Prospettive assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000

 

Il presidente della repubblica non vuole ricevere

una delegazione del csa

 

In data 19 luglio 1999 il CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ha indirizzato al Presidente della Repubblica la seguente lettera (1):

Siamo molto amareggiati per essere stati volutamente esclusi dall’incontro da Lei avuto recentemente a Torino con i gruppi di volontariato.

Questo Coordinamento, infatti, funziona ininterrottamente dal 1970 e ad esso aderiscono le 22 organizzazioni sotto elencate; alcune associazioni facenti parte del CSA svolgono la loro attività dal 1962: pertanto siamo conosciuti dalle autorità che hanno organizzato l’incontro. Le attività da noi svolte ed i risultati raggiunti sono inseriti nel volume di F. Santanera e A.M. Gallo, Volontariato, trent’anni di esperienze: dalla solidarietà ai diritti.

Ci preoccupa moltissimo l’esclusione perché essa è essenzialmente politica: sono stati invitati coloro che si collocano nell’ambito delle imprese sociali o che svolgono un volontariato con finalità consola­torie.

Certamente il volontariato dei diritti, che abbiamo introdotto nel nostro paese, è quasi sempre scomodo. Operiamo, difatti, perché vengano riconosciuti diritti effettivamente esigibili a coloro che sono, spesso volutamente, messi ai margini della società essendo incapaci di autodifendersi a causa dell’età (bambini in situazione di parziale o totale privazione dell’assistenza morale e materiale da parte dei loro congiunti) o per gravi carenze di salute (malati di Alzheimer, dementi senili, anziani malati cronici non autosufficienti, pazienti psichiatrici con limitata o nulla autonomia).

Al riguardo, sottoponiamo alla Sua attenzione il problema (segnalato inutilmente ai Suoi predecessori) dei soggetti malati sopra elencati che, in violazione di ogni principio di umanità e delle leggi in vigore dal 1955, continuano ad essere espulsi con preoccupante frequenza dagli ospedali anche nei casi in cui i soggetti non vengono accolti e curati dai loro familiari. In sostanza viene applicato il barbaro principio secondo cui essere inguaribili significa essere incurabili o poco curabili.

Nel nostro lavoro siamo stati finora solo confortati dal messaggio (che allego) inviatoci da S.E. il Cardinale Carlo Maria Martini in occasione del convegno “Anziani attivi e anziani malati cronici nell’Europa del 2000: orientamenti culturali ed esperienze a confronto” svoltosi a Milano il 24 e 25 ottobre 1998, e da provvedimenti della magistratura favorevoli al diritto alle cure sanitarie anche per le persone colpite da patologie invalidanti (come la sentenza della Cassazione n. 10150/1996), mentre il disinteresse delle Autorità (Ministeri della sanità e della solidarietà sociale, Regioni, ASL, ecc.) è generalizzato.

Poiché le persone malate interessate sono quasi un milione, riteniamo doveroso un Suo intervento a difesa delle loro esigenze e dei diritti sanciti dalle vigenti leggi dello Stato.

Se Lei accettasse di ricevere una nostra delegazione anche poco numerosa, saremmo ben lieti di approfondire quanto sopra riferito e segnalare alla Sua attenzione altre violazioni dei diritti fondamentali della fascia più debole della popolazione.

 

La risposta

In data 12 gennaio 2000 il Segretario generale della Presidenza della Repubblica ha inviato la seguente risposta a Francesco Santanera.

Mi riferisco alla Sua lettera con la quale esprime il desiderio di essere ricevuto in udienza dal Presidente della Repubblica, unitamente ad una delegazione di componenti il Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base, per rappresentargli le violazioni dei diritti fondamentali delle fasce deboli della popolazione.

Al riguardo, sono spiacente di doverLe comunicare che non è possibile, nonostante la migliore propensione, farLe giungere una risposta positiva a causa dei molteplici impegni istituzionali del Capo dello Stato, già fissati e in via di definizione per il prossimo periodo.

Con vivo apprezzamento del Presidente Ciampi per l’impegno da Lei profuso, unitamente al sodalizio, per promuovere il riconoscimento concreto delle esigenze e dei diritti delle categorie più deboli, Le invio i più cordiali saluti.

 

La replica del CSA

Al Segretario generale della Presidenza della Repubblica il CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ha così replicato in data 7 febbraio 2000.

La decisione del Presidente della Repubblica di non ricevere una delegazione del CSA, come da Sua comunicazione del 12 u.s., offende profondamente tutti i volontari delle 22 organizzazioni aderenti al Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base: c’è chi ha lasciato il lavoro per difendere i diritti della fascia più debole della popolazione, chi ha scelto per i suddetti motivi il lavoro a tempo parziale, chi svolge l’attività di volontariato sacrificando il proprio tempo libero.

Nessuno di noi mette in dubbio i numerosi e gravosi impegni del Presidente della Repubblica.

È, però, un duro schiaffo l’asserita mancanza di tempo: la nostra richiesta risale al luglio 1999 e l’udienza avrebbe potuto essere concessa anche nel corso del 2000.

Sottolineiamo che non ci è stato richiesto né un documento, né ci è stato proposto un incontro con uno dei numerosi funzionari della Presidenza della Repubblica.

Certamente, il volontariato consolatorio è più comodo per le istituzioni: non si interroga sulle cause dell’emarginazione sociale e non agisce per il loro superamento.

Da parte nostra non accettiamo che, in violazione delle leggi vigenti, gli anziani cronici non autosufficienti siano espulsi dalle cure sanitarie e vengano dimessi – spesso in modo selvaggio – dagli ospedali e dalle case di cura private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.

Riteniamo, inoltre, una vergogna scandalosa la pensione di L. 400.000 mensili versata dallo Stato alle persone con handicap impossibilitate a svolgere qualsiasi attività lavorativa, mentre centinaia di miliardi sono erogati a titolo di integrazione al minimo delle pensioni INPS o degli assegni e pensioni sociali a soggetti che hanno risorse sufficienti per provvedere alle loro esigenze. Lo sa il Presidente della Repubblica che per l’assegnazione dei suddetti emolumenti le vigenti disposizioni non tengono conto dei patrimoni posseduti per cui, ad esempio, non avere redditi e beni è considerata dalle vigenti norme una condizione identica a quella di coloro che posseggono alloggi o ville anche del valore di alcune centinaia di milioni?

Dunque, non mancano le risorse, ma lo scandalo, per il nostro gruppo, consiste nell’erogazione di superflui finanziamenti pubblici a coloro che posseggono i mezzi economici sufficienti per vivere e nel versamento di sussidi elemosinieri a coloro che sono in una situazione di reale bisogno.

Siamo anche preoccupati per la perdurante violazione delle leggi vigenti praticata da quasi tutti i Comuni, Province e ASL che continuano a pretendere, spesso con il ricatto della non assistenza (se non firmate l’impegno di pagamento, non provvediamo al vostro congiunto), contributi economici dai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di assistiti maggiorenni, nonostante i pareri contrari emessi dal Direttore generale del Ministero dell’interno il 27 dicembre 1993, prot. 12287/70 e l’8 giugno 1999, prot. 190 e 412 B.5, dal Capo dell’Ufficio legislativo del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri il 15 aprile 1994, prot. DAS/4390/1/H/795, il 28 ottobre 1995, prot. DAS/13811/1/H/795 e il 29 luglio 1997 prot. DAS/247/UL/1/H/795 e la lettera inviata dal Capo dell’Ufficio legislativo del Ministro per la solidarietà sociale in data 15 ottobre 1999, prot. DAS/625/UL-607 all’ANCI nazionale.

Se il Capo dello Stato volesse concederci un incontro nei prossimi mesi, saremmo ben lieti di esporgli le nostre considerazioni e le nostre pro­poste.

La situazione, infatti, sta peggiorando com’è dimostrato dalla cancellazione dei diritti (inadeguati, ma effettivi) all’assistenza sanciti nel secolo scorso e durante il fascismo, come risulta dal comunicato stampa “Cinico no della Camera dei Deputati e del Governo alle esigenze ed ai diritti dei cittadini incapaci di autodifendersi” che si allega (2).

 

 

(1) Questa lettera è già stata pubblicata sul n. 127 di Prospettive assistenziali a pagina 62.

(2) Il testo del comunicato stampa del 26.1.2000 è il seguente:

Nel corso dell’esame della legge di riforma dell’assistenza che reca il titolo “Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, la Camera dei Deputati nella seduta del 19 gennaio 2000 ha respinto un emendamento presentato dall’On. Diego Novelli, già Sindaco di Torino per nove anni, e dall’On. Tiziana Valpiana. L’emendamento stabiliva che gli interventi ed i servizi sociali dovevano essere obbligatori per coloro che, se non ricevono le prestazioni assistenziali, non possono vivere o sono inevitabilmente condannati all’emarginazione sociale.

Nell’illustrare il suddetto emendamento i due parlamentari hanno precisato che necessitano non solo delle prestazioni dei settori fondamentali della vita (sanità, casa, lavoro, istruzione, ecc.), ma anche di assistenza, tra gli altri, i minori totalmente privi di famiglia (figli di ignoti) e quelli con genitori in gravi difficoltà socio-economiche, di handicapapti intellettivi con limitata o nulla autonomia e senza un adeguato sostegno da parte dei loro congiunti; le gestanti madri con situazioni di acuto disagio alle quali va altresì fornita l’indispensabile consulenza per il loro reinserimento sociale e per il consapevole riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati, le persone che vogliono uscire dalla schiavitù della prostituzione, i carcerati, ex carcerati ed i loro familiari, i giovani sottoposti ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile, le persone senza fissa dimora, ecc.

Occorre tener presente che, secondo il testo all’esame della Camera dei Deputati, il campo di azione degli interventi e servizi sociali è estremamente ampio, in quanto sono escluse solamente le attività concernenti la previdenza, la sanità e l’amministrazione della giustizia. Pertanto, fra i servizi sociali rientrano anche le attività ricreative (turismo cittadino ed extra urbano, laboratori di musica o di teatro, bocciofile, ecc.).

Dunque, vi era l’esigenza di prevedere l’obbligatorietà per le persone ed i nuclei familiari gravemente disagiati (circa il 2-3% della popolazione), mentre dovevano essere definiti come facoltativi gli interventi per le persone (97-98% degli abitanti) che già dispongono delle risorse occorrenti per un’esistenza accettabile.

La mancata approvazione dell’emendamento Novelli-Valpiana, significa che sono messe sullo stesso piano le esigenze dei centri diurni per gli handicappati intellettivi che vivono con i logo genitori e delle comunità alloggio per i suddetti soggetti privi di adeguato sostegno familiare e quelle, ad esempio, delle persone, con un reddito di 2 o più milioni mensili, che chiedono di godere di un soggiorno di vacanza. Spetta ai Comuni stabilire la priorità di intervento, ma i cittadini ed i gruppi di volontariato non hanno nessuna possibilità di agire sul piano giuridico nel caso in cui l’ente locale preferisca organizzare gite piuttosto che creare i suddetti servizi occorrenti per gli handicappati intellettivi con limitata o nulla autonomia.

Occorre, infine, considerare che a seguito della non approvazione dell’emendamento Novelli-Valpiana, vengono meno i diritti esigibili sanciti nel secolo scorso dal regio decreto 6535 del 1889 e quelli riconosciuti dal regime fascista mediante i regi decreti 773 del 1931 e 384 del 1934, nonché dalla legge 2838 del 1928. È vero che si tratta di diritti inadeguati, tuttavia è preferibile la loro attuale insufficienza rispetto alla totale mancanza nel testo di riforma della Camera di norme che consentono ai cittadini più deboli di poter ottenere il riconoscimento delle loro esigenze di vita. Al riguardo, la Camera dei Deputati ha anche ignorato totalmente quanto stabilito dal 1° comma dell’art. 38 della Costituzione che recita:

«Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale».

Mentre il testo di legge riconosce – e non poteva fare altrimenti – i diritti già vigenti in materia di emolumenti economici a carattere permanente (pensioni e assegni sociali di invalidità, ecc.), prevede – fatto gravissimo anche sul piano etico – che i patrimoni delle IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) ammontanti a 37 mila miliardi ed i relativi redditi, destinati esclusivamente ai poveri in base alla legge Crispi del 1890, possano essere utilizzati anche a favore dei cittadini che sono pienamente in grado di provvedere alle proprie esigenze.

Vi è, dunque, l’urgentissima necessità dell’intervento dei gruppi e delle persone sensibili affinché, nel corso dell’esame, ancora in atto, del testo di riforma, vengano apportate le modifiche occorrenti per la tutela effettiva delle esigenze fondamentali della fascia più debole della popolazione ed i patrimoni delle IPAB con i relativi redditi continuino ad essere destinati esclusivamente ai poveri.

 

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