Prospettive
assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000
un’altra importante conquista del volontariato
dei diritti:
gli enti
pubblici non possono più pretendere denaro dai congiunti di SOGGETTI CON HANDICAP GRAVE O
DI ULTRASESSANTACINQUENNI NON AUTOSUFFICIENTI
Sulla Gazzetta
ufficiale n. 118 del 23 maggio 2000 è stato pubblicato il decreto
legislativo 3 maggio 2000 n. 130 “Disposizioni correttive e integrative del
decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 109, in materia di criteri unificati di
valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni
sociali agevolate”.
Il decreto, comunemente definito “riccometro” o
“redditometro” (da non confondersi con il “sanitometro”) accoglie molte
richieste presentate dal CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti
di base, richieste che sono state appoggiate da una petizione (1) sottoscritta
da 6.600 persone e organizzazioni, indirizzata all’On. Livia Turco, Ministro
per la solidarietà sociale.
In primo luogo, sottolineiamo con vivissima
soddisfazione che i Comuni, le Province, le ASL e gli altri enti pubblici
devono prendere in considerazione la situazione economica del solo assistito (e
quindi non quella dei congiunti anche se conviventi e tenuti agli alimenti) per
le prestazioni sociali «erogate a
domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a
persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa
legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza
fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le
disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la
solidarietà sociale e della sanità».
Infatti, il suddetto decreto dovrà essere «adottato, previa intesa con la Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di
appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche
in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla
base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui
all’articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502, e successive modificazioni» (2).
Nel decreto legislativo (art. 2, comma 6) è precisato
non solo che le nuove disposizioni «non
modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli
alimenti ai sensi dell’articolo 433 del codice civile», ma anche che esse «non possono essere interpretate nel senso
dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438,
primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare
del richiedente la prestazione sociale agevolata».
Resta dunque confermato che SOLO l’interessato ha la
piena e assoluta facoltà (ma non è obbligato ad esercitarla) di chiedere gli
alimenti ai propri congiunti, mentre restano fermi i doveri di cura e di
assistenza attribuiti dalle leggi vigenti agli enti pubblici. Questi ultimi,
precisa il decreto, non possono sostituirsi all’interessato nella richiesta degli
alimenti.
La precisazione non fa altro che confermare quanto
disposto dalle note del Direttore generale del Ministero dell’interno del 27
dicembre 1993, prot. 12287/70 e dell’8 giugno 1999, prot. 190 e 412 B.5, del
Capo dell’Ufficio legislativo del Dipartimento per gli affari sociali della
Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1994, prot.
DAS/4390/1/H/795, del 28 ottobre 1995, prot. DAS/13811/1/H/795 e del 29 luglio
1997 prot. DAS/247/UL/1/H/795 e dalla lettera inviata dal Capo dell’Ufficio legislativo
del Ministro per la solidarietà sociale in data 15 ottobre 1999, prot.
DAS/625/UL-607 all’ANCI nazionale.
La specificazione, così com’è espressa nel decreto, ha
una rilevanza estremamente importante, in quanto, finora, come ripetiamo da
anni, molti enti pubblici (Comuni, Consorzi, ASL, Province, ecc.), spesso con
odiosi ricatti, hanno obbligato i parenti di handicappati gravi, di malati di
Alzheimer e di anziani cronici non autosufficienti a versare contributi (anche
di 1-2 milioni al mese) non previsti da nessuna legge.
Altri
aspetti del nuovo riccometro
Il nuovo riccometro accoglie un’altra richiesta del
CSA. Infatti le norme valgono per tutte le prestazioni sociali agevolate:
utilizzo dei servizi prescolastici, partecipazione a soggiorni di vacanza, ecc.
Si tratta di una conquista estremamente importante in
quanto, finora, gli enti pubblici, in particolare i Comuni, quasi sempre hanno
stabilito condizioni più onerose sul piano economico per gli interventi
utilizzati dagli utenti più deboli.
Ad esempio a coloro (giovani, adulti, anziani) che
partecipano alle iniziative di tempo libero (turismo cittadino ed extraurbano,
ecc.) in genere sono richieste somme meno gravose rispetto a quelle imposte per
l’inserimento in un centro diurno di soggetti con handicap intellettivo grave.
Solo in piccola parte, invece, è stata presa in
considerazione l’istanza del CSA concernente la valutazione della reale
situazione patrimoniale dei nuclei familiari che utilizzano le prestazioni
sociali agevolate.
Infatti, il 4° comma dell’art. 2 del nuovo riccometro
prevede che i patrimoni immobiliari (alloggi, negozi, terreni, ecc.) vengano
calcolati solamente nella misura del 20% del loro importo complessivo.
Ancora una volta, di fronte alla carenza di mezzi
economici, continuamente evocata dagli enti pubblici per gli interventi a
favore dei più deboli, il nuovo riccometro agevola, in misura che può anche
essere rilevante, i cittadini abbienti.
Alcune
valutazioni
L’approvazione del nuovo riccometro dimostra, ancora
una volta, che l’azione del volontariato dei diritti consente il raggiungimento
di risultati estremamente importanti.
Nel caso in esame, non solo si pone – finalmente
– termine al deplorevole e diffuso comportamento illegale degli enti
pubblici (Comuni, Province, ASL, ecc.) consistente nell’arbitraria sottrazione
di denaro ai cittadini, ma soprattutto non si permette più alle suddette
istituzioni di infierire sul piano economico nei confronti dei nuclei familiari
già duramente colpiti dalla presenza di un congiunto non autosufficiente a
causa di gravi handicap o di malattie invalidanti.
Negli anni scorsi, si è giunti addirittura – lo
abbiamo documentato più volte – a pretendere contributi economici anche
rilevanti ai genitori, a volte molto anziani, che con enormi sacrifici
continuavano ad accogliere a casa loro il figlio quarantenne/cinquantenne, da
sempre dipendente in tutti gli atti fondamentali della vita e che chiedevano
SOLTANTO all’ente pubblico che il loro congiunto potesse frequentare un centro
diurno per una durata corrispondente al 25% delle ore settimanali.
Un Consorzio dei servizi socio-assistenziali della
Provincia di Torino, per una vacanza di 10 giorni, ha preteso con spudorato
cinismo il versamento di un milione dalla famiglia che aveva adottato un bambino,
ora maggiorenne, colpito dalla sindrome di Down, non autosufficiente e con un
reddito personale complessivo di 400mila lire mensili.
Conclusioni
Occorre che tutti (organizzazioni e singoli cittadini)
agiscano con il massimo impegno affinché le norme del nuovo riccometro vengano
rispettate da tutti gli enti pubblici (Comuni singoli e associati, Comunità
montane, Province, ASL, ecc.) in modo che si ponga finalmente termine alle
illegittime richieste di contributi economici ai congiunti di soggetti con handicap
in situazione di gravità e degli ultrasessantacinquenni colpiti da malattie
invalidanti e da non autosufficienza.
(1) Il testo è stato riportato sul n. 129, gennaio-marzo 2000, di Prospettive assistenziali.
(2)
L’art. 3-septies del decreto legislativo 502/1992, modificato dal decreto
legislativo 229/1999, riguardante l’integrazione sociosanitaria, è così
formulato:
«1. Si
definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare,
mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute delle persone che
richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale
in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di
cura e quelle di riabilitazione.
«2. Le
prestazioni sociosanitarie comprendono:
a) prestazioni sanitarie a
rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute,
alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti
degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite;
b) prestazioni sociali a
rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno
l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di
disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
«3.
L’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n.
419, da emanarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, su proposta del Ministro della sanità e del Ministro per la
solidarietà sociale, individua, sulla base dei principi e criteri direttivi di
cui al presente articolo, le prestazioni da ricondurre alle tipologie di cui al
comma 2, lettere a) e b), precisando i criteri di
finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai
comuni. Con il medesimo atto sono individuate le prestazioni sociosanitarie a
elevata integrazione sanitaria di cui al comma 4 e alle quali si applica il
comma 5, e definiti i livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali
a rilievo sanitario.
«4. Le
prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono
caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della
componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile,
anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e
farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale,
inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.
«5. Le
prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono assicurate
dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza
sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani
nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
«6. Le
prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni che
provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai
sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
La regione determina sulla base dei criteri posti dall’atto di indirizzo e
coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli
essenziali di assistenza.
«7. Con
decreto interministeriale, di concerto tra il Ministro della sanità, il
Ministro per la solidarietà sociale e il Ministro per la funzione pubblica, è
individuata all’interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli
interventi e ai servizi sociosanitari.
«8.
Fermo restando quanto previsto dal comma 5 e dall’articolo 3 quinquies, comma 1, lettera c), le regioni disciplinano i criteri e
le modalità mediante i quali Comuni e Aziende sanitarie garantiscono
l’integrazione, su base distrettuale, delle prestazioni sociosanitarie di
rispettiva competenza, individuando gli strumenti e gli atti per garantire la
gestione integrata dei processi assistenziali sociosanitari».
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