Prospettive assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000

 

I diritti negati: l’inquietante manuale DELLA FEDERAZIONE ALZHEIMER ITALIA

 

Dal comune lavoro delle organizzazioni “Alzheimer Europe” e “Alzheimer Italia” è stata recentemente pubblicata l’edizione italiana del “Manuale per prendersi cura del malato di Alzheimer”.

Secondo gli Autori, fra i quali la Presidente della Federazione Alzheimer Italia, il volume «ha un obiettivo importante: rispondere in modo chiaro ed esaustivo agli interrogativi che attraversano le giornate di chi condivide la propria quotidianità con una persona malata di Alzheimer».

Il CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli as­sistiti ha preso in esame il capitolo relativo agli aspetti giuridici, ritenendo – come dovrebbe essere ovvio – che la questione principale da affrontare concerne i diritti dei soggetti colpiti dalla malattia di Alzheimer e la loro applicazione.

Al riguardo riportiamo integralmente la lettera inviata in data 28 febbraio 2000 dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti alle sedi nazionali e locali dell’Associazione Alzheimer.

 

Testo della lettera

Siamo rimasti esterrefatti dalla lettura del capitolo quinto del “Manuale Alzheimer” predisposto dalla Federazione Alzheimer Italia.

Mentre tutte le persone di buon senso operano affinché i malati di Alzheimer, anche se attualmente inguaribili, siano considerate e trattate come soggetti bisognosi di cure (in effetti le leggi lo prevedono fin dal 1955), nel volume si assegnano ai congiunti degli infermi compiti ed oneri economici non solo non previsti da nessuna disposizione, ma enunciati in modo tale da scaricare il Servizio sanitario nazionale dalle responsabilità ad esso attribuite dalle disposizioni vigenti.

Nel capitolo “Doveri di assistenza familiare” si arriva ad affermare che «se vi è una grave patologia invalidante come la malattia di Alzheimer, l’osservanza del dovere di assistenza familiare scaturente dalla norma penale appena citata implica la necessità che il familiare obbligato contribuisca alle spese per le cure mediche e per l’assistenza nonché che si assicuri, a mezzo di costanti rapporti personali dell’effettivo stato di bisogno materiale e morale del familiare; ciò anche se quest’ultimo ricevesse comunque un’assistenza da altro familiare o da terzi».

Chi ha inserito le suddette affermazioni non tiene conto che l’obbligo di curare i malati di Alzheimer (e le persone colpite da altre patologie: cancro, ictus, ecc.) spetta al Servizio sanitario nazionale e non ai congiunti. Se questi ultimi intervengono quando il paziente non è più in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze, compiono attività di volontariato intra-familiare, attività di cui le associazioni, come quella di tutela dei malati di Alzheimer e dei loro congiunti, dovrebbero pretenderne il riconoscimento tramite apposite delibere dell’ASL.

Nello stesso capitolo vengono fatte considerazioni circa l’abbandono di persone incapaci in cui nuovamente viene sostenuto che i familiari hanno obblighi di cura nei confronti del malato di Alzheimer, obblighi che – lo ripetiamo – spettano al Servizio sanitario nazionale.

Circa i doveri di assistenza familiare, si ricorda che in base alle leggi vigenti gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di assistiti maggiorenni.

Al riguardo, dopo anni di nostre insistenti e continue lotte, il Comune di Torino ha finalmente deciso di rispettare le norme in vigore; pertanto si è impegnato a non richiedere più contributi ai congiunti dei malati di Alzheimer.

Il capitolo del manuale relativo all’assistenza socio-sanitaria è parecchio confuso. Nella prima parte del capitolo 5.5 si afferma giustamente che i malati di Alzheimer hanno diritto, come tutti i cittadini in stato di malattia, a essere curati gratuitamente in ospedale, omettendo però di precisare – fatto gravissimo – che tale obbligo deve essere attuato senza limiti di durata.

Non è, invece, corretto quanto viene scritto a proposito delle case di riposo pubbliche e private: il ricovero in strutture di assistenza di persone malate costituisce una grave violazione delle norme vigenti.

Un altro abuso riguarda – lo ripetiamo – la richiesta di pagamento da parte delle strutture pubbliche di contributi economici ai parenti dei malati. Nel volume è scritto, addirittura, che la contribuzione dei familiari del malato è un obbligo previsto dalle leggi vigenti senza però citarne alcuna.

Nel capitolo “Incapacità e tutela” viene sostenuto che l’interdizione è sempre costosa; nulla viene detto circa le procedure gratuite (risparmiando 4-5 milioni) sia quelle avviate da decenni dagli operatori sanitari e sociali, sia quelle presentate direttamente e tramite associazioni (come noi facciamo da alcuni anni) alla Procura della Repubblica.

Si osserva, infine, che non una riga è stata dedicata alle iniziative praticabili per evitare le dimissioni dei malati di Alzheimer da ospedali e case di cura private convenzionate.

In conclusione, riteniamo che il manuale dovrebbe essere ritirato rivedendo tutto il capitolo 5, poiché i suoi contenuti invece di promuovere i diritti dei malati di Alzheimer, offrono molti pretesti alle istituzioni per disinteressarsene e addossare compiti curativi ed economici ai loro congiunti.

 

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