Prospettive assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999

 

 

Interrogativi

 

 

VERRANNO FINALMENTE ABOLITI I PRIVILEGI ILLEGITTIMI DELL'ANMIC?

 

Riportiamo l'interrogazione urgente con risposta scritta presentata al Presidente del Consiglio dei Ministri in data 28 ottobre 1999 dall'On. Diego Novelli.

 

«Per sapere se è stato informato che I'ANMIC (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili) utilizza gli elenchi che gli sono trasmessi dalle Commissioni preposte per l'accertamento dell'in­validità per inviare alle persone che hanno presen­tato domanda per il riconoscimento dell'invalidità la seguente lettera: "La S.V. è invitata a recarsi, munita del verbale d'invalidità, presso questa sede (Via ..., n. ..., orario ...). La persona invalida può anche essere rappresentata da un parente o da una persona di fiducia".

«Mentre nella suddetta lettera è inserito anche il seguente Post Scriptum "La presente informativa è resa ai sensi dell'art. 10 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 e successive modificazioni", la con­vocazione non è assolutamente disposta dall'ANMIC in merito alle finalità di cui al sopra citato art. 10, ma esclusivamente allo scopo di incrementare il numero dei propri associati.

«D'altra parte le leggi vigenti non affidano all'ANMIC alcun compito particolare, salvo la desi­gnazione di un proprio rappresentante in seno alle commissioni per l'accertamento dell'invalidità, designazione affidata all'ANMIC dalla legge 118/1971 e cioè quando era un ente pubblico.

«Attualmente I'ANMIC è un ente privato a tutti gli effetti e non ha alcuna connotazione diversa da quella delle altre organizzazioni di tutela delle per­sone con handicap.

«Ad avviso dell'interrogante la trasformazione dell'ANMIC da ente pubblico a organizzazione pri­vata stabilita dal DPR 23 dicembre 1978 ha anche comportato l'abrogazione delle norme dell'art. 8, comma 4, della legge 118/1971 in base alle quali i segretari delle Commissioni sanitarie preposte all'accertamento dell'invalidità dovevano comuni­care all'ANMIC l'esito degli accertamenti e con­temporaneamente trasmettere alla stessa ANMIC gli elenchi dei soggetti sottoposti a visita.

«Difatti nel 1971 I'ANMIC, in base alle disposi­zioni allora vigenti (cfr. l'art. 2 della legge 23 aprile 1965 n. 458) aveva il compito di fornire l'assisten­za morale e materiale ai mutilati e invalidi civili "anche se non associati, nonché la rappresentan­za e la tutela dei loro interessi presso le pubbliche Amministrazioni e presso tutti gli enti e istituti che hanno per scopo l'educazione, il lavoro e l'assi­stenza ai mutilati e invalidi civili".

«Questi compiti attualmente non sono più svolti dall'ANMIC in base ad una funzione prevista da una legge: è invece una attività che può (e non deve) essere assolta da tutte le organizzazioni pri­vate di tutela dei mutilati e invalidi civili, ovviamen­te ANMIC compresa.

«Alla luce di quanto esposto l'interrogante chie­de che il Presidente del Consiglio dei Ministri inter­venga con la massima urgenza possibile nei con­fronti del Garante per la protezione dei dati perso­nali affinché riesamini il parere rilasciato all'ANMIC con lettera del 17 settembre 1997 a firma dell'ing. Claudio Marganelli».

Saranno finalmente aboliti gli illegittimi privilegi dell'ANMIC?

 

 

LA PROVINCIA DI TORINO VUOLE RITORNARE AI GHETTI?

 

Nel 1998 la Provincia di Torino aveva deciso di ristrutturare una parte consistente dei locali dell'IPAB "Educatorio della Provvidenza", con sede in Torino, Corso Trento 13 allo scopo di trasferirvi la comunità alloggio per minori sita in Torino, Via Lodi 10 e le tre comunità per gestanti e madri sistemate nella vecchia sede dell'Isti­tuto provinciale per l'infanzia di Torino, Cor­so Lanza 75.

Per i necessari lavori di riadattamento, la Provincia di Torino aveva stanziato ben tre miliar­di e trecento milioni.

II CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, si era vigorosamente opposto all'iniziativa, in quanto gravemente emarginante era la concentrazione in un unico edificio di perso­ne con problemi, per le quali è indispensabile fare tutto il possibile per favorire l'inserimento in nor­mali contesti sociali.

Successivamente, invece di richiedere la messa a disposizione dei quattro alloggi in stabili diversi all'ATC, Agenzia territoriale per la casa (ex IACP) e al Comune di Torino (che dispone di patrimoni immobiliari di ex IPAB del valore di mille miliardi), la Provincia di Torino ha stabilito di sistemare i minori, le gestanti e le madri in un unico stabile, quello di Torino, Via Scarafiotti, giustificando la scelta con la necessità di risparmiare sul persona­le notturno!

Immediata è stata la reazione del CSA che ha anche distribuito un volantino in cui era scritto che «la soluzione è inaccettabile e la Provincia dovreb­be vergognarsi anche solo a proporla».

Non ritiene l'Assessore all'assistenza della Provincia di Torino che tutti i soggetti in difficoltà abbiano non solo il diritto di essere assistiti, ma anche quello di essere aiutati a trovare un nuovo percorso di vita?

Ha senso risparmiare poche centinaia di migliaia di lire e rischiare di far fallire, a causa dell'emargi­nazione e dell'isolamento, un percorso finalizzato all'autonomia personale e sociale?

Se non ottiene l'assegnazione degli alloggi dall'ATC o dal Comune di Torino, perché la Provincia non utilizza i 3 miliardi e 300 milioni già stanziati per acquistare i locali necessari?

Non è giunto il momento di porre fine all'odissea dei sette minori già accolti nella comunità alloggio di Via Lodi, che in un anno sono stati trasferiti per ben due volte in altri appartamenti?

 

 

PERCHÉ ANCHE I VALDESI NEGANO LO STATO DI MALATTIA DEGLI ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI?

 

II Rifugio Re Carlo Alberto di Luserna S. Giovanni (Torino), in occasione del centenario del­l'istituto (1888-1998), ha pubblicato un libretto che reca il titolo "La persona anziana e la qualità della vita" con interventi del Pastore Alberto Taccia, dei medico Danilo Mourgia e della scrittrice Elena Ravazzini Corsani.

Nella presentazione, Bruno Rostagno afferma giustamente che «il servizio di un istituto (...) esige aggiornamento del tipo di assistenza, e soprattutto rispetto per la persona di chi nell'istituto viene ad abitare, che non va considerato come oggetto di un trattamento, bensì come autentico protagoni­sta, a cui ogni attività va finalizzata. Per questo abbiamo messo al centro di questo quaderno il tema della qualità della vita».

Ma come può essere assicurata la qualità della vita se non si ammette che la stragrande maggio­ranza degli anziani che è attualmente ricoverata nell'istituto è colpita da malattie invalidanti e da non autosufficienza? Come è possibile rispettare la dignità delle persone, se c'è il rifiuto pregiudizia­le di riconoscere la loro condizione di malati non guaribili?

Perché i tre relatori non dicono una sola parola al riguardo?

I malati inguaribili non hanno più diritti?

 

 

NON È INQUIETANTE IL "PROGETTO INSIEME" DELLA COMUNITÀ DI CAPODARCO?

 

Come abbiamo riferito più volte, il testo di riforma dell'assistenza prevede che i patrimoni delle IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ammontanti a 37-50 mila miliardi (1), non siano più destinati esclusivamente alle persone in gravi diffi­coltà socio-economiche, ma possano essere utiliz­zati anche a favore di coloro che hanno i mezzi sufficienti per provvedere alle loro esigenze.

II valore dei suddetti beni mobiliari (azioni, titoli di Stato, ecc.) e immobiliari (alloggi, negozi, terreni, ecc.) è più che sufficiente per la creazione delle strutture necessarie per la fascia più debole della popolazione: comunità alloggio, centri diurni, ecc.

Finora la Comunità di Capodarco, nonostante la sua rilevante influenza, non ha mai richiesto pub­blicamente l'utilizzo dei patrimoni delle IPAB per le persone ed i nuclei familiari in condizioni di biso­gno, né ha mai aperto alcuna vertenza con i Comuni per rivendicare il rispetto delle leggi che, fin dal secolo scorso, li obbligano a garantire l'as­sistenza alle persone incapaci di provvedere alle proprie esigenze.

Purtroppo nelle scorse settimane la Comunità di Capodarco, con la collaborazione del Corriere della Sera, del TG5 e del Banco Ambrosiano Veneto, ha predisposto il "Progetto insieme" per raccogliere i fondi occorrenti per la realizzazione di non meglio precisate "strutture di accoglienza" per i soggetti con handicap privi di sostegno familiare.

Saranno strutture come quella in costruzione a Roma per 30 utenti?

Nel n. 124, ottobre-dicembre 1998, avevamo chiesto a Don Franco Monterubbianesi, fondatore della Comunità di Capodarco ed agli altri dirigenti della suddetta organizzazione, se non ritenevano che un complesso per 30 persone con handicap e con limitata o nulla autonomia non fosse destinato a diventare un ghetto.

Ripetiamo un'altra domanda rimasta finora senza risposta: «La presenza delle persone con handicap nel vivo del contesto abitativo non è una condizione assolutamente irrinunciabile per l'effet­tivo riconoscimento della loro dignità?».

Inoltre, vorremmo sapere dai promotori del "Progetto insieme" quali sono gli orientamenti indi­viduati per la gestione delle previste "strutture di accoglienza", tenuto conto che per i soggetti non autonomi l'attuale retta giornaliera ammonta a 200-250 mila lire e, quindi, l'onere economico, per una comunità di 10 posti, è di 700-900 milioni all'anno.

 

(1)     Cfr. l'editoriale del n. 127 di Prospettive assistenziali.

 

 

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