaria.

Il dibattito culturale e politico già da tempo aveva rilevato l’inadeguatezza del «sistema delle mutue», caratterizzato da dispersione di strutture sanitarie, difformità delle prestazioni e sperequazioni sociali. Inoltre, in nessun caso, il sistema consentiva di programmare un piano sanitario nazionale, come da molte parti si auspicava.

Si chiedeva quindi un coordinamento tra i diversi servizi sanitari e una riduzione ad unità. In questo spirito fu emanata la legge 29 giugno 1977 n. 349 che, continuando un procedimento legislativo iniziato con la legge 17 agosto 1974, aboliva le mutue, tendendo verso l’unificazione dei diversi sistemi.

La legge attribuiva alle Regioni la responsabilità di erogare i fondi necessari per l’assistenza. Venivano poi costituite particolari strutture territoriali destinate ad assolvere compiti di unificazione amministrativa in attesa dell’attuazione del Servizio sanitario nazionale: SAUB (strutture amministrative unitarie di base), le SAUI (strutture amministrative unitarie intermedie) e le SAUR (strutture amministrative unitarie regionali).

Questi organismi sono poi confluiti nel SSN, il quale ora compie tutte le funzioni sanitarie prima attuate anche dagli Enti mutualistici (assistenza medica generica e specialistica), nonché tutti i compiti amministrativi, prima svolti dalle Strutture unitarie; il SSN che ha anche assorbito le strutture sanitarie che intanto erano sorte (Comitati sanitari di zona, Consorzi sanitari di zona) su base locale.

Il mutamento tra il periodo pre-riforma e quello attuale non è solo strutturale, ma anche per le finalità del sistema.

Prima, quasi tutto l’apparato era essenzialmente basato sulla terapia. Dei numerosissimi enti mutualistici che operavano, quasi tutti erano destinati ad intervenire a malattia esplosa o a incidenti intervenuti. Solo due erano gli enti con scopi precipuamente preventivi: l’ANCC e l’ENPI. Peraltro, ambedue agivano in campi particolari e con competenze specificamente ristrette.

Le funzioni di prevenzione sanitaria degli organi pubblici (profilassi generale del medico provinciale, zooprofilassi del veterinario provinciale, laboratori di igiene provinciale, consorzi antitubercolari) erano attuate dagli «addetti ai lavori» senza alcuna collaborazione con i cittadini. Insomma il concetto di prevenzione era decisamente sopraffatto dal «fatto-terapia».

La nuova concezione era assolutamente innovatrice nella storia dell’Uomo. Infatti, fino ad allora si parlava di «salute» soltanto quando si era colti da malattia e il problema era demandato al medico, quale «colui che conosce e cura i morbi». Invece, ora, la nuova filosofia sanitaria invertiva i termini dell’equazione: quello che conta è la salute, il cui stato di armonia va conservato; l’anomalia, e cioè la malattia, è aspetto secondario. Quello che importa, è mantenere la salute ed evitare la malattia. E a tal fine il medico non occorre. Serve invece un costante impegno personale e partecipato. Nasce il concetto culturale di educazione sanitaria o alla salute, di cui la prevenzione non è la parte tecnica.

Gli enti deputati dal SSN ad attuare gratuitamente la cura dei cittadini sul territorio erano le USL (USSL, in Lombardia).

Dopo una ristrutturazine territoriale del 1985, le USL hanno lasciato il posto alle Aziende sanitarie locali (ASL).

Queste sono le organizzazioni sanitarie pubbliche eredi delle strutture e dei compiti delle USL.

L’accentramento sanitario, così introdotto dalla ASL, comprende anche la malattia psichica.

Alcune norme della riforma, lo indicano chiaramente: «Art. 1 - La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana».

È evidente che il legislatore non fa nessuna differenza tra malattia fisica e psichica. L’art. 2 lett. g stabilisce: «Il  conseguimento delle finalità di cui al precedente articolo assicurato mediante ... la tutela della salute mentale, privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione».

Il precetto, non poteva essere più chiaro e più devastante per la tesi giuridica sostenuta dall’ASL convenuta.

Nel nuovo contesto sociale di assoluta parificazione sanitaria-psico-somatica, è stridente il voler sostenere un differente trattamento dei malati psichici.

La parificazione è assoluta e l’art. 51 della legge 833/78 dispone la gratuità di tutte le terapie.

In definitiva, la legge 833/78 così come la legge 180/78, hanno abrogato la legge 3.12.1931 n. 1580 e il regio decreto n. 615/1909.

3) Terapia - Assistenza. Una delle argomentazioni, evidenziate in udienza della USSL, consiste nella dicotomia terapia-assistenza sociale.

Per la resistente solo la terapia sarebbe gratuita ex legge 833/78.

L’assistenza sociale, concetto diverso, sarebbe onerosa.

La prospettazione è infondata.

Le emergenze processuali, hanno, infatti, dimostrato che i degenti sono stati destinatari di vere e proprie terapie. Essi, periodicamente, devono assumere farmaci sotto il controllo medico. Sono spesso costretti a letto, per sottoporsi a precise terapie sanitarie.

Nell’attuale ospedale di San Martino, l’assoluta maggioranza del personale è medico e paramedico. Le assistenti sociali, sono solamente tre.

Due di queste, sono state udite ed hanno detto: «M.A., non posso dare farmaci, il medico prescrive il farmaco, che viene somministrato dal personale paramedico. Neppure l’ausiliario può somministrare farmaci. Ho visto alcuni ricorrenti nell’ospedale psichiatrico di Como, di Via Castelnuovo. A fine anni ’70 c’era un direttore e vari medici. Credo una dozzina, c’erano gli infermieri e le assistenti sociali» (pag. 3 e 4 verbale udienze)... «La cura agli ospiti da parte dei medici è stata di osservazione e prescrizione di farmaci psichiatrici. Coi nuovi farmaci alcune situazioni sono migliorate. Anche quando la situazione non potrebbe mai migliorare vengono dati farmaci per tenerla stazionaria. A queste persone un medico internista prescrive la medicina per patologie secondarie, in questo caso vengono ricoverati in un’altra struttura, quella ospedaliera» (pag. 4 verbale udienze).

Come si vede, è prevalente l’aspetto sanitario su quello assistenziale. L’altra assistente sociale M. ha detto: «Sono assistente sociale, ho lavorato all’ospedale psichiatrico di Como. Riconosco alcuni nomi tra i ricorrenti, che sono certamente stati ricoverati prima dell’ingresso della legge 180. A questi ospiti viene somministrata una terapia psichiatrica, alcuni erano abbastanza autonomi, alcuni addirittura uscivano per qualche ora dal presidio. Avevamo anche dei pazienti allettati con handicap fisici» (pag. 5 verbale udienze).

Anche questa voce processuale sottolinea la prevalenza dell’aspetto medico e della necessità di terapia per i ricorrenti.

Di certo, essi abbisognavano anche di assistenza non strettamente sanitaria. Insomma le prestazioni loro dedicate erano promiscue.

In caso di prestazioni promiscue, la Corte di Cassazione, attribuisce la prevalenza alla terapia e non già all’assistenza: «Con riferimento ai malati mentali cronici, in base al contributo disposto degli artt. 1, 51 e 75 legge n. 833/1978, 30 legge n. 730/1983, nonché 1 e 6 DPCM 8 agosto 1985, nel caso in cui, oltre alle prestazioni socio-assistenziali, siano erogate prestazioni sanitarie, l’attività va considerata di rilievo sanitario e, pertanto, di competenza del Servizio sanitario nazionale; qualora invece, sia prestata soltanto un’attività di sorveglianza e di assistenza non sanitaria, l’attività va considerata di natura socio assistenziale e, pertanto, estranea al Servizio sanitario» (Cass. 20.11.96 n. 10150).

Nella fattispecie, abbiamo visto come l’aspetto terapeutico fosse non solo pari a quello assistenziale ma addirittura nettamente prevalente.

Ne consegue che va accolta la tesi dei degenti anche sotto questo aspetto processuale. Essi hanno perciò diritto alla restituzione del denaro depositato con il loro consenso in un fondo USSL.

La USSL cui è succeduta la ASL, invece, non può pretendere le quote di degenza né per il 1993 (anno relativo ai decreti ingiuntivi), né per qualsiasi altro periodo successivo al 1978.

I decreti ingiuntivi  del Presidente del Tribunale di Como, vanno quindi revocati e deve essere riconosciuto il diritto dei ricorrenti viventi o degli eredi di quelli defunti alla gratuità della degenza dell’ospedale San Martino.

L’ASL di Como è l’ente pubblico territoriale ad appartenenza necessaria, succeduto a titolo universale alla abrogata USSL (prima n. 11 e poi n. 5). Sotto questo aspetto gli effetti del processo si riverberanno anche sulla ASL.

La delibera 275/83 dell’Organo sanitario pubblico prevedeva l’onerosità dei ricoveri degli alienati mentali. All’uopo si rifaceva alle norme abrogate dalle leggi sanitarie del 1978. Quella delibera è dunque illegittima per violazione di legge. Deve essere perciò disapplicata «incidenter tantum» ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 20.3.1865 n. 2248, alleg. E.

Le parti, non hanno saputo chiarire al Giudice l’aspetto quantitativo della «repetitio indebiti». Sarà l’Ente pubblico debitore a restituire nella maniera esatta quanto trattenuto ai rispetti aventi diritto.

Le somme restituenti, dovranno essere aumentate ex art. 429 cpc.

Alla soccombenza, segue l’obbligo delle spese processuali, che tenuto conto della complessità della controversia si liquidano in L. 3.000.000 più IVA più addizionale.

P.Q.M.

Rigettata ogni altra istanza, eccezione e deduzione;

revoca i decreti ingiuntivi emessi dal Presidente del Tribunale di Como in data 12.1.95 su istanza dell’USSL n. 11, poi USSL n. 5, Gestione liquidatoria e poi ASL di Como nei confronti di B.S. ed altri 26 ricorrenti;

dichiara che il ricovero nel già ospedale psichiatrico di Via Castelnuovo di Como dei ricorrenti è gratuito e per l’effetto, sospende «incidenter tantum», la delibera dell’USSL n. 275/83.

Condanna l’USSL-ASL al pagamento delle spese processuali di controparte liquidate in L. 3.000.000 più IVA più addizionale.

Como, lì 18.10.99 - Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 1999

 

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