Prospettive
assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999
interpretazione
corretta dei decreti 109/1998 e 221/1999 e delle disposizioni del codice civile
sui parenti tenuti agli alimenti
In merito ai
decreti 109/1998 e 221/1999, riportiamo integralmente dil documento predisposto
il 25 ottobre 1999 dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli
assistiti, i cui contenuti superano le considerazioni esposte nel numero scorso
di Prospettive assistenziali.
Rileviamo
– e il fatto ci sembra essere estremamente preoccupante – che solamente
per le prestazioni assistenziali (e non per quelle di altra natura: soggiorni
di vacanze di anziani, turismo urbano ed extraurbano, ecc.), i Comuni impongono
– com’è noto illegalmente – contributi economici a carico dei parenti
degli utenti privi di sufficienti mezzi finanziari. Questa prassi non è mai
stata prevista – giustamente a nostro avviso – per gli interventi, aventi
la stessa natura assistenziale, disposti dallo Stato in materia di integrazione
al minimo delle pensioni INPS, pensioni e assegni sociali, pensioni di invalidità,
ecc.
Sulla Gazzetta ufficiale n. 161 del 12 luglio 1999 è
stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio
1999 n. 221. Alcuni hanno ritenuto che le norme del suddetto provvedimento e
quelle del decreto legislativo 109/1998 consentissero ai Comuni di approvare
delibere per imporre contributi economici ai congiunti degli assistiti
(soggetti con handicap e pazienti psichiatrici con limitata o nulla autonomia,
malati di Alzheimer, anziani cronici non autosufficienti, ecc.) che frequentano
centri diurni o sono ricoverati presso comunità alloggio o in istituti o che
richiedono altri interventi: servizi di aiuto personale, assistenza
domiciliare, ecc.
Con molta tempestività ed accogliendo in parte le
proposte del CSA, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio legislativo
del Ministro per la Solidarietà sociale, con la nota del 15 ottobre 1999, prot.
DAS/625/UL - 607, ha precisato (cfr. allegato 1) quanto segue:
1) le disposizioni dei decreti 109/1998 e 221/1999
hanno esclusivamente lo scopo di stalibire i criteri per la valutazione della
condizione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali
agevolate: inserimento in centri diurni di soggetti con handicap e con limitata
autonomia, accoglienza presso comunità alloggio o istituti, frequenza asili
nido e scuole materne comunali, partecipazione a soggiorni di vacanza, ecc.;
2) i due citati decreti non devono essere utilizzati
dai Comuni per pretendere contributi economici dai congiunti, compresi i
parenti tenuti agli alimenti, di coloro che richiedono prestazioni sociali
agevolate;
3) è confermato il parere emesso dal Ministero
dell’interno, Direzione generale dei Servizi civili, Ufficio Studi e Affari
legislativi in data 8 giugno 1999, prot. 190 e 412 B.5 in base al quale le
pubbliche amministrazioni non possono imporre contribuzioni ai familiari degli
utenti dei servizi socio-assistenziali, inclusi quelli tenuti agli alimenti ai
sensi dell’art. 433 del codice civile.
1. Parenti tenuti agli alimenti
L’interpretazione data dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri e dal Ministero dell’interno sulla questione dei parenti tenuti
agli alimenti è pienamente condivisibile e conferma la validità delle posizioni
e delle iniziative assunte dal CSA.
Infatti, in base alle leggi vigenti, la richiesta
degli alimenti è un atto che riguarda esclusivamente i parenti. Può quindi
essere esercitata solo dagli stessi familiari. Ad essi non può sostituirsi
nessun altro soggetto pubblico o privato, ad eccezione del tutore del congiunto
dichiarato interdetto.
Ad esempio il genitore (o il suo tutore) può chiedere
gli alimenti al figlio, ma i Comuni o gli altri organismi non possono
intervenire in merito, nemmeno quando provvedono al ricovero del genitore.
Al riguardo, si ricorda che il primo comma dell’art.
438 del codice civile stabilisce quanto segue: «Gli alimenti possono essere chiesti SOLO da chi versa in istato di
bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento».
In materia di alimenti, le Regioni non hanno mai avuto
e non hanno alcuna competenza legislativa o regolamentare.
Ne deriva che sono illegittime le leggi regionali e le
delibere di Comuni, Province e ASL in cui è prevista la richiesta di contributi
ai parenti di assistiti maggiorenni.
Al riguardo, si fa presente che numerose sentenze
della Corte di Cassazione stabiliscono che è punibile a norma dell’art. 610 del
codice penale chiunque costringa un familiare, con violenza o minaccia, a
sottoscrivere impegni economici non dovuti (1).
2. Aspetti carenti del decreto 221/1999
Le principali carenze del decreto 221/1999 sono le
seguenti:
a) Valutazione
della situazione economica dell’assistito maggiorenne
Poiché l’accertamento della situazione economica
riguarda non solo l’assistito, ma anche tutti i componenti del nucleo
anagrafico di appartenenza, non è chiaro quale possa essere l’utilizzo del
suddetto accertamento.
Ad esempio, si può presentare il seguente caso: un
handicappato intellettivo maggiorenne ha quale unico reddito la pensione di
invalidità di L. 395.060 per 13 mensilità, corrispondente a L. 428.000 al mese.
Se vive con i genitori che hanno un reddito
complessivo di L. 2.000.000, si riconosce che il soggetto con handicap ha un
reddito reale di L. 428.000 mensili oppure il calcolo viene effettuato sommando
i redditi dell’interessato e quelli dei genitori e dividendo la somma ottenuta
per tre? In questo caso il dato risultante è di L. 809.333, quasi il doppio
degli introiti effettivi del soggetto con handicap. Inoltre, come si calcolano
i patrimoni posseduti dai genitori, ai fini dell’individuazione della
condizione economica del figlio con handicap?
Può essere valutata in modo diverso la condizione
economica del figlio con handicap se vive con i genitori, oppure se fa nucleo a
se stante essendo ricoverato in un istituto?
b) Assenza di
norme in merito al minimo vitale
Purtroppo, tutti i Comuni (che sono ben 8.100) possono
attualmente stabilire autonomamente il minimo vitale per ciascun nucleo
familiare preso in considerazione; possono cioè definire l’importo del reddito
riconosciuto come assolutamente indispensabile per provvedere alle esigenze del
nucleo stesso. Da notare che, con delibera 1090 del 4 settembre 1998,
l’Assemblea dei Sindaci dei Comuni dell’ASL 9 - Ivrea (Torino) aveva stabilito
che per gli utenti dei centri diurni per handicappati intellettivi il minimo
vitale (comprendente tutte le spese: vitto, abbigliamento, affitto, luce, gas,
ecc.) era di L. 350 mila mensili!
C’è, dunque, la necessità di prevedere norme che
evitino gli abusi, stabilendo criteri idonei a livello nazionale.
c) Disparità di
trattamento fra Comuni anche limitrofi
Ciascun Comune può stabilire autonomamente le norme
riguardanti i coefficienti di valutazione relativi ai beni mobili e immobili
dell’utente. Anche in questo caso occorre che siano stabiliti i criteri
fondamentali allo scopo di evitare disuguaglianze ingiustificate.
d) Disparità di
valutazione nello stesso Comune dei redditi e dei beni
I Comuni possono approvare norme diverse l’una
dall’altra per i vari servizi di loro competenza. Pertanto, le disposizioni
relative alle contribuzioni per il ricovero di handicappati intellettivi
possono essere differenti rispetto a quelle concernenti l’assistenza economica,
l’aiuto domiciliare, le rette di frequenza degli asili nido, la partecipazione
a soggiorni di vacanze, ecc.
Da notare che finora sono quasi sempre stati
penalizzati i parenti di persone malate o handicappate. Ad esempio mai sono
stati richiesti contributi economici ai parenti tenuti agli alimenti per la
frequenza degli asili nido da parte di bambini di famiglie con scarsi o nulli
redditi, né i figli sono stati chiamati a contribuire per i soggiorni di
vacanza dei loro genitori con risorse insufficienti a rimborsare le spese
sostenute dai Comuni.
Si ritiene, pertanto, che debbano essere previsti
idonei criteri da applicare a tutte le situazioni, senza alcuna
discriminazione.
e) Altre gravi
disparità
Restano esclusi dall’ambito applicativo dei
sopracitati decreti 109/1998 e 221/1999
«l’integrazione al minimo, la maggiorazione sociale delle pensioni, l’assegno e
la pensione sociale e ogni altra prestazione previdenziale, nonché la pensione
e l’assegno di invalidità civile e le indennità di accompagnamento e
assimilate» (2).
Le pensioni integrate al minimo, quelle per gli
invalidi, le pensioni e gli assegni sociali non vengono erogati solamente a
coloro che non hanno le risorse occorrenti per vivere, ma anche ai cittadini
possessori di beni e redditi non indifferenti.
Le somme versate dallo Stato nel 1995 per prestazioni
monetarie a carattere continuativo sono state le seguenti (3):
• quasi 30 mila miliardi per l’integrazione delle
pensioni al minimo;
• 3.482 miliardi per le pensioni e gli assegni sociali
agli ultrasessantacinquenni;
• 1.724 miliardi per le pensioni ai ciechi e ai sordomuti;
• 14.481 miliardi per le pensioni agli invalidi
civili, di cui 7.737 per le indennità di accompagnamento.
Per quanto riguarda le varie tipologie delle pensioni
di cui abbiamo indicato gli importi a carico dello Stato, esse dovrebbero avere
attualmente (ma non sempre hanno!) la finalità di assicurare l’occorrente per vivere alle persone prive dei necessari
mezzi economici. Non sempre hanno la suddetta finalità in quanto gli importi
sono ampiamente insufficienti e non garantiscono nemmeno la sopravvivenza a
coloro che non dispongono di altri redditi e di beni.
Ad esempio, l’importo al 1° gennaio 1999 delle
pensioni per gli invalidi e mutilati civili totali impossibilitati quindi per
la gravità delle loro condizioni psico-fisiche a svolgere qualsiasi attività
lavorativa proficua, era di L. 395.060 mensili per 13 mensilità. Alla stessa
data era di L. 504.400 l’ammontare della pensione sociale erogata agli
ultrasessantacinquenni senza altri redditi e beni. Al 1° gennaio 1999 erano
certamente insufficienti per vivere anche gli importi delle pensioni minime
INPS (L. 709.500 per 13 mensilità) e dell’assegno sociale (L. 615.800 per 13
mensilità).
Di fronte a queste incivili situazioni si deve
rilevare che mentre lo Stato eroga contributi largamente insufficienti a coloro
che non hanno mezzi di sorta, è “generoso”, a volte in misura notevole, con
coloro che sono in grado di cavarsela da soli (4). Si vedano, al riguardo, le
tabelle 1, 2 e 3 inserite nell’allegato 2.
3. Proposte di adeguamento del decreto
221/1999
Si chiede che il decreto 221/1999 sia modificato
assumendo come riferimento gli stessi principi stabiliti attualmente o da
introdurre per l’integrazione al minimo delle pensioni, la maggiorazione
sociale delle pensioni, l’assegno e la pensione sociale.
Sarebbe, infatti, estremamente antietica una
situazione in base alla quale le suddette prestazioni monetarie a carattere
permanente (che sono di natura assistenziale) continuassero ad essere fornite,
come è stato in precedenza evidenziato, anche a persone aventi redditi
sufficienti per vivere e in possesso di beni anche consistenti, nel caso in cui
criteri differenti fossero assunti per le prestazioni assistenziali erogate dai
Comuni.
Ciò premesso, a nostro avviso il decreto 221/1999
dovrebbe essere modificato sulla base delle seguenti indicazioni:
a) gli utenti dei servizi assistenziali devono
contribuire al pagamento delle prestazioni ricevute non solo in base, come
avviene oggi, ai redditi personali, ma anche in relazione ai patrimoni
immobiliari (alloggi, negozi, ecc.) e mobiliari (azioni, titoli di Stato, ecc.)
posseduti;
b) per le prestazioni domiciliari (aiuti economici,
pulizia dell’alloggio, pasti a domicilio, ecc.) si dovrebbe tener conto della
situazione economica dell’intero nucleo familiare convivente; per gli altri
interventi (frequenza centri diurni, accoglienza presso comunità alloggio,
ecc.) occorrerebbe prendere come riferimento esclusivamente le condizioni
finanziarie dell’utente;
c) dovrebbe essere soppressa la norma (art. 2, comma 5)
che consente ai Comuni di «assumere come
unità di riferimento una composizione del nucleo familiare» diversa da
quella prevista dalle leggi vigenti per la famiglia anagrafica;
d) nel campo dell’assistenza (prestazioni di aiuto
economico e/o domiciliare, inserimento presso centri diurni di handicappati
maggiorenni con limitata o nulla autonomia, accoglienza presso comunità
alloggio, ecc.), i decreti 109/1998 e 221/1999 dovrebbero essere applicati
esclusivamente sulla base delle norme approvate dai Comuni per le prestazioni
non assistenziali (frequenza asili nido, soggiorni di vacanza, turismo urbano e
extraurbano, ecc.);
e) occorrerebbe che venissero definiti i criteri
occorrenti per una corretta individuazione del minimo vitale e per evitare
assurde disparità di trattamento fra Comuni anche limitrofi e soprattutto fra i
Comuni appartenenti allo stesso Consorzio.
* * *
Allegato 1
Nota del 15 ottobre 1999, prot. DAS,
625/UL-607, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio legislativo
del Ministro per la Solidarietà sociale
(*)
Oggetto:
Applicazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in relazione
all’obbligazione agli alimenti di cui all’articolo 433 del codice civile.
In riferimento alla nota di codesta Associazione n.
740/PSA/LB/rs dell’8 ottobre 1999, con la quale si chiede di conoscere l’avviso
del Dipartimento per gli affari sociali in ordine a questioni connesse alla
disciplina dell’ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) e a
quella prevista dal codice civile in materia di obbligazioni alimentari
(articoli 433 e seguenti c.c.), si fa presente quanto segue:
1. La disciplina relativa ai criteri unificati di
valutazione delle condizioni economiche di coloro che richiedono prestazioni
sociali agevolate (decreto legislativo n. 109 del 1998 e successivi decreti
applicativi) non interferisce in alcun modo con la disciplina relativa
all’obbligazione patrimoniale agli alimenti, prevista dagli articoli 433 e
seguenti del codice civile. Infatti, il nucleo familiare del richiedente viene
in considerazione unicamente per il calcolo dell’ISEE del richiedente
medesimo, e non per altri fini, e men che mai per l’individuazione dei soggetti
obbligati alla prestazioni degli alimenti. Per inciso, si osserva che il nucleo
familiare rilevante per l’ISEE è composto tipicamente dal richiedente la
prestazione agevolata, dalla sua famiglia anagrafica e dai soggetti a carico a
fini IRPEF, mentre l’articolo 433 del codice civile considera altre relazioni
che possono o meno coincidere con la famiglia anagrafica. In ogni caso i due
piani non possono essere confusi; così, per individuare il soggetto obbligato
alla prestazione degli alimenti, dovrà sempre farsi riferimento all’articolo
433 del codice civile, indipendentemente dal fatto che il medesimo soggetto sia
presente o meno nel nucleo familiare del richiedente. Del contrario non c’è
traccia (e non poteva esserci, vista la finalità dell’ISEE e i principi di
delega) né nel decreto legislativo n. 109 del 1998 né, ovviamente, nei decreti
attuativi. I testi normativi richiamati non offrono alcun margine per una
diversa interpretazione. In tale contesto, si condivide l’avviso del Ministero
dell’interno, espresso nella nota n. 190 e 412B.5 dell’8.6.99, circa il fatto
che l’adempimento dell’obbligazione patrimoniale agli alimenti di cui
all’articolo 433 del codice civile debba essere richiesto dal soggetto
interessato e non dalle pubbliche amministrazioni.
2. Ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto
legislativo n. 109 del 1998, è possibile, da parte dell’ente erogatore,
individuare un nucleo familiare diverso da quello tipizzato dall’articolo 2 del
decreto medesimo (come successivamente precisato dall’articolo 2 del DPCM 7
maggio 1999, n. 221). Dette disposizioni stabiliscono solo che ciò possa
avvenire “per particolari prestazioni”, richiedendosi, pertanto, l’adeguata
motivazione della diversa identificazione del nucleo-tipo, da assumere invece a
riferimento per la generalità delle altre prestazioni; per le suddette
particolari prestazioni è pertanto possibile che sia assunto a riferimento un
nucleo composto da una sola persona. Del resto, esiste già nell’ordinamento
(decreto legislativo 24 aprile 1998, n. 124, sulla partecipazione degli utenti
al costo delle prestazioni sanitarie) un caso che va in tal senso (anziano
convivente, di età superiore ai 65 anni), quantunque corretto dalla necessaria
presenza nel nucleo familiare del coniuge non legalmente ed effettivamente
separato.
3. Si ritiene, infine, corretta (e necessaria)
l’interpretazione secondo la quale il diretto beneficiario di prestazioni
assistenziali costituisce di norma il soggetto richiedente la prestazione
agevolata. In tal senso, nel modello di dichiarazione sostitutiva, adottato con
DM 29 luglio 1999, è espressamente previsto il caso della dichiarazione (e
quindi della domanda di prestazione sociale agevolata) effettuata dal tutore
per conto dell’incapace. L’identificazione di un soggetto quale richiedente la
prestazione sociale agevolata deve rispondere ad obiettivi criteri di
ragionevolezza, e non può essere effettuata al fine di aggirare la disciplina
dell’ISEE. Pertanto, ad esempio, mentre per servizi e prestazioni rivolti ai
minori, laddove la prestazione sia collegata all’adempimento di una
obbligazione di tipo familiare, è ragionevole identificare in via esclusiva il
richiedente nel soggetto esercente la potestà genitoriale, per altre
prestazioni ciò non appare possibile, soprattutto quando il beneficiario del
servizio o della prestazione (l’assistito) è persona maggiorenne, quantunque
incapace. Ciò non vuol dire escludere necessariamente dal novero dei soggetti
richiedenti anche altri soggetti
componenti del nucleo familiare identificato ai fini ISEE; vuol dire, però, che
l’assistito deve essere considerato sempre nel novero dei richiedenti, lasciando
così a lui, o al suo tutore, la possibilità di richiedere direttamente la
prestazione, risultando pertanto direttamente obbligato verso la pubblica
amministrazione nel caso in cui sussista l’obbligo di partecipazione al costo
del servizio.
4. È utile ricordare che il sistema dell’ISEE non
sopprime gli attuali spazi di autonomia sulle scelte politico-amministrative
connesse all’estensione dell’intervento pubblico in materia di assistenza;
l’ISEE obbliga unicamente a seguire un metodo più equo per valutare l’effettiva
situazione economica delle persone da ammettere al godimento di prestazioni sociali agevolate, quando
cioè un’agevolazione sia prevista in relazione all’erogazione di un servizio,
dotando il sistema di valutazione della necessaria forza giuridica dal punto di
vista dei controlli su redditi e patrimoni. Risulta, perciò, evidente che
l’introduzione dell’ISEE non comporta alcuna automatica diminuzione dei livelli
generali di assistenza o il disimpegno finanziario degli enti erogatori. In realtà,
la responsabilità di restringere o ampliare lo spazio dell’impegno finanziario
pubblico sui servizi sociali è in capo agli enti erogatori, e ciò è
indipendente dall’ISEE, ed attiene invece alla individuazione delle soglie di
accesso. Si tratta, per l’appunto, di una scelta politico-amministrativa, a
fronte della quale il sistema di valutazione delle condizioni economiche
dell’utenza può essere più o meno efficace (ed è auspicabile che lo sia, per
evitare ingiustizie nel trattamento degli utenti), ma ha un effetto “neutro”,
può cioè essere sempre lo stesso ed essere utilizzato per politiche di maggiore
o minore favore verso la generalità degli utenti. In altri termini: non è il
sistema di valutazione ad essere più o meno restrittivo, quanto la scelta politica
e di bilancio che è alla base della sua utilizzazione, e che si realizza
principalmente, come si è detto, attraverso l’individuazione delle soglie di
accesso alle prestazioni agevolate.
(1) La prima parte dell’art.
610 del codice penale dispone quanto segue: «Chiunque,
con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche
cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». La Suprema Corte di
Cassazione ha precisato che «ai fini del
delitto di violenza privata non è richiesta una minaccia verbale o esplicita,
essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il
soggetto passivo sia verso altri, idoneo a incutere timore ed a suscitare la
preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere, mediante tale
intimidazione, che il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od
omettere qualcosa». (Cfr. l’articolo di E. Brugnone, “Abbandono di anziani
malati cronici non autosufficienti e minacce contro i familiari: profili
penali”, Prospettive assistenziali, n.
124, ottobre-dicembre 1998).
(2) Il terzo comma dell’art.
3 del decreto legislativo 109/1998 stabilisce quanto segue: «Restano ferme le disposizioni vigenti che
attribuiscono alle amministrazioni dello Stato e alle Regioni la competenza a
determinare criteri per l’uniformità di trattamento da parte di enti erogatori
da essi vigilati o comunque finanziati». In sostanza le Regioni possono, ma
non sono obbligate a determinare i criteri uniformi, nemmeno per quanto
riguarda i Comuni che svolgono le attività assistenziali a livello associativo.
Anche in questo caso occorrerebbe definire l’obbligatorietà dell’intervento
regionale.
(3) Dati tratti da “La spesa
per l’assistenza. Documento di base n. 3 della Commissione Onofri per l’analisi
delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale”, redatto da F. Bimbi,
P. Bosi, F. Ferrera e C. Saraceno.
(4) Si osservi che, da
informazioni fornite dall’INPS, non vi sono pensionati, invalidi compresi, che
abbiano denunciato il possesso di beni mobili quali BOT, CCT, BTP, fondi comuni
e altri investimenti. Ricordiamo anche la denuncia del Segretario generale
della UIL, Pietro Larizza (cfr. La Stampa
del 10 marzo 1999) secondo cui in testa alle pensioni d’oro ci sono i
consiglieri regionali: «Quasi tutti
maturano il diritto alla pensione minima con soli 5 anni di mandato al
compimento del sessantesimo anno di età: si va dal 17,5% dello stipendio in
Friuli, fino al 60% in Sardegna. E per i lavoratori dipendenti, 5 anni di
contributi valgono appena il 10% della futura pensione. Il massimo della
pensione i consiglieri regionali l’ottengono dopo tre o quattro legislature con
un assegno che va dal 50% all’80% dello stipendio: il massimo è l’80% dopo 20
anni in Sicilia, ma in Veneto si ha il 70% con 12 anni e in Sardegna il 75% con
15». Altra grande disparità, quella che permette a consiglieri, deputati,
senatori, commissari e parlamentari europei di trasferire le pensioni agli
eredi per una quota pari al 60%; «mentre
per gli altri lavoratori – dice Larizza – la quota di reversibilità
si riduce all’aumentare del reddito del coniuge superstite, per parlamentari e
consiglieri il 60% resta sempre fermo». Inoltre la pensione degli eletti è
cumulabile con altri redditi e pensioni, «per
cui si può arrivare all’assurdo, per esempio, di un medico libero
professionista che è anche professore universitario e poi deputato e
parlamentare europeo che cumula 4 pensioni».
(*) La nota, emanata quale
risposta ad una richiesta di parere avanzata dall’ANCI nazionale, accoglie
alcune richieste presentate dal CSA al Ministro, on. Livia Turco..
Allegato 2
Tabella 1 - Trattamento minimo pensioni INPS per il
1999: due casi limite (**)
Pensionato Proprietario Altri patrimoni Importo Pensione annua Integrazione al Importo annuo
di vecchiaia della casa immobiliari reddito familiare conseguita in base minimo annua disponibilità
in cui
abita posseduti annuo ai contributi versata
dall’INPS economiche
versati
all’INPS nel 1999 complessive
Signor A No Nessuno Zero L. 2.400.000 L.
6.824.150 L. 9.224.150
Signor B Appartamento Alcuni
alloggi L.
35.224.150
del valore
di per un importo oltre
ai beni immo-
di L. 500
milioni di 1 miliardo 26 milioni L. 2.400.000 L.
6.824.150 biliari del valore
di
L. 1,5 miliardi
Ai fini
dell’integrazione al minimo:
1. per
le pensioni con decorrenza anteriore al 1994, si tiene conto soltanto dei
redditi del pensionato. L’integrazione è intera se il reddito è inferiore
(1999) a L. 9.224.150; è ridotta se il reddito è compreso fra L. 9.224.151 e
18.448.299; non spetta nessuna integrazione se il reddito è superiore a L.
18.448.300;
2. per
le pensioni con decorrenza nell’anno 1994, si tiene conto sia dei redditi del
titolare, sia dei redditi cumulati con quelli del coniuge. Essi devono essere
inferiori a cinque volte l’importo annuo della pensione minima. Pertanto
l’integrazione è intera se il reddito cumulato per il 1999 è inferiore a L.
36.896.600; è ridotta se il reddito è compreso fra L. 36.896.601 e L.
46.120.749; non spetta alcuna integrazione se il reddito è superiore a L.
46.120.750;
3. per
le pensioni con decorrena dal 1995 in poi, il limite di reddito cumulato con il
coniuge è pari a quattro volte la pensione minima INPS. Pertanto l’integrazione
è intera se il reddito è inferiore a L. 27.672.450; è ridotta se il reddito è
compreso fra L. 27.672.451 e L. 36.896.599; non spetta alcuna integrazione se
il reddito è superiore a L. 36.896.600.
Dal
calcolo dei redditi sono esclusi:
- i
redditi esenti da IRPEF (pensioni di guerra, rendite INAIL, pensioni degli
invalidi civili, ecc.);
- i
trattamenti di fine rapporto e le relative anticipazioni;
- il
reddito della casa di proprietà in cui si abita;
- gli
arretrati sottoposti a tassazione separata;
-
l’importo della pensione da integrare al minimo.
Chi ha diritto
al minimo può avere anche una maggiorazione se non ha redditi oltre alla
pensione e se il coniuge ha un reddito non superiore all’importo annuo
dell’assegno sociale INPS. La maggiorazione è di L. 30 mila al mese per 13 mesi
per i pensionati la cui età è compresa fra i 60 e i 65 anni; di L. 80 mila per
coloro che hanno più di 65 anni.
La
recente legge di riforma delle pensioni esclude che si applichi ancora il
beneficio della integrazione al trattamento minimo nel caso di pensione
contributiva. Chi ha iniziato a lavorare per la prima volta dopo il 1° gennaio
1996 non può più avere la pensione al minimo: la rendita è rapportata ai
contributi versati, senza alcuna integrazione.
Tabella 2 - Assegno sociale: due casi limite
Titolare di Proprietario della Altri
patrimoni Importo reddito Importo annuo (1999) Importo annuo dispo-
assegno sociale casa in cui abita immobiliari
posseduti coniugale annuo dell’assegno sociale nibilità economiche
complessive
Signor A No Nessuno Zero L. 8.005.400 L. 8.005.400
Signor B Alloggio del valore Altri
due alloggi del L.
16.005.400 oltre ai
di
200 milioni valore di 250 milioni L. 8.000.000 L. 8.005.400 beni
immobili del
valore
di 250 milioni
Ai fini
dell’erogazione dell’assegno sociale non costituiscono reddito:
- i
trattamenti di fine rapporto e le anticipazioni sugli stessi;
- le
competenze arretrate soggette a tassazione separata;
- il
proprio assegno sociale;
- la
casa di proprietà in cui si abita;
- la
pensione liquidata, secondo il sistema contributivo, per un importo pari ad 1/3
della pensione stessa e comunque non oltre 1/3 dell’assegno sociale;
- i
trattamenti di famiglia;
- le
indennità di accompagnamento di ogni tipo, gli assegni per l’assistenza
personale continuativa erogati dall’INAIL nei casi di invalidità permanente
assoluta, gli assegni per l’assistenza personale e continuativa pagati
dall’INPS ai pensionati per l’inabilità;
-
l’indennità di comunicazione per i sordomuti;
-
l’assegno vitalizio pagato agli ex combattenti della guerra 1915-1918 e
precedenti.
Tabella 3 - Assegno (o pensione) sociale agli
invalidi civili ultrasessantacinquenni
Invalido civile Proprietario della Altri
patrimoni Importo reddito Importo annuo (1999) Importo annuo dispo-
totale casa in cui abita immobiliari
posseduti coniugale annuo dell’assegno sociale nibilità economiche
complessive
Signor A No Nessuno Zero L. 6.557.200 L. 6.557.200
Signor B Alloggio del valore Altri
due alloggi del L.
20.557.200 oltre ai
di
300 milioni valore complessivo L. 14.000.000 L. 6.557.200 beni
immobili del
di
L. 300 milioni valore
di 600 milioni
-
L’assegno sociale viene erogato solo agli invalidi civili che hanno raggiunto i
65 anni dopo il 1° gennaio 1996. Agli altri viene erogata la pensione sociale
il cui importo annuo nel 1999 è stato di L. 5.257.200.
- Agli
invalidi civili di età inferiore ai 65 anni, l’importo annuo complessivo della
pensione è stato nel 1999 di L. 5.135.780.
- Per le
pensioni di invalidità civile si tiene conto esclusivamente dei redditi dell’interessato
e mai di quelli del coniuge o di altri familiari. Il limite di reddito annuo
nel 1999 era di L. 23.211.775. Nel calcolo non si tiene conto dei patrimoni
dell’interessato, ma solo dei loro redditi, esclusa la casa di abitazione di
proprietà dell’invalido.
(**) Le tre tabelle sono state riprese dall’articolo
“Per la creazione di un nuovo settore: la sicurezza sociale”, apparso sul n.
121, gennaio-marzo 1998 di Prospettive
assistenziali.
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