Prospettive
assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000
HANDICAP: LE RICHIESTE DEL CSA
PER OTTENERE DIRITTI E SERVIZI SOCIALI
ESIGIBILI
Riportiamo il
documento redatto dal CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base, in data 6 aprile 2000.
Al fine di assicurare una reale politica di
integrazione sociale e lavorativa delle persone handicappate, e il pieno
rispetto dei loro diritti, i programmi d’azione del Governo, della Regione e
degli Enti locali dovranno fare propri i seguenti principi di riferimento:
1. Le persone handicappate che presentano patologie
croniche con conseguente non autosufficienza sono in primo luogo persone malate
e, dunque, come ogni altro cittadino malato hanno diritto a cure sanitarie e
riabilitative senza limiti di durata da parte del Servizio sanitario nazionale.
2. In base alle leggi vigenti le ASL (e non i servizi
assistenziali degli enti locali) devono assicurare tutti gli interventi
necessari: cure domiciliari, ambulatoriali, day hospital, ricoveri ospedalieri
e/o in case di cura convenzionate, piccole comunità alloggio quando i soggetti
di cui al punto 1) non possono continuare a vivere presso il loro domicilio.
Ribadiamo il nostro totale dissenso al ricovero in RSA
(residenze sanitarie assistenziali), con gli anziani malati cronici non
autosufficienti e i malati di Alzheimer, di adulti con handicap fisici e gravi problemi
sanitari, anche se in nuclei separati o in strutture a parte di 20-30 posti
letto.
Ricordiamo che sovente siamo in presenza di persone
adulte di 35-40 anni di età. L’ambiente di una comunità alloggio è il solo che
possa più facilmente riproporre un clima familiare, mentre il numero
relativamente piccolo degli ospiti, rende più difficile il ricovero di persone
non residenti nella zona e permette invece agli ospiti la possibilità di
continuare a mantenere normali contatti con amici, parenti e familiari.
La comunità alloggio con al massimo 8 posti letto (e
due di pronto intervento), con annesso al limite un centro diurno per una
capienza massima di 20 soggetti è la soluzione che risponde alle esigenze di
queste persone che, pur in presenza di gravi malattie che ne limitano
l’autonomia, sono comunque ancora in una fase dell’età in cui è logico e
doveroso poter condurre una vita di relazione il più possibile vicino alla
normalità.
Trattandosi di persone malate, anche se handicappate,
la gestione della comunità è ovviamente dell’ASL di riferimento, che potrà così
assicurare tutte le prestazioni sanitarie necessarie, anche a domicilio.
3. I giovani e gli adulti psicotici con insufficienza
mentale hanno pieno diritto alle cure del servizio psichiatrico, che non può
“scaricarli” ai servizi assistenziali dell’Ente locale.
È inaccettabile e lesivo dei diritti delle persone,
che i dipartimenti di salute mentale delle ASL
possano permettersi di decidere a loro totale discrezionalità se considerarli
malati oppure solo “handicappati intellettivi”, per non assumerne gli oneri di
cura.
Il Governo deve prevedere azioni precise nei confronti
delle ASL perché realizzino nel loro territorio:
– almeno 1 centro diurno ogni 50 mila abitanti per
giovani e adulti psicotici con insufficienza mentale;
– almeno 1 comunità alloggio ogni 50 mila abitanti per
giovani e adulti psicotici con insufficienza mentale.
4. Tutti gli handicappati con capacità lavorativa
hanno diritto al lavoro in normali aziende produttive, anche coloro che, a
causa dell’autonomia limitata, possono raggiungere una capacità lavorativa
ridotta.
La Regione dovrà pertanto destinare in primo luogo gli
incentivi previsti dal Fondo nazionale disabili, di cui alla legge 68/1999 sul collocamento
obbligatorio, al sostegno delle persone con handicap intellettivo e ai disabili
fisici con limitata autonomia, che, in misura maggiore rischiano l’esclusione
dal lavoro e, conseguentemente, di finire in un percorso assistenziale a vita.
Vi è il rischio che i Comitati tecnici dei Centri per l’impiego diventino la brutta
fotocopia del vecchio e inutile collocamento e, soprattutto, impediscano nei
fatti l’inserimento al lavoro delle persone con maggiori difficoltà.
Chiediamo
alla Provincia e ai Comuni in cui hanno sede i Centri per l’impiego di
promuovere azioni comuni tese ad una seria politica del lavoro per favorire
realmente il collocamento al lavoro di questi soggetti.
È necessario arrivare al più presto alla stipula di
accordi di programma che prevedano:
– l’istituzione dei servizi per l’inserimento
lavorativo (SIL) per realizzare il collocamento mirato ed il reperimento del
necessario personale;
– l’inserimento dei SIL nell’ambito dei centri per
l’impiego con titolarità nella predisposizione dei programmi di lavoro e negli
aspetti decisionali in merito alla stipula delle convenzioni e dei relativi
incentivi;
– la definizione delle priorità di intervento nei
confronti degli iscritti segnalati dai SIL;
– la messa in atto di strategie volte a promuovere
inserimenti lavorativi anche di quote di soggetti con una riduzione delle
capacità lavorative nelle aziende scoperte (pubbliche e private) con programmi
di corsi di preparazione al lavoro, tirocini, borse lavoro mirate;
– la creazione di opportunità di lavoro in ogni
intervento previsto per la promozione di nuova occupazione: patti territoriali,
fondi europei strutturali e programma Equal.
È scandaloso
che il 70 per cento dei fondi europei non sia stato negli anni scorsi
utilizzato per incompetenza o assenza di progettazione da parte degli Enti
locali, secondo quanto dichiarato dal responsabile della DVG 5 di Bruxelles al
convegno “Il Guado” del 17.12.1999.
5. Solo ed esclusivamente per gli handicappati
intellettivi in situazione di gravità chiediamo il diritto a servizi
assistenziali, diritto non ancora riconosciuto dalle leggi 104/1992 e 162/1998
e neppure previsto nella legge di riforma dell’assistenza in discussione in
Parlamento.
Basta con i
finanziamenti a pioggia (peraltro scarsissimi) delle leggi 104/1992 e 162/1998.
Anziché essere utilizzati per finanziare l’avvio di
servizi indispensabili per gli handicappati in situazione di gravità, con la
presa in carico successiva degli Enti locali, sono erogati dalla Regione per
sostenere progetti che nascono e finiscono in un anno e che nel 90 per cento
dei casi dovrebbero essere finanziati da altri settori quali ad esempio scuola,
tempo libero, cultura, sport, lavoro, che sono così ben contenti di impiegare
le loro risorse per attività non di pertinenza dell’handicap.
Basta con la discrezionalità e l’insicurezza dei
finanziamenti: chiediamo la certezza del diritto e delle risorse necessarie per
la realizzazione dei seguenti servizi:
– il servizio di aiuto alla persona, per gli
handicappati con limitata autonomia che necessitano di interventi specifici, in
misura reale al fabbisogno;
– un centro diurno assistenziale per gli handicappati
intellettivi in situazione di gravità non avviabili al lavoro (almeno 1 ogni 30
mila abitanti);
– una comunità alloggio con al massimo 8 posti letto
(e altri due di pronto intervento) inserite in normali contesti abitativi, in
misura di almeno 1 ogni 30 mila abitanti.
SARÀ ELIMINATO UN ALTRO PRIVILEGIO
DELL’ANMIC?
Nello scorso numero avevamo segnalato che il Garante per
la riservatezza dei dati personali, con un provvedimento del 1° dicembre 1999,
ha stabilito quanto segue:
1) le Commissioni delle ASL preposte all’accertamento
dell’invalidità non possono più trasmettere gli elenchi degli invalidi civili
all’ANMIC, Associazione nazionale mutilati e invalidi civili;
2) l’ANMIC non può richiedere alle suddette
Commissioni gli elenchi ed i dati personali degli invalidi civili;
3) i medici, nominati dall’ANMIC e da altre
associazioni “storiche”, continuano a far parte delle Commissioni, ma possono
usare i dati solo per lo svolgimento dell’accertamento collegiale
dell’invalidità.
Mentre è necessario verificare che la decisione del
Garante venga rispettata, riportiamo il testo dell’interrogazione presentata il
23 marzo 2000 dall’On. Diego Novelli al Ministro dell’interno.
“Per sapere:
se sia stata stipulata anni or sono ed è ancora
operante una convenzione fra il Ministero dell’interno e l’ANMIC, Associazione
nazionale mutilati e invalidi civili,
in base alla quale il Ministero dell’interno opererebbe una trattenuta
annua di lire 49.999 sulla pensione degli invalidi civili che hanno rilasciato
apposita delega e verserebbe tale importo alla stessa ANMIC, senza peraltro
introitare alcuna somma quale rimborso degli oneri economici sostenuti;
nel caso in cui la convenzione sopra citata sia ancora
operante, preso atto che l’ANMIC non è più un ente pubblico a seguito del
decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, se il Ministero
dell’interno sia disposto a stipulare analoghi accordi con le altre
associazioni di invalidi;
in caso affermativo chiede che gli vengano precisate
le caratteristiche richieste per le future possibili convenzioni”.
A CARICO DEL SERVIZIO SANITARIO
NAZIONALE ANCHE I FARMACI INDISPENSABILI NON COMPRESI
NEL PRONTUARIO
Il Giudice del lavoro di Savona, Dott. Giovanni
Zerilli, con la sentenza n. 442/1999, pronunciata in data 13 ottobre 1999,
depositata in Cancelleria il 10 dicembre 1999, ha condannato “la ASL n. 2 Savonese al pagamento in favore
della ricorrente C.P.L. della somma di L. 2.585.000 a titolo di rimborso per le
spese farmacologiche sostenute dalla medesima nel corso del 1996 per la cura
della patologia da cui è affetta, oltre interessi legali dal dì dei pagamenti
alla data dei rimborsi”.
Il provvedimento è molto importante in quanto
stabilisce che sono a carico del Servizio sanitario nazionale tutti i farmaci
indispensabili, anche se non compresi nel prontuario farmaceutico.
In particolare la Signora C.P.L., colpita da grave
patologia parkinsoniana, aveva chiesto all’ASL n. 2 Savonese il rimborso delle
spese sostenute per l’acquisto di due farmaci (Nopar e Montadan) utilizzati
nella terapia della sua patologia, farmaci risultati indispensabili e
insostituibili a seguito degli accertamenti peritali disposti dal Giudice.
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