Prospettive
assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000
Una conseguenza aberrante della Concezione DNA
della filiazione, della maternità e della paternità
Da anni
l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, l’Unione per la lotta
contro l’emarginazione sociale e Prospettive
assistenziali si battono affinché nella cultura e nel diritto avanzi la
concezione della filiazione, della maternità e della paternità fondata sui
rapporti reciprocamente formativi che si instaurano fra i bambini procreati o
adottivi, la madre e il padre che li hanno amati e cresciuti. In concreto,
l’adozione di un bambino è equiparabile, come aveva affermato negli anni ’60 il
dotto gesuita Salvatore Lener di Civiltà
cattolica, ad un innesto. Se si procede, ad esempio, all’innesto di un
pesco su un susino o su un mandorlo, i frutti, belli o brutti, buoni o cattivi,
sono sempre e solo pesche, allo stesso modo di quel che avviene quando le
radici sono di pesco.
Patrimonio genetico e caratteristiche personali
Certamente,
la base biologica dei figli adottivi è stata data da coloro che li hanno
generati, anche se non si comprende per quali motivi logici, visto che il
patrimonio genetico deriva dai due procreatori, venga sempre fatto riferimento
alla donna e mai (o quasi) all’uomo. Ben diversa è la situazione per quanto
concerne gli altri aspetti del nostro essere, quelli che ci caratterizzano
veramente come persone. Non si possono certo far risalire al proprio patrimonio
genetico le nostre concezioni sui principi fondamentali e sui valori etici:
doveri e diritti personali e sociali, giustizia, solidarietà, ecc. e sui nostri
sentimenti: affetti, altruismo, onestà, ecc.
L’adozione è una seconda nascita
L’adozione
dei minori deve, dunque, essere considerata una seconda nascita, che non
annulla la prima, ma non ne conserva alcun legame giuridico. Purtroppo sono ancora
molte le persone che, invece, considerano ancora la filiazione come sinonimo di
procreazione e così dicasi per la maternità e la paternità. Se la concezione della
filiazione fondata su DNA venisse perseguita, profonde e devastanti sarebbero
le ripercussioni sul piano personale, familiare e sociale. In particolare, si
provocherebbe una grave svalutazione non solo del ruolo formativo dei genitori
adottivi, ma soprattutto di quelli biologici che rappresentano il 99% delle
madri e dei padri. Affermare che le radici delle persone sono individuate negli
ovuli e negli spermatozoi, significa, infatti, negare i valori dell’educazione,
della solidarietà familiare e sociale.
Adozione e dichiarazione giudiziale
della paternità
In base
alla concezione della filiazione poggiante sul DNA, il codice vigente consente
al giudice di attribuire la paternità ad una persona, anche deceduta, che mai
si è occupata del proprio nato o, addirittura, l’ha volutamente abbandonato a
se stesso.
Se fosse
intervenuta l’adozione, come sarebbe dovuto succedere per tutti i bambini privi
di assistenza morale e materiale che parte dai genitori e dai parenti tenuti a
provvedervi, la paternità sarebbe stata attribuita all’adottante (e la
maternità al coniuge). Inoltre, a seguito del suddetto provvedimento, sarebbero
cessati, salvi i divieti matrimoniali, «i
rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine» (art. 27 della legge 4
maggio 1983, n. 184).
Invece,
non essendo stata dichiarata l’adozione, il procreato, a seguito di
procedimento giudiziario, può essere dichiarato, a tutti gli effetti, figlio
della persona con la quale non solo non ha avuto alcun rapporto positivo, ma
che gli ha causato i gravi danni conseguenti all’abbandono.
È dunque,
lampante la contraddizione fra l’adozione (si diventa madri e padri di un
bambino non procreato ma accolto ed amato) e la dichiarazione giudiziale di
paternità (si diventa padri, anche se defunti, di un bambino procreato, ma
rifiutato).
Una favola di Fedro
A
proposito della filiazione, della maternità e della paternità vere, può essere
utile ricordare la favola di Fedro “Il
cane all’agnello”.
«Disse un
cane ad un agnello, che belava fra le caprette: “Sciocco, ti sbagli, non è qui
tua madre”; e gli addita lontano le pecore appartate.
“Non cerco
quella che, per capriccio, concepisce, e si porta quindi per determinati mesi
l’ignoto peso, e infine quando il carico le cade se ne sgrava; ma cerco quella
che mi nutre porgendomi la poppa e sottrae il latte ai suoi piccoli, perché non
manchi a me”.
“Ma conta
di più quella che ti ha partorito”.
“Non è
così. Donde mai ella seppe se nero o bianco io dovessi nascere? E di più; se
avesse voluto generare una femmina, qual vantaggio avrebbe avuto, essendo io
nato maschio? (...). Perché quella, il cui potere fu nullo nel darmi la vita,
dovrebbe contare di più di questa, che ebbe compassione di me abbandonato e per
propria scelta mi dona la sua dolce benevolenza? È la bontà non la natura che
fa i genitori”» (1).
Partendo
dalla concezione DNA della filiazione, B. e N.S., entrambi sessantenni,
vogliono un nipotino dallo sperma congelato dell’unico figlio morto in un incidente
stradale. Ventiquattro ore dopo il decesso del ragazzo, come risulta da una
notizia apparsa su La Stampa del 20
dicembre 1999, hanno ottenuto tramite un medico amico che un urologo estraesse
dello sperma dal cadavere. Dopo il “no” della fidanzata a una possibile
gravidanza, i due hanno allora chiesto lo sperma per sé, con l’intenzione di
portarlo all’estero, assoldare una donna per procura e soddisfare così il loro
desiderio di diventare nonni.
Anche se
finora non sono però riusciti ad avere il liquido dal Priory Hospital di Birmingham, la vicenda è estremamente
allarmante, tenuto conto, in particolare, delle enormi possibilità di
manipolazione genetica oggi possibili sul piano tecnico-scientifico.
(1) Cfr. L. Alloero, M. Pavone, A. Rosati, Siamo tutti figli adottivi. Otto unità
didattiche per parlare a scuola di maternità e paternità, Rosenberg &
Sellier, Torino.
www.fondazionepromozionesociale.it