Prospettive
assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000
Francesco santanera
Nel recente libro di Luciano Violante, Le due libertà - Contributi per l’identità
della sinistra, il Presidente della Camera dei Deputati sostiene che «una gran parte dei conflitti sociali e
politici ha due protagonisti: la libertà di agire e la libertà del bisogno»
e precisa che «la libertà di agire è la
libertà di muoversi, pensare, scrivere, riunirsi, costruire, comprare, vendere,
scegliere».
A sua volta, la libertà dal bisogno «è la libertà da vincoli economici, fisici,
culturali che impediscono ai singoli la piena realizzazione di se stessi e dei loro
progetti di vita, che li rendono subordinati e dipendenti da scelte altrui».
Passando all’analisi storica, Violante afferma che «il capitalismo ottocentesco aveva fatto
dell’illimitata libertà di agire la sua religione, aprendo la strada alla
modernizzazione del mondo, ma lasciando dietro di sé una scia di vittime
innocenti, di diseredati, di sfruttati ignorando così la libertà dal bisogno.
La libertà dal bisogno – aggiunge l’Autore – valeva solo per i ceti privilegiati».
Contro questa concezione, si schiera il socialismo che
si batte – così si esprime il Presidente della Camera dei Deputati – perché si
realizzino insieme le due libertà «rivendicando
la libertà di agire anche per chi apparteneva a classi sociali subalterne,
denunciando il carattere discriminatorio della sola libertà di agire e
chiedendo conseguentemente anche la libertà dal bisogno, per il diritto al
lavoro, all’istruzione, alla salute».
L’On. Violante puntualizza: «Nella lotta dei socialisti ci sono due novità. La prima è che i
diritti di libertà, ovvero la libertà di agire, debbono valere per tutti,
indipendentemente dal censo, dalla professione, dall’istruzione, cosa che le
classi dirigenti del tempo rifiutavano decisamente di riconoscere. L’altra
novità è l’individuazione dei diritti sociali come strumento per liberare dal
bisogno le classi più povere».
Purtroppo l’On. Violante – come pensano e agiscono,
salvo rarissime eccezioni, gli esponenti di sinistra – ignora del tutto, come
se non esistessero, i cittadini totalmente e definitivamente dipendenti dagli
altri.
È un fatto estremamente grave, in quanto la questione
riguarda circa un milione di soggetti (1). Si tratta delle persone che, a causa
delle loro condizioni fisiche e/o psichiche e/o intellettive, non sono né
saranno mai capaci, salvo interventi attualmente inesistenti, di soddisfare le
loro esigenze fondamentali di vita. Spesso non sono nemmeno in grado di
esprimere le loro necessità più elementari (fame, sete, caldo, freddo, ecc.).
Hanno, pertanto, bisogno dell’aiuto totale e permanente di altri che si
sostituiscano alle loro incapacità.
Nei loro confronti, pertanto, non può trovare alcun
riscontro quella che Violante definisce «la
moderna utopia strategica» che si propone di «trovare un equilibrio tra libertà di agire e libertà dal bisogno che
non sia sempre uguale a se stesso, ma liberi fasce sempre più vaste di persone,
dando dignità, autonomia, possibilità di costruire un futuro, dentro e fuori
dei confini nazionali».
Circa la libertà di agire, per le persone sopra
individuate, occorre operare in modo opposto rispetto a quanto è doveroso fare
nei riguardi dei soggetti autonomi o potenzialmente in grado di esserlo: è
evidente, ad esempio, che per le persone totalmente e definitivamente incapaci
non si può intervenire affinché siano libere di muoversi, di scegliere, di
comprare e di vendere.
Se si rispettano le esigenze di coloro che non sono e
non saranno mai in grado di autodeterminarsi (insufficienti mentali gravi e
gravissimi; anziani affetti da malattie invalidanti in modo così grave da
determinare anche condizioni di insufficienza psichica o intellettiva), occorre
proteggerli e quindi assumere le decisioni che per le persone “normali”
rientrano nella loro libertà di agire.
Gli obiettivi della libertà di agire e della libertà
del bisogno possono e devono essere raggiunti solamente nei confronti dei
cittadini che sono capaci di autogestirsi oppure che hanno le potenzialità
necessarie per la loro completa o parziale autonomia.
Ad esempio, se per i bambini “normali” il cui
sviluppo, come dimostrano tutte le ricerche scientifiche, è compromesso dalla
totale mancanza di cure da parte dei genitori, si provvede al loro inserimento
in idonei nuclei adottivi, si creano le condizioni per il raggiungimento della
loro massima autonomia possibile sia per quanto concerne la libertà di agire,
sia in merito alla libertà del bisogno.
Ma, se si tratta di una persona con una grave forma di
demenza senile, gli obiettivi devono essere molto diversi: protezione invece di
libertà di agire, accettazione della non eliminalibità del bisogno invece delle
azioni dirette alla sua rimozione o riduzione.
Nei confronti della fascia più debole della
popolazione, la sinistra, complessivamente e nei vari livelli in cui opera
(partiti, sindacati, centri culturali, ecc.), si è sempre comportata con un
cinismo spietato.
Non è assolutamente vero che verso queste persone – lo
ripetiamo: circa un milione di soggetti – si possa affermare, come sostiene
l’On. Violante che «la sinistra è
trasformazione del presente; è studio e conoscenza della realtà per cambiare in
meglio; è lotta per l’equità; abbattimento delle discriminazioni; uso del
potere pubblico per riequilibrare ciò che la povertà o l’ignoranza o la
malattia hanno squilibrato».
Non è necessario essere sociologi o economisti per
capire che non si può vivere con 401.380 lire al mese. Ma è questo l’importo
che attualmente viene versato alle persone con handicap, prive di altre risorse
economiche e impossibilitate a svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa
delle loro condizioni psico-fisiche (2). Finora, nonostante l’evidenza dei
fatti, le sinistre si sono disinteressate completamente di questa situazione,
evidentemente contrastante con la dignità delle persone coinvolte.
Inoltre, è sufficiente essere una persona di buon
senso per capire che un anziano colpito da cancro o da demenza o da
pluripatologie è un malato che deve essere curato anche se inguaribile.
Purtroppo, prevale ancora nella sinistra quel che in
data 30 luglio 1997 Sergio Cofferati, travisando totalmente la realtà, ha
affermato: «Essere anziani cronici non è
una malattia» (3).
Purtroppo non si tratta di una presa di posizione
estemporanea del Segretario generale della CGIL, ma di una linea sostenuta non
solo dalla sua organizzazione ma anche dalla CISL, dalla UIL e dalle
istituzioni (Regioni, Comuni, ASL, ecc.), comprese quelle di sinistra.
In particolare, non si può ignorare che la Regione
Emilia-Romagna è stata la principale artefice dell’aberrante decisione del
Consiglio sanitario nazionale dell’8 giugno 1984 (4).
La mancanza di interesse e di cultura da parte della
sinistra nei confronti delle persone definitivamente e totalmente incapaci di
autodifendersi provoca anche prese di posizione assolutamente strampalate. Ad
esempio, Lalla Golfarelli, nella relazione tenuta nell’ambito della tavola
rotonda “Vivere a lungo - Vivere meglio” organizzata in occasione della Festa
nazionale dell’Unità, svoltasi ad Abano Terme il 15 giugno 1988, ha sostenuto
che gli anziani non autosufficienti non devono essere ricoverati in strutture
sanitarie «perché sarebbe certamente la
loro fine, si lascerebbero sconfiggere dalla depressione, dalla non volontà di
vivere». Il luogo adatto sarebbero gli istituti di assistenza (case
protette, ecc.) perché in esse «avrebbero
anche la possibilità di mantenere vive alcune attività di socializzazione come
andare a teatro, frequentare circoli, lezioni di inglese» (5). Una
sciocchezza incredibile non solo e non tanto per la dichiarazione in se stessa,
ma – considerato che l’affermazione è stata fatta dall’allora responsabile
delle politiche sociali del PCI di Bologna – per le nefaste conseguenze
operative che ne sono derivate (6).
Ricordiamo, altresì, che la Regione Emilia-Romagna
aveva predisposto un modulo in cui, per occultare la situazione di malattia dei
vecchi malati cronici, erano inserite sotto la voce “disagio prevalente” le
seguenti condizioni evidentemente patologiche: neoplasie, ictus, demenze,
traumi e fratture, malattie cardiovascolari, ecc. (7).
Dunque, l’adulto colpito da cancro è un malato, mentre
l’anziano avente la stessa infermità è considerato un disagiato!
Proseguendo sulla stessa strada della falsificazione
della realtà, la Giunta della Regione Emilia-Romagna con la delibera del 26
luglio 1999 n. 1370, sulla base delle assurde norme della legge regionale n.
5/1994, ha attribuito il compito di verificare la corretta attuazione dei
programmi individuali di intervento riguardanti gli anziani cronici non
autosufficienti ad un assistente sociale.
Pertanto, per i vecchi infermi, compete all’assistente
sociale, che non ha né deve avere alcuna preparazione professionale in materia,
verificare se l’oncologo fornisce cure adeguate al malato di cancro, se il
cardiologo interviene correttamente nei riguardi dell’infartuato, se il
neurologo diagnostica in modo irreprensibile il malato di Alzheimer e se il
geriatra ha predisposto cure valide per coloro che sono colpiti da un insieme
di patologie.
Per gli stessi motivi (nessuna conoscenza del
problema, assenza di confronto sulle cause e sugli interventi più opportuni)
succede anche, abbastanza spesso, che organismi di sinistra finanzino strutture
di emarginazione. È il caso, ad esempio, della FLM, Federazione lavoratori
metalmeccanici, di Taranto che non si è mobilitata per difendere i diritti dei
più deboli, ma allo scopo di finanziare un imponente centro di esclusione
sociale «per l’assistenza diurna agli
anziani soli e indigenti, per handicappati gravi e soli, per sacerdoti anziani,
per ragazze madri, per gli ammalati cronici non autosufficienti, per brevi
soggiorni di “barboni” con la possibilità di 120 pasti al giorno, per una
comunità che tenda al recupero di tossicodipendenti (c’è già un’azienda
agricola che funziona e si sta avviando un laboratorio artigianale per la
lavorazione e la commercializzazione dei prodotti), per scuole professionali
orientate alla preparazione di volontari, per un centro studi che lavori a
livello di ricerca teorico-pratico sul tema dell’assistenza» (8).
I mezzi
economici non mancano
Si potrebbe obiettare che, per assicurare condizioni
di vita accettabili al milione di persone incapaci di autodifendersi, mancano
le risorse economiche.
Non è assolutamente vero: sarebbe sufficiente eliminare
gli sprechi e colpire sul serio l’evasione fiscale per recuperare i fondi
necessari.
Occorrerebbero, altresì, che – finalmente – venissero
rimossi gli assurdi privilegi esistenti. Solo per quanto riguarda
l’integrazione al minimo delle pensioni, l’INPS versa 30 mila miliardi
all’anno, in gran parte a persone che non ne avrebbero alcun diritto se si
tenesse conto – anche in questo caso il buon senso dovrebbe insegnare – che
nessuna assistenza dovrebbe essere elargita a coloro che posseggono patrimoni
immobiliari e mobiliari sufficienti per provvedere autonomamente alle proprie
esigenze (9).
Circa le risorse disponibili, ricordiamo, ancora una
volta, che il testo di riforma dell’assistenza, attualmente all’esame della
Camera dei deputati, prevede la soppressione della destinazione esclusiva ai
poveri dei patrimoni delle IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza, ammontanti a 37 mila miliardi, e di relativi redditi. Ne consegue
che, se il testo non verrà modificato, si toglieranno risorse ai poveri per
assegnarle ai benestanti.
Le
principali conseguenze della “dimenticanza delle condizioni di vita dei più
deboli”
Sulle persone che non sono in grado di autodifendersi
e non hanno alcun sostegno familiare, la destra ha sempre avuto una posizione
molto semplice e drastica: il loro ricovero in istituti a carattere di
internato.
La sinistra, invece, finora ha ignorato del tutto la
questione, come appare anche evidente dal libro di Luciano Violante.
Se si vuole veramente operare per il rispetto delle
dignità anche di queste persone, le soluzioni si presentano abbastanza
complesse.
In primo luogo va osservato che il loro numero,
approssimativamente un milione di persone, può aumentare o diminuire anche in
misura notevole a seconda delle linee sociali perseguite.
Inoltre, si tratta di operare nell’ambito della sanità
(affinché curi anche i malati inguaribili), della casa (per fornire alloggi
dell’edilizia economica non ai benestanti come spesso avviene attualmente, ma
solo alle persone deboli, in particolare di coloro che hanno bisogno di
sistemazioni parafamiliari: handicappati con limitata o nulla autonomia,
convivenze guidate, ecc.), della scuola, in particolare quella del preobbligo e
dell’obbligo (in modo da garantire basi conoscitive a tutti), ai trasporti
(allo scopo di consentire anche ai soggetti non deambulanti di spostarsi), ecc.
Com’è ovvio, un ruolo importante è svolto dal lavoro
al quale, a nostro avviso, hanno diritto non solo gli handicappati con piena
capacità lavorativa, ma anche coloro che hanno un rendimento ridotto, ma pur
sempre proficuo per l’azienda.
Infine, occorrerà riconoscere che, per molte persone
attualmente socialmente escluse o a rischio di emarginazione, devono essere
assicurati adeguati interventi assistenziali, da fornire oltre (e non in
sostituzione) a quelli di competenza della sanità, della casa, della scuola e
degli altri settori sociali (10).
Ma, le suddette richieste restano e resteranno parole
vuote fino a che da un lato non cesseranno le iniziative di emarginazione dei
più deboli e d’altro lato non verranno promossi interventi per l’eliminazione
dei privilegi (doppio lavoro, lavoro nero, pensioni di importo stratosferico
rispetto a quelle cosiddette “sociali”, assistenza economica ai possessori di
patrimoni, ecc.).
Menzioniamo, inoltre, le nefaste conseguenze derivanti
dall’attribuzione alle famiglie di compiti (11) e di oneri (12) che competono
ai servizi. Particolarmente odiosi sono i ricatti compiuti da enti pubblici,
com’è il caso delle intimidazioni dei Comuni di Reggio Emilia e di Udine.
Il primo, nel caso in cui i parenti dell’anziano
malato cronico e non autosufficiente (che in base alle leggi vigenti ha diritto
alle cure sanitarie gratuite, comprese le prestazioni cosiddette alberghiere, e
senza limiti di durata) non presentino la documentazione illegalmente richiesta
dal Comune, li minaccia con una lettera in cui sono contenute le seguenti
parole: «D’ufficio si dovrà procedere,
indipendentemente dal reddito, a richiedere le somme dovute dai familiari inadempienti,
calcolando a loro carico l’intera spesa di mantenimento, al netto delle somme
versate direttamente dal degente in conto retta; tale differenza verrà quindi
fatturata sistematicamente all’interessato, provvedendo successivamente
all’iscrizione al ruolo nel caso in cui non si provveda regolarmente al
pagamento. Parallelamente all’iscrizione al ruolo, si rende noto che si
provvederà a revocare l’impegnativa di pagamento, comunicando, contestualmente,
oltre che ai familiari interessati, la revoca dell’impegnativa alla casa di
riposo ove il degente è ospite» (13).
Molto resta, dunque, da fare affinché, per le
centinaia di migliaia di persone incapaci di autodifendersi, si realizzi ciò
che scrive Luciano Violante e cioè che «la
sinistra ha fiducia nell’uomo, nelle sue possibilità di miglioramento e nel
progresso dell’intera società».
Le terribili condizioni di vita dei bambini senza
famiglia, degli handicappati intellettivi in tutto o in parte privi di
autonomia e degli anziani cronici non autosufficienti dei Paesi dell’Est già a
regime comunista insegnano che, se manca la consapevolezza della dignità e
delle esigenze dei cittadini più deboli, le politiche di liberazione del
bisogno possono determinare condizioni brutali di vita.
Concordo, pertanto, con l’affermazione di Violante: «L’esperienza del Novecento ci impone di non
mettere la ragione al di sopra di tutto, ma di porre al di sopra di tutto la
persona umana, i suoi diritti, la sua realizzazione», a condizione che
riguardi tutti, compresi coloro che non sono in grado di autodifendersi.
Mettendo al di sopra di tutto la persona umana,
dovrebbero essere affrontate con la massima urgenza due importantissime
questioni:
1) la conferma della competenza del Servizio sanitario
nazionale nei confronti dei cittadini colpiti da malattie invalidanti e da non
autosufficienza, dando – finalmente – attuazione alle leggi vigenti e
cancellando la barbara concezione della incurabilità delle patologie
inguaribili;
2) riconoscere il diritto esigibile all’assistenza
delle persone che, se non ricevono le relative specifiche prestazioni, non
possono continuare a vivere o sono costrette a cadere nel baratro
dell’emarginazione.
In sintesi, oltre alla libertà di agire e alla libertà
del bisogno per i cittadini autonomi o potenzialmente in grado di esserlo,
occorre assicurare una adeguata e continua protezione a coloro che sono
totalmente e definitivamente incapaci di provvedere alle proprie esigenze
fondamentali. Quasi sempre si tratta di cittadini che, quando erano attivi,
nulla hanno fatto per i più deboli.
(1) Non esistono dati
statistici affidabili sulle persone non autosufficienti a causa di handicap o
di malattie. Un’altra prova del disinteresse delle autorità nei confronti di
questi cittadini.
(2) Ricordiamo che dal 1°
gennaio 2000 l’importo mensile delle pensioni sociali è di L. 530.350 (L.
655.350 con la maggiorazione di L. 125.000 per gli aventi diritto), mentre
quello dell’assegno sociale è di L. 643.600.
(3) Cfr. “CGIL, CISL e UIL
negano lo stato di malattia degli anziani cronici non autosufficienti”, Prospettive assistenziali, n. 119,
luglio-settembre 1997. Nell’articolo sono elencate le iniziative assunte dal
CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, per verificare la posizione
dei Sindacati sulla questione dei vecchi colpiti da malattie invalidanti. Si
vedano, inoltre, i seguenti articoli apparsi sulla stessa rivista: “Continua la
polemica con la CGIL sugli anziani cronici non autosufficienti”, n. 120;
“Anziani cronici non autosufficienti: un documento importante ed uno spiraglio
con la CGIL”, n. 121; “Anziani cronici non autosufficienti: l’autolesionismo di
CGIL, CISL e UIL, e le nefaste conseguenze per tutti i cittadini”, n. 122; A.
Bartoli, “D’abbandono si muore: lettera aperta ai sindacalisti e alla coscienza
delle donne e degli uomini”, n. 124; “Perché l’INCA-CGIL ignora il diritto dei
vecchi malati cronici non autosufficienti alle cure sanitarie?”, n. 127; “I
Sindacati dei pensionati si agitano, ma non vogliono ancora capire che gli
anziani cronici non autosufficienti sono persone malate”, n. 129.
(4) Nella riunione dell’8
giugno 1984 il Consiglio sanitario nazionale, con il voto favorevole dei
rappresentanti delle Regioni e dei Sindacati CGIL, CISL e UIL, con devastante sfrontatezza, ha
deciso quanto segue: «Considerato lo
stretto intreccio della presenza sanitaria e socio-assistenziale anche nelle
strutture protette appare necessario che, nel transitorio, sia per
l’inadeguatezza dei servizi sanitari sul territorio, che non possono farsi
carico in maniera completa del problema, sia perché storicamente il non
autosufficiente è stato ricoverato e assistito in ambito ospedaliero e
paraospedaliero, la spesa relativa al ricovero in casa protetta o struttura
similare di persone non autosufficienti carichi parzialmente (fino al massimo
del 50 per cento) sul fondo sanitario nazionale, ai fini di determinare la
correlativa riduzione della spesa ospedaliera».
La risoluzione del Consiglio
sanitario nazionale, chiaramente assunta in violazione delle leggi esistenti e
contraria al più elementare buon senso, è stata la base del decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Craxi, dell’8 agosto 1985, con il
quale è stata sancita l’espulsione degli anziani cronici non autosufficienti
dalla competenza del Servizio sanitario nazionale (caratterizzata da diritti
esigibili, dalla gratuità delle prestazioni e dalla mancanza di limiti per
quanto concerne la durata delle cure comprese quelle praticate in ospedale o in
altri centri sanitari). I compiti sono stati trasferiti all’assistenza, fondata
ancora sulla quasi assoluta discrezionalità degli interventi (le liste di
attesa anche di 3-4 anni per il ricovero in istituto ne sono la prova
lampante), sul pagamento di rette spesso salate (anche 120-150 mila lire al
giorno!); sovente le strutture sono inidonee e il personale non è in possesso
di una specifica preparazione.
(5) Cfr. “Tre incontri sul
problema degli anziani cronici non autosufficienti”, Prospettive assistenziali, n. 84, ottobre-dicembre 1988.
(6) Fra l’altro, la
maggioranza della Regione Emilia-Romagna ha respinto la proposta di legge di
iniziativa popolare “Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani
malati non autosufficienti e realizzazione delle residenze sanitarie
assistenziali” non volendo riconoscere la condizione di malati degli anziani malati
cronici non autosufficienti. Il testo della proposta è riportato sul n. 89,
gennaio-marzo 1990 di Prospettive
assistenziali.
(7) Si tratta del modulo
dell’Assessorato regionale ai servizi sociali utilizzato dal personale
socio-sanitario per la raccolta dei dati relativi al BINA, Breve indice di non
autosufficienza.
(8) Cfr. “L’FLM finanzia
l’emarginazione dei più deboli”, Prospettive
assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989.
(9) Cfr. “Per la creazione di
un nuovo settore: la sicurezza sociale”, Prospettive
assistenziali, n. 121, gennaio-marzo 1998. Anche il recente provvedimento
(decreto legislativo 237/1999) relativo al reddito minimo di inserimento considera
“povero” e quindi fornisce assistenza alle persone che, pur non avendo alcuna
entrata, sono proprietari dell’alloggio in cui vivono. Il valore
dell’appartamento può ammontare fino a 200 milioni (dato relativo al Comune di
Nichelino, Torino). A sua volta il redditometro (decreto legislativo 109/1998)
consente ai Comuni di considerare zero il valore dei beni posseduti, qualunque
sia il loro ammontare. Cfr. L. Lia “Il riccometro: uno strumento per favorire i
cittadini abbienti”, Ibidem, n. 129.
Nel volume “Le due libertà”, Luciano Violante scrive che «nel 1998 in Italia vivevano in condizioni di povertà 2,5 milioni di
famiglie e 7,4 milioni di persone. La povertà assoluta riguardava nello stesso
anno 950.000 famiglie». Si tratta di dati estremamente discutibili in
quanto – incredibile ma vero – per la valutazione della situazione economica la
Commissione ministeriale sulla povertà tiene conto solo dei redditi e non dei
patrimoni posseduti!
(10) Cfr. F. Santanera,
“Esperienze di prevenzione del bisogno assistenziale e dell’emarginazione”, Prospettive assistenziali, n. 129,
gennaio-marzo 2000.
(11) Siamo estremamente
favorevoli alla promozione del volontariato infra-familiare. Al riguardo si
veda “Proposta di delibera sul volontariato infra-familiare”, Prospettive assistenziali, n. 123,
luglio-settembre 1998; e “Seconda proposta di delibera sul volontariato
infra-familiare rivolto ai congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non
autosufficienza”, Ibidem, n. 124,
ottobre-dicembre 1998.
(12) In violazione alle leggi
vigenti i Comuni, le Province e le ASL sottraggono ogni mese miliardi e
miliardi ai congiunti di anziani malati e di adulti handicappati. Questa prassi
è una delle cause – non marginali – della caduta in condizioni di povertà di
famiglie aventi congiunti malati cronici non autosufficienti. Cfr. “La
drammatica esperienza del figlio di una anziana malata cronica non
autosufficiente”, Prospettive
assistenziali”, n. 119, luglio-settembre 1997. A causa del mancato rispetto
delle leggi vigenti da parte dell’ASL e del Comune, il figlio ha dovuto
sborsare più di 102 milioni!
(13) Dunque, le conseguenze
non si ripercuotono solo sui parenti (inadempienti secondo il Comune di Reggio
Emilia, ma non in base alle leggi vigenti), bensì soprattutto sull’anziano
malato. Sulle minacce del Comune di Reggio Emilia si veda F. Santanera e M.G.
Breda, “Come difendere i diritti degli anziani malati”, UTET Libreria, e “Facciamo il punto sui contributi economici
indebitamente richiesti dagli enti pubblici ai parenti degli assistiti
maggiorenni, Prospettive assistenziali, n.
116, ottobre-dicembre 1996. Analogo a quello di Reggio Emilia è stato il
comportamento del Comune di Udine.
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