Prospettive
assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999
LA RIFORMA DELLA LEGGE 184/1983: LE PROPOSTE DEL COORDINAMENTO NAZIONALE DEI SERVIZI PER GLI
AFFIDAMENTI FAMILIARI
È proseguito
l’esame da parte della Commissione speciale “Infanzia” del Senato del testo
unificato per la riforma della legge 184/1983 sull’adozione e l’affido
predisposto dal relatore Sen. Calligaro, testo che è stato integralmente riportato
sul n. 126 di Prospettive
assistenziali insieme alle nostre
preoccupate osservazioni critiche.
In data 2
luglio 1999 il Coordinamento nazionale dei servizi affidamenti familiari ha
illustrato al Presidente della suddetta Commissione il documento che riportiamo
e condividiamo.
Segnaliamo
che al Coordinamento, costituito nel 1996, aderiscono i Servizi affido di una
cinquantina di Comuni fra i quali quelli dei Comuni di Ancona, Bologna,
Catania, Firenze, Genova, Milano, Modena, Nuoro, Padova, Palermo, Pesaro, Roma,
Torino, Trieste, Venezia e Vicenza, e delle Province di Lecce, Perugia, Roma,
Terni e Trento.
La segreteria
nazionale del Coordinamento ha sede presso il Coordinamento provinciale affidi
di Roma, Via Villa Pamphili 84, tel. 06.67.66.52.50.
Testo del
documento
Il Coordinamento nazionale dei servizi affidamenti
familiari – CNSA – intende contribuire alla riflessione sulla proposta del
“Testo unificato in materia di adozioni”, recentemente redatto dal competente
Comitato ristretto parlamentare.
L’esperienza maturata dai Servizi socio-sanitari
aderenti al Coordinamento, le riflessioni emerse dal privato sociale, la
letteratura in materia sinora prodotta, permettono di confermare la validità
della maggior parte degli articoli della legge n. 184/1983, ma suggeriscono, al
contempo, la necessità di integrare e perfezionare gli articoli relativi
all’affidamento familiare.
L’affido, infatti, si è attestato in questi anni come
strumento flessibile ed adeguato nel rispondere ai diversi e molteplici bisogni
dei bambini e delle loro famiglie; si ritiene, tuttavia, necessaria una sua
rivisitazione, anche sul piano giuridico, che non può non tenere conto del percorso
che i servizi hanno maturato in termini di esperienza e di riflessione teorica
negli anni di applicazione della legge.
Da un attento esame del testo di modifica della legge
184/1983, il Coordinamento nazionale dei Servizi affidamenti familiari ha formulato
delle osservazioni che di seguito si riportano, secondo l’articolato normativo
proposto.
Art. 1 - Si condivide e apprezza l’attenzione posta nel
ribadire “il diritto del minore ad essere educato nell’ambito della propria
famiglia” e nel confermare la necessità di rimuovere le cause che determinano
l’allontanamento del minore dalla propria famiglia d’origine, ma, al contempo,
ci si domanda a cosa si riferisca il legislatore con l’affermazione “condizione
di povertà”. Non risulta, infatti, chiaro se sia sottintesa una condizione di
povertà in senso economico oppure una situazione di più ampio disagio;
nell’esperienza sino ad oggi maturata, il solo disagio economico non ha mai
costituito motivo di allontanamento di un minore dal proprio nucleo famigliare.
Più spesso le cause sono riferibili a situazioni multiproblematiche e di più
ampia inadeguatezza genitoriale, sebbene temporanea, dove povertà viene intesa
come “povertà di risorse e strumenti non solo personali, ma anche del nucleo
familiare allargato”.
L’intervento dell’Ente locale, pertanto, non è spesso
sufficiente a rimuovere le cause di detto disagio, per contrastare il quale
dovrebbero agire in rete più livelli istituzionali, quali, ad esempio, le
politiche sull’occupazione, la casa, la scuola, la sanità, ecc.
Per contro, i Servizi sociali territoriali non vengono
richiamati al ruolo che loro compete nella attuazione dell’affido, in quanto
promotori e gestori dell’intervento sia nella predisposizione del progetto
mirato a favore di ciascun minore in difficoltà, sia nella sensibilizzazione
del territorio, nonché nella messa in rete delle risorse pubblico-privato
sociale, nella relazione e mediazione con la famiglia del minore, la famiglia
affidataria, il minore stesso. I Servizi vengono, infatti, relegati ad un ruolo
residuale di vigilanza e controllo, limitando a questi soli ambiti l’intervento
e disconoscendone le funzioni istituzionali ad essi assegnati dal DPR 616/1977
e successive normative.
L’intervento professionale di servizio sociale è preso
in considerazione esclusivamente nell’art. 5, quale evento eccezionale,
condizionato da “una richiesta”, seppur non venga specificata la titolarità del
soggetto richiedente.
Art. 2 - L’accoglienza va, più opportunamente, riferita ad
un nucleo familiare che non ad una “famiglia possibilmente con figli minori”.
Ciò può dar adito ad escludere tutte le attuali modulazioni familiari, che
hanno, nella nostra esperienza, contribuito validamente alla realizzazione dei
progetti di affido (ad es. single, coppie senza figli o con figli maggiorenni,
coppie conviventi, ecc.). La stessa varietà dei bisogni legati all’età ed alla
diversa condizione di ciascun minore richiedono risposte di accoglienza
differenziate.
La vigente formulazione normativa “temporaneamente
privo di ambiente familiare idoneo” si conferma maggiormente significativa
rispetto alla dicitura proposta di “adeguata assistenza familiare”, che rischia
di evocare superate modalità di intervento sociale basate sulla mera erogazione
di prestazioni anziché sul lavoro per progetti individuali che offrano risposte
articolate in risposta a diversificati bisogni.
Art. 4 - La marginalità dell’Ente locale trova ulteriore
conferma nel sottrarre ad esso la disposizione dell’affido consensuale, che
verrebbe viceversa disposto dal Giudice tutelare, mentre rimangono invariate le
competenze del Tribunale per i minorenni.
Questa modifica connoterebbe ulteriormente l’affido
come intervento a carattere unicamente giudiziale snaturando il significato di
consensualità, intesa come “incontro tra le parti per il benessere del minore”,
frutto di una convergenza, anche mediata dagli operatori del servizio sociale,
tra la famiglia naturale e quella affidataria, cui potrebbe conseguire un
aumento delle resistenze del nucleo d’origine del minore e rendere, quindi, più
difficile l’attuazione dell’intero progetto affido.
Il Servizio sociale dell’Ente locale, all’interno di
una valutazione complessiva dei bisogni e degli interventi necessari, è
responsabile della formulazione del progetto di affido comprendente anche le
modalità e le frequenze dei rapporti fra il minore e la sua famiglia, tra
quest’ultima ed il nucleo accogliente.
La durata dell’affido è, nella nostra esperienza,
conseguente alla specificità della situazione del minore e della sua famiglia.
Una definizione temporale rigida contrasta con l’esperienza maturata in questi
anni sia dagli operatori che dai giudici minorili, che hanno verificato la
positività dell’affido anche a lungo tempo.
Si ritiene che “temporaneo” debba essere inteso nel
senso di “tutto il tempo necessario perché la condizione di disagio cessi”, ma
occorre considerare anche l’esistenza di situazioni nelle quali il minore ha
bisogno stabilmente sia di accoglienza, sia della compresenza dei due nuclei
familiari.
Per contro, si è da tempo sperimentato l’affidamento
part-time o diurno, già citato nella legge 285/1997, che riteniamo debba
trovare una sua collocazione all’interno della modifica della legge.
Art. 5 - Sulla questione del mantenimento del minore da
parte degli affidatari, è stato ampiamente verificato quanto sia necessario
definire per legge l’obbligo dell’Ente locale a: contribuire economicamente,
attivare servizi complementari e prevedere le opportune coperture assicurative
in quanto:
– i nuclei accoglienti sono volontari e non può
ricadere unicamente sulle loro risorse il mantenimento del minore;
– le possibilità economiche non devono condizionare la
disponibilità all’accoglienza, che si caratterizza come rilevante ai fini
sociali per altre capacità;
– il contributo economico, a titolo di rimborso spese,
rinforza l’idea che gli affidatari stiano offrendo un servizio alla comunità
locale ed, implicitamente, contribuisce a scoraggiare fantasie appropriative ed
obbliga l’Ente locale a non delegare tout
court le competenze di tutela dei minori a disagio;
– occorre scongiurare il rischio che gli Enti locali,
meno sensibili ed attivi sulla materia minorile, si sottraggano ai loro doveri
istituzionali.
Considerazioni
aggiuntive
Per ogni minore che vive una situazione di disagio è
indispensabile la formulazione di un progetto ad hoc, che tenga conto dei suoi bisogni e della situazione
familiare.
Nelle situazioni in cui si rende inevitabile
l’allontanamento di un minore dal nucleo d’origine, l’inserimento in strutture
educativo-residenziali può rivelarsi opportuno in quanto:
– propedeutico all’affidamento familiare;
– in attesa di definizione da parte del Tribunale per
i minorenni;
– per pronto intervento;
– non si ritiene tollerabile per il ragazzo il
riproporsi di dinamiche familiari.
A fronte di questo ipotetico scenario, si ribadisce,
ove possibile, la priorità dell’affidamento.
La legge 184/1983 ha ingenerato discussioni per aver
previsto fra i soggetti affidatari le comunità di tipo familiare. Si
condividono le definizioni contenute nella proposta di modifica pur rilevando
che sarebbe opportuno regolamentare, con apposita legge, l’inserimento di
minori in struttura educativo-assistenziale.
In questi ultimi 15 anni anche le strutture
residenziali si sono modificate e differenziate, operando per il
ridimensionamento numerico degli ospiti, per una gestione sempre più a
carattere familiare, per l’utilizzo di figure professionali attinenti.
Agli istituti a carattere tradizionale, che ancora
permangono sull’intero territorio nazionale, dovrebbe giungere un’indicazione
univoca, cogente, per una ristrutturazione in tempi sufficientemente brevi, che
si conformi a modelli organizzativi più adeguati alla personalizzazione delle
relazioni interpersonali con i minori ospiti. In modo simile all’affidamento
familiare, gli operatori e i giudici minorili dovrebbero monitorare i progetti
di inserimento in ogni tipo di struttura.
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