Prospettive assistenziali, n. 131,
luglio-settembre 2000
1. Riportiamo
la lettera inviataci da Alberto Paglicci di Viterbo, ricordando che attualmente
l’importo della pensione di inabilità è di L. 401.380 al mese per 13 mesi,
mentre quello dell’indennità di accompagnamento è di L. 808.130 per 12
mensilità.
«Premetto che
non voglio assolutamente turbare, offendere, ferire nessuno, e che ho
riflettuto per molto tempo prima di decidere di scrivere questa lettera, che è
frutto di una mia necessità forte, e che ritengo non possa essere letta, se non
con il Vostro intervento, dalla maggior parte di tali disabili.
«Pur tenendo
nella massima considerazione l’immenso, bellissimo, nobilissimo, rarissimo
amore che giustamente Vi lega a Lui, e che Lui merita e ricambia, non Vi siete
ancora stancati, specialmente se da soli, senza l’aiuto di parenti o di altri,
e specialmente se di notte dovete svegliarvi più volte per aiutarlo, di provvedere
all’assistenza personale continua del Vostro familiare disabile grave o
gravissimo?
«Io, che vivo
da 16 anni la Vostra stessa situazione, sinceramente “Sì”.
«Non mi sono
stancato del mio familiare disabile, mi sono stancato di provvedere all’assistenza
personale continua, a mio parere molto pesante, e, per me,
divenuta insostenibile, poiché l’importo dell’indennità di accompagnamento agli
invalidi civili totali “con necessità di assistenza continua, non essendo in
grado di compiere gli atti quotidiani della vita” (legge 18/1980) è sufficiente
per circa 2 ore e mezza di assistenza al giorno, che di ore ne ha 24, ed è un
importo del tutto sproporzionato rispetto alle rette che la collettività paga
per il ricovero in istituti di assistenza, e considerando che viviamo in un
Paese cosiddetto civile, anzi ai primi posti tra le potenze economiche, non in
un Paese del Terzo Mondo.
«Mi farebbe
veramente grandissimo piacere, perché ne sento la necessità, avere la risposta
di qualcuno di Voi, che ritengo persone al di fuori del comune, direi
eccezionali, per risolvere un problema che mi angoscia: sapere se io sono
l’unico familiare egoista, snaturato di un disabile grave o gravissimo, e
perciò ne devo provare vergogna, oppure se sono un comune essere umano, con limiti
di resistenza dovuti non alla mia cattiveria, al mio egoismo, ma alla natura
umana».
Dai nostri lettori aspettiamo risposte, che ci
impegniamo a pubblicare.
2. Un
operatore di Torino ci ha inviato la seguente nota, che riproduciamo insieme
alla nostra risposta.
«Sono un
operatore sociale e formatore per il lavoro sociale, sono abbonato alla Vs.
rivista e cerco di perseguire e raggiungere la diffusione di una progettualità
diffusa, di una cultura della qualità sociale, della domiciliarità e dei principi
di sussidiarietà.
«Con la
presente desidero comunicarVi:
• la mia
stima professionale e personale per l’impegno e il coraggio con cui affrontate
quotidianamente la negligenza strafottente e la neghittosità delle istituzioni
e l’indifferenza della società civile;
• una
riflessione circa la Vs. presa di posizione rispetto all’oggetto della
presente.
«Come avete
sottolineato anche Voi nell’appello alle forze del Volontariato, in riferimento
alla riforma sull’Assistenza, è possibile che i patrimoni delle IPAB vengano
destinati per servizi di tipo universalistico, sottraendo risorse ai meno
abbienti a favore di cittadini abbienti.
«Nel numero
scorso di “Controcittà” avete riportato l’esito della mozione votata in
Consiglio il 10 gennaio c.a.: la Città non dovrebbe più richiedere contributi
agli assistiti maggiorenni.
«Anche questa
delibera contrasta con i principi di equità e di giustizia sociale perché
cittadini assai abbienti che potrebbero rivolgersi direttamente al privato o
contribuire con una retta pari al cento per cento, non solo usufruiscono di un
servizio a spese della collettività, ma sottraggono un posto a persone
sicuramente più bisognose.
«A questo
occorre aggiungere che, per queste famiglie benestanti, la situazione economica
e residenziale consentirebbe al congiunto la permanenza presso il proprio
domicilio con innegabili vantaggi rispetto al benessere psicofisico e alla
qualità della vita in generale.
«Questa
situazione è possibile riscontrarla, ad esempio, presso la RSA per disabili di
Corso Svizzera 140 che ospita, da circa un anno, una ragazza, P.G., la cui
famiglia possiede agenzie immobiliari, aziende e immobili. Non solo i familiari
non corrispondono, quindi, quanto sarebbe giusto ma delegano in toto agli
Enti, al Servizio e agli operatori la gestione della figlia, anche per quanto
concerne la dimensione affettiva. P.G. ha 18 anni, e proviene da un altro
Servizio cittadino. Nei diciotto anni, la ragazza non è mai andata una sola
volta a casa, neppure per poche ore,
nonostante sia stato richiesto più volte ai familiari, per il bene della
figlia, di impegnarsi per il recupero e il mantenimento dei legami affettivi.
«Voi ritenete
che non sia possibile nessuna azione, sia in senso economico che a livello di
responsabilità?
«Ringrazio
per l’attenzione, e, in attesa di un Vs. gradito riscontro, porgo i miei più
cordiali saluti».
Rispondiamo alla Sua lettera concernente i contributi
economici da parte di parenti di assistiti maggiorenni.
Mentre La ringraziamo per le Sue gentili espressioni
nei confronti della nostra attività di volontariato dei diritti, desideriamo
avanzare alcune precisazioni in merito ai contributi economici.
Come abbiamo scritto più volte su Controcittà e su
Prospettive assistenziali, l’art. 438 del Codice civile stabilisce quanto segue:
«Gli alimenti possono essere chiesti SOLO da chi versa in istato di bisogno e
non è in grado di provvedere al proprio mantenimento». Inoltre l’art. 441
stabilisce che «Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla
distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede
l’autorità giudiziaria secondo le circostanze».
Dunque gli enti locali che richiedono i contributi ai
parenti di assistiti maggiorenni compiono due illegalità: si sostituiscono
all’interessato senza averne il diritto e decidono l’importo nonostante che
tale decisione debba essere presa di comune accordo fra le parti interessate o,
se l’accordo non c’è, dal giudice.
Il legislatore, a nostro avviso giustamente, ha
ritenuto che i problemi interni della famiglia debbono essere risolti dagli
stessi congiunti.
Altra questione è il diritto all’assistenza, che in
base al 1° comma dell’art. 38 della Costituzione, deve essere fornita
esclusivamente a coloro che sono inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari
per vivere. Tale diritto, sancito dalla Costituzione, è rivolto al singolo
cittadino indipendentemente dai comportamenti dei congiunti.
Com’è noto, la stragrande maggioranza delle spese
assistenziali è rivolta a persone che non
ne hanno alcun bisogno: ricordiamo in particolare i 30.000 miliardi erogati per
l’integrazione al minimo delle pensioni. Al riguardo si veda l’articolo “Per la
creazione di un nuovo settore: la sicurezza sociale” apparso sul n. 121 di
Prospettive assistenziali.
C’è anche il problema etico-sociale ed economico delle
istituzioni che agevolano le famiglie e persone benestanti, offrendo, ad
esempio, a prezzi politici, servizi anche molto costosi come, ad esempio, gli
asili nido (costo per l’ente pubblico di 2 milioni al mese per bambino), attività
di tempo libero (ad esempio soggiorni per anziani), mentre le stesse
istituzioni sono molto fiscali con gli assistiti ed i loro congiunti. Quindi non crediamo che vi siano
problemi economici insormontabili se si fornisse l’assistenza solo ai
bisognosi.
Circa la inopportunità di interventi esterni alla
famiglia, ricordiamo il caso di una ASL del Piemonte che ha chiesto ai figli di
contribuire economicamente per il ricovero del padre, il quale li aveva
lasciati, quando erano minorenni, totalmente privi di qualsiasi sostegno
materiale e morale, al punto che i quattro figli erano stati dichiarati in
stato di adottabilità. Solo uno di essi era stato adottato e quindi, raggiunta
la maggiore età, la dichiarazione di adottabilità era caduta nel nulla per gli
altri tre, i quali avevano quindi ristabilito, sul piano giuridico, i rapporti
con il proprio padre.
Vi sono però situazioni in cui è possibile
intervenire. Se il soggetto in situazione di bisogno viene dichiarato
interdetto, il tutore può assumere tutte le iniziative per richiedere gli
alimenti ai congiunti nei casi previsti dalla legge.
Infine, credo che anche Lei converrà sull’opportunità
che gli affetti (e tutto ciò che ne consegue) non siano mai imposti da norme di
legge.
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