Prospettive
assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000
principali esperienze di
prevenzione del bisogno assistenziale
e dell’emarginazione sociale (*)
francesco santanera
Nell’editoriale dello scorso numero di Prospettive assistenziali “Il testo di legge sui servizi sociali
calpesta le esigenze dei più deboli e ignora la prevenzione dell’emarginazione”
è stato affermato che numerose situazioni di disagio potrebbero essere evitate
o ne potrebbero essere ridotte le conseguenze negative.
Era stato
aggiunto che «le esperienze acquisite
nella lotta contro l’emarginazione sociale dei più deboli dimostrano in modo
incontrovertibile che le iniziative che sono state di maggior aiuto per le
persone in gravi difficoltà personali e sociali non sono state quelle relative
all’assistenza o ai servizi sociali, bensì quelle riguardanti la riabilitazione,
l’inserimento scolastico degli allievi con handicap, la costruzione di case
dell’edilizia economica, la non creazione e l’abbattimento delle barriere
architettoniche, il collocamento obbligatorio al lavoro, l’adozione dei minori
privi di sostegno morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti
a provvedervi, l’erogazione della pensione sociale, ecc.».
In
conclusione, le suddette riflessioni confermavano che «la vera prevenzione dell’esclusione non si realizza quasi mai con gli
interventi dei servizi sociali e dell’assistenza (preposti proprio alla
gestione delle persone e dei nuclei familiari posti ai margini della società),
ma operando affinché tutti i settori di interesse sociale (sanità, scuola,
ecc.) siano predisposti in modo da accogliere pienamente anche i soggetti più
deboli».
È quindi
illusorio, o fuorviante, ritenere che l’istituzione della rete di interventi e
servizi sociali, prevista dal testo di legge attualmente all’esame del
Parlamento, possa sconfiggere o ridurre l’emarginazione sociale.
È,
altresì, estremamente negativo che il testo suddetto non preveda servizi
obbligatori per coloro che, pur usufruendo delle prestazioni della sanità,
della casa, della scuola, ecc., hanno l’esigenza di specifici interventi di
assistenza sociale per poter vivere.
Prevenzione e servizi onnicomprensivi
La
priorità della prevenzione è stata patrocinata da Prospettive assistenziali fin dai primi numeri. Sul n. 8/9, ottobre
1969 - marzo 1970 era stato scritto: «Il
vero problema dell’assistenza non è tanto di reinserire o recuperare alla
società persone (minori o adulti) – il che presuppone, purtroppo, una già
avvenuta emarginazione – ma di evitare che le persone siano poste ai margini
della società: è non tanto un problema di preminenza tecnica (come nelle
ipotesi di reinserimento), quanto socio-politico, che richiede un impegno
continuo e di tipo nuovo della società» (1).
Per assicurare
a tutti i cittadini, compresi quelli colpiti da difficoltà anche gravi, il
rispetto delle loro esigenze, veniva sostenuto che «tutti i servizi devono essere non settoriali, e cioè riservati a
particolari “categorie”, ma onnicomprensivi e cioè rivolti a tutti i cittadini»
(2).
Le
richieste avanzate quasi trent’anni fa, che hanno costituito e costituiscono il
fondamento delle attività svolte dal CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra
i movimenti di base, e dalle organizzazioni che l’hanno promosso e che vi
aderiscono, erano e sono indirizzate in primissimo luogo all’onnicomprensività
dei vari settori di intervento sociale.
Particolarmente
importante per la tutela dei diritti delle persone con menomazioni è stata la
proposta di legge di iniziativa popolare “Interventi per gli handicappati psichici,
fisici e sensoriali e per i disadattati sociali” redatta e promossa dall’ULCES
e presentata al Senato in data 21 aprile 1970 con oltre 20 mila firme (3).
1. La prescuola onnicomprensiva
Per gli asili
nido e le scuole materne si è operato affinché la gestione fosse affidata al
settore educativo e non più a quello dell’assistenza (o dei servizi sociali),
in quanto si richiedeva e si richiede una organizzazione tale da garantire una
proficua integrazione di tutti i bambini, senza alcuna discriminazione (4).
Al
riguardo erano state valutate in modo estremamente positivo le disposizioni di
legge degli anni ’70 sugli asili nido delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia,
Piemonte e Toscana in base alle quali «le
minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali non possono costituire causa di
esclusione dei bambini degli asili nido».
Molto
valida era stata ritenuta anche la legge della Regione della Valle d’Aosta n.
22 del 3 agosto 1972, il cui art. 5 precisava che «i bambini affetti da disturbi dell’intelligenza o del comportamento o
da menomazioni fisiche o sensoriali saranno iscritti, in numero non superiore a
due, in sezioni normali, cui dovranno essere assegnate maestre provviste di
particolari conoscenze e capacità nel campo psicologico e pedagogico».
Anche in
relazione al clima politico degli anni ‘70, rivolto alla promozione dei diritti
della fascia più debole della popolazione, l’inserimento di bambini con
handicap anche molto seri negli asili nido e nelle scuole materne non suscitò
forti opposizioni da parte di amministratori, operatori e genitori.
2. La scuola dell’obbligo onnicomprensiva
Fin dagli
anni ’70 l’ULCES e Prospettive
assistenziali si sono battuti contro le classi differenziali e le scuole
speciali.
Nell’editoriale
“Unità locale e servizi onnicomprensivi” veniva enunciato quanto segue: «Per quanto riguarda le strutture formative
(asili nido, scuole materne, scuole dell’obbligo, scuole superiori, corsi di
addestramento professionale, ecc.), occorre giungere al più presto
all’eliminazione delle attuali discriminazioni, per cui in luogo di una scuola
unica aperta a tutti, ne sono state costituite numerose a seconda delle
“categorie” prefissate di cittadini» ed era precisato: «È evidente che la scuola per diventare onnicomprensiva deve
modificare profondamente i suoi contenuti: in sintesi, da selettiva, e cioè per
i più “dotati”, deve diventare formativa, nel senso di fornire a tutti quanto
necessario per il pieno sviluppo della propria personalità» (5).
Di
conseguenza, era sollecitata la soppressione delle classi differenziali (6) e
delle scuole speciali allora funzionanti per spastici, ciechi, ambliopici,
sordomuti, ecc., in primo luogo quelle che funzionavano all’interno degli
istituti di ricovero.
Fra gli
oppositori segnaliamo il Ministero della pubblica istruzione che, addirittura,
aveva predisposto uno schema di disegno di legge per lo sviluppo delle scuole
speciali e delle classi differenziali (7).
Nello
stesso periodo una Commissione composta dai presidenti dell’Associazione
mutilati e invalidi
di guerra, dell’Associazione nazionale vittime civili di guerra,
dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, dell’Unione
nazionale mutilati per servizio, della libera Associazione mutilati e invalidi
civili e dell’Opera nazionale invalidi di guerra aveva richiesto una riforma di
struttura che prevedesse nientemeno che «la
delega dello Stato ad un unico ente di diritto pubblico di ogni azione di
pubblico intervento, e quindi dell’istruzione e dell’addestramento
professionale degli invalidi e del loro collocamento al lavoro, dell’assistenza
sanitaria, limitatamente agli esiti dell’invalidità permanente, di quella
sociale, morale e giuridica e della cura e di ogni altra provvidenza che possa essere
a loro rivolta» (8).
Dunque,
mentre i gruppi di base agivano per ottenere l’inserimento dei soggetti con
handicap nei normali servizi scolastici, formativi e sociali, le Associazioni di
categoria sopra elencate, che – non va dimenticato – erano quasi tutte
riconosciute dalle leggi allora vigenti quali enti pubblici e godevano
dell’appoggio delle forze politiche di maggioranza e di opposizione,
sostenevano nientemeno che «la generalità
dei cittadini invalidi costituisce nel suo complesso un insieme nettamente
distinto del popolo italiano» (9).
3. La scuola superiore e la formazione professionale
onnicomprensive
In merito
alla frequenza degli istituti della scuola media superiore e dei corsi di
formazione professionale, le richieste del CSA erano fondate sugli stessi
obiettivi individuati per la scuola dell’obbligo. Anche per coloro che erano
colpiti da handicap si rivendicava il diritto alla prosecuzione degli studi ed
alla messa a disposizione degli allievi degli strumenti necessari. Per quanto
riguarda i soggetti con moderate difficoltà intellettive, il CSA aveva
proposto, in primo luogo, i corsi professionali sperimentali (10), e in
seguito, sulla base delle esperienze maturate e dopo aver superato le forti
opposizioni frapposte dall’amministrazione del capoluogo piemontese e dalla
Regione Piemonte, quelli prelavorativi per i soggetti con handicap intellettivo
di grado lieve e medio-lieve (11). Questi ultimi sono stati ideati dal CSA, che
ha anche assicurato nei confronti dei servizi del Comune di Torino una costante
(e gratuita) consulenza nella prima fase attuativa.
I corsi
prelavorativi sono stati e sono tuttora la base che consente l’inserimento
lavorativo di soggetti che, pur avendo un rendimento inferiore alla media dei
lavoratori senza menomazioni, sono in grado di svolgere compiti con risultati
proficui per l’azienda.
Detti
inserimenti rappresentano anche una conquista estremamente valida per
l’autonomia delle persone con handicap e per una valutazione oggettiva delle
loro capacità da parte dei congiunti, dei conoscenti e dei compagni di lavoro
(12).
4. Il lavoro onnicomprensivo
Grazie
alle iniziative precedentemente indicate, è stato ottenuto un numero abbastanza
consistente di inserimenti lavorativi di soggetti con handicap intellettivo
lieve e medio-lieve.
Le
realizzazioni sono state acquisite nonostante la forte opposizione della
stragrande maggioranza delle aziende pubbliche e private, il deplorevole
disinteresse dei sindacati CGIL, CISL e UIL, e di molte organizzazioni che
asseriscono di operare a tutela degli individui con handicap. Da evidenziare la
necessità di pungolare continuamente la Regione, gli Enti locali e le imprese
(13).
5. La non creazione e l’eliminazione delle barriere
architettoniche
Al fine di
rendere onnicomprensive le strutture, e cioè accessibili da tutti, fin dal n.
5/6, gennaio-giugno 1969, Prospettive
assistenziali ha affrontato il tema delle barriere architettoniche
segnalando che «le scale, i gradini, le
porte strette per cui non entra una carrozzella, gli ascensori limitati e
difficilmente manovrabili, le rampe senza sostegni laterali, i mezzi di
trasporto inaccessibili, ecc.» sono ostacoli «che impediscono all’handicappato fisico di partecipare in modo completo
alla vita della società».
Nello
stesso numero veniva riportata la circolare emanata il 19 giugno 1968 dal
Ministro dei lavori pubblici che, se fosse stata attuata, avrebbe consentito ai
soggetti con handicap di utilizzare fin da allora molti edifici sociali.
Anche
nella già citata proposta di legge di iniziativa popolare presentata al Senato
il 21 aprile 1970, erano state previste le seguenti disposizioni in materia di
barriere architettoniche: «Gli edifici
pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni prescolastiche, scolastiche o
assistenziali di nuova edificazione devono essere costruiti in conformità alla
circolare n. 4809 emanata dal Ministro dei lavori pubblici in data 19 giugno
1968, relativa al rispetto delle norme sulle barriere architettoniche. Agli
edifici costruiti o appaltati all’entrata in vigore della presente legge devono
essere apportate le possibili varianti per uniformarli alle prescrizioni del
comma precedente. In nessun luogo pubblico o aperto al pubblico può essere
vietato l’accesso agli handicappati: le norme di attuazione sono emanate entro
un anno dall’entrata in vigore della presente legge dai Ministeri interessati».
6. La casa onnicomprensiva
Nel
documento predisposto nel 1971 dal Comitato per la promozione dei diritti civili,
a cui aveva aderito anche l’ULCES, in merito alla riforma della casa era
prevista non solo l’eliminazione delle barriere architettoniche da tutte le
costruzioni, ma veniva anche richiesta l’attuazione delle norme «in materia d’assegnazione di abitazioni a
persone handicappate o al nucleo familiare in cui vivono», nonché la
concessione di «contributi per
l’adattamento degli alloggi già occupati da persone non deambulanti».
Inoltre,
era precisato che occorreva «non
costruire case per soli anziani, invalidi, ecc.», poiché era necessario «riservare nell’ambito dell’edilizia
residenziale sovvenzionata una aliquota non inferiore al 3% dell’importo
complessivo dei programmi per costruire focolari, pensionati e comunità
terapeutiche con una capienza massima per dieci handicappati, per irregolari
psichici, per anziani, per bambini o persone adulte in stato di abbandono o di
separazione dal nucleo familiare di origine» (14).
In modo
ancora più preciso su Prospettive
assistenziali si era sostenuto quanto segue: «Creare case onnicomprensive significa predisporre nel normale contesto
abitativo, e cioè in ogni quartiere, abitazioni idonee alle varie necessità
individuali, familiari e sociali. Da un lato le case devono essere costruite in
modo che le si possa abitare anche quando si diventa anziani o si abbiano
difficoltà motorie, d’altro lato esse devono essere dotate di quei servizi
necessari ad una effettiva vita di relazione (locali attrezzati per incontri,
per attività ricreative, culturali, per minori e adulti). In particolare
dovranno essere previsti alloggi individuali e per piccole comunità per minori,
adulti, anziani e per le famiglie che intendono vivere comunitariamente. Verrà
così reso inutile, fra l’altro, il ricovero in istituto di quelle persone espulse
a causa di abitazioni inidonee» (15).
7. I servizi sanitari onnicomprensivi
Prospettive assistenziali ha
condotto un’intensa azione per la creazione di servizi sanitari
onnicomprensivi, condizione indispensabile per «evitare, fra l’altro, la costruzione di nuovi ghetti quali gli
ospedali geriatrici, i gerontocomi, gli psicogerontocomi» (16).
Analoghe
richieste erano state avanzate nel convegno di Torino del 18 dicembre 1976 sul
tema “Riforma sanitaria e socio-assistenziale: obiettivi e iniziative immediate
in Piemonte”, organizzato dal CSA (17).
Dopo aver
denunciato le gravi carenze del settore sanitario, in merito agli ospedali
veniva segnalato che i principali obiettivi da raggiungere riguarda-vano «l’eliminazione della distinzione fra
ospedali regionali, provinciali e zonali e il collegamento reale delle attività
extraospedaliere con quella ospedaliera» (18).
Veniva,
inoltre, precisato che «al fine di
salvaguardare la specificità degli interventi ed i problemi di salute pubblica
all’interno delle strutture ospedaliere relative ad un determinato territorio,
si richiede una trasformazione degli ospedali esistenti tanto da accogliere e
fornire i necessari interventi non solo a tutti gli acuti, compresi i casi
psichiatrici, infettivi, ecc., ma anche ai lungodegenti ed ai cosiddetti
cronici. Una struttura di questo tipo, per quanto possibile onnicomprensiva,
assicurerebbe a tutti la massima vicinanza possibile al territorio di
provenienza ed eviterebbe la creazione di sedi staccate o di strutture di tipo:
ospedale psichiatrico, cronicario, ospedale geriatrico o simili».
Partendo
dalle suddette posizioni l’ULCES si era schierata, ad esempio, contro
l’istituzione degli ospedali geriatrici di Aosta e di Torino, attualmente
funzionanti come strutture onnicomprensive e si era opposta alla creazione di
un ospedale per bambini lungodegenti ad Orio Canavese (19), alla cui
realizzazione le autorità hanno rinunciato.
8. Altri servizi onnicomprensivi
Il
riferimento all’onnicomprensività dei servizi ha riguardato anche tutti gli
altri settori: trasporti, cultura, tempo libero, attività sportive non
competitive, ecc.
Principali realizzazioni
fondate sull’onnicomprensività
Sulla base
delle esperienze acquisite, l’onnicomprensività è, dunque, il principio che
deve essere alla base di tutte le politiche sociali riguardanti il lavoro, la
casa, la scuola, la sanità, ecc.
Attuando
questa linea, si realizza una effettiva prevenzione dell’emarginazione e
dell’esclusione sociale e si garantisce, nello stesso tempo, una idonea qualità
della vita a tutti i cittadini.
Conseguenze
positive dell’inserimento scolastico dei bambini con handicap sono state in
particolare:
– il
numero degli allievi con handicap è diminuito dal 10% calcolato dai tecnici
(20) all’attuale 1-1,5%. La riduzione è anche dovuta al fatto che la scuola non
ha più alcun interesse a classificare gli allievi come soggetti handicappati,
dovendo provvedere anche a questi ultimi. In precedenza, coloro che erano
definiti handicappati erano esclusi dalla frequenza presso le classi normali;
– la
riduzione del numero dei minori handicappati ricoverati in istituto;
– l’acquisizione,
da parte di molti fanciulli con handicap intellettivo, di livelli di autonomia
sufficienti per poter uscire da situazioni di emarginazione;
– una
consapevolezza molto più umana e sociale della questione handicap da parte
degli stessi soggetti, in particolare di quelli meno gravi, dei loro congiunti,
degli operatori scolastici e socio-sanitari, delle organizzazioni di base,
degli amministratori e dei politici.
In merito
ai corsi prelavorativi per handicappati intellettivi
lievi e medi, si rammenta che l’istituzio-
ne di questo servizio ha creato, in alternativa alla permanenza a carico del
settore assistenziale, le indispensabili premesse per il loro inserimento al
lavoro.
Dal 1979
al 1997 sono più di 300 le persone con handicap intellettivo lieve e medio
assunte nella città di Torino da aziende pubbliche e private a seguito delle
iniziative intraprese dal CSA (21).
Le realizzazioni
più importanti conseguite dal CSA nel campo dei servizi sanitari riguardano
il riconoscimento sempre più esteso e concreto, anche se ancora molto carente,
della condizione di malattia degli anziani ipocritamente definiti “non autosufficienti” da molti politici,
amministratori, sindacalisti e operatori, allo scopo di nascondere la causa
patologica della loro dipendenza e giustificare il trasferimento della
competenza ad intervenire dal Servizio sanitario nazionale al settore della
beneficenza/assistenza.
Un
servizio certamente valido, funzionante ininterrottamente dal 1985, è quello
relativo all’ospedalizzazione a domicilio di adulti e anziani malati acuti o
cronici (22), servizio che dovrebbe essere unificato con le prestazioni di
assistenza domiciliare integrata (23).
Il CSA,
inoltre, ha promosso la creazione di centri diurni sanitari per i malati di
Alzheimer e per le persone colpite da altre forme di demenza senile (24). Nel
1993 a Torino è stata deliberata l’apertura del primo centro diurno italiano.
Per quanto
concerne il problema della casa, segnaliamo le numerose
iniziative dalle quali è scaturita l’assegnazione da parte del Comune di Torino
di alloggi dell’edilizia economica e popolare ad handicappati, anziani e altri
casi sociali. Gli appartamenti assegnati dal 1° gennaio 1982 al 31 dicembre
1998 sono stati oltre mille.
Inoltre,
si è ottenuta l’approvazione da parte del Consiglio del capoluogo piemontese di
una delibera per l’adattamento di alloggi di proprietà del Comune stesso o
dell’Istituto autonomo per le case popolari al fine di renderli accessibili e
rispondenti alle esigenze delle persone con handicap e degli anziani con
ridotta mobilità. Un’altra delibera prevede l’erogazione di contributi per
l’adeguamento degli appartamenti di edilizia privata.
Si
ricordano, altresì, le iniziative che hanno determinato l’emanazione di bandi
da parte dell’Istituto autonomo delle case popolari per l’assegnazione di
alloggi a persone anziane e a soggetti con handicap.
Un esempio
significativo riguarda due giovani gravemente colpiti da handicap fisici.
Roberto dopo 35 e Piero dopo 24 anni di ricovero ininterrotto presso il
Cottolengo di Torino, vivono dal 1983 in un alloggio senza barriere
architettoniche messo a loro disposizione dal Comune di Torino, che, inoltre,
assicura l’erogazione del minimo vitale e alcune ore al giorno di assistenza
domiciliare (25).
In
considerazione dell’inaccessibilità dei trasporti, il CSA
ha promosso, anche in questo caso si tratta della prima iniziativa in Italia,
il servizio taxi istituito dal Comune di Torino nel 1979 per le persone
impossibilitate ad usare i mezzi pubblici (26). Inoltre, un servizio
dell’Azienda trasporti torinese,
mediante un apposito pulmino, garantisce gli spostamenti alle persone che non
sono in grado di utilizzare né i mezzi pubblici, né il servizio taxi.
Numerose
sono state le iniziative del CSA per la non creazione e l’abbattimento delle barriere
architettoniche, in modo da rendere utilizzabili, anche per i
soggetti con handicap, le case di abitazione, gli uffici pubblici, ecc.
La prima
azione assunta dall’Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale e da
numerose altre organizzazioni è stata la redazione e presentazione al Senato
della Repubblica, avvenuta il 21 aprile 1970, con oltre 220 mila firme, della
già ricordata proposta di legge di iniziativa popolare “Interventi per gli
handicappati psichici, fisici, sensoriali e per i disadattati sociali”,
iniziativa che ha promosso l’approvazione della legge 30 marzo 1971 n. 118
“Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971 n. 5 e nuove norme in
favore dei mutilati e invalidi civili”.
L’abolizione
delle barriere architettoniche era, altresì, prevista dall’art. 13 della
proposta di legge regionale, redatta e promossa dal CSA “Riorganizzazione dei
servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle unità locali di tutti i
servizi”, presentata con iniziativa popolare (firme raccolte oltre 13 mila) in
data 28 luglio 1978 al Consiglio regionale piemontese (27).
Il CSA,
inoltre, ha organizzato una campagna per ottenere l’approvazione da parte della
Regione Piemonte della legge 3 settembre 1984 n. 54, che stabilisce
l’abolizione delle barriere architettoniche da tutti i nuovi alloggi costruiti
dagli Istituti autonomi delle case popolari e dai Comuni e che riprendeva una
proposta avanzata dallo stesso CSA (28).
Per
apportare un effettivo aiuto ai genitori con figli colpiti da handicap, il CSA
ha richiesto e ottenuto dal Comune di Torino l’istituzione del servizio di consulenza
educativa domiciliare, gestito dall’Assessorato all’istruzione, in quanto
si tratta di interventi rivolti a tutti i genitori indipendentemente dai loro
redditi e beni. Il servizio interviene prioritariamente nei confronti dei
soggetti aventi meno di tre anni (29).
Attività per il reinserimento familiare e sociale
dei bambini privi di famiglia
Oltre alle
numerose iniziative assunte nel settore della cultura (30), del tempo libero e
delle attività sociali in genere, ricordiamo quelle dirette al pieno
inserimento familiare dei minori «privi
di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a
provvedervi». L’iniziativa, assunta dall’ANFAA nel 1962 ed a cui avevano
concretamente contribuito altre organizzazioni (ad esempio, l’Unione per la lotta
contro l’emarginazione sociale dal 1965 e il CSA), ha determinato
l’approvazione delle leggi 431/1967 e 184/1983 in base alle quali alla data del
31 dicembre 1998 erano stati adottati 88.577 minori, di cui 26.882 stranieri;
nello stesso tempo i fanciulli ricoverati negli istituti sono diminuiti dai 320
mila del 1960 agli attuali 20 mila (31).
Si
ricorda, altresì, che un’azione specifica è stata condotta dall’ANFAA e
dall’ULCES in collaborazione con l’Associazione Italiana dei giudici minorili
per l’ottenimento delle piante organiche dei magistrati addetti ai Tribunali e
alle Procure per i minorenni. Questo risultato è stato realizzato con la legge
9 marzo 1971 n. 35, che aveva sostanzialmente accolto la proposta di legge n.
210 presentata alla Camera dei Deputati il 16 luglio 1968 dagli On. Mussa
Ivaldi Vercelli e Macchiavelli sulla base di un testo elaborato proprio dalle
suddette due organizzazioni.
Obiettivi in materia di assistenza sociale
In materia
di assistenza sociale, prima l’ANFAA e l’ULCES e successivamente anche il CSA
hanno sempre operato, come vedremo in modo dettagliato in un prossimo articolo,
allo scopo di:
– definire
nel modo più preciso l’utenza sia per soddisfare le esigenze delle persone e
dei nuclei familiari in reale situazione di bisogno, non risolvibili mediante
interventi di competenza di altri settori (sanità, casa, ecc.), sia per
impedire in tutta la misura del possibile l’accesso alle prestazioni da parte
degli approfittatori legali (ammessi cioè dalle istituzioni) o truffaldini;
–
precisare le competenze istituzionali (Comuni, loro consorzi e Comuni montani);
–
stabilire le priorità di intervento;
–
trasferire ai competenti campi di intervento le prestazioni non assistenziali:
ad esempio, trasferimento alla sanità delle competenze e del personale addetto
alle équipes medico-psico-pedagogiche, alla formazione professionale delle
attività relative ai corsi per handicappati intellettivi, al lavoro le azioni
per l’inserimento occupazionale dei soggetti con handicap, ai trasporti le
funzioni concernenti gli spostamenti delle persone non in grado di utilizzare i
normali mezzi pubblici, ecc.ù
(*) I risultati conseguiti dall’ANFAA, dall’ULCES e
dal CSA sono riportati nel volume di Francesco Santanera e Anna Maria Gallo, Volontariato - Trent’anni di esperienze:
dalla solidarietà ai diritti, UTET Libreria, Torino, 1998.
(1) Cfr. Emilio Germano, “Principi
politico-costituzionali in materia di assistenza”. Nello stesso articolo
l’Autore, direttore di Prospettive
assistenziali e Presidente dell’Unione italiana per la promozione dei
diritti del minore (ora Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale)
sosteneva la necessità del superamento della «vieta e arcaica contrapposizione fra assistenza pubblica e assistenza
privata».
(2) Cfr. “Rapporto fra riforme sociali e settore
dell’assistenza” e “Regioni, Comuni, Province: partecipazione e servizi
socio-assistenziali e sanitari”, Prospettive
assistenziali, n. 11/12, luglio-dicembre 1970; “Superamento dell’assistenza
o razionalizzazione dell’esclusione”,
Ibidem, n. 13; “Servizi specialistici o prestazioni specializzate”, Ibidem, n. 17; “Obiettivi intermedi per
il superamento dell’assistenza, preconcetti e iniziative clientelari”, Ibidem, n. 34.
(3) Il testo e la relativa relazione sono stati pubblicati
sul n. 8/9 di Prospettive assistenziali.
(4) Su iniziativa del CSA, gli asili nido della città
di Torino sono gestiti dall’Assessorato al sistema educativo dal 1975.
Nonostante tutte le pressioni esercitate e l’alternarsi di Giunte di sinistra, centro
sinistra e centro destra, gli asili nido continuano ad essere una delle
attività svolte dall’Assessorato all’assistenza della Regione Piemonte.
(5) Cfr. Prospettive
assistenziali, n. 20, ottobre-dicembre 1972.
(6) Fece scalpore l’autocritica compiuta dal Prof.
Giovanni Bollea nella tavola rotonda svoltasi a Torino il 12 febbraio 1970 sul
tema “La validità delle classi differenziali nella scuola dell’obbligo”. Il
Bollea, già strenuo sostenitore delle classi differenziali, ne criticò con
notevole coraggio e lucida chiarezza le finalità e mise in rilievo le
conseguenze negative per i bambini. Cfr. “Scuole speciali e classi differenziali:
tutto da ripensare”, Prospettive
assistenziali, n. 8/9.
(7) Il testo dello schema di legge è stato pubblicato
sul n. 10 di Prospettive assistenziali.
(8) Cfr. “Tentativi per la definitiva esclusione
sociale degli handicappati”, Ibidem, n.
11/12.
(9) Cfr. la nota precedente.
(10) Cfr. “Istituiti dal Comune di Torino corsi
integrati di formazione professionale per handicappati”, Ibidem, n. 22, aprile-giugno 1973.
(11) Cfr. “Deliberazioni sulla formazione
prelavorativa degli handicappati”, Ibidem,
n. 67, luglio-settembre 1984.
(12) Cfr. Maria Grazia Breda e Marcella Rago, Formare per l’autonomia. Strumenti per la preparazione
professionale degli handicappati intellettivi, Rosenberg & Sellier,
Torino, 1991.
(13) Cfr. Emilia De Rienzo, Costanza Saccoccio, Maria
Grazia Breda, Il lavoro conquistato.
Storie di inserimenti di handicappati intellettivi in aziende pubbliche e
private, Rosenberg & Sellier, Torino, 1991.
(14) Cfr. “Documento sulla riforma della casa e i
diritti delle persone handicappate o in condizioni di difficoltà», Prospettive assistenziali, n. 14,
aprile-giugno 1971. Negli anni ’70 venivano chiamati “focolari” le strutture
che attualmente sono denominate “comunità alloggio”.
(15) Cfr. “Unità locale e servizi onnicomprensivi”, op. cit.
(16) Cfr. Ibidem.
(17) Al documento e al convegno avevano dato la loro
adesione: le Segreterie provinciali CGIL-CISL-UIL; gli Uffici Diocesani
Anziani, Assistenza, Comunicazioni sociali, Famiglia, Lavoro, Tempo di malattia,
Scuola con la seguente motivazione: «I responsabili degli Uffici diocesani, in
quanto organi promozionali della pastorale diocesana impegnati nel servizio
dell’uomo e della società, hanno esaminato con attenzione il presente
documento. Pur astenendosi, per la natura del loro servizio ecclesiale,
dall’esprimere un giudizio sugli aspetti tecnici della proposta, dichiarano di
ritrovarsi nei valori che ispirano il progetto, anzi riaffermano la necessità e
l’urgenza di un appropriato intervento nel settore. Dato che la proposta deve
rispondere nel modo più efficace ai bisogni di questo settore del pubblico
servizio, rivolgono un invito alla comunità cristiana perché verifichi il
progetto e si adoperi per tutti quei miglioramenti e sottolineature che la
possono rendere idonea allo scopo».
(18) Cfr. “Proposte di intervento nel campo dei
servizi sociali e socio-assistenziali”, Prospettive
assistenziali, n. 36, ottobre-dicembre 1976.
(19) Cfr. “No a un centro per bambini lungodegenti”, Ibidem, n. 30, aprile-giugno 1975.
(20) Secondo i dati riferiti dal Prof. Giovanni
Bollea al 2° Congresso italiano di medicina forense (Roma 10-12 ottobre 1962 e
riportati su “Problemi minorili” n. 3 del 1963) per quanto concerne i minori in Italia:
gli handicappati mentali gravi
ricoverati erano circa 10.000
» » » » non
ricoverati » » 5.000
» » » medi certi » » 670.000
» » » casi limite » » 585.000
gli epilettici » » 160.000
i colpiti da paralisi cerebrali infantile » » 100.000
i disadattati del carattere e del comportamento » » 1.500.000
i sordi » » 20/25.000
i sordastri » » 400.000
i ciechi » » 15/18.000
gli ambliopici » » 15/16.000
Si ricorda, inoltre, che nelle circolari del Ministero della
pubblica istruzione n. 4525 del 9 luglio 1962 e 934 del 2 febbraio 1963 si
leggeva quanto segue: «Sono da avviare
alle classi differenziali gli alunni con lievi anomalie del carattere, per
cause non costituzionali, e gli alunni scarsamente dotati, con un quoziente di
intelligenza di poco superiore a quello normale (a titolo meramente indicativo,
al di sotto di 1 e non inferiore a 0,75)». Si tenga conto che, secondo gli
esperti, nell’area indicata (QI 75-100) si raggruppava oltre il 40% della
popolazione scolastica!
(21) Cfr. “Assunzioni di handicappati intellettivi:
un bilancio del volontariato promozionale”,
Prospettive assistenziali, n. 119; “Handicappati intellettivi: assunzioni
da aziende profit”, Ibidem, n. 126,
aprile giugno 1999; E. Buffa, “Lavorare in sinergia: un’esperienza di
collocamento mirato di soggetti con handicap intellettivo”, Ibidem, n. 128, ottobre-dicembre 1999 e
la relazione “Ottenuti 300 posti di lavoro per soggetti con handicap
intellettivo lieve e medio, o con sindrome di Down”, in Esperienze concrete del volontariato dei diritti - Come tutelare le
esigenze delle persone non in grado di autodifendersi”, Quaderno n. 1 di Prospettive assistenziali.
(22) Cfr. Fabrizio Fabris e Luigi Pernigotti, “Cinque
anni di ospedalizzazione a domicilio - Curare a casa malati acuti e cronici:
come e perché”, Rosenberg & Sellier, Torino, seconda edizione aggiornata
1990, e Nicoletta Aimonino Ricauda, “L’ospedalizzazione a domicilio di Torino
compie dieci anni”, Prospettive
assistenziali, n. 111, luglio-settembre 1995 e AA.VV., “Ospedalizzazione a
domicilio del paziente colpito da ictus cerebrale”, Ibidem, n. 116.
(23) Cfr. “Proposte di unificazione dell’assistenza
domiciliare integrata e dell’ospedalizzazione a domicilio”, Prospettive assistenziali, n. 107, luglio-settembre 1994.
(24) Cfr. gli articoli apparsi su Prospettive assistenziali: “Proposta di
legge regionale di iniziativa popolare: Riordino degli interventi sanitari a
favore degli anziani malati non autosufficienti e realizzazione delle residenza
sanitarie assistenziali”, n. 90, aprile-giugno 1990; “Per il diritto alle cure
sanitarie delle persone colpite dalla malattia di Alzheimer e da altre forme di
demenza”, n. 92; “Per il diritto alla cura delle persone colpite dalla malattia
di Alzheimer”, n. 94; “Centri sanitari diurni per malati di Alzheimer e
sindromi correlate”, n. 101; “Deliberato il primo centro diurno sanitario per i
malati di Alzheimer”, n. 106; “Prime esperienze del centro diurno per malati di
Alzheimer”, n. 118; Anna Maria Gallo, “I centri sanitari per i malati di
Alzheimer: un’altra conquista del volontariato dei diritti”, n. 127.
(25) Cfr. “Il Cottolengo: un pilastro
dell’emarginazione”, Prospettive
assistenziali, n. 63, luglio-settembre 1993 e “Nuovi istituti, vecchia
emarginazione e gli stessi danni: la storia di Roberto e Piero per continuare a
riflettere”, Ibidem, n. 78.
(26) Cfr. “Servizio di trasporto mediante taxi
destinato a persone fisicamente impedite”,
Ibidem, n. 48. Si osservi che in quel periodo le persone in carrozzella non
potevano viaggiare nei treni insieme agli altri passeggeri. Infatti,
rispondendo ad una interrogazione parlamentare, il Sottosegretario di Stato per
i trasporti e l’aviazione civile affermava in data 30 ottobre 1970 che «il trasporto delle persone invalide,
unitamente al proprio mezzo di locomozione, è consentito nei bagagliai dei
treni viaggiatori, nei limiti dello spazio disponibile». Da notare che
d’inverno i bagagliai non vengono riscaldati. Cfr. “Metti l’handicappato nel
bagagliaio e fagli l’elemosina di 150 lire al mese”, Ibidem, n. 49.
(27) La relazione e il testo della proposta di legge
di iniziativa popolare sono stati pubblicati sul n. 43, luglio-settembre 1978,
di Prospettive assistenziali.
(28) Cfr. “Bozza di proposta di legge sulla
abolizione delle barriere architettoniche e sulle assegnazioni ‘speciali’ di
alloggi”, Ibidem, n. 63,
luglio-settembre 1993. Il testo della legge regionale 54/1984 è stato
pubblicato sul n. 69 di Prospettive
assistenziali. L’abolizione delle barriere architettoniche doveva essere
prevista dai regolamenti edilizi comunali a seguito della legge della Regione
Piemonte 5 dicembre 1967 n. 56.
(29) Cfr. Marina Rudà, “Il servizio di consulenza
educativa domiciliare istituito dal Comune di Torino per i bambini
handicappati”, Prospettive assistenziali,
n. 74 e Enza Cavagna “Consulenza educativa domiciliare: un servizio del Comune
di Torino per i bambini handicappati”,
Ibidem, n. 107.
(30) Si vedano, ad esempio, le collane di libri edite
dalla Nuova Guaraldi (4 titoli), da Rosenberg & Sellier (19 titoli) e
dall’UTET Libreria (13 titoli).
(31) Cfr. “Perché in materia di adozione abbiamo
difeso e difendiamo l’interesse preminente dei minori senza famiglia”, Prospettive assistenziali, n. 127.
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