Prospettive
assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000
Anziani cronici non autosufficienti trattati
come pacchi:
la
magistratura indaga
Nel mirino della Procura della Repubblica di Torino è
l’ipotesi di reato: «truffa aggravata per
il conseguimento di erogazioni pubbliche». Sono indagati amministratori
di case di cura private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale,
direttori sanitari e primari delle suddette strutture. Secondo le notizie
riportate dai giornali (cfr. La Stampa
del 7.4.2000) sarebbero 15 i miliardi incassati in modo illecito.
Il copione era sempre uguale: applicare a proprio uso
e consumo la delibera della Giunta della Regione Piemonte n. 70-1459 del
18.9.1995.
Il provvedimento stabilisce che, dopo il 60° giorno di
ricovero, la Regione non versa più alle case di cura private convenzionate la
retta intera, ma ne decurta l’importo del 40%. La riduzione è motivata dal
minor consumo di risorse (esami, ecc.) impiegate per il trattamento dei
pazienti che la Regione presume siano ormai stabilizzati.
Allo scopo di percepire sempre la retta intera, le
case di cura private, con il sostegno informativo di molti operatori,
dimettevano i pazienti alla scadenza del 60° giorno di degenza, anche se
gravemente malati e con le stesse evidenti esigenze sanitarie riscontrate
durante il ricovero.
Nell’interrogazione presentata al Consiglio regionale
piemontese in data 22 maggio 1998 dal consigliere Pier Luigi Rubatto, veniva
denunciata la situazione di una malata cronica non autosufficiente, colpita anche
da sclerosi multipla, che aveva subito in meno di un anno ben sei
trasferimenti:
– Casa di cura Villa Turina, il 17-4-1997;
– Casa di cura Villa Cristina, il 19-7-1997;
– Casa di cura Villa Augusta, il 24-9-1997
– Casa di cura Villa Cristina, il 31-10-1997;
– Ospedale Maria Vittoria, il 14-12-1997 (per
frattura del femore);
– Casa di cura Villa Cristina, il 25-2-1998 (1).
Dunque, mentre le case di cura private avevano trovato
una soluzione per percepire sempre le rette intere, i pazienti pagavano sulla
loro pelle le conseguenze degli spostamenti da una struttura all’altra (a volte
distanti anche decine di chilometri). In sostanza, erano trattati come pacchi
che diventano ingombranti allo scadere del 60° giorno di ricovero.
Un altro caso emblematico è stato denunciato il 22
febbraio 2000 dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti. Una
donna, colpita da ictus, è stata sballottata per otto mesi da una casa di cura
all’altra: dall’ospedale “Giovanni Bosco” di Torino al “San Camillo”, poi a
“Villa Adriana” di Arignano, quindi a “Villa Iris” di Pianezza, per finire a
“Villa Papa Giovanni” e in seguito, nuovamente a “Villa Iris”.
Molto grave è stato il comportamento di un numero non
indifferente di operatori, in particolare di assistenti sociali.
È stato addirittura distribuito ai parenti dei malati
un modulo in cui non era segnalato che, alla scadenza del 60° giorno di
degenza, la Regione corrispondeva alle case di cura private una retta ridotta
del 40%, ma veniva riportato che la degenza massima era di due mesi.
Di conseguenza, numerosi sono stati i congiunti di
infermi che, fidandosi degli operatori, ritenevano che il Servizio sanitario
nazionale fosse tenuto dalla legge a garantire le cure solo per due mesi!
Precisiamo, inoltre, che assistenti sociali, operanti
presso gli ospedali, richiedevano ai congiunti di anziani cronici non
autosufficienti di sottoscrivere, quale condizione indispensabile per il
trasferimento dei pazienti presso case di cura private, un altro modulo così
redatto dalle stesse case di cura:
Il
sottoscritto/a Sig. ....................................................
residente in
...................................... tel. ..................
in qualità di
................. del paziente Sig. ..................
dichiara di
essere in grado di assicurare il trasferimento del/la paziente Sig.
........................................
al proprio
domicilio/in istituto di cura, all’atto della dimissione dalla Casa di Cura
stabilita dai medici del Centro stesso, o qualora le condizioni del/la paziente
risultassero non corrispondenti a quelle segnalate nella presente proposta.
Torino, li
...........................
firma e
indirizzo leggibili
Inutile è stata la richiesta avanzata dal Comitato per
la difesa dei diritti degli assistiti alla Presidente dell’Ordine degli
assistenti sociali del Piemonte di «intervenire
affinché gli assistenti sociali non forniscano più informazioni distorte in
merito al diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non
autosufficienti». Era stato inoltre precisato dal Comitato che, se l’Ordine
non assumeva iniziative, gli assistenti sociali avrebbero continuato a
richiedere la sottoscrizione di moduli in cui i parenti dei malati assumevano
impegni non previsti da alcuna legge.
Stupefacente la risposta, datata 18 novembre 1999,
della Presidente dell’Ordine degli assistenti sociali del Piemonte: «Ricordo che l’assistente sociale, pur
operando con autonomia tecnico-professionale e di giudizio, quando lavora alle
dipendenze di un ente, ha il dovere di rispettare non solo le leggi nazionali e
regionali, ma anche le disposizioni che le vengono impartite e non è certamente
compito di un Ordine professionale intervenire affinché ciò non avvenga».
Dunque, se le disposizioni impartite dall’ente, anche
pubblico, presso il quale lavora, sono in contrasto con la legge, l’assistente
sociale dovrebbe attuarle e, quindi, sarebbe professionalmente corretto che
fornisca informazioni anche false ai cittadini.
(1)
Cfr. “I
vecchi malati non devono più essere trattati come pacchi”, Prospettive assistenziali, n. 128.
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