Prospettive assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999
1. Martedì
5 ottobre 1999, alle ore 10,00 davanti alla sede del Consiglio della Regione
Piemonte a Torino, in via Alfieri 15 ha avuto luogo un'azione di protesta
promossa dalle associazioni aderenti al CSA - Comitato per la difesa dei
diritti degli assistiti.
È stato chiesto il ritiro
immediato della delibera della Giunta regionale n. 70-1459 del 18.9.95, in base
alla quale le case di cura private convenzionate, allo scadere del 60° giorno
di ricovero, predispongono le dimissioni o il trasferimento dell'ammalato,
anche se il paziente non è guarito, come nel caso di un malato cronico e non
autosufficiente.
In contrasto con le leggi
vigenti, che prevedono il diritto alle cure sanitarie senza limiti di durata,
con la delibera n. 70/1995, la Regione Piemonte ha stabilito che, a partire
dal 61' giorno di degenza dell'ammalato nelle case di cura private
convenzionate, la retta di degenza venga decurtata del 40% pur in presenza
delle medesime condizioni del paziente e delle stesse evidenti esigenze
sanitarie.
Per non compromettere i propri
bilanci le case di cura provvedono, quindi, a dimettere comunque i pazienti,
anche se gravemente ammalati, dando luogo ad un pellegrinaggio tra una casa di
cura e l'altra che termina solo con la morte dell'ammalato 0 con la decisione
dei parenti di trasferirlo in una casa di riposo, inadeguata a prestare le cure
sanitarie necessarie e con l'esborso di ingenti somme.
Nell'interrogazione presentata
dall'attuale Presidente della IV Commissione del Consiglio regionale si legge
che un ammalato anziano cronico non autosufficiente e con problemi di sclerosi
multipla ha subito ben sei trasferimenti: Villa Turina, il 17.4.1997; Villa
Cristina, il 19.7.1997; Villa Augusta, il 24.9.1997; Villa Cristina, il
31.10.1997; Ospedale Maria Vittoria, il 14.12.1997; Villa Cristina, il
25.2.1998.
La manifestazione è stata indetta
perché dopo due anni di incontri, proteste e interrogazioni, ]'Assessorato alla
sanità della Regione Piemonte non ha mantenuto le promesse più volte fatte.
2. In
merito alle dimissioni imposte dalle case di cura private convenzionate alla
scadenza dei 60 giorni di degenza, riportiamo integralmente la lettera inviata
al CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti e al G.R.H. di
Druento (Torino):
«lo
sottoscritta 8.1., moglie di M.A. e residente in D., Via ... n...., mi rivolgo
con la presente alle Associazioni in indirizzo per denunciare come ancora a
tutt'oggi non sia garantito a mio marito M.A. di anni 60, malato gravemente del
morbo di Alzheimer, un posto definitivo in una RSA senza dover, trascorsi i 2
mesi di convenzione ASL, subire ulteriori trasferimenti, come se anziché essere
una persona umana (malata ma umana), fosse un pacco postale!
«Inizialmente,
non avendo dalle istituzioni risposte adeguate di cura e assistenza, ho cercato
privatamente un aiuto per poter continuare a lavorare dando così fondo alle
mie risorse finanziarie. E così da un anno i ricoveri sono stati così
effettuati:
- 1 ° settembre - 31 ottobre 1997 -
Casa di cura Villa Iris di Pianezza;
-
novembre-dicembre 1997 più 15 giorni gennaio 98 - Casa di cura Fatebenefratelli
di S. Maurizio Canavese;
- metà gennaio 1998 fino al 29 dello
stesso mese - Villa Cristina, Savonera;
- marzo 1998 - Villa Turina, S.
Maurizio Canavese.
«A questo
punto per non spostarlo ulteriormente l'ho fatto trattenere sempre a Villa
Turina, ma a pagamento e dalle ricevute fiscali si può vedere che in due mesi e
mezzo, cioè aprile-maggio e 15 giorni di giugno ho pagato la somma di L.
9.709.600.
«Luglio e
agosto 1998 è ritornato al Fatebenefratelli di San Maurizio. Dal mese di
settembre a tutt'oggi è nuovamente a Villa Turina, ma a fine mese dove lo
porto?
«Spero di
poter un giomo vedere che i diritti di mio marito e di tutti coloro che sono
nella mia stessa situazione siano ascoltati e rispettati. Per ora io non ne
posso più!
«Allego la
documentazione di valutazione medica in mio possesso e attendo con ansia una
risposta in merito.
«Autorizzo a pubblicare se si ritiene
opportuno quanto scritto».
3. Per
potersi sbarazzare degli anziani malati l'USL 9 di Chieri ha inventato la
diagnosi "convenzionale".
Il signor
P.F., nato nel 1914, viene visitato in data 14 luglio 1998 dal Servizio di
salute mentale di Nichelino dell'Azienda USL 8. La relazione medica era così
redatta: «Ad esame clinico psichiatrico il sig. P.F. presenta un grave deficit
delle funzioni mnesiche tipo Ribot con: a) perdita totale della memoria
recente; b) grave deficit della memoria intermedia; c) conservazione della
memoria remota. Non è quindi in condizione di ricordare quanto fatto il giorno
prima o soltanto poche ore prima, inoltre non risulta a conoscenza (per deficit
mnesici) del valore del denaro, ad esempio: "quanto costa un
giornale?" "1200 lire... mi sembra" "quanto costa
un'auto?" ... (lungo silenzio) ... "una volta ne avevo due ... non mi
ricordo più la marca". Come si vede, i deficit mnesici vengono colmati
dalle confabulazioni. Evidente il disorientamento - tempora-spaziale, non sa
riferire né dove si trova, né l'anno, solo con difficoltà la stagione.
Il personale
della struttura riferisce che è in condizione di comportarsi in modo adeguato
nella propria stanza; già il passare nei corridoi lo disorienta e lo conduce ad
uno stato confusionale.
In conclusione resta evidente un grave
deterioramento intellettivo e comportamentale irreversibile. Diagnosi: demenza
vascolare (ICD 10)».
Al riguardo,
con lettera del 20 ottobre 1998, prot. 15208 il Direttore generale ed il Medico
responsabile del Servizio di assistenza sanitaria territoriale dell'Azienda
USL 8 (Chieri) hanno scritto al tutore del signor P.F. quanto segue: «Non
possiamo nemmeno aderire alla sua affermazione secondo cui il signor P.F. è
affetto da "malattia mentale", in quanto la patologia indicata con
il codice ICD 10, di cui al referto del D.S.M. di Nichelino, non è annoverabile
tra quelle psichiatriche, bensì è convenzionalmente riconosciuta come
involuzione organica conseguente all'età senile dell'individuo».
Grazie agli interventi del tutore
e del Comitato per la difesa dei diritti dell'assistito, I'USL ha riconosciuto
lo stato di malattia del signor P.F.
4. In
occasione della presenza a Torino dell'On. Rosy Bindi, il Comitato per la
difesa dei diritti degli assistiti ha distribuito in data 6 novembre 1999 la
seguente lettera aperta, nella speranza che il Ministro della sanità ne tenga
conto per la stesura dell'atto di indirizzo e coordinamento per l'individuazione
delle prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria (art.
3-septies "Integrazione sociosanitaria" del decreto legislativo 19
giugno 1999, n. 229).
«Gentile Ministro,
cogliamo
l'occasione della Sua presenza a Torino per chiederLe che - attraverso il
provvedimento in oggetto - sia da Lei ribadito l'obbligo per le Aziende
sanitarie di assicurare il diritto alle cure, così come previsto dalle leggi
vigenti, ai cittadini malati inguaribili, ma sempre curabili.
«Ci
riferiamo ai malati di Alzheimer o di demenza senile, ai pazienti psichiatrici
con limitata o nulla autonomia e agli anziani colpiti da patologie invalidanti
(cancro, malattie cardiovascolari, pluripatologie, ecc.) e da non
autosufficienza.
«Le
chiediamo soprattutto di precisare che le prestazioni sociosanitarie a elevata
integrazione sanitaria devono essere erogate esclusivamente dalle ASL e
riguardano tra l'altro:
- i servizi
di cure domiciliari, da realizzare integrando l'assistenza domiciliare
integrata e l'ospedalizzazione a domicilio;
- i centri diurni per i malati di
Alzheimer e altre forme di demenza;
- i posti letto in residenze sanitarie
assistenziali. «Il Servizio sanitario nazionale non può razionaliz
zare la spesa pubblica sulla pelle
delle persone inguaribili, che mantengono sempre e comunque il diritto ad
essere curate; se si decide di adottare la logica perversa del risparmio,
sarebbe allora più onesto prevedere l'eutanasia attiva; se non altro agli
interessati sarebbero risparmiate sofferenze ulteriori.
«Lei non può ignorare che:
1. l'uscita
forzata dal Servizio sanitario (ospedale, casa di cura convenzionata) equivale
a una condanna all'abbandono terapeutico per migliaia e migliaia di persone
gravemente malate e non autosufficienti, che finiscono in case di riposo
assistenziali (senza le cure adeguate) oppure nelle tristemente note
`pensioni lager';
2. in alcune
regioni, e anche qui in Piemonte, si è giunti addirittura a prevedere che i
malati devono guarire entro un tempo massimo di 60 giorni, pena la riduzione
della retta fino del 40 per cento applicata nei confronti della casa di cura,
che ovviamente dimette l'ammalato. 1 pazienti che "non guariscono"
entro il tempo prestabilito vengono ricollocati in altre strutture: anziani
malati e dementi sono così trasportati ogni due mesi da un posto all'altro,
come pacchi, anche sei-sette volte prima di morire!
«Noi non
siamo per l'eutanasia, ma nemmeno siamo d'accordo a risparmiare sui costi
sanitari e vedere poi gli anziani cronici non autosufficienti morire in
condizioni disumane.
«Inoltre è
insopportabile la situazione che si è venuta a creare per cui da un lato le
leggi difendono il diritto alla cura e dall'altro le Regioni e le ASL applicano
la "propria legge".
«Le leggi nazionali prevedono infatti quanto segue.
- sin dalla legge 4 agosto 1955 n. 692,
l'assistenza deve essere fornita senza limiti di durata alle persone colpite
da malattie specifiche della vecchiaia;
- l'articolo
29 della legge 12 febbraio 1968 n. 132, tuttora in vigore, impone alle Regioni
di programmare i posti letto degli ospedali tenendo conto delle esigenze dei
malati "acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti";
- la legge
di riforma sanitaria (legge 23 dicembre 1978 n. 833) obbliga le Unità sanitarie
locali a provvedere alla "tutela della salute degli anziani, anche al
fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro
emarginazione"
- con
la sentenza n. 10150 del 1996 la Corte Suprema di Cassazione ha confermato che
le cure sanitarie devono essere fornite sia ai malati acuti che a quelli
cronici.
«Basta con i
Comuni e le Asl che autorizzano le case di riposo, le strutture cosiddette
protette e le RSA gestite dall'assistenza/beneficenza, perché accolgano persone
gravemente malate e non autosufficienti a causa della loro malattia.
«Da tempo è
stato riconosciuto da quanti affrontano con coscienza ed onestà questo
problema che è necessario rivedere le normative regionali in modo
da assicurare la
tutela del Servizio sanitario e prevedere strutture residenziali (RSA) a
gestione sanitaria.
«È altresì sempre più evidente che, a causa della gravità dei pazienti
che sono ricoverati, la complessità delle cure e delle prestazioni
sociosanitarie richiede un'elevata integrazione sanitaria, in grado di assicurare
la presenza per almeno 8-10 ore al giorno di un gruppo stabile di medici e
infermieri, compresi sabato e festivi e una reperibilità notturna.
«Siamo anche disposti ad accettare che alla persona ricoverata in RSA -
benché malata e, quindi, con il diritto a cure sanitarie gratuite - sia chiesta
la compartecipazione alle spese alberghiere, per una somma non superiore a 50
mila lire al giorno, da prelevare dal suo reddito pensionistico, purché gli
vengano garantite tutte le prestazioni di assistenza di cui ha bisogno.
«In attesa che vi siano posti letto disponibili in RSA, tale ipotesi
potrebbe essere estesa anche ai pazienti anziani malati cronici non
autosufficienti (e agli altri ammalati inguaribili) ricoverati in strutture ospedaliere
o in case di cura convenzionate, purché non siano dimessi ogni 60 giorni.
«Ogni luogo di
cura, infine, dalla casa all'ospedale, alla casa di cura privata, alla RSA
dovrebbe prevedere le indispensabili prestazioni curative, ma anche
relazionali e umanizzanti per i malati terminali e i loro familiari.
«La preghiamo
quindi di voler impostare I'hospice in modo
che la struttura di ricovero, qualunque essa sia, si adegui ai bisogni
particolari del malato terminale; non ci sembra corretto che il malato debba
subire un ennesimo trasferimento per "andare in un luogo particolare a
morire".
«Temiamo fortemente
che l'istituzione di un servizio specifico dia ancora più spazio (e più alibi)
alle strutture sanitarie per liberarsi dei pazienti scomodi, con il pretesto di
non essere il "luogo" deputato per la morte.
«E questo
nonostante che le leggi in vigore sanciscano senza ombra di dubbio il diritto
alla cura senza limiti di durata, di età e indipendentemente dal tipo di
malattia».
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