Prospettive assistenziali, n. 131,
luglio-settembre 2000
È superata l’immagine
pauperistica dell’anziano
«Il
patrimonio detenuto dalle famiglie con capofamiglia anziano è costituito per il
94,6% da immobili mentre nella media della popolazione la percentuale
corrispondente è pari all’87,1%.
«Considerando
globalmente l’insieme delle attività reali il patrimonio delle famiglie con
capofamiglia anziano è stimabile in circa 728 mila miliardi di lire. Sebbene
gli anziani presentino livelli di consumo inferiori a quello del resto della
popolazione (a fronte di una maggiore propensione al risparmio) il valore dei
consumi annui degli anziani è stimabile in oltre 131 miliardi di lire.
«Infine, è da
notare che oltre il 19% degli anziani prevede un incremento dei propri risparmi
nel 1999 rispetto all’anno precedente e che è in atto una tendenza alla
diversificazione dei portafogli finanziari degli anziani nei quali assume una
rilevanza maggiore la collocazione del risparmio in attività a rischio più elevato».
Sono questi alcuni elementi segnalati nel corso del
seminario “I comportamenti di consumo e di risparmio delle generazioni
anziane”, svoltosi il 25 giugno 1999.
È stato altresì affermato (cfr. Note e commenti del
CENSIS, n. 11-12/1999) che «gli anziani
presentano una forte diversificazione delle situazioni concrete di vita, che
contrasta in modo deciso con l’idea generalizzata dell’anziano come soggetto
debole; sul piano sociale gli anziani sono una componente tendenzialmente forte
non solo per il loro numero crescente e per l’ammontare di risorse che a vario
titolo attraggono, ma per il ruolo che molti di loro concretamente esercitano
nei contesti in cui sono inseriti, dalle famiglie al volontariato».
Si devono curare tutte le
persone malate
Sul n. 11/12 del 1999 di Note e commenti, rivista del CENSIS, sono state pubblicate le
risultanze di una indagine condotta dallo stesso CENSIS coinvolgendo 1.000
cittadini e 153 osservatori qualificati (responsabili di ASL, assessori
regionali alla sanità, politici).
In sintesi è emerso quanto segue:
– «le risorse
economiche sono sì limitate in sanità ma, secondo gli italiani, vanno spese in
maniera equa, per tutti, senza distinzioni in base all’età, cioè alle
aspettative di vita, o in base alla tendenza ad adottare comportamenti a
rischio (fumo, alcool, obesità, ...). Semmai la spesa sanitaria va gestita con
più efficienza ed eliminando gli sprechi»;
– «è il 68%
degli italiani a dirsi contrario all’uso dell’età dei pazienti come criterio di
razionamento sanitario, e ancora meno d’accordo sono gli esperti del settore
dato che fra essi i contrari raggiungono l’82%»;
– «il
67,7% degli italiani è poi contrario all’introduzione di criteri di
razionamento di spesa per chi assume comportamenti a rischio (fumatori,
alcolisti, obesi, ...) e a ciò sono ancora più contrari gli esperti
intervistati (74,8%)».
In risposta
alla domanda: «Chi deve decidere quali
prestazioni erogare o quali pazienti curare», «la maggioranza degli italiani,
pari al 56,7%, attribuirebbe la responsabilità di razionare la spesa sanitaria,
piuttosto che agli amministratori delle ASL o ai politici, ai medici di
medicina generale, ossia al medico di famiglia».
Circa la priorità dei servizi e delle prestazioni «al vertice, secondo il parere degli
italiani, si devono collocare: i trattamenti per i bambini gravemente malati;
gli interventi di alta chirurgia (trapianti di organi, o pericolo di vita); i
controlli di massa e le vaccinazioni per prevenire le malattie; le cure
speciali e la terapia del dolore per persone che stanno morendo».
La ricerca ha inoltre affrontato un altro tema,
partendo dall’esempio dell’Oregon, lo Stato americano che per primo ha
affrontato in maniera operativa il problema del razionamento, ovvero come
ripartire la spesa di 100 milioni di budget fra un programma da applicare a
tutta la popolazione o a un numero limitato di interventi salvavita: «Gli italiani, a questo riguardo, nel 58,5%
dei casi, finanziarebbero un programma preventivo rivolto all’intera
popolazione».
CHiarezza sulle rsa
Su Anch’io,
febbraio 2000, è stato scritto che «le
norme di attuazione delle RSA (Residenze sanitarie assistenziali) sono molto
dettagliate e precise sulle superfici, volumi, organizzazione, personale e
quant’altro».
Purtroppo, com’è noto a coloro che non hanno le idee
confuse, in tutta la normativa nazionale non c’è una sola parola né sulle
qualifiche del personale da impiegare nelle RSA, né sul numero degli addetti.
Una “dimenticanza” del legislatore che ha consentito e consente a queste
strutture, previste per i vecchi malati, di non essere gestite dalla sanità
come sarebbe logico, ma quasi sempre dall’assistenza/beneficenza, come sono
riusciti ad ottenere da Regioni, Comuni e ASL gli enti che operano nel settore,
soprattutto per motivi speculativi.
A PAlermo migliaia di poveri abbandonati
a loro stessi
Sulla rivista “Segno”,
n. 212, febbraio 2000, Tano Gullo descrive la situazione dei poveri di Palermo:
«Almeno diecimila famiglie vivono sotto
la soglia di decenza. E cinquemila persone sopravvivono di stenti.
Duecentocinquanta sono i barboni che si trascinano per le strade e dormono
negli anfratti e sotto i cavalcavia. (...) E, ultimi arrivati in ordine di tempo, ci sono i nuovi poveri.
Centinaia di famiglie risucchiate nell’inferno della miseria. Gente che fino a
ieri viveva dignitosamente con un lavoro e che, perduto il posto, ora si
ritrova a quaranta, cinquant’anni, con una famiglia da mantenere, un affitto da
pagare. Perdere il lavoro significa non riagguantarlo più, significa
ristrutturare la propria vita, significa vivere con l’incubo del domani, con la
paura del presente. Si tratta di gente non abituata a chiedere. Si tratta di
persone che fino a ieri vivevano dentro il recinto delle garanzie, e che da un
momento all’altro si trovano allo sbaraglio. Non essendo abituati alla povertà
fanno fatica a chiedere. Insieme al dramma della condizione economica vivono
l’angoscia del degrado sociale».
Precisa Tano Gullo: «La Chiesa palermitana è l’avamposto della miseria. Ogni parrocchia è
punto di riferimento, spesso l’unico, di decine di poveracci».
«Non vengono
a chiedere soldi – dice padre Antonio
Garau della parrocchia Immacolata di Lourdes alla Noce – ma latte e pappine per bambini. A volte arrivano già con in braccio i
piccoli affamati».
L’autore precisa che «sul fronte della povertà lo Stato è spesso assente».
Numerosi sono gli interventi del volontariato: non
solo le parrocchie, ma anche la Missione “Speranza e carità” di Biagio Conte,
la Caritas cittadina, i frati Cappuccini, i padri Bucconisti, ecc.), ma, dato
il numero dei poveri, molto spesso non vengono soddisfatte nemmeno le esigenze
più pressanti.
L’articolo di Tano Gullo ripropone la questione dei
notevoli limiti del volontariato consolatorio, che, anche nel caso in esame,
non assume nessuna iniziativa – almeno così risulta dal testo pubblicato
su “Segno” – per affrontare le cause
della povertà e dell’emarginazione e per individuare, senza trascurare le
esigenze immediate, gli obiettivi a breve, medio e lungo termine.
A Palermo coesistono – sono parole di Tano Gullo – «il massimo della povertà e il massimo della
ricchezza».
Non è condivisibile la posizione dell’Arcivescovo del
capoluogo siciliano che «non perde
occasione di invitare la città del benessere a ricordarsi di chi soffre».
Il Cardinale De Giorgi ad ogni Natale sostiene che «basta rinunciare al superfluo per sfamare migliaia di derelitti. Una
piccola rinuncia aiuterebbe ad alleviare tante sofferenze».
Le problematiche dei poveri non dovrebbero più essere
affrontate esclusivamente con interventi elemosinieri, che servono solo a
tamponare la situazione di un numero molto limitato di persone, mentre lasciano
aperti tutti gli spazi dell’ingiustizia, che ne approfitta per creare nuovi
poveri e, contemporaneamente, nuovi ricchi.
Chi sciupa denaro dello stato
è equiparabile a chi lo ruba
A Torino, nella relazione pronunciata
all’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, il Procuratore regionale della
Corte dei Conti, Mario Piscedda, ha dichiarato: «Chi sciupa denaro dello Stato è equiparabile a chi lo ruba».
Come riferisce La
Stampa del 23 gennaio 2000, il magistrato si è scagliato in particolare
contro «l’eccessivo ricorso degli enti a
consulenze esterne».
«Tanti
processi – ha aggiunto Gian Paolo
Zancan, Presidente dell’ordine degli avvocati del capoluogo piemontese – hanno dimostrato che la nomina di consulenti
ha spesso nascosto tangenti».
È estremamente preoccupante che questa prassi si stia
estendendo: alcuni centri di servizio per il volontariato, invece di destinare
la maggiore quantità possibile delle risorse disponibili al sostegno tecnico
delle organizzazioni che operano a titolo gratuito, agiscono soprattutto per
accrescere il potere dei loro dirigenti e per favorire i soliti amici.
Non sarebbe il caso che le Regioni stabilissero, in rapporto
alle entrate complessive, una percentuale massima delle spese ammesse per la
gestione dei centri di servizio per il volontariato?
costituita a firenze
l’associazione per la difesa dei diritti delle persone non autosufficienti
È stata costituita con sede a Firenze, Via Vittorio
Emanuele 135, l’Associazione per la difesa dei diritti delle persone non
autosufficienti (ADINA), che nasce dalla trasformazione del Comitato per la
difesa del diritto delle persone costituito in Firenze il 24 febbraio 1999
sull’esempio dell’analogo Comitato di Torino.
L’Associazione ha lo scopo di promuovere
l’informazione e il riconoscimento dei diritti delle fasce più deboli della
popolazione, con particolare riguardo alle persone totalmente o parzialmente
non autosufficienti: handicappati con limitata o nulla autonomia, anziani
malati cronici parzialmente o totalmente non autosufficienti, ecc.
Fra le numerose attività, sono da segnalare la
promozione dei necessari interventi e servizi di prevenzione del disagio e
dell’emarginazione e delle occorrenti prestazioni individuali, familiari e
sociali.
L’ADINA ha aderito al Coordinamento nazionale del
volontariato dei diritti.
www.fondazionepromozionesociale.it