Prospettive assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000

 

modelli strategici per gestire l’inserimento lavorativo

di persone con insufficienza intellettiva (1)

alberto migliore (2)

 

1. Introduzione

Questo articolo si basa su di una ricerca condotta presso l’Università di Dublino [University College Dublin] (3) nel periodo 1997/99 [17]. Tale studio mirava ad analizzare modelli di buona pratica nel gestire l’inserimento lavorativo di persone con insufficienza intellettiva. A questo fine vennero analizzati i modelli strategici adottati da quattro agenzie di inserimento lavorativo rispettivamente operanti nel Regno Unito, in Italia, in Spagna ed in Germania.

L’obiettivo dell’analisi consisteva nell’individuare elementi chiave che potessero contribuire a:

– produrre una guida, sulla base di modelli già testati, di gestione dell’inserimento lavorativo;

– produrre una griglia di elementi fondamentali utilizzabile nello studio di gruppi più numerosi di agenzie;

– produrre materiale per alimentare il dibattito a favore di innovative misure legislative nel settore.

La ragione per la scelta di questo argomento di studio scaturì dalla contraddizione fra i principi sanciti dalle dichiarazioni sui Diritti Umani, leggi costituzionali e leggi nazionali in favore all’occupazione lavorativa per le persone con disabilità e, dall’altro lato, la realtà di elevata disoccupazione all’interno di questo gruppo di persone in confronto al resto della popolazione europea [8].

Lo studio prese in considerazione, in particolare, la disabilità intellettiva. Tale restrizione di campo era necessaria in quanto diversi tipi di menomazione danno luogo a diversi tipi di bisogni e richiedono quindi diversi tipi di risposte [5]. Le conclusioni, tuttavia, potrebbero offrire riflessioni ed elementi utili anche ad altri tipi di problematiche quali per esempio la disabilità sensoriale e fisica, la malattia mentale o altri tipi di disagio sociale.

Con insufficienza intellettiva in questo studio si fa riferimento ad una ‘menomazione’ di tipo intellettivo la quale rappresenta la principale causa determinante una restrizione o carenza della capacità di svolgere una attività nel modo considerato normale per un essere umano [26] (4).

La prossima sezione propone alcune riflessioni di ordine teorico in merito al tema dell’esclusione sociale delle persone con disabilità e motiva la scelta di studiare la strategia della ‘formazione in situazione’. La terza sezione illustra le politiche dell’occupazione per le persone con disabilità nei quattro Stati Membro che ospitano i casi studio e negli Stati Uniti. Tale sezione propone anche dati quantitativi relativamente ai risultati ottenuti da agenzie per l’inserimento lavorativo operanti nei quattro paesi e negli USA. L’obiettivo della ricerca fu l’individuazione di elementi chiave e di modelli strategici per la gestione dell’inserimento lavorativo per persone con insufficienza intellettiva. La quarta sezione verte su tale argomento. La quinta sezione presenta uno strumento costruito al fine di quantificare in quale misura le strategie per l’inserimento lavorativo sono condizionate da modelli di tipo ‘cura/assistenza’ oppure sono ispirate ad un modello qui denominato dei ‘diritti umani’.

 

2. La ‘formazione in situazione’

In questa sezione vengono sinteticamente proposti tre contributi teorici volutamente scelti al di fuori della letteratura specialistica sulla disabilità, per inquadrare lo studio dell’inserimento lavorativo nell’ambito della lotta all’esclusione sociale in generale. La prima riflessione sottolinea la presenza di una barriera culturale che ostacola fino ad impedire l’integrazione nelle società moderne delle persone che presentano elementi di diversità rispetto a quanto è considerato ‘normale’. Geertz [9] discusse tale ipotesi in relazione a persone bisessuate, ma simili considerazioni possono applicarsi anche a persone con disabilità. In secondo luogo, Berger e Luckmann [2] argomentano che il processo di ‘socializzazione primaria’, che generalmente ha luogo nei primi anni di vita di tutti, se danneggiato può nuocere allo sviluppo della ‘stima di sé’ ed al raggiungimento di uno status di persona adulta. Nel caso delle persone con disabilità, la stigmatizzazione e l’esclusione dalla vita ‘normale’ come la scuola, amici, tempo libero, ma anche l’esclusione dall’idea stessa di poter diventare adulto, può indubbiamente avere effetti dannosi sul processo di ‘socializzazione primaria’. Questo problema può determinare a sua volta una ritardata o seriamente danneggiata crescita di una personalità adulta, della ‘stima di sé’ e dello sviluppo di appropriate capacità relazionali. In terzo luogo, Giori [10] sottolinea che nel caso di persone anziane, a causa del pensionamento, la riduzione di relazioni sociali legate all’attività lavorativa, può avere effetti negativi sul quadro clinico generale della persona. Questo può avvenire anche se in principio non vi sono ragioni fisiologiche per un peggioramento della salute. Al contrario, l’espansione della rete di amicizie e di relazioni sociali può rendere meno accentuato e può ritardare il deterioramento del quadro clinico generale di una persona anziana. Lo stesso concetto potrebbe essere applicato anche alla condizione delle persone con disabilità, le quali spesso soffrono l’esclusione dalla vita sociale. Questo fattore potrebbe quindi essere responsabile di un quadro clinico di disabilità più grave di quanto in realtà derivi dalla menomazione stessa.

Le sopra menzionate riflessioni inducono a ipotizzare che le persone con disabilità potrebbero sperimentare un processo di ‘socializzazione primaria’ migliore se vivessero in una ‘cultura non discriminante’. Un corretto processo di ‘socializzazione primaria’ permetterebbe il raggiungimento di più elevati livelli di stima di sé, status di adulto e capacità relazionali. Queste sono qualità personali basilari per facilitare l’integrazione nella comunità e, quindi, nel mondo del lavoro [3][4][12].

Le barriere culturali sono una causa primaria nel determinare l’esclusione sociale in generale, e quindi dal lavoro, delle persone con disabilità. Interventi a questo riguardo, sebbene essenziali, produrranno effetti soltanto a lungo termine. Questo articolo prende in esame l’inserimento lavorativo basato sulla procedura della ‘formazione in situazione’, un metodo che può produrre risultati in relativamente minor tempo. Nelle raccomandazioni finali, l’European Foundation [7], trattando di esperienze positive di lavoratori con disabilità, sottolineava l’importanza del ruolo giocato da organizzazioni mediatrici nell’aumentare le possibilità per persone con disabilità di essere inserite nel lavoro. L’innovazione introdotta da tali organizzazioni consiste nella strategia della ‘formazione in situazione’. Secondo questo modello le persone con disabilità vengono inserite in azienda dove ricevono la formazione necessaria per essere poi assunti stabilmente. Il metodo tradizionale, invece, si basava su di un procedimento inverso. In base ad esso le persone con disabilità venivano prima formate (in scuole speciali o laboratori protetti) e, quando ritenute ‘pronte’, veniva tentato l’inserimento in azienda. Secondo Gottwald & Pendyck [11] questo metodo di ‘formare, poi inserire’ [train, then place] non era sufficientemente efficace per le persone con insufficienza intellettiva. Queste infatti, sebbene siano in grado di apprendere mansioni specifiche, spesso hanno difficoltà a trasferire la conoscenza acquisita in un nuovo ambiente di lavoro. Il metodo della ‘formazione in situazione’, inoltre, implicando l’avvio di un’esperienza formativa direttamente in un’azienda nel mercato aperto, rappresenta per la persona con disabilità una novità che può dare luogo ad una serie di effetti positivi. Per esempio, il fatto che la persona con disabilità sia accettata in un ambiente ‘vero’ di lavoro rappresenta in sé una conquista culturale contro i pregiudizi verso la ‘diversità’ discussi citando Geertz [9]. In secondo luogo, la formazione della persona con disabilità direttamente in un ambiente di lavoro ‘vero’, con l’assegnazione di ruoli di adulto, può rappresentare un importante cambio di rotta nella storia personale del soggetto rispetto ad un passato in cui il processo di socializzazione verosimilmente può essere stato carente sotto questo punto di vista. Infine, come Giori [10] suggerì per il caso delle persone anziane, ma il cui concetto è applicabile anche alle persone con disabilità, tale espansione/creazione di una rete di relazioni umane dovute al lavoro potrebbe giocare un ruolo chiave nel ridimensionare la gravità del quadro clinico di una persona disabile. Questo fattore a sua volta aumenterebbe le sue possibilità per una carriera lavorativa.

 

3. Legislazione e statistiche

Prima di procedere all’analisi delle quattro agenzie di inserimento lavorativo, questa sezione illustra il contesto legislativo in cui esse operano ed inoltre presenta alcuni dati quantitativi relativi al numero di agenzie e numero di inserimenti lavorativi effettuati nei quattro Stati Membro ospitanti i casi studio. Simili informazioni sono fornite anche in riferimento agli USA.

In generale, gli strumenti legislativi a supporto dell’integrazione nel sistema produttivo di persone con disabilità hanno avuto origine all’inizio del ’900 come forma di compensazione per il grande numero di persone che, a causa delle guerre, acquisirono una condizione di disabilità. Una ulteriore ragione per lo sviluppo legislativo nel settore è da attribuirsi alla necessità di far fronte agli infortuni sul lavoro. Solo indirettamente, ed in un secondo tempo, anche la disabilità congenita, quale per esempio l’insufficienza intellettiva, è stata presa in considerazione dai provvedimenti legislativi. I due principali approcci delle politiche per l’occupazione per le persone con disabilità sono identificabili nel sistema del collocamento obbligatorio da un lato e nelle leggi anti-discriminazione dall’altro. Il primo modello è stato adottato dalla Germania, Italia e Spagna. In tali paesi le aziende oltre una certa dimensione hanno l’obbligo di includere fra i propri dipendenti una determinata quota di lavoratori con disabilità. Il Regno Unito abbandonò tale modello nel 1995 e scelse un approccio di tipo anti-discriminatorio. In base ad esso, le aziende oltre una certa dimensione (20 dipendenti in UK) infrangono la legge se nel processo di selezione del personale discriminano negativamente le persone con disabilità, senza giustificato motivo [16][13]. Gli Stati Uniti hanno una lunga tradizione di legislazione basata sul modello anti-discriminatorio, la quale culminò nell’American with Disabilities Act 1990 (ADA). In aggiunta, negli Stati Uniti esiste anche una specifica legislazione che regolamenta il ‘supported employment’, una procedura simile alla ‘formazione in situazione’ diffusasi negli USA durante gli anni ’70 [18]. 

Le metodologie della ‘formazione in situazione’ e del ‘supported employment’ si sono sviluppate simultaneamente, ma indipendentemente, sia in Nord America [18] che in Europa, in Italia [14], a partire dall’inizio degli anni ’70. I relativi dati statistici per gli Stati Uniti sono disponibili a livello federale, mentre per l’Unione Europea sono a livello delle singole nazioni. La tabella 1 fornisce dati sul numero di agenzie per l’inserimento lavorativo che adottano la metodologia della formazione in situazione e che operano nei quattro Stati Membro ospitanti i casi studio. Le informazioni si basano su ricerche condotte a livello nazionale [1][14][21][3][15].

Come illustrato dalla tabella 1, agenzie per l’inserimento lavorativo erano già operanti a metà degli anni ’70 in Italia, all’inizio degli anni ’80 nel Regno Unito, a metà degli anni ’80 in Spagna e all’inizio degli anni ’90 in Germania. Il numero totale di agenzie, considerando insieme i quattro Stati Membro, si incrementò costantemente passando da cinque nella metà degli anni ’70 a 636 nella metà degli anni ’90. Questa costante crescita è sorprendente se si considera che essa avvenne in assenza di specifiche leggi nazionali che regolamentassero l’istituzione ed il funzionamento dei servizi per l’inserimento lavorativo. Considerate insieme le 636 agenzie gestirono l’ingresso in azienda di approssimativamente 38.000 persone con disabilità. Di questi inserimenti, oltre 11.200 consistevano in regolari assunzioni, oltre 21.800 erano tirocini di lavoro propedeutici all’assunzione e oltre 5.000 erano progetti di inserimento socio-assistenziale (5). In ciascuno dei quattro Stati Membro risultava essere operativa una associazione nazionale di ‘supported employment’. Tuttavia, mentre in Germania, Spagna e Regno Unito la maggioranza delle agenzie per l’inserimento lavorativo risultavano affiliate all’associazione nazionale, in Italia tale legame non risultava atti­vato.

Negli USA la crescita del numero di agenzie per l’inserimento lavorativo è avvenuta contemporaneamente allo svolgimento di studi e ricerche nel settore a livello universitario [19][23][22], e con il sostegno di specifici strumenti legislativi [19][24][16]. In questo contesto enfasi fu posta sulla raccolta sistematica di dati a livello federale. Di Leo [6] riferisce di oltre 3.500 agenzie per l’inserimento lavorativo operative in USA nel 1993. Wehman [25] riporta che, al 1996, oltre 150.000 persone con disabilità avevano raggiunto una posizione lavorativa nel mercato aperto del lavoro tramite programmi di ‘supported employment’.

 

4. Due distinti modelli strategici

Lo studio di elementi chiave e modelli strategici si basò sull’analisi di quattro agenzie considerate dei punti di riferimento nel settore dell’inserimento lavorativo. La selezione delle agenzie da studiare venne effettuata in parte sulla base della personale esperienza dell’autore e del supervisore della ricerca, ed in parte chiedendo suggerimento ad esperti europei del settore. Un totale di 114 esperti furono contattati di cui 48 restituirono il questionario compilato. Le due agenzie da scegliere fra quelle raccomandate dagli esperti dovevano soddisfare le seguenti condizioni:

• includere fra i propri clienti una percentuale minima del 60% di persone con insufficienza intellettiva;

• un’esperienza minima di cinque anni nel settore dell’inserimento lavorativo col metodo della ‘formazione in situazione’;

• un minimo di tre operatori dedicati a tempo pieno all’inserimento lavorativo col metodo della ‘formazione in situazione’;

• esistenza di una procedura scritta circa la strategia e le metodologie adottate.

Le quattro agenzie individuate risultavano operare rispettivamente in Germania, Italia, Spagna e Regno Unito. Le informazioni in merito ai modelli strategici adottati dalle agenzie furono assunte attraverso le procedure scritte trasmesse dalle agenzie e mediante interviste di tipo strutturato, ma aperto, faccia a faccia, con i direttori e collaboratori delle quattro agenzie. Globalmente le quattro agenzie gestirono 900 inserimenti lavorativi di cui oltre 700 erano assunzioni con legale contratto di lavoro [17].

Il primo obiettivo della ricerca, tramite l’analisi in dettaglio delle caratteristiche fondamentali delle agenzie, mirava a costruire una griglia di elementi utili per l’identificazione del profilo generale e del modello strategico delle quattro agenzie. Gli elementi chiave vennero individuati nell’ambito dei seguenti campi:

• Informazioni generali (per es.: dati sull’agenzia, bacino d’utenza, specializzazione dell’agenzia);

• Dimensione politica (per es.: tipo di istituzione, esistenza di un mandato politico ad operare);

• Clienti (per es.: tipologia dei clienti, tipologia dei committenti);

• Risorse finanziarie (per es.: fonte del finanziamento, condizioni per il finanziamento);

• Risorse umane (per es.: qualificazione degli operatori, specializzazione degli operatori);

• Metodo di formazione dei clienti (per es.: modalità di valutazione dei clienti, durata della formazione);

• Risultati (per es.: tipo di contratto di assunzione, erogazione di sussidi alle aziende/soggetti);

• Monitoraggio dei clienti dopo la loro assunzione in azienda;

• Marketing dell’agenzia.

La tabella 2 sintetizza in una scheda alcune delle caratteristiche fondamentali delle quattro agenzie studiate.

Lo studio isolò inoltre alcuni elementi chiave relativi al processo di formazione dei clienti permettendo l’individuazione di tre principali modelli strategici di formazione. La distinzione emersa fra i modelli si basa sulla diversa sequenza fra formazione ed assunzione, la durata della formazione e l’intensità del supporto fornito ai clienti. I tre modelli hanno in comune una prima fase in cui il cliente viene valutato sulla base di informazioni raccolte attraverso interviste ed incontri con il cliente stesso e con persone che hanno ricoperto un ruolo importante nella sua vita. In aggiunta, i tre modelli hanno in comune anche una fase finale, dopo che il cliente è stato assunto, detta di monitoraggio. Il monitoraggio dura per un periodo indeterminato di tempo ed ha l’obiettivo di individuare in anticipo eventuali problemi che potrebbero compromettere nel tempo la posizione lavorativa. Dei tre modelli strategici identificati, due sono ben distinti fra loro, mentre il terzo possiede elementi in comune con gli altri due. La figura 1 illustra i tre modelli identificati e in questo studio denominati: ‘Insegnare un lavoro’ (a sinistra), ‘Insegnare a lavorare’ (a destra) e ‘Modello intermedio’ (in centro).

Come indicato in figura 1, dopo una iniziale fase di valutazione del cliente, il modello denominato ‘Insegnare un lavoro’ prevede immediatamente l’assunzione del soggetto. L’insegnamento del lavoro verrà effettuato dopo l’assunzione e mediante un intensivo, ma limitato nel tempo (alcuni mesi), supporto al soggetto da parte dell’operatore dell’agenzia di inserimento lavorativo. Siccome il principale obiettivo in questo modello è l’insegnamento del lavoro da svolgere nella azienda ospitante, esso è stato denominato ‘Insegnare un lavoro’. L’agenzia spagnola ha adottato questo modello il quale a sua volta deriva dal modello americano di ‘Supported employment’.

Nel modello ‘Insegnare a lavorare’, la valutazione del cliente tramite interviste ed incontri è seguita da un periodo relativamente lungo (da uno a cinque anni) di osservazione e formazione del soggetto in un numero di aziende (da 2 a 10) caratterizzate da modelli organizzativi progressivamente più complessi (da familiare a burocratico). L’obiettivo dell’inserimento in ciascuna di queste aziende non è l’assunzione, bensì l’opportunità per il cliente di imparare diverse realtà di lavoro, comportamenti appropriati, valori in ambiente lavorativo e gestione delle relazioni sociali sul lavoro. Per l’agenzia questo periodo rappresenta anche un’opportunità di osservazione del cliente a fini valutativi. Dopo questa fase il soggetto viene inserito in una azienda scelta per l’assunzione la quale verrà formalizzata solo al termine di un periodo (da 3 a 12 mesi) di insegnamento del lavoro e familiarizzazione con l’azienda. In tutte le sue fasi il modello ‘Insegnare a lavorare’ prevede che sia responsabilità dell’azienda, tramite i supervisori ed i colleghi di reparto, l’insegnamento dei compiti e mansioni al nuovo lavoratore con disabilità. L’obiettivo principale di questo modello è la crescita delle capacità generali quali la stima di sé, l’autonomia emotiva e le capacità relazionali del cliente, oltre che una sua generale capacità lavorativa. Per questa ragione esso è stato qui denominato ‘Insegnare a lavorare’. L’agenzia italiana elaborò e adottò questo modello.

Il modello intermedio, al centro della figura 1, comprende elementi di entrambi i due precedenti modelli. Per esempio, la sequenza delle prime quattro fasi rispecchia il modello di ‘Insegnare a lavorare’ e precisamente include: 1) la valutazione del cliente tramite interviste ed incontri, 2) l’osservazione e formazione del soggetto in un numero di aziende diverse, senza l’obiettivo dell’assunzione, 3) la formazione del soggetto in una azienda identificata questa volta per l’assunzione al termine di un periodo di insegnamento del lavoro, 4) l’assunzione del soggetto in azienda. In somiglianza con il modello ‘Insegnare un lavoro’, tuttavia, il compito di affiancare i soggetti per garantire loro la formazione e l’insegnamento dei compiti di lavoro, ricade sull’operatore dell’agenzia che gestisce l’inserimento lavorativo, piuttosto che sui nuovi colleghi di lavoro in azienda. Infine, sempre in somiglianza con il modello ‘Insegnare un lavoro’, il soggetto riceve un intensivo, ma limitato nel tempo, supporto da parte dell’operatore dell’agenzia di inserimento lavorativo, anche dopo l’effettiva assunzione. L’approccio dell’agenzia tedesca e di quella nel Regno Unito riflettono questo modello.

 

5. Aspetti filosofici

La presente sezione propone uno strumento il cui obiettivo è di investigare quali approcci filosofici possano caratterizzare le pratiche dell’inserimento lavorativo. A questo fine può rivelarsi utile osservare l’evoluzione storica dei servizi offerti alle persone con disabilità. In passato l’attenzione era focalizzata molto di più sulla disabilità che non sull’abilità. La terminologia utilizzata per identificare gli utenti dei servizi richiamava il concetto medico di ‘paziente’ e, in questa prospettiva, i servizi erano considerati come uno strumento per ‘curare’, ‘custodire’ o ‘assistere socialmente’. Questo modello di intervento potrebbe essere denominato di ‘cura/assistenza’. Un secondo e più recente modello di intervento mira invece ad evidenziare le abilità delle persone e utilizza terminologie come ‘cliente’ o ‘consumatore’ per identificare gli utenti dei servizi per persone con disabilità. In questa prospettiva i servizi sono considerati uno strumento per promuovere l’integrazione sociale con l’obiettivo di porre le persone in grado di sviluppare le proprie potenzialità secondo quanto enunciato per esempio nelle Dichiarazioni per i Diritti umani [13][20][25].

Lo sviluppo di programmi per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità rappresenta il segnale che siamo in una fase di transizione verso questo secondo modello filosofico che qui potrebbe essere denominato dell’‘integrazione sociale/diritti umani’. Nella attuale fase di transizione culturale dal primo al secondo modello, tuttavia, è possibile e forse inevitabile che elementi della precedente filosofia persistano in servizi che sono, in principio, ispirati al nuovo approccio. Va subito precisato che il punto non è quale dei due approcci sia migliore. Piuttosto, è la necessità di essere consapevoli di quale filosofia guidi una strategia di inserimento lavorativo in relazione alle personali condizioni del soggetto che ne usufruisce. Un limite del modello orientato verso la ‘cura/assistenza’ è che esso potrebbe seriamente ostacolare le persone con insufficienza intellettiva nel raggiungere il medesimo status di lavoratore dei colleghi senza disabilità. Questo rischio è reale se il programma attribuisce all’inserimento lavorativo il ruolo di strumento per finalità principalmente terapeutiche o di assistenza. Questo approccio in particolare penalizza le persone che, nonostante la disabilità, hanno potenzialmente una piena capacità lavorativa. Da un altro punto di vista, tuttavia, un approccio orientato alla ‘cura/assistenza’, potrebbe essere considerato legittimo ed appropriato come migliore alternativa ai tradizionali servizi ‘speciali’ per le persone con più severi livelli di disabilità.

Al fine di identificare in quale misura diversi approcci filosofici sostengano una pratica di inserimento lavorativo, lo studio individuò 15 variabili quali indicatori di ‘cura/assistenza’ ovvero dei ‘diritti umani’. Fra le variabili individuate, cinque rivestono un ruolo di variabile di contesto (6), sei sono variabili di processo e quattro sono variabili legate ai risultati. Non è possibile in questo articolo descrivere per esteso tutti i 15 indicatori. Tuttavia, a titolo di esempio, ne vengono di seguito presentati tre: 1) tipo di risorse finanziarie del programma (provenienti da fondi della Sanità/Assistenza oppure Istru­zio­ne/Lavoro), variabile di contesto; 2) figura che istruisce il cliente con disabilità (l’operatore dell’agenzia oppure i colleghi di lavoro in azienda), variabile processo; 3) tipo di contratto raggiunto fra i lavoratori con disabilità e le aziende (legale oppure no), variabile di risultato.

Il criterio utilizzato al fine di attribuire al valore assunto dalle variabili il significato di indicatore di ‘cura/assistenza’ ovvero di ‘diritti umani’ si basa su due principali considerazioni. Il valore assunto dalle variabili indica una tendenza verso un modello di ‘cura/assistenza’ quando esso rispecchia caratteristiche tipiche della filosofia su cui si basano i servizi tradizionali di cura ed assistenza. Al contrario, la tendenza verso un approccio basato sulla più recente filosofia dei ‘diritti umani’ emerge quando il valore assunto dalle variabili riflette la filosofia che caratterizza in principio anche i servizi per individui disoccupati, senza disabilità. Per esempio, emerge una tendenza ad un modello di ‘cura/assistenza’ quando 1) l’agenzia è finanziata con fondi della ‘Sanità’ o ‘Assistenza’, piuttosto che ‘Istruzione’ o ‘Lavoro’, 2) gli operatori dell’agenzia, anziché i colleghi del cliente, insegnano il lavoro ai nuovi lavoratori con disabilità ed, infine, 3) le assunzioni non sono con un contratto legale di lavoro.

Lo studio originariamente non mirava ad analizzare l’approccio filosofico delle quattro agenzie casi studio. Il tema infatti emerse durante le interviste e nel corso dell’analisi della documentazione sulle agenzie e sul contesto legislativo. A questo riguardo il confronto fra le agenzie casi studio va considerato solo come un tentativo ancora da perfezionare. Tuttavia, è sembrato interessante applicare il metodo di analisi alle quattro agenzie per testare lo strumento e per illustrare le potenzialità del metodo analitico proposto.

L’applicazione del metodo d’analisi alle quattro agenzie ha rivelato che in ognuna di esse c’era una co-presenza sia di elementi di ‘cura/assistenza’ che di ‘diritti umani’, con una leggera prevalenza di questi ultimi. I risultati sono illustrati nel grafico 1.

Come illustrato nel grafico 1, sebbene tutte e quattro le agenzie includessero elementi tipici dell’approccio ‘diritti umani’, nella maggior parte dei casi tale tendenza non era molto pronunciata. Nel caso dell’agenzia nel Regno Unito (Agency UK), per esempio, otto su 15 variabili indicavano un orientamento verso il modello ‘diritti umani’. Agency E (in Spagna) e Agency D (in Germania) avevano nove su 15 variabili indicanti un orientamento verso il modello ‘diritti umani’. Nel caso di Agency I (in Italia), il modello ‘diritti umani’ appariva più distinto con 12 variabili, sul totale di 15, attestanti tale tendenza.

Sulla base del grafico 1, è anche possibile analizzare i dati osservando quali tipi di indicatori risultavano essere orientati verso il modello ‘diritti umani’ piuttosto che ‘cura/assistenza’. In altre parole, è possibile distinguere gli indicatori in variabili di contesto, di processo oppure variabili legate ai risultati. A questo riguardo emerse che Agency UK e Agency D avevano il maggior numero di variabili di contesto attestanti la presenza del modello ‘diritti umani’ (tre su cinque variabili), seguite da Agency I (due su cinque variabili). Agency E aveva una variabile contesto soltanto, su cinque, indicante la presenza di un approccio ‘diritti umani’. Le variabili di processo, in principio più controllabili dalle agenzie, mostravano una maggiore tendenza verso il modello ‘diritti umani’. Agency I risultava avere tutte e sei le variabili di processo attestanti la presenza di tale modello. Agency UK e Agency E avevano quattro su sei variabili di processo che documentavano la presenza del modello ‘diritti umani’. Nel caso di Agency D, le variabili mostravano una uguale distribuzione dei valori fra i due modelli. Infine, in riferimento alle variabili legate ai risultati, Agency I e Agency E risultavano essere interamente orientate verso il modello ‘diritti umani’ con quattro su quattro variabili indicanti tale approccio (7). Agency D risultava avere tre variabili su quattro indicanti presenza del modello ‘diritti umani’. Nel caso di Agency UK invece, le variabili legate ai risultati indicavano presenza del modello ‘cura/assistenza’ con tre su quattro variabili attestanti tale orientamento. Da un lato questo fatto non sorprende se si considera che le variabili ‘risultato’ dell’Agency UK si riferivano ad una più elevata proporzione di clienti con livelli severi di disabilità, rispetto alle altre agenzie. Tuttavia, non è totalmente chiaro, nel caso di tutte e quattro le agenzie, se sia il grado di disabilità dei clienti ad influenzare principalmente la scelta di strategie di inserimento lavorativo orientate verso un approccio di tipo ‘cura/assistenza’ ovvero dei ‘diritti umani’, o se vi siano anche ragioni di altro tipo ancora da investigare.

 

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(1) Questo articolo si basa su di uno studio finanziato dalla Commissione Europea DG XII, Scienza Ricerca e Sviluppo, Training and Mobility of Researchers (TMR) Programme, Marie Curie Research Training Grants, contratto n° ERB4001GT965125.

(2) a.migliore@multiwire.net

(3) Senza l’incoraggiamento ed i preziosi consigli del Dott. Donal McAnaney e della Dott.sa Francesca Lundström non sarebbe stato possibile realizzare lo studio su cui si basa questo articolo. L’autore ringrazia anche il Dott. Timo Lajunen - Middle East Technical University Department of Psychology, Ankara, Turkey - per la supervisione alla realizzazione del presente articolo.

 (4) Per la traduzione di [26] mi sono avvalso di: Centro Lombardo per l’Educazione Sanitaria (C.L.E.S.), (senza data), Manuale per una classificazione riferita alle conseguenze della malattia, Edizione Italiana, Bergamo.

 (5) I dati disponibili per l’Italia distinguevano fra regolare assunzione e inserimento socio-assistenzale. Quest’ultimo progetto si riferisce ad un inserimento in azienda in assenza di un legale contratto di assunzione.  Esso è un progetto di norma attivato per persone con grado più severo di disabilità.

 

 

Tabella 1: Numero di agenzie per l’inserimento lavorativo operative negli Stati Membro ospitanti i casi studio.

 

                                         Germania                        Italia                          Spagna                    Regno Unito                     Totale

     Metà ’70                              /                                    5                                   /                                     /                                    5

     Inizio ’80                             /                                   30                                  /                                     8                                  38

     Metà ’80                              /                                   85                                  1                                   24                                110

     Inizio ’90                            3                                 142                                4                                   79                                228

     Metà ’90                           80*                              310**                             36                              210***                             636

      (Fonte: [1][14][21][3][15])

*     Il numero di agenzie in Germania nel 1999 era salito a 175 [1].

**    Un totale di 65 agenzie, operative nella metà degli anni ‘90, non indicò la data di inizio attività.

***  I dati della metà anni ‘90 nel Regno Unito sono di Beyer [3], quelli relativi ai precedenti anni sono di Lister [15].

 

 

 

Grafico 1: Numero di indicatori, su un totale di 15, appartenenti al modello ‘diritti umani’, suddivisi per variabili di contesto, di processo, variabili legate ai risultati, per ciascuna agenzia.

 

 

 

 

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