Prospettive assistenziali, n. 131,
luglio-settembre 2000
PIERPAOLO DONATI (a cura di), Famiglia e società del benessere - Sesto rapporto CISF sulla famiglia
in Italia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1999, pag. 395, L.
48.000
Il sesto rapporto contiene il materiale raccolto dal CISF per documentare i cambiamenti della famiglia italiana e per sottoporre all’opinione pubblica ed agli studiosi i problemi ritenuti più urgenti e significativi.
Nella presentazione, Pierpaolo Donati sostiene che «le forze politiche, prese da varie
emergenze, prestano un’attenzione globalmente ancora scarsa alla famiglia, con
interventi sempre più selettivi anziché universalistici nei suoi confronti» ed
aggiunge: «Sia a livello nazionale che
europeo, i Governi continuano a considerare i problemi della famiglia in
termini prevalentemente economici e assistenziali, trattandola soprattutto come
destinataria di misure di lotta contro la povertà, e privilegiando donne e
bambini».
Affinché lo Stato possa veramente promuovere il
benessere familiare, ad avviso di Pierpaolo Donati, occorre che «lo Stato collochi la famiglia nella trama
normale della vita sociale, cioè come soggetto rilevante per la vita pubblica».
Inoltre lo Stato deve «ridefinire i suoi rapporti con la famiglia in termini di co-relazione
fra competenze delle famiglie e competenze dei servizi sociali (dalla scuola ai
consultori, ai servizi sociali personali)».
Mentre lo Stato deve rispettare le dinamiche interne ed i valori della famiglia, occorre che le famiglie, a loro volta, si aprano al contesto esterno, allarghino la loro rete relazionale e assumano la responsabilità di partecipare attivamente alla realizzazione di una vita sociale fondata su una solidarietà effettiva.
MARIANO BOTTACCIO (a cura di), Tutti al centro - Volontariato e terzo settore in un “Paese normale”,
Edizioni Minimum Fax, Roma, 1999, pag. 191, L. 20.000
Nel volume sono raccolti vari interventi, fra i quali
Vittorio Agnoletto - presidente nazionale della LILA, Gianfranco Bettin - prosindaco
di Mestre e assessore alle politiche sociali del Comune di Venezia, Massimo
Campedelli - esponente del Gruppo Abele, Marco Revelli - docente alla Facoltà
di Scienze politiche all’Università di Torino.
Nella prefazione, Goffredo Fogli afferma: «Muore il volontariato, e cresce, s’impone
il terzo settore, a cui ora il potere economico e quello politico chiedono
molto, disposti a dare anche molto. In qualche modo anche “ricattando”, in modi
acronici e legali; se non accetti queste regole del gioco fissate dall’alto,
non sarai protetto, non avrai natura legale e finanziamenti».
Francesco Ciafaloni, ricercatore dell’IRES-CGIL,
sostiene che «nel terzo settore ci può
essere più avidità, più sfruttamento, minore rispondenza ai fini presunti,
rispetto al settore che risponde alle regole economiche del mercato o della
burocrazia». Dopo aver precisato che le regole economiche pur non essendo
una garanzia assoluta, sono pur sempre un limite, Ciafaloni precisa che «al di fuori di quel limite si può trovare
di tutto, dal vero e proprio eroismo di alcuni settori del volontariato
all’imbroglio puro e semplice che non manca nel settore economico in senso
stretto, ma è reso qui più facile dalla mancanza di controlli».
Mons. Giovanni Nervo, puntualizza in primo luogo che
la cooperativa di solidarietà sociale «non
è più volontariato, ma impresa sociale autogestita» e precisa che «il volontariato è preso in considerazione
dalla legge [266/1991] in quanto è
funzionale ai programmi e alle attività delle istituzioni pubbliche».
Pertanto, secondo Mons. Nervo, se il volontariato
intende conservare la sua identità originaria e mantenere il suo patrimonio
ideale, deve «mantenersi libero dal
potere politico e da quello economico pur utilizzando con intelligenza e
trasparenza tutte le risorse offerte dalla legge».
In merito al terzo settore, il Presidente onorario
della Fondazione Zancan asserisce che «il
terzo settore rischia di diventare il gestore privato di denaro pubblico,
completamente dipendente dal pubblico, una specie di parastato o di “parassita”
dello Stato».
A nostro avviso non si tratta più
di un rischio, ma di una deludente e pericolosa realtà.
Lorenzo
De Caprio, La morte della mente ed i limiti della
ragione - Dilemmi etici nella malattia di Alzheimer, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli, 1998, pag. 121, L. 11.000
«I vecchi, i dementi minacciano l’Occidente in quello
che più stima di valore: il portafoglio».
«Costi incommensurabili, tutti a carico delle
famiglie: denaro, affetto, dolore, infinite cure parentali, silenziosi continui
sacrifici personali».
«Spese pubbliche sanitarie e assistenziali
elevatissime che fanno rima con tasse».
«Ci sono troppi vecchi malati, troppi dementi in giro
ed alcuni sostengono che nel prossimo futuro sarà materialmente impossibile
fornire cure ed assistenza alla popolazione che invecchia».
Queste sono alcune
affermazioni di Lorenzo De Caprio, Professore associato di geriatria presso la
facoltà di medicina dell’Università Federico II di Napoli in merito
all’invecchiamento della popolazione che sta modificando lo scenario
epidemiologico, portando alla ribalta malattie croniche ed inguaribili. Tra
queste, la demenza di Alzheimer spicca per gli elevatissimi costi assistenziali
sociali ed umani. Il progressivo estendersi ed aggravarsi del danno cerebrale
comporta la perdita delle funzioni intellettuali e, nel tempo, il malato
precipita in una condizione di vita puramente vegetativa.
Dilemmi umani e morali
accompagnano tutto il lento decorso della malattia. L’incapacità decisionale
solleva il problema del consenso informato, dell’inabilitazione e
dell’interdizione. Quando, nella fase avanzata della malattia, la vita del
malato dipende solo dall’attivo aiuto umano, si presenta il nodo più difficile
da sciogliere: chi decide, cosa e perché della sorte di quest’uomo.
FRANCESCO CAVAZZUTI - GIULIANO
CREMONCINI, Assistenza geriatrica oggi,
Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1998, pag. 540, L. 80.000
Nell’assistenza
infermieristica geriatrica si sono consolidate negli ultimi anni nuove
strategie operative che puntano ad un livello più elevato di qualità
professionale e di responsabilità.
La persona malata,
in particolare quella anziana, vive una condizione umana difficile, soprattutto
quando è colpito da patologie inguaribili e per le sue esigenze quotidiane deve
dipendere dagli altri.
L’infermiere,
proprio per il suo ruolo, dovrebbe essere il miglior garante dei diritti degli
anziani.
Come giustamente
viene affermato «fondamentale è garantire
al paziente il diritto di reclamare o protestare fornendo uno strumento
indispensabile, e spesso unico, di verifica dell’efficacia percepita del nostro
operato» e cioè delle prestazioni di medici e infermieri.
Purtroppo,
attualmente, il diritto dell’anziano alle cure sanitarie «si scontra con la mentalità corrente dell’ottimizzazione delle
risorse: essa, spesso erroneamente, identifica la cura con la guarigione, come
se ogni altra condizione patologica che non permetta la restitutio ad
integrum non avesse dignità di malattia».
Occorre dunque che
nel campo sanitario si affermi «una più
approfondita e realistica visione dei diritti che veda il paziente anziano non
più come un soggetto passivo, che richiede tante prestazioni proporzionali ai
numerosi bisogni, ma una persona a cui favorire e fornire una qualità di vita
nelle situazioni più disparate».
Il volume, che dedica ampio spazio ai nuovi settori di
intervento (valutazione multidimensionale, aspetti etici, del rapporto con
l’anziano, situazioni di rischio, ecc.), costituisce per gli infermieri e per
gli altri operatori un indispensabile ed aggiornato strumento di lavoro, anche
se in qualche caso (si veda ad esempio il capitolo di Zanetti e Bianchetti “La
rete dei servizi per il paziente demente”) non si tiene conto che la gestione
da parte del settore dell’assistenza sociale di servizi destinati ad anziani
malati contrasta nettamente con i diritti sanciti dalle leggi vigenti.
MARIA PAOLA COSTANTINI, Guida ai diritti del malato. Come muoversi e a chi rivolgersi, Editori Riuniti, Roma, 1997, pag. 110,
L. 14.000
È estremamente grave che il volume contenga
affermazioni fuorvianti, soprattutto se si tiene conto che si tratta di un
manuale curato dal Centro per la riforma dello Stato e che l’Autrice è la
coordinatrice nazionale del servizio di assistenza e informazione giuridica del
Movimento federativo democratico e del Tribunale per i diritti del malato.
Nel capitolo relativo ai “diritti degli anziani e dei
malati non autosufficienti” è scritto che «le
strutture ospedaliere sono adibite alla cura delle malattie nella fase acuta e
non dovrebbero prevedere, se non in casi eccezionali, la cosiddetta “lungodegenza”».
È un’asserzione non rispondente alla verità, in quanto
le leggi vigenti non fanno alcuna distinzione fra le malattie acute e le
patologie croniche, come è stato confermato anche dalla sentenza della Corte
Suprema di Cassazione n. 10150 del 1996.
Non è nemmeno vero, come sostiene l’Autrice, che nei
confronti degli anziani non autosufficienti e dei soggetti con malattie
croniche «la struttura sanitaria deve
indicare l’istituto dove proseguire le cure e procedere alla dimissione del
paziente solo dopo averne accertato le condizioni di salute e l’assenza di
eventuali, possibili complicazioni».
In primo luogo, va precisato che il Servizio sanitario
nazionale non possiede alcun strumento giuridico per imporre il trasferimento
di malati negli istituti, strutture appartenenti al settore dell’assistenza
sociale.
In secondo luogo, non sono sufficienti l’accertamento
delle condizioni di salute del malato che si intende dimettere e la verifica
dell’assenza di eventuali possibili complicazioni: il Servizio sanitario
nazionale, in base alle leggi vigenti, è tenuto a garantire le cure ai malati
acuti o cronici o lungodegenti senza alcun limite di durata.
Fuorvianti sono, altresì, le indicazioni fornite nel
volume per evitare le dimissioni dagli ospedali. Si arriva – addirittura – ad
affermare che esse sarebbero ammissibili quando non ci sia bisogno di ulteriori
terapie, non effettuabili a casa, sottintendendo che i familiari siano obbligati
– il che non è assolutamente vero – a provvedere alle cure domiciliari dei loro
congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza.
Infondata è, poi, l’affermazione secondo cui le carte
dei servizi «sono uno strumento di tutela
del cittadino e dei suoi diritti». Infatti, se le ASL non rispettano le
indicazioni ivi contenute, gli utenti non hanno alcuno strumento giuridico per
ottenerne l’adempimento. Come sanno i veri giuristi, i diritti possono essere
resi esigibili solamente dalla legge.
www.fondazionepromozionesociale.it