Prospettive
assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000
il riccometro: uno strumento per favorire I Cittadini abbienti
LUIgi Lia (*)
Secondo il
Parlamento e il Governo, l’ISEE (Indicatore della situazione economica
equivalente), comunemente definito “riccometro” o “redditometro” dovrebbe avere
lo scopo di prevedere «un metodo più equo
per valutare l’effettiva situazione economica delle persone da ammettere al
godimento di prestazioni sociali agevolate» (1).
In effetti
la situazione reale è molto diversa.
Le disposizioni della legge 449/1997
In base
all’articolo 59, comma 51 della legge 27 dicembre 1997 n. 449 “Norme per la
stabilizzazione della finanza pubblica”, il Governo era stato delegato ad
emanare uno o più decreti legislativi per la definizione «di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei
soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate nei confronti di
amministrazioni pubbliche».
La delega
al Governo per l’emanazione di decreti legislativi è regolamentata
dall’articolo 76 della Costituzione che così si esprime: «L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al
Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto
per tempo limitato e per oggetti definiti».
A questo
proposito, si osserva che l’oggetto della delega non è stato definito dalla
legge 449/1997 in quanto nulla venne precisato in merito alle “prestazioni
sociali agevolate”, espressione che compare per la prima volta in una legge.
La
frequenza degli asili nido e delle scuole materne, non essendo obbligatoria per
legge, deve essere considerata una prestazione sociale agevolata? I soggiorni
di vacanza degli anziani hanno una valenza sociale?
E, ancora, i centri diurni per gli handicappati
ultraquindicenni, non inseribili nel lavoro a causa della gravità delle loro
condizioni fisiche e intellettive, rientrano fra le prestazioni sociali
agevolate?
In caso
affermativo, visto che i Comuni singoli o associati potrebbero imporre
contribuzioni per la loro frequenza, quale rilevanza si deve attribuire alle
sentenze (2) che hanno stabilito la totale gratuità delle prestazioni fornite
dagli stessi centri diurni? Se i Comuni pretenderanno il pagamento di una
retta, magari – come spesso avviene – con il ricatto della chiusura del
servizio, occorrerà per ciascuna situazione rivolgersi all’autorità
giudiziaria?
Dalla
mancata definizione delle “prestazioni sociali agevolate” deriva la possibilità
che ciascuno degli 8.100 Comuni italiani fornisca una propria interpretazione,
fatto che potrebbe anche comportare il ricorso alla Corte costituzionale per
l’eliminazione delle disparità di trattamento che inevitabilmente insorgeranno
nei confronti dei cittadini che si trovano nella identica situazione e che
vivono in Comuni differenti.
In secondo
luogo, non appare rispondente al dettato costituzionale concernente la «determinazione di principi e criteri
direttivi» quanto previsto dalla lettera a) dell’art. 51 della legge 449/1997
in quanto nel decreto legislativo di attuazione è accordato alle
amministrazioni pubbliche il potere di «differenziare
i vari elementi reddituali e patrimoniali in ragione della loro entità e
natura».
Infatti,
si consente ai Comuni di individuare per i redditi e per i beni immobiliari e
mobiliari parametri differenti a seconda della prestazione. Pertanto, per la
frequenza degli asili nido potrebbero essere stabiliti criteri anche
completamente diversi rispetto alle rette di ricovero o a qualsivoglia altro
intervento.
È ovvio
che questa assurda possibilità determinerà ineluttabilmente condizioni meno
onerose per i servizi i cui utenti e gli esercenti i poteri parentali o
tutelari sono più forti.
In terzo
luogo, la legge-delega non stabilisce i criteri, a cui devono attenersi i
Comuni per riservare una quota di reddito di importo sufficiente per le proprie
esigenze di vita ai soggetti tenuti a corrispondere contributi per l’utilizzo
delle prestazioni sociali agevolate.
Al
riguardo, ricordiamo che con delibera 1090 del 4 settembre 1998, l’Assemblea
dei Sindaci dei Comuni dell’ASL 9 - Ivrea (Torino) aveva stabilito che, per gli
utenti dei centri diurni per handicappati intellettivi ultraquindicenni con
limitata o nulla autonomia, il minimo vitale (comprendente tutte le spese
relative a vitto, abbigliamento, affitto, luce, gas, ecc.) era di 350 mila lire
mensili!
Il decreto legislativo n. 109/1998
Il decreto
legislativo 31 maggio 1998 n. 109, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 18 aprile 1998, non solo non chiarisce
nessuna delle questioni affrontate in precedenza, ma crea altri problemi.
Infatti in
base all’art. 1 «le disposizioni del
presente decreto si applicano (...)
con esclusione della integrazione al minimo, della maggiorazione sociale delle
pensioni, dell’assegno e della pensione sociale e di ogni altra prestazione
previdenziale, nonché della pensione e assegno di invalidità civile e delle
indennità di accompagnamento e assimilate».
Si tratta
di esclusioni assolutamente non contemplate dalla legge-delega. Nonostante la
palese e gravissima violazione del dettato costituzionale, nessuno ha sollevato
obiezioni: né il Presidente della Repubblica Scalfaro, del Senato Mancino e
della Camera dei Deputati Violante, né il Presidente del Consiglio dei Ministri
Prodi, né i Ministri che l’hanno sottoscritta (Visco, Treu, Ciampi, Turco,
Napolitano e Bindi).
L’esclusione
suddetta, come è già stato rilevato, favorisce decine di migliaia di cittadini
che hanno risorse sufficienti per vivere compresi quelli che posseggono beni
non indifferenti (3).
Inoltre,
anche in questo violando le norme della legge-delega e ancora una volta per
favorire le persone abbienti, il decreto 109/1998 stabilisce che l’«indicatore del reddito è combinato con l’indicatore
della situazione economica patrimoniale nel limite massimo del 20% dei valori
patrimoniali».
Dunque, i
Comuni sono autorizzati a non tenere in nessun conto dei beni mobiliari e
immobiliari posseduti da coloro che richiedono le prestazioni sociali
agevolate, oppure possono calcolarne l’importo nella misura massima del 20%.
Pure in
questi casi, i Comuni possono valutare l’entità dei patrimoni a seconda della
prestazione fornita: ad esempio zero per i soggiorni di vacanza e, invece, per
l’ammontare del 20% nel caso di frequenza di centri diurni o di ricovero presso
una comunità alloggio o un istituto di assistenza.
Il primo
comma dell’art. 2 del decreto 109/1998 sancisce quanto segue: «La valutazione della situazione economica
del richiedente è determinata con riferimento al nucleo familiare composto dal
richiedente medesimo, dai soggetti con i quali convive e da quelli considerati
a suo carico ai fini IRPEF».
La
suddetta norma, identica alla relativa disposizione contenuta nella
legge-delega 449/1997, è contraddetta da quanto è previsto dal 2° comma
dell’art. 3 del decreto 109/1998 in base al quale «per particolari prestazioni gli enti erogatori possono, ai sensi
dell’art. 59, comma 52, della legge 27 dicembre 1997 n. 449, assumere come unità
di riferimento una composizione del nucleo familiare diversa da quella prevista
dall’art. 2, comma 1».
Al
riguardo osserviamo che il comma 52 dell’art. 59 della legge 449/1997 (4) non
contempla in nulla e per nulla la possibilità per gli enti erogatori di rapportarsi
ad una composizione del nucleo familiare differente rispetto a quella stabilita
dal 1° comma dell’art. 2 del decreto 109/1998 (cfr. il testo sopra riportato).
La
questione è molto preoccupante in quanto il codice civile stabilisce all’art.
77 che la parentela si estende fino al sesto grado.
Ne
consegue che moltissimi sono i congiunti che potrebbero essere coinvolti anche
sul piano economico e, quindi, che verrebbero a conoscenza di situazioni
personali anche delicate.
Il decreto
109/1998 non contiene alcuna disposizione circa la somma (minimo vitale) che
non può essere prelevata dai redditi del fruitore delle prestazioni sociali
agevolate, in modo da consentirgli di poter vivere o, se ricoverato, di
provvedere alle proprie esigenze non soddisfatte dall’istituzione.
Inoltre,
le difficoltà interpretative concernenti la caratterizzazione delle
“prestazioni sociali agevolate” non vengono risolte. Infatti, l’art. 1
stabilisce che «il presente decreto
individua, in via sperimentale, criteri unificati di valutazione di coloro che
richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla
generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche».
Il decreto
109/1998 rinvia la definizione dell’ambito di applicazione delle norme della
legge 449/1997 (definizione che, come abbiamo visto in precedenza, avrebbe
dovuto essere effettuata dalla stessa legge 449/1997) e le modalità attuative
ad un altro decreto.
Detto
decreto (avente valore amministrativo e non legislativo come il 109/1998) è
stato emanato in data 7 maggio 1999 dal Presidente del Consiglio dei Ministri
D’Alema con il n. 221 e pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale n. 161 del 12 luglio 1999.
Incredibilmente
anche quest’ultimo decreto non stabilisce né l’ambito di applicazione, né le
modalità attuative limitandosi a ripetere la formulazione dell’art. 1 del
decreto 109/1998 precedentemente riportato (5).
Conclusioni
A nostro
avviso i tre provvedimenti relativi al riccometro (legge 449/1997 e decreti
109/1998 e 221/1999) dovrebbero essere radicalmente rivisti.
In primo
luogo, il Parlamento dovrebbe stabilire con legge che cosa si debba intendere
per “prestazioni sociali agevolate”, in modo che i cittadini e le
amministrazioni pubbliche abbiano un riferimento sicuro e si evitino, pertanto,
abusi e vuoti di intervento.
In secondo luogo, per evidenti motivi etici, occorrerebbe che il Parlamento stabilisse, altresì, che deve essere presa in considerazione la reale situazione economica dei fruitori delle prestazioni sociali agevolate, tenendo quindi conto non solo di tutti i redditi, ma anche dell’insieme dei patrimoni mobiliari ed immobiliari posseduti.
In terzo
luogo, gli enti pubblici dovrebbero riferirsi per tutte le prestazioni sociali
sempre alla stessa valutazione dei redditi e dei beni mobiliari ed immobiliari,
compresi gli interventi esclusi dai decreti 109/1998 e 221/1999: integrazioni
al minimo, maggiorazione sociale delle pensioni, assegno e pensione sociale e
ogni altra prestazione previden-ziale, nonché la pensione e l’assegno di
invalidità civile (6).
Detto
riferimento dovrebbe essere assunto anche per quanto riguarda l’erogazione del
reddito minimo di inserimento di cui al decreto legislativo 18 giugno 1998 n.
237.
In quarto
luogo, una norma di legge dovrebbe definire i criteri da assumere per una
corretta individuazione dell’importo dei redditi lasciati alla disponibilità
del fruitore delle prestazioni sociali agevolate, in modo che possa provvedere
alle proprie esigenze.
Inoltre,
il Parlamento dovrebbe assumere le necessarie iniziative affinché siano evitate
le disparità di trattamento fra i Comuni di uno stesso Consorzio.
Infine,
facciamo nostre le proposte contenute nell’articolo “Interpretazione corretta
dei decreti 109/1998 e 221/1999 e delle disposizioni del codice civile sui
parenti tenuti agli alimenti” (7) che riportiamo: «a) gli utenti dei servizi
assistenziali devono contribuire al pagamento delle prestazioni ricevute non
solo in base, come avviene oggi, ai redditi personali, ma anche in relazione ai
patrimoni immobiliari (alloggi, negozi, ecc.) e mobiliari (azioni, titoli di
Stato, ecc.) posseduti; b) per le
prestazioni domiciliari (aiuti economici, pulizia dell’alloggio, pasti a
domicilio, ecc.) si dovrebbe tener conto della situazione economica dell’intero
nucleo familiare convivente; per gli altri interventi (frequenza centri diurni,
accoglienza presso comunità alloggio, ecc.) occorrerebbe prendere come
riferimento esclusivamente le condizioni finanziarie dell’utente; c) dovrebbe essere soppressa la norma (art. 2,
comma 5) che consente ai Comuni di “assumere come unità di riferimento una
composizione di nucleo familiare” diversa
da quella prevista dalle leggi vigenti per la famiglia anagrafica».
(*) Consulente giuridico del Coordinamento nazionale
del volontariato dei diritti.
(1) Cfr. la nota del Capo dell’Ufficio legislativo
del Ministro per la solidarietà sociale del 15 ottobre 1999, prot.
DAS/625/UL-607, riportata sul n. 128 di Prospettive
assistenziali alle pagine 31 e 32.
(2) Cfr. “Sentenza del Giudice di Pace di Lodi: la
legge stabilisce la gratuità della frequenza dei centri diurni per handicappati
intellettivi”, Prospettive assistenziali,
n. 127. La gratuità della frequenza dei centri diurni per handicappati
intellettivi, disposta dalle leggi 26 febbraio 1982 n. 51 e 26 aprile 1983 n.
131, è stata riconosciuta anche dalle sentenze pronunciate dal Tribunale di
Monza il 31 ottobre 1996 (n. 2614), dal Tribunale di Busto Arsizio in data 17
ottobre 1997 (n. 1199).
(3) Cfr. “Interpretazione corretta dei decreti
109/1998 e 221/1999 e delle disposizioni del codice civile sui parenti tenuti
agli alimenti”, Prospettive
assistenziali, n. 128.
(4) Il 52° comma dell’art. 59 della legge 447/1997 è
così redatto: «Entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 51, gli
enti erogatori individuano, secondo le disposizioni dei rispettivi ordinementi,
le condizioni economiche richieste per l’accesso alle prestazioni assistenziali,
sanitarie e sociali agevolate, con possibilità di prevedere criteri
differenziati in base alle condizioni economiche e alla composizione della
famiglia. Per le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici previdenziali
si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ove non
diversamente disposto con norme di legge e salvo quanto previsto dal comma 50.
La Commissione tecnica per la spesa pubblica elabora annualmente un rapporto
sullo stato di attuazione e sugli effetti derivanti dalle norme di cui al
presente comma. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica provvede a trasmettere tale rapporto al Parlamento. Le condizioni economiche
richieste possono essere, con la stessa modalità, modificate annualmente, entro
il 31 ottobre dell’anno precedente a quello in cui le modifiche hanno effetto».
(5) Infatti, l’art. 1 del decreto 221/1999 è così redatto:
«1. Le
disposizioni del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, si applicano in via
sperimentale per un periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, ai fini dell’accesso alle prestazioni o servizi sociali o
assistenziali erogati dalle amministrazioni pubbliche, non destinati alla
generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche autonomamente stabilite dagli stessi enti
erogatori.
«2. Restano
escluse dall’ambito applicativo, l’integrazione al minimo, la maggiorazione
sociale delle pensioni, l’assegno e la pensione sociale e ogni altra
prestazione previdenziale, nonché la pensione e l’assegno di invalidità civile
e le indennità di accompagnamento e assimilate».
(6) A nostro avviso, come abbiamo sempre sostenuto,
l’indennità di accompagnamento dovrebbe continuare ad essere erogata
indipendentemente dai redditi e dai beni posseduti, essendo la sua finalità
quella di compensare le maggiori spese sostenute a causa della limitata
autonomia derivante dall’handicap.
(7) Cfr. Prospettive
assistenziali, n. 128, ottobre-dicembre 1999.
www.fondazionepromozionesociale.it