Prospettive
assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000
Interrogativi
Chiarezza o discriminazione?
Nella lettera «Famiglie “aperte” occorre chiarezza» (1)
rivolta al Ministro per la solidarietà sociale On. Livia Turco, Don Sergio
Baravalle, direttore della Caritas della Diocesi di Torino, afferma di non
condividere l’opinione attualmente prevalente secondo cui «un minore, figlio di due conviventi è nella stessa condizione di un
minore figlio di due sposati».
Non
condivide questo modo di pensare in quanto a suo avviso «è molto più svantaggiato il primo». Afferma, però, che non bisogna
essere «vittime della cultura dei bisogni
e della prospettiva egualitarista».
Pertanto,
allo scopo di riaffermare la preminenza della famiglia fondata sul matrimonio,
propone – incredibile ma vero – che ai figli di persone non coniugate
dovrebbe essere dato – a parità delle condizioni di bisogno – un
contributo economico inferiore a quello erogato ai nati da persone sposate.
È una
proposta che risponde ad esigenze di chiarezza, come sostiene Don Baravalle, o
è invece una dimostrazione di inaccettabile discriminazione?
Perché le scuole private rifiutano
gli allievi con handicap?
Su la Repubblica del 10 novembre 1999 è
stata pubblicata la seguente lettera del signor Giovanni Muzi di Bergamo: «Il dibattito sul finanziamento della scuola
privata e/o cattolica ha un contenuto che viene presentato come evidente: è un
diritto il finanziamento, è un diritto la parità. Questo è sufficiente a
scatenare una campagna fatta soprattutto di dichiarazioni arroganti da parte
delle gerarchie della Chiesa e dei loro portaborse. Non c’è, però, un vero
confronto di opinioni. Mancano i sostenitori della posizione laica o almeno
dimostrano poco coraggio, in evidenza sono i cattolici perseguitati e vittime
d’ingiustizia.
«Ma c’è un aspetto del problema che è giusto
considerare. È possibile per i ragazzi con handicap frequentare le scuole
private? La mia esperienza ha registrato anni fa il rifiuto di mio figlio
autistico da parte di una scuola materna gestita da religiose. Allora queste
scuole hanno diritto al finanziamento pubblico anche se fanno delle discriminazioni?
Saranno tenute a garantire l’inserimento dei disabili come la scuola pubblica?
Se sono un luogo dove si fa selezione tra gli stessi “normali” più o meno dotati,
quale spazio si può immaginare per chi non è considerato nemmeno normale?».
Più volte
abbiamo segnalato il rifiuto della scuola cattolica all’inserimento nelle proprie
classi di allievi con handicap. Si veda, al riguardo, la nota apparsa sul n.
123, luglio-settembre 1998, di Prospettive
assistenziali «Perché il documento “La scuola cattolica alle soglie del
terzo millennio” ignora gli handicappati?».
È possibile
avere una risposta alle nostre preoccupate domande di chiarimento?
Oppure
dobbiamo prendere atto che si tratta di una esclusione voluta?
CArte dei servizi o diritti di carta?
Maria
Teresa Pegoraro, Nicola Nante e Laura Olivieri, come attività tutorata
nell’ambito del corso di perfezionamento “Programmazione e organizzazione dei
servizi sanitari” (Università di Siena, anno accademico 1998-99) hanno condotto
uno studio sulle Carte dei servizi, le cui conclusioni sono state pubblicate
sul n. 9, ottobre 1999 di Mondo
sanitario.
Secondo
gli Autori la Carta dei servizi dovrebbe essere intesa «come strumento di valorizzazione del ruolo del cittadino-utente
nell’erogazione della prestazione». È però noto che, se le norme della
Carta dei servizi non sono rispettate, i cittadini non hanno alcun potere di
intervento.
Le Carte
dei servizi non sono in realtà “Diritti di carta” come ha rilevato S.E. il
Cardinale Carlo Maria Martini nella relazione “L’etica dello stato sociale”
tenuta alla prima Conferenza nazionale della sanità, Roma, 24 novembre 1999?
(1) Cfr. La Voce del Popolo del 28 novembre 1999.
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