Prospettive
assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000
il
centro diurno prolungato del ciss - ossola
gabriella tonelli e silvia wesch (*)
In queste pagine presentiamo alcune riflessioni su
un’esperienza che da dieci anni si conduce in un servizio pubblico rivolto a
persone con handicap in situazione di gravità.
Ci è venuto il desiderio di parlare del CDP (Centro
diurno prolungato) ai lettori di Prospettive
assistenziali per diversi motivi: per documentare un lavoro che, pur con
molti limiti, ha ottenuto buoni risultati; per renderci visibili e incrementare
occasioni di confronto e di riflessione su quanto fin qui svolto; perché la
conoscenza di altri servizi e lo scambio con operatori del settore ci hanno
confermato che è possibile individuare nel nostro centro alcuni elementi di
originalità. Su questi, più che sui dati tecnici, intendiamo soffermarci.
Il CDP, che ha sede a Crevoladossola, è attualmente
gestito dal CISS, Consorzio intercomunale dei servizi sociali - Zona Ossola.
È aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore
22.00, senza periodi di chiusura, salvo i giorni delle festività ufficiali.
Attualmente vi lavorano 5 educatori, 1 adest (assistente domiciliare e dei
servizi tutelari), 1 assistente sociale a tempo parziale (coordinatore dell’area
handicap), 2 obiettori di coscienza a metà tempo, più alcuni volontari.
Non si tratta propriamente di un centro diurno e non è
un servizio residenziale, anche se ha caratteristiche sia dell’uno sia
dell’altro.
Situazioni molto differenti tra loro sono state
accolte nel centro, determinandone ogni volta parziali rimaneggiamenti
organizzativi: si tratta di persone che non hanno trovato altra collocazione;
casi che necessitano di un’accoglienza in fasce orarie non coperte da altri
servizi (come quelle tardo pomeridiane e serali); infine, soggetti per i quali
sono state fatte richieste di interventi particolari e specifici non esaudibili
altrove.
Sul concetto di gravità vanno fatte alcune
precisazioni. È convinzione al CDP che a determinarla, oltre alle minorazioni,
concorrano più fattori: dalle risorse a disposizione della famiglia alle
capacità relazionali e comunicative del soggetto, fino all’intero quadro della
situazione vissuta da ciascuno. Questa estensione del concetto di gravità
conduce ad un tipo di presa in carico personalizzata che per alcuni casi è
quasi totale (molte ore di frequenza al centro; si arriva fino ad occuparsi di
dettagli relativi alla salute, alla cura della persona, ecc.), per altri è
limitata (frequenza in fasce orarie ridotte o solo in alcuni giorni della
settimana; il centro offre stimoli e occasioni educative, rimane però alla
famiglia la gestione di tutti gli altri aspetti).
Si può insomma affermare che le caratteristiche
fondamentali del CDP siano la flessibilità e la personalizzazione delle
risposte offerte sia a livello quantitativo sia a livello qualitativo e che il
CDP sia una sorta di continua “invenzione”, una scommessa a favore della
centralità di ogni persona, il che porta ad adattare a questi tempi, spazi,
attività del centro (e non viceversa).
Al momento il CDP accoglie 10 giovani di età compresa
tra i 22 e i 38 anni, tutti gravemente handicappati, non solo fisicamente ma
anche intellettivamente, con una notevole problematicità comportamentale e
tratti di tipo psichiatrico. Si tratta di persone accomunate dall’incapacità di
vivere tempi anche brevi senza una presenza di riferimento, ma con differenti
livelli e segmenti di autonomia (si va dal soggetto incapace di compiere il
minimo movimento volontario a quello che, pur possedendo ed esercitando
discrete capacità di base, non sa prevedere, e quindi organizzare, le
conseguenze delle proprie azioni, né gestire da solo le forti ripercussioni
emotive suscitate da eventi anche molto “normali”).
Il trovarsi di
fronte a soggetti con così limitate capacità manipolative, attentive, di
collaborazione, motorie, cognitive fa sì che ci si ponga come principale
obiettivo il garantire ad ognuno di essi il massimo grado di benessere, una
migliore qualità della vita, un buon grado di soddisfazione personale non solo
creando un ambiente sereno e gioioso, ma anche mettendoli in condizione di
sperimentarsi in situazioni nuove e stimolanti.
Stabilire finalità come “benessere e qualità”, se non
le si vuole utilizzare quali etichette che dicono tutto ma anche nulla,
significa darne un contenuto oggettivo e valutabile, ma soprattutto
considerarle come obiettivi mai conseguiti una volta per tutte e che richiedono
un costante lavoro di revisione e adattamento, dato che le persone stesse sono
in divenire. Senza entrare nello specifico di ciò che viene pensato e proposto
per ogni caso, si enunciano i tre livelli su cui si articolano gli interventi
educativi:
– lo sviluppo delle capacità possedute mediante la
costruzione di esperienze mirate sia occupazionali che di svago;
– il mantenimento delle abilità possedute nelle più
normali situazioni di vita;
– l’elaborazione di percorsi specifici per
l’apprendimento delle capacità mancanti, compatibilmente con la gravità e tipo
di handicap.
Il criterio della personalizzazione induce a lavorare
molto sulla creazione e sul potenziamento di canali comunicativi
individualizzati anche predisponendo strumenti per favorire l’espressione di
desideri e scelte, come, ad esempio, il menù quotidiano e la lista per il bar ad
immagini o le tavole di comunicazione personalizzate.
La quotidianità si rivela condizione ricca di
“occasioni educative” fondamentali.
Ci si rende conto, inoltre, che gli apprendimenti
realizzati in un contesto non artificiale sono facilitati e sono più duraturi
nel tempo. Il “vedere fare delle cose”, così come il poter ripetere ogni giorno
le azioni di vita quotidiana, permette di affinare le proprie capacità e dà la
possibilità di mutuare comportamenti appropriati e di metterli poi in atto
secondo le personali esigenze ed in situazioni differenti.
Anche le frequenti uscite sul territorio si
trasformano in occasioni importanti di acquisizione di sempre maggiore
autonomia oltre che di svago. Per questo le passeggiate, il frequentare i
negozi, le uscite in pizzeria, i concerti, il cinema, le gite, i picnic estivi,
le feste, i soggiorni educativi, la frequenza di piscine e di una palestra
esterna al centro sono momenti inscindibili dalle attività interne.
Al CDP viene svolto un attento lavoro sull’accettazione
del cambiamento, di qualunque tipo esso sia (ciò ha permesso, ad esempio, di
far fronte, senza forti traumi, all’avvicendamento degli educatori negli ultimi
anni), sulla motivazione ad essere protagonisti del proprio percorso evolutivo,
sull’espressione e sulla gestione dell’emotività, sull’autostima intesa come
fiducia nelle proprie capacità e possibilità, come “volersi bene”, anche
curando il proprio corpo e la propria immagine.
Il centro è dunque una “palestra” per l’apprendimento
di requisiti cognitivi, emotivi, sociali, ma anche delle capacità di
adattamento e di flessibilità necessarie per una buona partecipazione esterna.
La giornata al CDP è scandita da momenti fissi, primi
fra tutti quelli dei pasti, momenti di condivisione, di familiarità, di relazioni.
Anche durante la settimana ci sono degli appuntamenti stabiliti per motivi
organizzativi (ad esempio, a causa della disponibilità del pulmino), come la
gita del mercoledì pomeriggio, il picnic estivo del giovedì, la palestra al
giovedì mattina. Ad essi partecipano tutti i ragazzi presenti in quel momento
al centro.
Alcune attività coinvolgono uno o più utenti per
periodi limitati (ad esempio la piscina o l’aerobica), sono personalizzate e “a
termine”, cioè vengono proposte, modificate ed, eventualmente, abolite a
seconda dell’evoluzione del soggetto.
Negli ultimi tempi si sono individuati e si stanno
realizzando dei microprogetti di impegno esterno individuale. Commercianti ed
artigiani sensibili hanno accettato di pensare a dei “lavori” su misura da far
svolgere secondo le capacità delle singole persone coinvolte.
Contemporaneamente al centro vengono strutturati gli strumenti di aiuto per
rendere il soggetto sempre più autonomo nello svolgimento del compito
assegnatogli.
Altre iniziative sono dettate da esigenze specifiche
dei diversi casi, come quelle relative alla cura della persona o a particolari
situazioni di salute (ad esempio, attività motorie concordate con
fisioterapisti, effettuazione di terapie mediche, ecc.) o al potenziamento di
altre capacità (come la collaborazione con una logopedista per ampliare la
sfera del linguaggio).
Il resto delle attività viene stabilito giorno per
giorno, o meglio momento per momento, cercando di valorizzare i desideri
personali, l’umore della giornata, le opportunità del periodo e della stagione,
oppure organizzando insieme delle iniziative che coinvolgano parenti e persone
significative, il tutto in conformità alla progettazione educativa.
Si cerca inoltre di insegnare a ciascuno ad impegnare
un po’ del proprio tempo autonomamente, giocando o dedicandosi a qualche
occupazione senza l’appoggio di una persona, nonostante gli educatori siano
costantemente presenti; ciò ha delle benefiche ripercussioni sul tempo
trascorso a casa dal soggetto, in questo modo non più totalmente dipendente
dagli altri.
Più volte si è riflettuto sui tempi lunghi e
dilazionati che caratterizzano le giornate al CDP e sulla scelta di non
strutturare le attività interne a mo’ di laboratori, con tempi e spazi fissi.
La rigidità organizzativa che spesso si osserva nei centri per l’handicap tende
a cronicizzarsi, a cronicizzare e lascia poco spazio all’iniziativa personale e
ad aspetti importanti delle relazioni umane.
Per questo al CDP si ritiene fondamentale anteporre al
“fare” fine a se stesso la costante disponibilità (anche spaziale e temporale!)
alla relazione e all’ascolto, al divertimento e al relax (dato che per molti
ragazzi il centro è una sorta di seconda casa).
Si lavora inoltre per creare un contesto umano e
materiale vivace e ricco di stimoli. Ciò permette alle persone di acquisire
maggiore disinvoltura, migliora l’immagine di sé, facilita le relazioni, ma
soprattutto fa bene a chi ci lavora.
Il CDP è un luogo aperto: la socializzazione infatti
corre su due binari, dall’interno all’esterno e viceversa. Ciò ha permesso ai
ragazzi di creare dei rapporti privilegiati all’esterno, di farsi degli amici e
di vivere l’altro in maniera più fluida e naturale.
Il servizio, nel corso degli anni, si è rivelato un
consistente supporto alle famiglie, anche in situazioni di emergenza (ad
esempio ricoveri ospedalieri dei genitori); con esse, considerate come
interlocutori privilegiati, si è in un costante e stretto rapporto di
collaborazione. In alcuni casi tutto ciò ha evitato l’istituzionalizzazione,
anche se la richiesta per qualcuno di un’accoglienza a tempo pieno è pressante.
Si sta lavorando per affiancare al CDP una struttura residenziale sia per
evitare lo sradicamento delle persone sia per dare significato e continuità al
lavoro sinora svolto: la conquista del territorio, lo stabilizzarsi di
molteplicità di rapporti, i riferimenti costruiti anno dopo anno, passo dopo
passo, non devono venire vanificati.
Nel limite delle possibilità ci si sta impegnando nel
tentativo di creare all’esterno una nuova cultura rispetto all’handicap. Da
tempo ci si è resi conto che gli operatori non sono sufficienti per assicurare
qualità; occorre l’aiuto di altre persone, come volontari con i quali
collaborare per dare vita ad attività ricreative anche quando il soggetto è a
casa propria.
La nostra convinzione, che un servizio debba il più
possibile operare in senso “centrifugo” e non “centripeto”, si scontra con
difficoltà di diverso tipo: il territorio che offre risorse limitate, la
tipologia dell’utenza che restringe ulteriormente le possibilità, i limiti
imposti dall’organizzazione stessa, in primo luogo la necessità di garantire la
copertura dei turni, ecc.
Molti sono ancora gli aspetti problematici, come la
presenza costante degli utenti che lascia poco spazio alla riflessione, alla
documentazione, all’aggiornamento, sentiti sempre più come una necessità
irrinunciabile.
Più in generale, il coinvolgimento e la
responsabilizzazione degli operatori sono molto forti. Il godere di una buona
“libertà di iniziativa”, se da una parte è di costante stimolo al rinnovamento
e a migliorare, dall’altra comporta spesso il non poter delegare la risoluzione
di molte questioni.
Ci sentiamo comunque di sostenere che, nonostante
spesso si senta dire che il lavoro con persone in situazione di gravità sia per
definizione routinario e depauperante, l’esperienza al centro diurno prolungato
mostra che un luogo vivo, ove esista uno scambio reale tra operatori ed utenti,
può divenire un luogo di crescita per entrambi.
(*) Educatrici professionali in servizio presso il CDP.
www.fondazionepromozionesociale.it