Prospettive
assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999
proposta
di legge sul consenso informato e sull’eutanasia
In data 10
febbraio 1999 gli On. Grignaffini, Bracco, Furio Colombo e altri hanno
presentato alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 5673 “Disposizioni
in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei
trattamenti sanitari”, di cui riproduciamo integralmente la relazione e il
testo.
Relazione
Il principio di autodeterminazione nel campo delle
cure mediche e la consapevolezza che ogni persona ha il diritto di essere
protagonista delle scelte riguardanti la sua salute, sia nel senso di accettare
sia nel senso di rifiutare l’intervento medico, sono andati progressivamente
affermandosi nella cultura della nostra società. Tale principio ha trovato un
primo fondamentale riconoscimento già nell’articolo 32, secondo comma, della
nostra Carta costituzionale, che ha sancito che «Nessuno può essere obbligato
ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».
Recentemente anche la Convenzione sui diritti umani e
la biomedicina, approvata dal Consiglio d’Europa nell’aprile 1997, ha
riaffermato – come già era affermato nella precedente stesura del luglio 1994 –
che qualsiasi intervento medico effettuato senza il consenso della persona deve
ritenersi illecito (articolo 5).
Anche il Codice di deontologia medica, nella sua
ultima versione del 1998, dopo aver precisato (articolo 30) il diritto del
malato a ricevere la più idonea informazione da parte del medico, afferma
(articolo 34) che il medico «deve attenersi, nel rispetto della dignità, della
liberà e dell’indipendenza professionale, alla volonta di curarsi, liberamente
espressa dalla persona».
Anche la giurisprudenza italiana ha avuto modo di
chiarire che il rifiuto di un trattamento da parte della persona interessata
deve essere rispettato, indipendentemente dalla valutazione dell’operatore
sanitario in merito al «bene» del paziente, precisando che «nel diritto di
ciascuno di disporre lui e lui solo, della propria salute ed integrità
personale, pur nei limiti previsti dall’ordinamento, non può che essere
ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche lasciando che la malattia
segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze: il che non può essere
considerato come il riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, ma è
invece la riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere imposto
coattivamente al soggetto interessato dal volere o, peggio, dall’arbitrio
altrui, ma deve fondarsi esclusivamente sulla volontà dell’avente diritto, trattandosi
di una scelta che (...) riguarda la qualità della vita e che pertanto lui e lui
solo può legittimamente fare» (Corte d’assise di Firenze, sentenza n. 13 del 18
ottobre 1990).
Appare evidente come il consenso o il rifiuto espresso
dalla persona nei confronti di un qualsiasi trattamento, sia diagnostico sia
terapeutico, possa rappresentare un autentico atto di autodeterminazione,
libero e consapevole, solo se la persona riceve un’informazione completa e
corretta della diagnosi, della prognosi e di ogni altro elemento che concerna
la scelta che la persona stessa è chiamata a effettuare (cosiddetto «consenso
informato»).
La già citata Convenzione sui diritti umani e la
biomedicina afferma (articolo 5) che la persona deve ricevere «preventivamente
un’informazione adeguata in merito allo scopo e alla natura dell’intervento
nonché alle sue conseguenze ed ai suoi rischi». Anche il Codice di deontologia
medica del 1998 specifica che «il medico deve fornire al paziente la più idonea
informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali
alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle
scelte operate. (...) Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del
paziente deve essere soddisfatta» (articolo 30), precisando quindi (articolo
32) che il medico «non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica
senza il consenso del paziente validamente informato (...)» e che «in ogni
caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere,
il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non
essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona».
Tuttavia, nonostante il preciso dettato costituzionale
e l’affermazione del principio di autodeterminazione recata dalle regole
deontologiche mediche, la pratica clinica nel nostro Paese continua ad essere
permeata da una scarsa o sporadica informazione del paziente e dalla frequente
violazione della richiesta di consenso alle procedure diagnostiche o
terapeutiche alle quali la persona malata è sottoposta. Tale atteggiamento, che
vede spesso una sorta di complicità «a fin di bene» fra il medico curante e i
familiari come malintesa forma di protezione della persona malata, determina di
fatto la frequentissima esclusione della persona stessa dalla possibilità di
intervenire nei momenti decisionali cruciali, spogliandola di un suo essenziale
diritto, e crea, sotto il profilo psicologico, un penoso stato di isolamento
del malato.
Il diritto di autodeterminazione della persona per
quanto attiene alle scelte relative alle cure incontra poi limitazioni assolute
nelle circostanze in cui la persona venga a perdere la capacità di decidere
ovvero di comunicare le proprie decisioni. Per garantire il diritto all’autodeterminazione
anche in questi casi, si rende necessario prevedere uno strumento nuovo – non
contemplato dal nostro ordinamento giuridico vigente – che consenta alla
persona, finché si trova nel possesso delle sue facoltà mentali, di dare
disposizioni per l’eventualità e per il tempo nel quale tali facoltà fossero
gravemente scemate o scomparse, disposizioni vincolanti per gli operatori
sanitari e in generale per ogni soggetto che si trovi implicato nelle scelte
mediche che riguarderanno la persona. A questo proposito, il già citato Codice
di deontologia medica del 1998 si è pronunciato (articolo 34) a favore delle
direttive anticipate, disponendo che «il medico, se il paziente non è in grado
di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non
tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso».
Dalla considerazione di queste problematiche trae
origine la presente proposta di legge sulle «volontà anticipate» la quale mira
ad offrire al cittadino-persona l’esplicita fondazione giuridica del suo
essenziale diritto all’autodeterminazione, inteso non più come un dovere
dell’operatore sanitario ma come un positivo riconoscimento, nonché gli
strumenti giuridici sostanziali e procedurali per vedere garantito tale diritto
anche nel caso di perdita della capacità di decidere o di esprimere la sua
decisione, consentendogli di disporre anticipatamente in merito al trattamento
medico desiderato.
Con gli articoli 1 e 2 la presente proposta di legge
propone di dare una compiuta regolazione al principio del «consenso informato».
In particolare, nell’articolo 1 l’informazione corretta, completa e
comprensibile su tutti gli aspetti diagnostici e terapeutici che possono
riguardare la persona è espressa come oggetto non solo e non tanto di un
obbligo del merito, quanto piuttosto di un diritto della persona stessa, un
diritto al quale la persona può ovviamente rinunciare fermo restando che solo
la rinuncia esplicita può giustificare il venire meno dell’obbligo di
informazione in capo al medico, al quale è consentito solamente di adottare,
ove le circostanze lo suggeriscono, le opportune cautele nella comunicazione.
Nell’articolo 2 è ribadita, rispetto alle decisioni
relative ai trattamenti sanitari, la piena autonomia di scelta del paziente, le
dichiarazioni di volontà del quale, formulate in stato di capacità di intendere
e di volere («capacità naturale»), devono essere rispettate anche quando tale
capacità sia venuta meno. Poiché i problemi possono sorgere soprattutto in
conseguenza del rifiuto nei confronti dei trattamenti suggeriti o prevedibili
nello sviluppo della patologia, si è ritenuto di precisare che il rifiuto deve
essere rispettato anche se dalla mancata effettuazione dei trattamenti stessi
derivi un pericolo per la salute o per la vita, specificandosi che il medico è
esentato da ogni responsabilità conseguente al rispetto della volontà del
paziente, che per questa ragione si è ritenuto debba risultare da atto scritto
firmato da esso stesso, dalla cartella clinica nel caso di ricovero ospedaliero
del paziente capace ovvero dalle «volontà anticipate» con le formalità previste
negli articoli successivi.
Su questa disposizione si fonda la validità giuridica
delle «volontà anticipate», alla formulazione e alla applicazione delle quali
sono dedicati gli articoli 3 e 4.
L’articolo 3 prevede che, oltre a formulare le
«volontà anticipate», la persona possa indicare un altro soggetto di fiducia
che, nel caso di perdita della capacità naturale, eserciti in sostituzione i
diritti e le facoltà relativi all’esercizio del diritto al consenso informato,
lasciando libera la persona di nominare il sostituto e di determinare le sue
future decisioni mediante indicazioni o disposizioni di carattere vincolante.
La delicatezza dell’incarico e le responsabilità che ne possono derivare hanno
suggerito di prevedere una forma specifica, peraltro semplificata, sia per il
conferimento sia per l’accettazione (articolo 3, comma 3).
È previsto inoltre che, qualora una persona venutasi a
trovare in stato di incapacità naturale irreversibile, non abbia
preventivamente nominato il sostituto di cui all’articolo 3, comma 2, il
giudice tutelare provveda alla nomina (articolo 3, comma 4).
L’articolo 4, infine, prevede le modalità per
risolvere le eventuali divergenze che dovessero intervenire tra le scelte
operate dal sostituto nominato dalla persona con le «volontà anticipate»,
ovvero in mancanza dal giudice tutelare, e le scelte dei curanti. Si è ritenuto
di affidare la soluzione della controversia al giudice (il pretore), con un
procedimento che si richiama, semplificandole, alle procedure cautelari
previste dal codice di procedura civile.
È stato comunque previsto che, ove sia stata
validamente espressa, la volontà della persona debba in ogni caso vincolare la
decisione giurisdizionale (articolo 4, comma 3).
Testo della
proposta di legge
Art. 1
1. Ogni persona capace ha il diritto di conoscere i
dati sanitari che la riguardano e di esserne informata in modo completo e
comprensibile, in particolare riguardo la diagnosi, la prognosi, la natura, i
benefici ed i rischi delle procedure diagnostiche e terapeutiche suggerite dal
medico, nonché riguardo le possibili alternative e le conseguenze del rifiuto
del trattamento.
2. Salvo il caso in cui la persona rifiuti
esplicitamente le informazioni effettuate ai sensi del comma 1, l’obbligo del
medico di informare sussiste anche quando particolari condizioni consiglino
l’adozione di cautele nella comunicazione.
Art. 2
1. Ogni persona capace ha il diritto di prestare o di
negare il proprio consenso in relazione ai trattamenti sanitari che stiano per
essere eseguiti o che siano prevedibili nello sviluppo della patologia in atto.
La dichiarazione di volontà può essere formulata e restare valida anche per il
tempo successivo alla perdita della capacità naturale. Il rifiuto deve essere
rispettato dai sanitari, anche qualora ne derivasse un pericolo per la salute o
per la vita, e li rende esenti da ogni responsabilità.
2. In caso di ricovero ospedaliero la dichiarazione di
volontà di cui al comma 1 deve essere annotata nella cartella clinica e
sottoscritta dal paziente.
Art. 3
1. Ogni persona capace ha il diritto di esprimere il
proprio consenso o rifiuto in relazione ai trattamenti sanitari che potranno in
futuro essere prospettati. La dichiarazione di volontà può essere formulata e
restare valida anche per il tempo successivo alla perdita della capacità
naturale.
2. Ogni persona capace può indicare una persona di
fiducia la quale, nel caso in cui sopravvenga uno stato di incapacità naturale valutato
irreversibile allo stato delle conoscenze scientifiche, diviene titolare in sua
vece dei diritti e della facoltà di cui agli articoli 1 e 2, alla quale può
eventualmente dare indicazioni o disposizioni vincolanti in merito ai
trattamenti sanitari ai quali potrà essere sottoposta.
3. La volontà del soggetto in merito ai trattamenti
sanitari, sempre revocabile, è dichiarata con atto scritto di data certa e con
sottoscrizione autenticata. Per coloro che si trovano in istituto di ricovero o
di cura, la sottoscrizione può essere autenticata dal direttore sanitario.
Nelle medesime forme deve essere formulata l’accettazione della persona di
fiducia designata ai sensi del comma 2.
4. Qualora una persona si trovi in stato di incapacità
naturale irreversibile, e non abbia nominato una persona di fiducia ai sensi
del comma 2, il giudice tutelare, su segnalazione dell’istituto di ricovero o
di cura ovvero di chiunque sia venuto a conoscenza dello stato di incapacità,
provvede a tale nomina.
Art. 4
1. Nel caso in cui vi sia divergenza tra le decisioni
della persona nominata ai sensi dell’articolo 3, commi 2 e 4, e le proposte dei
sanitari, è possibile il ricorso senza formalità, da parte dei soggetti in
conflitto o di chiunque vi abbia interesse, al pretore del luogo dove si trova
la persona incapace.
2. Il pretore di cui al comma 1 decide con
ordinananza, assunte, se necessario, sommarie informazioni. Per quanto
compatibili si applicano le norme di cui agli articoli 669-sexies e seguenti del codice di procedura civile.
3. Nei casi in cui risultino le dichiarazioni di volontà di cui
all’articolo 3, commi 1 e 2, il giudice decide conformemente ad esse.
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