Prospettive
assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000
Cinico no della Camera dei
Deputati e del Governo
al riconoscimento del
diritto esigibile alle prestazioni
Nella
seduta del 18 gennaio 2000, dedicata all’esame del testo di legge “Disposizioni
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, la
Camera dei Deputati ha respinto un emendamento presentato dall’On. Diego
Novelli, già sindaco di Torino per otto anni, e dall’On. Tiziana Valpiana di
Rifondazione Comunista.
L’emendamento
era così formulato: «Com’è stabilito
dagli articoli seguenti, gli interventi e servizi sociali si distinguono in
obbligatori e facoltativi».
Secondo i presentatori,
lo scopo era quello «di garantire gli
interventi ed i servizi sociali a coloro i quali, se non ricevono anche le prestazioni assistenziali, non
possono vivere o sono inevitabilmente condannati all’emarginazione sociale».
L’On.
Novelli aveva aggiunto che «i soggetti
che necessitano anche di prestazioni
di assistenza sociale sono, tra l’altro, i minori in tutto (figli di ignoti) o
in parte privi delle indispensabili cure familiari, gli handicappati
intellettivi totalmente o gravemente privi di autonomia e senza alcun valido
sostegno familiare, le gestanti e madri in gravi difficoltà personali alle
quali va altresì fornita la necessaria consulenza psico-sociale per il loro
reinserimento e per il riconoscimento o meno dei loro nati, le persone che vogliono
uscire dalla schiavitù della prostituzione, gli ex-carcerati, i carcerati ed i
loro congiunti, i soggetti senza fissa dimora».
L’ex
Sindaco di Torino aveva asserito, inoltre, che il testo di legge avrebbe dovuto
prendere in considerazione «le attività
che devono essere poste in essere nei confronti dei giovani soggetti ai
provvedimenti dei Tribunali per i minorenni e le attività concernenti i
rapporti con l’autorità giudiziaria in materia di interdizione, inabilitazione,
tutela, curatela, adozione, affidamento, ecc.», puntualizzando che «una parte delle attività suddette sono
previste come obbligatorie dalla legge vigente e lo erano in base ai regi
decreti del secolo scorso: si parla del 1889 o addirittura del periodo
fascista, con i regi decreti del 1931, del 1934, del 1940».
Si tenga
presente che, come abbiamo più volte scritto (1), le disposizioni del testo di
legge in esame stabiliscono che tutti i cittadini, ricchi o poveri, aventi
bisogni superflui o vitali, possono beneficiare dei servizi sociali. Infatti,
ai sensi del 2° comma dell’art. 1 del sopra citato testo, per interventi e
servizi sociali si intendono «tutte le
attività relative alla predisposizione ed erogazione dei servizi, gratuiti ed a
pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le
condizioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso
della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e
da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della
giustizia» (2).
Va
osservato – e il fatto è di fondamentale importanza – che nel testo di riforma
dei servizi sociali, si fa riferimento agli interventi diretti a «rimuovere e superare le condizioni di
bisogno e di difficoltà», senza però escludere quelle che il soggetto è in
grado di risolvere con i propri mezzi (3).
L’emendamento
presentato dagli On. Novelli e Valpiana è stato respinto per motivi
assolutamente ingiustificati: come vedremo in seguito né il Ministro On. Livia
Turco, né il relatore On. Elsa Signorino, né i Parlamentari contrari hanno
espresso alcuna motivazione plausibile sul piano sociale e su quello economico.
Alcuni interventi contrastano, addirittura, con il più elementare buon senso.
Sono
state, altresì, sostenute tesi molto preoccupanti sotto il profilo etico, ma
questa è, purtroppo, la triste realtà risultante dagli atti parlamentari.
Affinché i
lettori di Prospettive assistenziali
possano conoscere i fatti, riportiamo nell’ordine in cui sono stati presentati,
un’ampia sintesi degli interventi svolti alla Camera dei Deputati il 18 gennaio
2000 in merito al citato emendamento presentato dagli On. Novelli e Valpiana
(4).
On. Maria Burani Procaccini, Forza
Italia
«In linea di massima, il ragionamento svolto
dall’onorevole Novelli non fa una piega, perché credo che nessuno di coloro che
hanno lavorato per quasi tre anni su questo testo voglia vedere eliminate una
volta per tutte quelle fasce fortemente penalizzate dalla vita, che
indubbiamente incontrano difficoltà obiettive e drammatiche ad essere inserite
a pieno titolo nella società civile. Però, secondo la nostra mentalità, in
un’epoca nuova, tutto ciò che viene considerato obbligatorio fa paura. Penso
che quando si mette mano ad una legge quadro sull’assistenza si metta mano anche
ad un rinnovamento e ad un rafforzamento di una concezione alta dello Stato, ma
anche del cittadino, secondo la quale il cittadino partecipa, come soggetto
attivo, a rimuovere la propria e l’altrui debolezza. Ciò che viene considerato
obbligatorio, in realtà diventa un qualcosa che non viene effettuato, perché
gli escamotage per
sfuggire alle pieghe della obbligatorietà sono sempre stati infiniti in Italia.
Purtroppo, noi soffriamo da secoli di una legislazione che, proprio in quanto
fortemente chiusa, è stata ampiamente disattesa; si è trattato di leggi alle
quali poi non si è dato mai seguito. Tutte queste motivazioni ci inducono a
votare contro emendamenti il cui scopo originario era nobile ed anche
condivisibile» (5).
On. Maura Cossutta, Partito
dei Comunisti italiani
«Intervengo perché ritengo che gli emendamenti
proposti dal collega Novelli pongano un problema reale, di cui abbiamo discusso
in questi mesi e nei lunghi anni di lavoro in Commissione. È stato un lavoro
molto utile, perché ne è scaturito un testo migliore, in quanto, grazie alla
relatrice, alla Commissione ed al Governo, sono state accolte alcune
riflessioni critiche. Però, ritengo che questa questione sia un problema reale.
Nel momento in cui parlando di rete dei servizi, si intendono non soltanto i
servizi assistenziali, quelli relativi ai soggetti di cui all’articolo 38 della
Costituzione, ma l’intera rete dei servizi di un sistema universalistico, è
chiaro che si pone il problema della certezza del diritto esigibile per i
soggetti più fragili, quelli di cui all’articolo 38. Ritengo quindi con molta
lealtà che quello posto sia un problema reale. Ritengo altresì che siano state
fornite risposte – sollecitate dal mio gruppo ma anche da altri e con
l’approvazione del Governo – che devono costituire dei paletti. Ritengo che
tale questione non possa essere accantonata considerando coloro che la
propongono come i conservatori e quelli che non la propongono come gli
innovatori. Non si tratta qui di riproporre una contrapposizione finta, ipocrita
tra conservatori ed innovatori. Semmai, si tratta di contemperare i diritti
acquisiti – che sono state conquiste sofferte, strappate dalla lotta dei
lavoratori, delle associazioni, del movimento democratico – a bisogni nuovi,
quindi ad una lettura più moderna, più aggiornata dei bisogni. Ricordo, per
esempio, che il problema del bisognoso non è più legato solo alla povertà da
reddito, ma ai bisogni che intercorrono, transitoriamente o in modo
continuativo, nella vita concreta dei soggetti che fanno parte del nucleo
familiare. Mi pare che la risposta che avrebbe dovuto essere data a questo
problema reale sia stata fornita da un emendamento della Commissione, che
prevede alcuni paletti: innanzitutto, quello per cui accedono prioritariamente
ai servizi i soggetti di cui all’articolo 38 della Costituzione e poi la
riaffermazione in più punti che la conquista degli emolumenti economici rimane
un diritto soggettivo e concretamente esigibile dai soggetti di cui
all’articolo 38. Quindi, chiederei al collega Novelli di ritirare il suo
emendamento e di convergere sul testo della Commissione» (6).
On. Tiziana Valpiana,
Rifondazione comunista
«I deputati del Gruppo misto-Rifondazione
comunista-progressisti hanno presentato diversi emendamenti a questo testo,
forse meno di quelli che avremmo potuto presentare, proprio per non dare
l’impressione di tenere un atteggiamento ostruzionistico verso un provvedimento
che invece, sinceramente, vogliamo cercare di migliorare perché riteniamo si
tratti di una materia nella quale, in questo momento, è fondamentale una presa
di posizione concreta e, soprattutto, realistica. Nel pochissimo tempo che
abbiamo a disposizione, cercherò di intervenire sui diversi emendamenti che
abbiamo presentato ma, in particolare, mi premeva sottolineare che, come ha già
affermato prima di me il collega Novelli, di fatto il mio emendamento 1.3 e
l’identico emendamento Novelli 1.2 sono emendamenti cardine; se non
sottolineassimo che tali servizi devono distinguersi in obbligatori e
facoltativi e, quindi, non dessimo ad alcuni diritti il carattere di diritti
soggettivi esigibili, credo che la legge-quadro che stiamo approvando
rimarrebbe enunciata sulla carta, ma non diventerebbe in alcun modo praticabile
ed attuabile. Quanto affermato poco fa dalla collega Burani Procaccini, ossia
che i diritti esigibili, i diritti obbligatori, sono rimasti fino ad oggi
disattesi e che, quindi, riproporli corrisponderebbe ad un atteggiamento di
tipo conservatore, non mi trova assolutamente d’accordo: proprio ed ancora di
più per il fatto che sono stati disattesi, credo valga la pena ribadire che
dobbiamo sottolineare la presenza di servizi obbligatori. Il mio emendamento
6.21, sul quale se avremo ancora tempo torneremo, individua le attività
obbligatorie e, quindi, una serie di prestazioni dirette a rispondere a bisogni
essenziali ed urgenti, ai quali non possiamo derogare» (7).
On. Dino Scantamburlo, Popolari
e democratici - l’Ulivo
«L’argomento posto dagli ultimi emendamenti merita un
po’ di attenzione da parte di tutti, perché riguarda uno dei principi sui quali
si fonda il provvedimento. L’articolo 38 della Costituzione va rispettato ed
attuato, guai se non ci ponessimo tale problema; dobbiamo anche dire, però, che
approvando un provvedimento che riforma la vecchia legge approvata 110 anni fa,
dobbiamo cogliere le conseguenze delle trasformazioni in corso in termini di
domanda di nuove tutele e di superamento dei fenomeni di nuova povertà e di
esclusione sociale, ai quali si sommano le domande inevase di figure deboli per
povertà, età, malattia, non autosufficienza, disabilità, immigrazione, per un
insieme di condizioni che le emargina e le trova sempre al limite della
fruizione dei diritti di cittadinanza sociale. Il sistema di sicurezza sociale
che noi vogliamo realizzare intende fondarsi sull’autonomia e sul benessere
delle persone e delle comunità, non facendo prevalere le rivendicazioni di
alcune categorie che, magari, risultano mediate solo dai vincoli di bilancio e
non da quelli dell’equità e della giustizia: Gli obiettivi generali che ci
proponiamo sono: il superamento della concezione di un’assistenza intesa come
riparatoria nei confronti di alcuni, anche se ultimi e indigenti; la promozione
dell’effettiva autosufficienza della persona; l’applicazione dei principi di sussidiarietà
e di solidarietà, che sono, in particolare, i principi cardine dell’ispirazione
dei cattolici democratici; l’affermazione della cultura della responsabilità in
sede istituzionale e sociale; la promozione degli individui e delle famiglie –
il concetto compare di frequente – da utenti passivi a partecipi ed attori, in una logica di
autotutela e di autopromozione. In questo contesto, noi riteniamo che come ad
ogni cittadino vengono garantiti i diritti fondamentali, ad esempio in materia
di sanità e di istruzione, così la Repubblica debba garantire ad esso i diritti
essenziali in materia sociale; si tratta di un’universalità, quindi, che si
riferisce sia ai servizi essenziali, sia ai soggetti fruitori dei servizi
stessi, il che vuol dire anche un sistema di prevenzione e di promozione. Per
quanto riguarda le risorse, il Governo risponderà, però ricordo anche a me
stesso ed ai colleghi che abbiamo appena approvato una legge finanziaria e di
bilancio nella quale abbiamo destinato somme aggiuntive rilevanti a tutto
questo settore» (8).
On. Elsa Signorino, Sinistra democratica -
l’Ulivo, Relatore per la maggioranza
«I colleghi Cè e Valpiana prefigurano nei loro
emendamenti, in questa e in altre parti della legge, un’ipotesi di
finalizzazione esclusiva del sistema di servizi e prestazioni sociali
all’articolo 38 della Costituzione. Questa finalizzazione esclusiva è presente
anche nell’emendamento del collega Novelli. Sto parlando della interpretazione
letterale dell’articolo 38, cioè a dire di quella interpretazione che è stata
concretamente superata in tutta la legislazione regionale in materia di
politiche sociali che ha visto la luce in questi anni. Pur con motivazioni
diverse, quei colleghi hanno prefigurato con i loro emendamenti un’ipotesi di
Stato sociale minimo. Io non ritengo – mi appello anche alla loro riflessione –
che alcuna ipotesi di Stato sociale minimo possa davvero garantire i bisogni ed
i diritti delle persone più fragili. I poveri e gli inabili, di cui
all’articolo 38 della Costituzione, hanno solo da temere da uno Stato sociale
minimo. Solo uno Stato sociale è capace di volgere lo sguardo alle nuove
fragilità che segnano questo scorcio d’epoca, è in grado di dare risposte
efficaci e di qualità anche ai più poveri e agli inabili. Colleghi Novelli,
Valpiana e Cè, oggi non si nasce inabili e non si è poveri una volta per tutte!
Si può nascere inabili e si può essere poveri una volta per tutte, ma si può
incontrare la fragilità più volte nel corso della propria vita. La non autosufficienza
degli anziani è una condizione di fragilità che può segnare ognuno di noi e, a
fronte di quella condizione, anche famiglie che hanno un buon sistema
relazionale e mezzi economici a disposizione non sono in grado di reggere se
non interviene un sistema di servizi e prestazioni che sappia parlare anche a
chi soffre quelle condizioni di fragilità. Il rischio che si corre, teorizzando
l’esclusiva finalizzazione all’articolo 38 della Costituzione, non è
l’emancipazione dei soggetti più deboli, ma è la produzione di ulteriore
povertà e di ulteriore esclusione per chi vive le nuove condizioni di
fragilità. Per questo abbiamo concepito una moderna legge di politiche sociali
rivolta alla generalità dei cittadini, in grado di garantire loro livelli
essenziali di prestazione. Abbiamo voluto un disegno di politiche sociali
attento ai soggetti di cui all’articolo 38; ma abbiamo voluto che l’attenzione
ai soggetti di cui all’articolo 38 non si concretizzasse nel profilo residuale
del sistema delle politiche sociali, bensì in criteri di accesso prioritario
alle prestazioni che sono stati ampiamente e puntualmente definiti e
formalizzati nella riscrittura dell’articolo 2 della legge. Colleghi, dunque, i
poveri e gli inabili sono in cima alle nostre preoccupazioni. Vogliamo che quei
servizi siano in grado di “parlare” alle vecchie e alle nuove condizioni di
fragilità. Siamo attenti al nodo delle compatibilità economiche e per questo
abbiamo voluto una legge che fosse dotata di adeguate risorse aggiuntive, ma
abbiamo voluto anche – mi rivolgo ai colleghi che sono attenti a queste
problematiche e in particolare al collega Cè – una legge che usasse il denaro
pubblico come volano moltiplicatore di altre risorse. In altre parole, abbiamo
voluto una legge che mandasse in pensione statalismo e assistenzialismo» (9).
On. Livia Turco, Ministro per la
solidarietà sociale
«Abbiamo discusso molto di questa legge; abbiamo alle
spalle tre anni di lavoro e credo sia doveroso da parte mia riconoscere il grande
lavoro svolto dalla Commissione e sottolineare l’importanza che ha avuto il
dialogo tra tutte le forze politiche che ci ha fatto convergere su alcuni punti
importanti. Mi auguro che, nel momento in cui si arriva in aula, questi dati,
che sono stati importanti, non vengano meno. L’onorevole Cè mi ha posto una
questione a cui ho risposto parecchie volte in Commissione. Mi ha posto un
quesito la cui risposta è allegata nel testo di legge, ma io rispondo
volentieri, cioè come si finanzia questa legge. Questa legge è composta di due
parti: una riguarda i diritti soggettivi. Non è vero che questa legge non
prevede i diritti soggettivi! Si tratta di una legge che prevede i diritti
soggettivi riconosciuti dall’articolo 38 della Costituzione. Per questi soggetti
e per questi diritti la legge stanzia l’insieme delle risorse oggi previste per
l’assistenza. Quindi, questa legge si “porta in dote” nel piano nazionale per
le politiche sociali l’insieme delle risorse attualmente esistenti per
l’assistenza che finanziano i diritti soggettivi previsti dall’articolo 38.
Questa legge si compone anche di un’altra parte che
tutti conveniamo essere la più moderna, la più innovativa e necessaria perché
concernente un settore drammaticamente carente in questo paese: quello della
rete integrata dei servizi. Mi pare che ci siamo resi conto tutti (persone
invalide, prevenzione del disagio connesso a varie situazioni) di quanto sia
importante avere, insieme al trasferimento monetario e insieme all’indennità
che viene riconfermata in questa legge, il centro diurno, l’assistenza
domiciliare, l’RSA, la comunità alloggio. Ebbene, l’importanza di questa legge
è quella di costruire la rete integrata di servizi che offra uno standard
omogeneo di servizi sul territorio nazionale. Che cosa significa in termini di
costi questa rete e in quanto tempo la si realizza? Onorevole Cè, lei sa
benissimo che proporsi di realizzare questa rete integrata di servizi significa
porsi un obiettivo programmatico e soprattutto darsi una metodologia. Si sarebbero
potute stanziare risorse? Avremmo potuto fare delle stime? Certamente. Credo
sia un elemento di serietà della legge, che voi stessi avevate apprezzato,
prevedere una metodologia di costruzione della rete integrata di servizi. La
metodologia è quella del piano sociale che viene elaborato ogni tre anni sulla
base del metodo della concertazione. Il piano definisce i bisogni esistenti e
stabilisce quali sono i servizi che si realizzano con il metodo della
programmazione; c’è una valutazione fra bisogni stabiliti, servizi individuati
e risorse stanziate nella legge finanziaria. È questo meccanismo la risposta al
quesito che lei mi pone. È la risposta più seria perché come si può far dire
che c’è solo bisogno di centomila comunità alloggio o di tremila asili nido?
Francamente, mi pare che sarebbe una stima alquanto azzardata. È molto più
serio che una legge indichi una modalità, il piano, il fondo per le politiche
sociali, il rapporto tra valutazioni dei bisogni e risposte indicate nelle
leggi finanziarie. Come ho detto tante volte nella discussione in Commissione,
la scelta davvero innovativa e importante dal punto di vista del bilancio
contenuta in questa legge è che il fondo per le politiche sociali diventa un
fondo strutturale che va a finire nella tabella C della legge finanziaria che,
in quanto tale, verrà alimentata in modo progressivo sulla base delle risorse
esistenti.
Voglio osservare, però, che il provvedimento in esame
porta in dote delle risorse: in particolare, 1.500 miliardi per affermare i
diritti cui faceva riferimento l’onorevole Novelli, i diritti dell’infanzia, i
diritti dei portatori di handicap grave, i diritti delle famiglie. Vi sono poi
le risorse che confluiranno nel fondo sociale (come lei, onorevole Cè, sa bene)
con trasferimenti a favore della maternità e vi sono le risorse aggiuntive
della legge finanziaria, che sono oggetto di un emendamento assolutamente
chiaro. Il provvedimento, inoltre, porta in dote un altro elemento importante:
la riforma sanitaria prevede che tra gli standard essenziali della sanità,
dunque pagati dalla sanità, vi siano i servizi che riguardano i malati cronici,
i portatori di handicap gravi e gravissimi, dunque i servizi che per ora sono
considerati figliastri, che nessuno vuole riconoscere e che molte volte vanno a
finire sulle spalle dei comuni. Ebbene, nell’articolo che riguarda
l’integrazione socio-sanitaria del testo al nostro esame, si fa riferimento ad
un provvedimento legislativo che è entrato in vigore, il quale prevede
esattamente che vi siano servizi a carico della sanità.
Ecco, credo che queste siano risposte importanti,
sapendo (onorevole Cè, ci siamo conosciuti in questi anni, non si vende fumo)
che la strada da percorrere è lunga e che bisogna utilizzare tutte le risorse
disponibili per il sociale. Questo, una cultura come la sua, come quella
dell’opposizione dovrebbe riconoscerlo: per il sociale, bisogna saper
utilizzare bene tutte le risorse, per esempio quelle dei fondi strutturali e
dei fondi sociali. Le risorse dei fondi strutturali sono ingenti: ebbene,
vengano dirottate per programmi e servizi alla persona ed alla comunità; è un
obiettivo che ci dobbiamo porre ed è importante che in questo ambito facciamo
riferimento ai fondi strutturali. È altresì rilevante che vi sia un atto di
indirizzo del ministro per la solidarietà sociale rivolto alle regioni, che
invita queste ultime ad utilizzare i fondi strutturali ai fini di politiche per
i servizi e per la comunità.
Analogamente, è importante il patrimonio delle IPAB:
vi sono 4.200 IPAB diffuse sul territorio nazionale che noi ci proponiamo di
far entrare nella rete integrata dei servizi, in quanto si tratta di un
patrimonio enorme. Così, se i servizi alla persona sono produttivi ed attengono
allo sviluppo ed alla qualità della vita, se sono servizi che creano lavoro,
allora anche le risorse dei patti territoriali devono essere investite in
questo ambito ed è importante che abbiamo attivato tre patti territoriali che
hanno come obiettivo quello di creare servizi alla persona» (10).
On. Annamaria Procacci, Gruppo
Verdi
«Ho ascoltato con molta attenzione le parole del
Ministro Turco e la ringrazio per essersi espressa con grande chiarezza: gli
elementi che ci ha offerto, ancora una volta, vanno a conferma di uno dei punti
importanti del testo in esame, vale a dire la certezza. Una legge impegnativa
per una riforma essenziale come questa deve offrire certezze e gli emendamenti
che stiamo esaminando, tra i quali anche l’emendamento Gardiol 1.27, ponevano a
tutti noi, al Governo per primo, interrogativi sulle certezze e
sull’esigibilità dei servizi sociali e delle forme di assistenza sociale. Sono
interrogativi legittimi e fondamentali, ma noi riteniamo che la riscrittura
dell’articolo 2 operata dal relatore per la maggioranza sia soddisfacente e ci
offra ancora maggiori garanzie sui temi centrali della certezza e
dell’esigibilità, soprattutto con la definizione dell’accesso prioritario.
Ritiriamo dunque l’emendamento Gardiol 1.27, sottolineando ancora una volta,
colleghi, come sia importante che il Parlamento giunga a concludere l’iter di
una riforma attesa soprattutto con riferimento alle nuove esigenze della
società. Mi riferisco a quelle esigenze primarie che venivano poste tanti anni
fa nel corpo della Costituzione all’articolo 38 e che, indubbiamente, si sono
evolute con l’evolversi del nostro modo di vivere. Per quanto riguarda
l’articolo 1 del provvedimento in esame, il gruppo dei Verdi aveva posto
l’esigenza di scrivere meglio alcuni punti, dando loro maggiore forza. Mi
riferisco, ad esempio, al coordinamento delle politiche del territorio.
Riteniamo che si potrà rispondere in modo soddisfacente a tali aspetti che
portiamo alla vostra attenzione, anche con senso critico, ribadendo che
ritiriamo l’emendamento Gardiol 1.27 e sottolineando, a questo punto, il nostro
apprezzamento per il testo».
On. Carmelo Porcu, Alleanza Nazionale
«In Commissione abbiamo lavorato per due anni a
questo provvedimento e si è trattato di un lavoro che la maggioranza e l’opposizione
hanno condotto in termini costruttivi, a mio avviso, anche attraversando
periodi in cui la burrasca dei rapporti politici segnava il massimo. Abbiamo
sempre tenuto al riparo il provvedimento da queste perturbazioni di carattere
politico generali, anche perché volevamo dimostrare che in tema di solidarietà
sociale e di attenzione ai problemi delle persone deboli, delle fasce deboli
del paese, nessuno ha il diritto di avanzare primogeniture o di far valere
situazioni di privilegio o di protagonismo. Siamo tutti consci che il valore
della solidarietà appartiene a tutta la comunità nazionale e a tutte le forze
politiche presenti. Ecco perché anche da destra abbiamo contribuito in maniera
costruttiva durante questi anni al lavoro in Commissione; ecco perché, signor
Presidente, dico che però è necessario riportare la questione su un piano di
verità.
L’onorevole Scantamburlo afferma che il provvedimento
in esame viene discusso dopo centodieci anni di vigenza della famosa legge
Crispi sull’assistenza; io dico che era ora di cambiare e di fare una
legge-quadro, esigenza sulla quale tutti siamo concordi. Tuttavia, cari
colleghi della sinistra, il problema non è tanto quello di dividere gli
interventi in obbligatori e facoltativi, ma di renderli efficaci, di rendere
realmente fruibili i servizi dei quali effettivamente il cittadino si possa
avvantaggiare e con i quali il cittadino debole veda cambiata in meglio la sua
condizione di vita.
In fin dei conti, se fossi dall’altra parte della
barricata, signor Presidente, e stessi ascoltando questa discussione alla
radio, o attraverso il canale satellitare della televisione, mi chiederei:
l’entrata in vigore della “legge Signorino” – come è stata definita in questi
anni durante la discussione in Commissione – servirà ad evitare che muoiano i
barboni nelle strade di Roma, a tre passi da qui? Servirà ad evitare che al
bambino Down venga negato l’assegno di accompagnamento perché magari,
rispondendo alle domande del medico, dice di abitare a Roma e quindi non ne ha
bisogno? Servirà ad evitare che le persone muoiano di fame e di freddo perché
l’ENEL stacca la corrente se non hanno la facoltà di pagare la bolletta? Le
disquisizioni sull’obbligatorietà o la non obbligatorietà degli interventi,
quindi, sono frutto di una concezione ideologica delle cose che, a mio avviso,
deve essere superata. Ecco perché, signor Presidente, vorrei sottolineare che
di leggi-quadro è piena la via che porta all’inferno della legislazione
italiana. Attenzione, perché si tratta di questioni fondamentali! Il Parlamento
nel 1992 ha approvato una legge-quadro sulle persone disabili che si è rivelata
“tutto fumo e niente arrosto” perché non è riuscita a risolvere nemmeno uno dei
problemi che già allora erano all’attenzione del Parlamento. Così abbiamo un
bel vessillo da sventolare ai congressi internazionali e ai nostri
rappresentanti viene detto che siamo tanto bravi perché abbiamo una
legislazione avanzata; in realtà però, sotto il profilo dell’efficienza e
dell’efficacia dei servizi erogati, siamo in una condizione di precarietà
tipica di un paese del terzo mondo. Ecco perché richiamo l’attenzione dei colleghi
della maggioranza sulla necessità di non caricare questo provvedimento di
eccessive attese perché sarebbero fuori luogo» (11).
On. Francesco Paolo Lucchese, Centro
Cristiano Democratico
«Quello dei servizi obbligatori o facoltativi è un
falso problema, anche perché si potrebbero creare categorie di cittadini di
serie A e di serie B, il che non è sostenibile sotto il profilo umano. Il
problema in realtà è quello di sostenere economicamente chi ha davvero bisogno.
Ho apprezzato la passione con cui il Ministro Turco ha illustrato il problema e
ho capito la sua buona fede, ma una caratteristica di questo Governo è quella
di fare leggi prive della necessaria copertura finanziaria. Concordo con
l’onorevole Cè perché il problema non è offrire questi servizi ma individuare
il modo per farlo; occorre reperire i fondi necessari perché quelli finora
stanziati non sono sufficienti. Il problema reale è quello del finanziamento di
questi servizi che già esistono e sui quali ci appassioniamo insieme al
Ministro, la cui azione viene penalizzata proprio da questo aspetto».
On. Alessandro Cè, Relatore di minoranza
«Onorevole Ministro, l’entusiasmo che ha dimostrato è
sicuramente apprezzabile ma non mi ha convinto, e vorrei spiegarne il motivo.
Quello da me presentato – mi rivolgo al relatore per la maggioranza, onorevole
Signorino – non è un “testo manifesto”, nel senso che non è la proposta che la
Lega Nord sottopone all’attenzione del Parlamento per la riforma
dell’assistenza, perché se così fosse, avrebbe un carattere essenzialmente
federalista. Dato che la titolarità delle funzioni sociali è attribuita ai
Comuni, a questi ultimi dovrebbero essere attribuite le risorse finanziarie, la
programmazione e la valutazione delle reali esigenze del territorio. Il testo
alternativo viene redatto in modo che possa essere confrontato con quello di
maggioranza ed è per questo che ho cercato di mitigare gli errori contenuti nella
proposta di maggioranza. Come dicevo, l’intervento del Ministro non mi ha
convinto. Infatti l’articolo 1 del testo della Commissione stabilisce per tutti
i cittadini l’erogazione di determinate prestazioni, e cioè quelle indicate
all’articolo 22. Quest’ultimo articolo è composto di numerosi capoversi che
contengono al loro interno altre sottoclassi, per cui si compie un’estensione
importante rispetto ai servizi erogati fino ad oggi. Addirittura si prevede
l’obbligatorietà, per gli enti locali, di istituire servizi sociali
professionali, interventi per situazioni di emergenza sociale, assistenza
domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali, centri di accoglienza
residenziali e diurni. Si tratta di un onere assai gravoso. Pertanto, signor
Ministro, nella relazione tecnica lei fa alcune affermazioni orientative, senza
avere riscontri concreti sulle reali necessità del territorio; infatti, come ha
detto lei stessa, la legge ha carattere programmatico ed arriveremo ai
risultati previsti non prima di sette o otto anni! In ogni caso, quella lunga
elencazione di servizi rappresenta un livello essenziale – come avete scritto
voi stessi – che potrà essere ulteriormente ridotto attribuendo
caratteristiche e requisiti che verranno specificati nel piano di zona sulla
base dei finanziamenti disponibili.
Come si può vedere, si tratta di un impianto assai
pericoloso: da un lato si stabiliscono diritti esigibili; infatti, se nella
legge si scrive che un determinato servizio dovrà essere assicurato alla
collettività non si può, poi, pensare di individuare posizioni soggettive,
altrimenti si sarebbe dovuto usare un altro termine. Anche se la vostra è una
impostazione programmatica, si sarebbe comunque dovuto usare un altro termine.
Di fatto, quando il cittadino, che sarà in grado di comprendere questa legge –
che è poco intelligibile per l’individuo comune – si rivolgerà ai Comuni
pretendendo livelli minimi di prestazioni, che voi chiamate essenziali, non vi
saranno le risorse necessarie: questa è la verità, Ministro Turco!
Signor Ministro, oggi lei ci ha detto e confermato
che vi sarà un’implementazione dei servizi e che essi avranno carattere di
universalità; tuttavia, nella relazione lei afferma che presuntivamente saranno
necessari mille miliardi; in ogni caso, riteniamo che si tratti di una
sottostima, assai lontana dalle esigenze reali. Abbiamo avuto conferma di ciò
da molti sindaci. Tra l’altro, signor Ministro, lei si dimentica di dire che,
oltre alle risorse aggiuntive previste in mille miliardi, di fatto saranno
disponibili soltanto 500 miliardi, iscritti nella tabella A della legge
finanziaria recentemente approvata (...)» (12).
On. Augusto Battaglia,
Democratici di Sinistra
«(...) Questa è una
legge importante e il dibattito dovrebbe vedere la partecipazione del maggior
numero di parlamentari, in quanto attiene ai bisogni fondamentali dei
cittadini, soprattutto di quelli che vivono disagi. Vorrei, in ogni caso, fare
due osservazioni relativamente agli emendamenti in esame ed invitare i
presentatori a ritirarli. Negli emendamenti in questione si distingue tra
servizi obbligatoriamente erogati a certe categorie di cittadini e servizi
facoltativi. Successivamente, gli stessi proponenti degli identici emendamenti
Novelli 1.2 e Valpiana 1.3 hanno presentato altri emendamenti all’articolo 2 in
cui vengono ricompresi tra i servizi da erogare obbligatoriamente quelli per i
quali il provvedimento fornisce già risposte chiare. Infatti, alla lettera a) degli identici emendamenti Novelli 2.2 e
Maura Cossutta 2.20 si propone di erogare i servizi sociali obbligatori ai
soggetti che si trovano in una condizione di “insufficienza del reddito e
dei beni del singolo o del nucleo familiare con cui il soggetto convive a
garantire il superamento della soglia di povertà”: ricordo che il provvedimento si esprime già chiaramente sulla
questione con l’articolo 24 che istituisce il reddito minimo di inserimento, il
quale, nelle forme che saranno definite al termine della sperimentazione,
costituisce un diritto soggettivo per tali persone. Si tratta quindi di un
servizio reso obbligatoriamente dallo Stato.
Alla lettera b) dei medesimi emendamenti si definisce una condizione di “incapacità
totale o parziale dell’interessato a provvedere alle proprie esigenze per cause
non determinate da malattie acute o croniche in atto”: ricordo che il provvedimento si esprime in tal senso non solo con
l’articolo 24 sul reddito minimo di inserimento, ma anche con l’articolo 25,
che prevede interventi obbligatori in favore degli aventi diritto per quanto
riguarda sia assegni e pensioni di invalidità sia le indennità di accompagnamento
che vengono riconosciute per le minorazioni. Anche in questo caso l’intervento
obbligatorio viene reso possibile da un flusso finanziario indipendente da
quello previsto per i servizi territoriali.
Infine, anche per la previsione di cui alla lettera c) dei citati emendamenti Novelli 2.2 e Maura
Cossutta 2.20, relativi alla “sottoposizione del soggetto a provvedimenti
dell’autorità giudiziaria”, ricordo che
l’articolo 23 istituisce un ufficio di pubblica tutela per rispondere in
maniera più efficace e certa a questo tipo di bisogni.
Pertanto, non credo che gli identici emendamenti
Novelli 1.2 e Valpiana 1.3 siano giustificati, visto che rispetto a bisogni
fondamentali esigibili la legge fornisce già risposte chiare e aggiuntive,
perché è prevista una serie di interventi da determinare triennalmente sulla
base delle risorse disponibili. Con una lettura attenta dell’articolo 2, nel
testo riformulato dalla Commissione, e dell’articolo 22 si può notare che
nell’ambito di questi interventi si chiarisce che la priorità deve essere data
a quelli che vengono erogati alle persone con disagi maggiori, vale a dire ai
centri diurni, all’assistenza domiciliare e così via. Credo che, vista
l’impostazione generale del provvedimento e per il quadro generale degli
interventi distinti tra quelli esigibili dal cittadino e quelli che devono
essere organizzati sul territorio da parte dei Comuni sulla base delle risorse
disponibili, il provvedimento dia già una risposta alle questioni poste con gli
identici emendamenti Novelli 1.2 e Valpiana 1.3. Pertanto credo che questi
ultimi debbano essere ritirati o respinti» (13).
On. Piergiorgio Massidda, Forza
Italia
«Non voglio dilungarmi ulteriormente sulle questioni
sulle quali i colleghi che rappresentano il mio gruppo politico si sono già
espressi, definendo la nostra posizione. Tuttavia, visto che siamo all’inizio
della discussione, tengo a chiarire, in particolare con l’onorevole Battaglia,
ma anche con i colleghi che stanno seguendo la discussione, che questo
provvedimento non nasce esclusivamente per volontà della maggioranza o del
Governo, ma da una sensibilità comune a tutti i partiti, come ha riconosciuto
anche lo stesso Ministro. Senza la minoranza questo provvedimento non sarebbe
mai approdato in quest’aula e non sarebbero state fatte certe scelte, fermo
restando che su alcune posizioni ci sono alcune divergenze, cosa più che
democratica.
Noi consideriamo questa legge ottimale negli intenti,
ma carente nelle risorse da destinare. La definiamo inoltre demagogica perché
sappiamo fin d’ora che essa è irrealizzabile. Ma perché dico questo, onorevole
Battaglia? Mi rivolgo a lei, se me lo consente, da amico a amico. Non scendiamo
sul piano della polemica! In questo momento il Polo e la Lega non sono presenti
non per un’insensibilità nei confronti di questa legge, ma per ragioni che in
quest’aula tutti ben conoscono. Evitiamo dunque delle strumentalizzazioni,
anche perché potremmo dire che se vi sono deputati assenti nelle forze del
Polo, vi sono deputati – e in misura maggiore – della sua parte, onorevole
Battaglia, meno attenti e che hanno tanta voglia e tanta fretta di zittire
l’onorevole Cè, il quale stava probabilmente facendo un discorso rasserenante
ed utile a tutti. Infatti, molte delle cose dette dall’onorevole Cè sono state
condivise dalla stessa maggioranza, ma non accettate unicamente perché il
disegno è ben differente. Colleghi, vi chiedo cortesemente di non scendere sul
piano dello scontro, anche perché ritengo che nel prosieguo dell’esame del
provvedimento si incontreranno meno ostacoli. Indubbiamente, su questo primo
articolo, si registrano delle differenziazioni nette e anche scelte ideologiche
che ci possono dividere; ed è per questo motivo che abbiamo bisogno di tempo
per esprimerci. Ci troviamo in un momento in cui i lavori dell’Assemblea
registrano una forma di protesta da parte del Polo. Per cortesia, non strumentalizziamolo,
altrimenti rischiamo di danneggiare una legge che, se è vero che viene chiamata
“legge Signorino” (collega di cui riconosciamo il grande lavoro svolto), è
altrettanto vero che viene portata avanti da tutte le forze politiche, da tutti
quei deputati che rappresentano i cittadini e che credono fermamente alla
necessità di approvare questa legge per superare i gravi ostacoli esistenti.
Stiamo lavorando, stiamo confrontandoci per vedere se sia possibile migliorare
il testo del provvedimento, dunque, per favore, non scendiamo sul piano dello
scontro».
On. Teodoro Buontempo, Alleanza
Nazionale
«(...)
L’articolo 38 della Costituzione, più volte citato in quest’aula, è di una
chiarezza eccezionale, eppure non è stato applicato per cinquant’anni e ciò,
per così dire, sulla pelle dei disabili e delle persone che versano in
condizioni di grave disagio sociale. Noi vogliamo impedire che venga approvata
una legge il cui testo appare un testo di propaganda elettorale, essendo
incapace di incidere concretamente a causa dell’eccessiva molteplicità dei
soggetti che debbono intervenire. Per tale motivo l’opposizione chiede che sia
chiarito il punto relativo alla copertura finanziaria e che vengano inoltre
chiariti i doveri dei soggetti interessati, se non si vuole che questa legge
possa diventare, come ho già detto, materia di propaganda elettorale e far
rimanere i disabili nelle condizioni di incertezza in cui si trovano» (14).
(1) Cfr.
“La riforma dell’assistenza: pessimo il testo unificato proposto dal Comitato ristretto
della Commissione affari sociali della Camera dei Deputati”, Prospettive assistenziali, n. 125,
gennaio-marzo 1999; “Appello al Parlamento e al Governo per una valida riforma
dell’assistenza”, Ibidem, n. 126; “La riforma dell’assistenza all’esame
della Camera dei Deputati: una proposta di legge gravemente immorale”, Ibidem, n. 127; “Il testo di legge sui
servizi sociali calpesta le esigenze dei più deboli e ignora la prevenzione
dell’emarginazione”, Ibidem, n. 128.
(2) È
riportato il 2° comma dell’art. 128 del decreto legislativo 112/1998,
richiamato dal 2° comma dell’art. 1 del testo di riforma dell’assistenza (o dei
servizi sociali).
(3)
Ricordiamo, ancora una volta, che il 1° comma dell’articolo 38 della
Costituzione dispone quanto segue: «Ogni
cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha
diritto al mantenimento e all’assistenza sociale». Dunque, nella legge
fondamentale dello Stato si precisa che, per poter beneficiare delle
prestazioni assistenziali, devono essere presenti due condizioni: l’incapacità
a procurarsi il necessario per vivere tramite il lavoro e la mancanza di mezzi.
(4) I testi
sono stati tratti dal resoconto stenografico dei lavori della Camera dei
Deputati, riportato su Internet. Non trascriviamo i testi degli emendamenti che
non riguardano direttamente l’obbligatorietà o meno delle prestazioni.
(5)
Decisamente assurde le affermazioni dell’On. Burani Procaccini secondo cui «tutto ciò che viene considerato
obbligatorio fa paura» e «ciò che
viene considerato obbligatorio in realtà diventa un qualcosa che non viene
effettuato». Non ci resta che sperare che l’On. Burani Procaccini non si
occupi della scuola dell’obbligo, di tasse, dei sensi di marcia delle strade e
di tutto ciò che deve essere regolamentato per poter funzionare. Inoltre,
gradiremmo sapere come possono «rimuovere
la propria e l’altrui debolezza» e diventare soggetti attivi gli
handicappati intellettivi privi di autonomia e le altre persone assolutamente e
definitivamente non in grado di provvedere alle proprie necessità.
(6) In
merito all’affermazione dell’On. Maura Cossutta secondo cui «accedono prioritariamente ai servizi i
soggetti di cui all’art. 38 della Costituzione», rileviamo che la
«priorità» non sancisce alcun obbligo; d’altra parte nel testo della riforma
dei servizi sociali non è prevista alcuna possibilità di ricorso da parte del
cittadino a cui non vengono forniti i servizi richiesti. Per quanto riguarda il
diritto soggettivo agli emolumenti economici, esso concerne esclusivamente le
erogazioni a carattere permanente (pensioni, assegni, ecc.) e non quelle di
natura transitoria o una tantum di
competenza dei Comuni. Si veda il punto 3 della nota 7.
(7)
L’emendamento 6.21 dell’On. Valpiana, quasi identico ad uno presentato dall’On.
Novelli, era così formulato:
«All’art. 6 è aggiunto il seguente comma: “I servizi
sociali obbligatori assicurano ai soggetti di cui al 2° comma dell’art. 2 le
seguenti attività:
1 azione promozionale nei confronti degli uffici
preposti alla sanità, all’istruzione, alla casa, alla cultura, ai trasporti ed
agli altri settori aventi carattere di universalità, al fine di ottenere
l’erogazione tempestiva e corretta degli interventi di loro competenza;
2. prestazioni dirette a fornire ai singoli ed ai
nuclei familiari la consulenza e il sostegno economico necessario per il
superamento delle situazioni di disagio;
3. aiuti economici straordinari e a tempo determinato
alle persone e ai nuclei familiari le cui entrate siano inferiori al minimo
vitale e non siano possessori di beni mobili registrati, esclusi quelli necessari
per lo svolgimento di attività lavorative, e di patrimoni immobiliari;
4. erogazioni dei prestiti ai soggetti privi di
reddito, ma in possesso di beni;
5. assistenza domestica per le persone non autonome
non in grado di ottenere le suddette prestazioni con i propri mezzi economici;
6. inserimento presso famiglie, persone e comunità
alloggio per minori, adulti e anziani incapaci di una vita autonoma, purché la
mancanza di autonomia non sia dovuta a motivi sanitari;
7. iniziative rivolte alla dichiarazione di
adottabilità e all’adozione;
8. istituzione di centri diurni per gli handicappati
intellettivi ultrasedicenni non inseribili nel lavoro a causa delle gravi
limitazioni della loro autonomia. La frequenza dei centri diurni è totalmente
gratuita, compresi mensa e trasporto, per coloro che hanno quali uniche entrate
la pensione di invalidità e l’assegno di accompagnamento;
9. superamento del ricovero in istituto da attuarsi
entro e non oltre cinque anni dall’entrata in vigore della legge
sull’assistenza e sui servizi sociali».
(8) L’On.
Scantamburlo prima afferma «guai a non
rispettare l’art. 38 della Costituzione», ma poi sostiene che le
prestazioni devono essere fornite a tutti i cittadini, dimenticandosi che la
legge fondamentale dello Stato riserva le prestazioni di assistenza sociale
esclusivamente agli inabili sprovvisti dei mezzi necessari per vivere.
(9)
Numerose sono le inesattezze contenute nell’intervento dell’On. Signorino. In primo
luogo è un insulto al buon senso affermare che prefigurano «un’ipotesi di Stato sociale minimo» coloro che operano affinché
alle persone in reali difficoltà venga riconosciuto il diritto di ricevere le
prestazioni aggiuntive elencate
nella precedente nota 7, aggiuntive
rispetto agli interventi che devono essere forniti dalla sanità, dalla casa,
dall’istruzione, dalla formazione professionale e dagli altri settori sociali.
È, altresì, evidente che dette prestazioni aggiuntive non devono essere un
ostacolo per l’inserimento lavorativo, bensì un incentivo.
Che questi
interventi aggiuntivi possano determinare «produzione
di ulteriore povertà e di ulteriore esclusione per chi vive le nuove condizioni
di fragilità» è un’offesa all’intelligenza.
Ridicola è
poi l’affermazione «Oggi non si nasce
inabili e non si è poveri una volta per tutte». Si tratta, infatti, di una
situazione vecchia di secoli, a cui avevano già dato risposte il r.d. 6535 del
1889, la legge 2838/1928 ed i r.d. 773/1931 e 383/1934, stabilendo, fra
l’altro, diritti esigibili in parte ancora operanti.
In secondo
luogo è estremamente allarmante che l’On. Signorino definisca «fragili» gli anziani cronici non
autosufficienti e non riconosca che si tratta di persone malate (cancro,
demenza, pluripatologie, ecc.) che devono essere curate, come è previsto dalle
leggi vigenti, confermate dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 10150 del
1996, dal Servizio sanitario nazionale.
Se i poveri
e gli ultimi stanno veramente in cima alle preoccupazioni dell’On. Signorino,
perché vuole sottrarre alla esclusiva destinazione a favore di questi soggetti
i patrimoni delle IPAb ammontanti a ben 37 mila miliardi, ed i relativi
redditi?
Infine, ci
permettiamo di segnalare all’On. Signorino, che accusa anche noi di volere «uno Stato sociale minimo» e di essere
produttori di «ulteriore povertà e di
ulteriore emarginazione», l’articolo “Esperienze di prevenzione del bisogno
assistenziale e dell’emarginazione sociale”, pubblicato in questo numero.
(10) Il Ministro
Livia Turco ha cercato di aggirare le questioni sollevate dagli On. Novelli e
Valpiana sostenendo che il testo di legge «prevede
i diritti soggettivi riconosciuti dall’art. 38 della Costituzione». Ciò è
vero esclusivamente per gli emolumenti economici a carattere permanente
(pensioni e assegni sociali, ecc.), ma non per le prestazioni riguardanti i
soggetti indicati dall’On. Novelli e per i servizi elencati dall’On. Valpiana
nell’emendamento 6.21 da noi riportato nella nota 7.
Per quanto
concerne la questione più volte sollevata dal relatore di minoranza On.
Alessandro Cè sul fatto che «le risorse
finanziarie realmente a disposizione non consentiranno un accesso di tipo universalistico
alle prestazioni», va osservato che l’On. Cè si riferisce agli interventi
che dovrebbero essere forniti a tutta la popolazione, mentre l’obbligatorietà
(ed i relativi finanziamenti statali) dovrebbero, a nostro avviso, essere
sancita esclusivamente per coloro (2-3% degli abitanti) che sono indicati nel
già citato primo comma dell’art. 38 della Costituzione. Dai nostri conteggi,
fondati sulla spesa sostenuta nel 1998 dal Consorzio dei Comuni di Collegno e
Grugliasco (ambito territoriale del collegio elettorale dell’On. Livia Turco,
comprendente 88 mila abitanti) sarebbe sufficiente uno stanziamento di tremilaottocentocinquanta
miliardi per tutto il territorio nazionale per garantire la gestione di tutti i
servizi di cui è stata chiesta l’obbligatorietà. Dalla somma suddetta, devono
essere dedotte le risorse attualmente utilizzate (circa duemila miliardi) dai
Comuni e dalle Province. Ne deriva che sono necessari solo
milleottocentocinquanta miliardi per la copertura degli oneri aggiuntivi, somma
che il Ministro Livia Turco ha più volte asserito essere già stata stanziata.
Per le
spese di investimento abbiamo proposto l’utilizzo della quota disponibile dei
patrimoni delle IPAB, il cui valore – lo ricordiamo nuovamente – ammonta a ben
37 mila miliardi. Come è noto anche i redditi delle IPAB dovrebbero essere
utilizzati esclusivamente per le persone bisognose.
Le spese di
gestione e di investimento a carico dei Comuni si ridurrebbero in misura
notevole se venisse attuato quanto dichiarato dall’On. Livia Turco e cioè che «la riforma sanitaria prevede che tra gli
standard essenziali della sanità, dunque pagati dalla sanità, vi siano i
servizi che riguardano i malati cronici».
In merito
alla rete integrata dei servizi, il Ministro, come fa anche il Relatore On.
Signorino, glissa sulla questione di fondo e cioè sulla differenza, a nostro
avviso sostanziale, fra servizi indispensabili e voluttuari. Non è sufficiente
affermare che quelli indispensabili devono essere istituiti «prioritariamente»
dai Comuni. Occorre che si tratti di un vero e proprio diritto esigibile, in
modo da consentire al cittadino (e, a nostro parere, anche alle organizzazioni
di volontariato) di poter presentare reclamo al Sindaco del suo Comune di
residenza e, occorrendo, anche ricorso all’autorità giudiziaria, qualora la
prestazione obbligatoria non venga erogata.
L’On. Turco
ha, altresì, affermato di voler «far
entrare nella rete integrata dei servizi» le 4.200 IPAB ancora esistenti,
ma non si impegna né per conservare l’esclusiva destinazione ai più bisognosi
dei patrimoni e dei redditi, né per mantenere il divieto di utilizzo dei beni
per la copertura delle spese di gestione.
(11)
All’On. Porcu, che ha affermato che la legge-quadro sull’handicap (n. 104 del
1992) «si è rivelata “tutto fumo e niente
arrosto”», chiediamo se ciò non dipenda dal fatto che le norme della citata
legge non prevedono quasi nessuna prestazione obbligatoria.
(12) L’On.
Cè ha affermato che l’art. 22 del testo di legge prevede «l’obbligatorietà, per gli Enti locali, di istituire servizi sociali
professionali, interventi per situazioni di emergenza sociale, assistenza
domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali, centri di accoglienza
residenziali e diurni». Ha, inoltre, sostenuto che per i soprariportati
interventi «si stabiliscono diritti
esigibili». Purtroppo tutto ciò non è assolutamente vero! Infatti, il
secondo comma dell’art. 22 del testo di legge stabilisce che i servizi elencati
dall’On. Cè «costituiscono il livello
essenziale delle prestazioni sociali» peraltro erogabili «nei limiti delle risorse del Fondo
nazionale per le politiche sociali» e tenendo «anche conto delle risorse ordinarie già destinate dagli Enti locali
alla spesa sociale».
(13) L’On.
Battaglia, non avendo – evidentemente – argomenti concreti da contrapporre alla
richiesta degli On. Novelli e Valpiana di stabilire l’obbligatorietà delle
prestazioni indispensabili per i soggetti più deboli, ha affermato, contro
l’evidenza dei fatti, che «il
provvedimento fornisce già risposte chiare» e non è entrato nel merito, ad
esempio, dei servizi per i bambini senza famiglia, delle gestanti e madri in
gravi difficoltà psico-sociali, delle comunità alloggio per gli handicappati
intellettivi gravi e gravissimi privi di sostegno familiare, ma si è limitato a
sostenere che il testo prevede «interventi
obbligatori in favore degli aventi diritto per quanto riguarda sia assegni e
pensioni di invalidità, sia le indennità di accompagnamento che vengono
riconosciute per le minorazioni».
Mentre fa
leva, come altri Parlamentari, sull’ovvio mantenimento dei diritti vigenti da
anni in materia di contribuzioni economiche a carattere continuativo, l’On.
Battaglia dimentica (o più precisamente non vuole ricordare) che l’importo
mensile della pensione di invalidità e dell’assegno di accompagnamento per gli
invalidi civili è di 1,2 milioni, mentre la retta di ricovero presso le
comunità alloggio è di 6-7 milioni al mese.
È
sintomatico che, nello stesso tempo in cui l’On. Battaglia afferma che tutto è
chiaro, Mons. Vinicio Albanesi, Presidente della Comunità di Capodarco, di cui
lo stesso On. Battaglia è un esponente di primo piano, lancia in grande stile
una raccolta di fondi (cfr. il Corriere
della Sera del 29 dicembre 1999 e il numero scorso di Prospettive assistenziali) per la creazione di strutture di
accoglienza per i soggetti con handicap.
Anche
all’On. Battaglia dobbiamo ricordare che definire un intervento come
«prioritario» o «essenziale», non equivale affatto a stabilire che esso sia
esigibile.
Infine,
precisiamo che, contrariamente a quanto asserito dall’On. Battaglia, gli uffici
di pubblica tutela non svolgono gli interventi occorrenti per i soggetti
sottoposti a provvedimenti dell’Autorità giudiziaria come, ad esempio, le
prestazioni domiciliari e l’accoglienza presso comunità alloggio.
(14)
Saremmo molto grati all’On. Buontempo se ci facesse pervenire copia delle
iniziative che ha assunto per promuovere l’attuazione dell’art. 38 della
Costituzione, dato che finora sulle riviste che si occupano del settore sociale
non abbiamo trovato traccia alcuna dei suoi interventi.
www.fondazionepromozionesociale.it