Prospettive assistenziali, n. 131,
luglio-settembre 2000
Residenze
per anziani non autosufficienti: la tutela della salute E
DELLA SICUREZZA COMPETE AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Pierantonio visentin (*)
Premessa
Circa un anno fa il Ministero della
sanità ha approvato il nuovo elenco delle malattie che danno diritto
all’esenzione dal pagamento del ticket per alcune prestazioni sanitarie. In
questo elenco è stata inserita anche la condizione di non autosufficiente.
Quella che parrebbe essere una conquista importante, basata sul riconoscimento
della cronicità, contrasta con la realtà dei fatti, che vede spesso gli anziani
non autosufficienti penalizzati nell’accesso alle cure, sia al domicilio come
in ospedale o in casa di riposo.
Spesso le cure sono surrogate da
interventi di assistenza sociale, specie nei servizi extraospedalieri. Questa
incongruenza ha origini complesse, ma il rimedio esiste già nelle leggi dello
Stato. È sufficiente rispondere a due semplici domande per capire la natura del
problema e le possibili soluzioni. In primo luogo, per quali ragioni l’anziano
malato cronico deve essere assistito dal Servizio sanitario nazionale in quanto
malato? In secondo luogo, perchè deve essere tutelato proprio dal Servizio
sanitario nazionale in quanto cronico? (1).
La tutela
della condizione di malato
Nella maggior parte dei casi non vi è
alcuna differenza tra curare un malato anziano in ospedale e in casa di riposo.
Le manovre devono essere eseguite con le stesse norme della buona pratica,
adottando le medesime precauzioni per evitare inconvenienti al malato, ai
visitatori, agli operatori. Eppure, ci siamo mai domandati come sia possibile
che in casa di riposo alcune terapie, medicazioni o manovre assistenziali
vengano eseguite da operatori che non sono infermieri, talvolta anche in
assenza di infermieri? Oppure perchè la padella per le urine non sia lavata con
un lavapadelle? E per quali motivi i sacchi dei rifiuti organici siano tenuti
in luoghi non idonei? O ancora perchè
non siano segnalati i luoghi pericolosi e non vengano date informazioni sui
pericoli? Se ce lo siamo chiesto, credo non sia sfuggito a nessuno che
l’anziano in casa di riposo non è molto tutelato. E poichè molte perplessità
non sono solo legate a fenomeni di abusivismo, ma riguardano anche le persone
ricoverate in ospedale, l’argomento diventa un problema di tutela di tutti i
malati che si trovano in strutture.
Purtroppo la normativa al riguardo è
generica, frammentaria, e la sua applicazione poco controllata. Basti pensare
al cattivo funzionamento delle Commissioni di vigilanza, delle Commissioni per
le infezioni ospedaliere, o alla scarsa applicazione delle “precauzioni
universali” (l’insieme delle norme atte a prevenire l’esposizione della cute al
contatto accidentale con il sangue o altri liquidi biologici).
Credo però che sia sfuggito a molti
utenti che esiste un solido impianto normativo che, tutelando molto bene il
lavoratore dai rischi professionali, ingloba automaticamente nella tutela anche
l’utente che si trova in quel luogo di lavoro: si tratta del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (con le successive modifiche e
integrazioni).
Il “626” è come un grosso ombrello che,
se viene aperto per proteggere i lavoratori dai rischi che si incontrano nelle
strutture sanitarie, protegge automaticamente anche i ricoverati. È uno
strumento che impone una valutazione dei rischi, una programmazione della
prevenzione e coinvolge diversi organismi con funzioni di controllo,
sanzionando le inadempienze.
Forse proprio la forte pressione
sanzionatoria da un lato lo rafforza e dall’altro lo indebolisce, riducendo i
margini di discussione su una materia che, per sua natura, non può essere
oggetto di contrattazione. Lontano dall’essere uno strumento ben applicato,
bisogna riconoscere che il “626” ha tutte le caratteristiche per migliorare la
sicurezza in un Paese che si è sempre distinto per l’elevato numero di
infortuni sul lavoro.
Vediamo ora quale contributo può dare il
“626” alla tutela sanitaria dell’anziano malato, riprendendo come esempi alcuni
eventi riscontrabili nelle case di riposo e, talvolta, anche negli ospedali.
Tornando al lavapadelle, parrebbe non interessare a nessuno che un
paziente possa contrarre un’infezione se viene a contatto con una padella (mi
riferisco alla padella che raccoglie urine e feci, e che potrebbe essere usata
da un secondo paziente dopo essere stata mal disinfettata tra un impiego e
l’altro).
Il deterrente nei confronti della pratica
scorretta è rappresentato dall’azione di rivalsa che potrebbe intraprendere il
paziente che ne avesse ricevuto un danno.
Invece, a tutela del lavoratore che si
trova a manipolare una padella male disinfettata, esistono delle norme che
impongono una valutazione dei rischi e l’adozione di norme atte ad eliminare o
ridurre i rischi. Se ciò non viene fatto, possono essere applicate delle
sanzioni, non perché si sia verificato un danno per il lavoratore, ma anche
solo perché non è stata fatta una corretta valutazione del rischio e non è
stato adottato il rimedio.
Chi dovrebbe fare la valutazione del
rischio biologico e acquistare il lavapadelle? Forse il servizio sociale? E a
chi compete la formazione sull’uso di un presidio medicale? Ancora ai servizi
di assistenza sociale? È evidente che se questi compiti non vengono assolti da un’azienda
sanitaria vengono disattese le più elementari norme di sicurezza. Questo è un
motivo in più per attribuire alla competenza sanitaria le case di riposo per
non autosufficienti.
Consideriamo altri esempi, per
approfondire il problema del rischio da agenti biologici. Gli anziani
istituzionalizzati sono malati molto fragili che possono facilmente contrarre
delle infezioni. Nelle residenze sanitarie assistenziali sono frequenti le
infezioni delle vie urinarie (spesso legate a manovre di cateterismo), le
infezioni respiratorie e quelle della cute. La demenza, associata ad
incontinenza fecale, rende problematica l’igiene della persona e favorisce le
infezioni a trasmissione orofecale.
L’uso frequente di antibiotici seleziona
germi resistenti agli antibiotici stessi, favorendo la comparsa delle stesse
temibili infezioni nosocomiali che colpiscono gli ospedali. I germi isolati con
esami colturali (quando disponibili, perchè l’anziano spesso non è in grado di
collaborare e di fornire materiale idoneo per un esame colturale) sono gli
stessi che vengono selezionati in ambiente ospedaliero e che recentemente sono
stati oggetto di allarme e di segnalazione in tutto il mondo da parte degli
organi di informazione. Talvolta il reperimento di questi germi resistenti rende
necessaria l’adozione di protocolli di isolamento da contatto.
Considerando che, data la tipologia degli
ospiti, questa situazione epidemiologica è comune a tutte le case di riposo che
ospitano soggetti non autosufficienti ed è ben descritta dalla letteratura
scientifica, dovrebbero sorgere spontanei alcuni interrogativi. È lecito che i
servizi socio-assistenziali si facciano carico di garantire i requisiti
strutturali delle residenze sanitarie assistenziali? A chi spetta, in queste
situazioni, assicurare le cure? Chi applica i protocolli di isolamento da
contatto? Con quali competenze e quali interventi viene garantita la tutela
della salute di tutti (anche dei visitatori, visto che, diversamente
dall’ospedale, è concesso libero ingresso in tutti i locali anche ai bambini,
quando sarebbe consigliabile fare informazione e destinare più spazi comuni
alle attività di socializzazione)? È assicurata la formazione e la tutela
sanitaria degli operatori? Sono garantiti i controlli e la manutenzione delle
attrezzature e delle apparecchiature medicali? I materiali contaminati sono
adeguatamente trattati? Se si verifica un focolaio epidemico vengono avviati
gli interventi necessari, talvolta in regime di urgenza?
Evidentemente, nessuna di queste azioni
può competere all’assistenza sociale, perchè solo un’azienda sanitaria può
farsene carico. Purtroppo, bisogna constatare che di fronte a situazioni che
richiederebbero attenzione, le funzioni di controllo, affidate agli organi di
vigilanza delle aziende sanitarie, non sono assolte in modo soddisfacente. Il
motivo di questa carenza è che il controllo, se esiste, è demandato alla stessa
amministrazione che eroga (o che dovrebbe erogare) le prestazioni. Invece, la
normativa prevista per la tutela dei lavoratori prevede una valutazione dei
rischi e una programmazione delle misure di prevenzione con la partecipazione
dei lavoratori stessi, a differenza di quanto accade per l’utente, cui non è
concesso di partecipare alla gestione della propria sicurezza.
In presenza di rischio biologico la competenza di una struttura va
assegnata al Servizio sanitario nazionale. Se è incontrovertibile, per i motivi
sopra esposti, che la responsabilità
delle cure dei non autosufficienti non possa essere attribuita ad altri che al
Servizio sanitario nazionale, e se è noto che esistono strumenti di legge (poco
applicati in sanità) per tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di
lavoro, è sufficiente il rispetto della normativa vigente per non ledere i
diritti dei malati cronici.
La tutela
della cronicità
Secondo il decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, ai portatori di
malattie croniche e invalidanti devono essere assicurati livelli essenziali di
assistenza senza una partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie. Il decreto ministeriale 28 maggio 1999, n.
329, individua le malattie croniche e invalidanti che danno diritto
all’esenzione, identificando con un codice tutte le patologie ed elencando per
ciascun codice le prestazioni concesse (vedi tabella). Il codice di esenzione
49 è dedicato ai “soggetti affetti da
pluripatologie che abbiano determinato grave ed irreversibile compromissione di
più organi e/o apparati e riduzione dell’autonomia personale correlata all’età
risultante dall’applicazione di convalidate scale di valutazione delle capacità
funzionali”. In questi casi, non è dovuto il pagamento della quota fissa
per “le prestazioni sanitarie appropriate
per il monitoraggio delle patologie di cui sono affetti e delle loro
complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione degli ulteriori
aggravamenti”.
La disposizione va vista con interesse,
perchè riconosce un diritto non all’anziano in quanto portatore di una malattia
classificata come grave o invalidante, ma perchè coesistono più condizioni
patologiche che, a prescindere dalla gravità di ognuna di esse, determinano un
danno grave con riduzione dell’autonomia.
Un altro aspetto rilevante è che la legge
non indica quali siano le prestazioni concesse, ma riprende la stessa dicitura
prevista per le malattie tumorali (“le
prestazioni sanitarie appropriate...”, vedi sopra), che è una dicitura che
contempla anche la concedibilità di provvedimenti a carattere conservativo.
Questo decreto legislativo considera l’anziano non autosufficiente come persona
da proteggere alla pari del malato di tumore.
La norma sull’esenzione acquista un particolare significato se viene
riferita al contesto di cura proprio del malato cronico. Appare allora evidente
che per questi pazienti molte delle prestazioni “appropriate” devono
necessariamente essere erogate con il vincolo della continuità.
Viene alla mente anche la normativa sulla
concessione dell’indennità di accompagnamento (legge 11 febbraio 1980, n.18),
che viene erogata quando, oltre alla presenza di un’inabilità lavorativa
tabellare del 100%, è presente anche il seguente requisito: “necessità di assistenza continua, non
essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”. Quindi, il
cardine per il riconoscimento di benefici economici ai malati cronici parrebbe
proprio essere la cronicità in quanto tale, cioè in quanto condizione che rende
continuamente necessarie delle prestazioni assistenziali.
Il vincolo della continuità delle cure è stato richiamato anche in una
sentenza della Corte suprema di Cassazione (n. 10150/96), che ha stabilito che
il pagamento di una retta relativa al ricovero di un invalido civile insolvente
(malato psichiatrico) che aveva soggiornato in una casa di riposo privata, non
era di competenza della Provincia di Roma, ma bensì della USL.
È interessante soffermarsi sui motivi
della sentenza, più che sulla sua generalizzabilità, sulla quale si potrebbe
eccepire perchè in Italia tali sentenze non hanno valore vincolante per i
tribunali di merito.
Nel caso in oggetto, la Cassazione ha
ritenuto necessario accertare se all’invalido civile fossero state erogate solo
prestazioni socio-assistenziali (sorveglianza o assistenza non sanitaria), o
anche prestazioni sanitarie. Solo nel secondo caso si sarebbe potuto parlare di
prestazioni di rilievo sanitario di competenza del Servizio sanitario
nazionale.
Pertanto il dubbio sulla qualificazione
del ricovero ha richiesto un esame delle prestazioni effettuate. Poichè nella
fattispecie si trattava di “somministrazione
continua di farmaci diretti a controllare le crisi di aggressività”, la
Cassazione ha deciso che nessun dubbio poteva sorgere sulla qualificazione del
ricovero, trattandosi di attività socio-assistenziali di rilievo sanitario e di
competenza dell’USL, con relativi oneri non a carico della Provincia ma bensì
del Servizio sanitario nazionale.
I soggetti che intendessero rivalersi per
il riconoscimento di un diritto negato, dovrebbero quindi prestare molta
attenzione a documentare le prestazioni sanitarie effettivamente ricevute in
regime di continuità. Merita però ricordare che in caso di successo
dell’azione, il riconoscimento della totale gratuità delle cure solleverebbe
l’amministrazione pubblica dall’erogazione dell’indennità di accompagnamento,
che è previsto venga sospesa per ogni periodo in cui l’invalido civile sia
ricoverato a titolo gratuito in una qualsivoglia struttura (art. 1 della legge
11 febbraio 1980, n. 18).
Tutti gli anziani che fruiscono di
pensione si avvantaggerebbero di una gratuità delle rette, salvo dover
restituire le indennità di accompagnamento già incamerate. Invece, per la
pubblica amministrazione è più conveniente mantenere l’attuale situazione,
agevolata anche dalla complessità e dalla lunghezza dei ricorsi, che spesso si
protraggono per un tempo superiore alla sopravvivenza degli anziani in casa di
riposo.
Conclusioni
È noto (e talvolta colpevolmente tollerato)
il fenomeno dell’abusivismo che colpisce i malati cronici ricoverati in
residenze per anziani. Inoltre, esistono case di riposo che, pur ospitando
anziani non autosufficienti, sono gestite dai servizi comunali di assistenza
sociale, mentre la normativa vigente affida le residenze sanitarie
assistenziali alle aziende sanitarie.
È all’esame del
Parlamento una legge per il riordino dell’assistenza, che proporrà forme di
integrazione fra l’assistenza sociale e quella sanitaria. Dalle modalità di
applicazione della nuova normativa dipenderà una predominanza degli aspetti
positivi della legge (estensione della protezione sanitaria) oppure di quelli
negativi (sopravvento dell’assistenza sociale come surrogato di quella
sanitaria).
Le politiche sanitarie e assistenziali
dovrebbero facilitare la composizione dei conflitti piuttosto che la loro
replicazione. Ma dovrebbero soprattutto proteggere efficacemente i soggetti più
deboli e più esposti ai rischi, armonizzando le conoscenze scientifiche
disponibili con le norme (esistenti!) che tutelano il diritto alla salute e
alla sicurezza.
Pertanto l’offerta e
l’organizzazione dei servizi per gli anziani malati cronici non può prescindere
da queste tre considerazioni:
- la documentata
necessità di continue prestazioni sanitarie per l’anziano non autosufficiente
determina l’attribuzione della competenza di questo malato cronico al Servizio
sanitario nazionale;
- nelle strutture
per anziani non autosufficienti l’attribuzione delle competenze al Servizio
sanitario nazionale è imposta anche dalla necessità di controllare il rischio
biologico;
- l’elusione
degli obblighi di tutela sanitaria da
parte del Servizio sanitario nazionale comporta, automaticamente, una
violazione della normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, con
esposizione degli utenti, dei lavoratori
e della collettività a rischi altrimenti controllabili, ma con la
possibilità, per le amministrazioni, per gli utenti e per i lavoratori, di
ricorrere agli strumenti previsti (e sottoutilizzati) per l’esercizio delle
funzioni di controllo.
Tabella. - Elenco delle malattie o condizioni che
danno diritto all’esenzione dal pagamento del ticket per alcune prestazioni:
- ‑Acromegalia e
gigantismo
- ‑Affezioni del
sistema circolatorio (malattie della valvola mitrale, aortica, mitro-aortiche,
altre strutture endocardiche, altre cardiopatie ischemiche croniche, malattia
cardiopolmonare cronica, altre malattie del circolo polmonare, altre malattie
dell’endocardio, disturbi della conduzione, aritmie, disturbi funzionali dopo
cardiochirurgia, occlusione e stenosi arterie precerebrali, occlusione arterie
cerebrali, altre malattie cerebrovascolari, aterosclerosi, aneurisma toracico,
aneurisma addominale, aneurisma toracoaddominale, aneurisma aortico, altri
aneurismi, embolia e trombosi arteriose, fistola arterovenosa acquisita,
stenosi di arteria, arterite, trombosi della vena porta, embolia e trombosi di
altre vene, sindrome post-flebitica, insufficienza vascolare cronica
dell’intestino, malformazioni del bulbo cardiaco e dei setti intracardiaci,
altre malformazioni del cuore, altre malformazioni del sistema circolatorio,
organo o tessuto sostituito da trapianto valvolare cardiaco, valvola cardiaca
sostituita con altri mezzi, vaso sanguigno sostituito con altri mezzi,
stimolatore cardiaco in situ)
- ‑Anemia emolitica
acquisita da autoimmunizzazione
- ‑Anemie emolitiche
ereditarie
- ‑Anoressia nervosa,
bulimia
- ‑Artrite reumatoide
- ‑Asma
- ‑Cirrosi epatica e
biliare
- ‑Colite ulcerosa e
malattia di Crohn
- ‑Connettivite mista
- ‑Demenze (demenza
senile non complicata, demenza presenile, demenza senile con aspetti deliranti
o depressivi, demenza arteriosclerotica, sindrome amnesica da alcool, sindrome
amnesica non alcoolica)
- ‑Diabete insipido
- ‑‑Diabete
mellito
- ‑Dipendenza da
sostanze stupefacenti, psicotrope e da alcool.
- ‑Disturbi
interessanti il sistema immunitario: immunodeficienze congenite e acquisite
determinanti gravi difetti delle difese immunitarie con infezioni recidivanti
(escluso: infezione da HIV)
- ‑Epatite cronica
(attiva)
- ‑Epilessia
- ‑Fibrosi cistica
- ‑Glaucoma
- ‑Infezioni da HIV
- ‑Insufficienza
cardiaca (NYHA classe III e IV)
-‑ ‑Insufficienza
corticosurrenale cronica (morbo di Addison)
- ‑Insufficienza
renale cronica
- ‑Insufficienza
respiratoria cronica
- ‑Ipercolesterolemia
familiare omozigote e eterozigote tipo IIa e IIb
- ‑Ipercolesterolemia
primitiva poligenica
- ‑Ipercolesterolemia
familiare combinata
- ‑Iperlipoproteinemia
tipo III
- ‑Iperparatiroidismo,
ipoparatiroidismo
- ‑Ipotiroidismo
congenito, ipotiroidismo acquisito (grave)
- ‑Lupus eritematoso
sistemico
- ‑Malattia di
Alzheimer
- ‑Malattia di
Sjogren
- ‑Malattia
ipertensiva (II e III stadio OMS): ipertensione essenziale, cardiopatia
ipertensiva, nefropatia ipertensiva, cardionefropatia ipertensiva, ipertensione
secondaria
- ‑Malattia o
sindrome di Cushing
- ‑Malattie da
difetti della coagulazione
- ‑Miastenia grave
- ‑Morbo di Basedow,
altre forme di ipertiroidismo
- ‑Morbo di Buerger
- ‑Morbo di Paget
- ‑Morbo di Parkinson
e altre malattie extrapiramidali
- ‑Nanismo ipofisario
- ‑Neonati prematuri,
immaturi, a termine con ricovero in terapia intensiva neonatale
- ‑Neuromielite
ottica
- ‑Pancreatite
cronica
- ‑Poliarterite
nodosa
- ‑Psicosi
(schizofrenia semplice, ebefrenica, catatonica, paranoide, latente, residuale,
schizoaffettiva, di altro tipo; disordine maniacale a episodio singolo,
ricorrente; depressione maggiore a episodio singolo, ricorrente; disordine
bipolare maniacale, depressivo, misto, non specificato; altre psicosi
maniaco-depressive; stato paranoide semplice, paranoia, parafrenia, disordine
paranoico condiviso, altri stati paranoidi; psicosi depressiva; psicosi tipo
agitato; confusione reattiva; psicosi paranoide psicogena; altre psicosi
reattive; autismo infantile; psicosi disintegrata; altre psicosi della prima
infanzia)
- ‑Psoriasi
(artropatica, pustolosa grave, eritrodermica)
- ‑Sclerosi multipla
- ‑Sclerosi sistemica
(progressiva)
- ‑Soggetti affetti
da patologie neoplastiche maligne
- ‑Soggetti affetti
da pluripatologie che abbiano determinato grave ed irreversibile compromissione
di più organi e/o apparati e riduzione dell’autonomia personale correlata
all’età risultante dall’applicazione di convalidate scale di valutazione delle
capacità funzionali
- ‑Soggetti in attesa
di trapianto (rene, cuore, polmone, fegato, pancreas, cornea, midollo)
- ‑Soggetti nati con
condizioni di gravi deficit fisici, sensoriali e neuropsichici
- ‑Soggetti sottoposti
a trapianto (rene, cuore, polmone, fegato, pancreas, midollo)
- ‑Soggetti
sottoposti a trapianto di cornea
- ‑Spondilite
anchilosante
- ‑Tubercolosi
(attiva bacillifera)
Nota: il decreto
ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, elenca, per ogni malattia o condizione, le
prestazioni esentate dalla partecipazione alla spesa.
(*) Geriatra - Azienda ospedaliera S. Giovanni Battista di Torino.
(1) Le considerazioni svolte
in questo articolo valgono anche per i malati di Alzheimer ed i soggetti
colpiti da altre forme di demenza senile.
www.fondazionepromozionesociale.it