Prospettive
assistenziali, n. 132, ottobre-dicembre 2000
Notizie
UTILIZZARE LA LEGGE
241/1990
SULLA TRASPARENZA
AMMINISTRATIVA
A. Si ricorda che, ai sensi della legge 7
agosto 1990 n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto all’accesso ai documenti amministrativi”, gli enti pubblici (Comuni,
Comunità montane, Province, Asl, ecc.) sono obbligati a comunicare ai
cittadini:
– le notizie relative ai
procedimenti che li riguardano;
– il nominativo del
funzionario responsabile del procedimento stesso;
– l’ufficio in cui è
possibile prendere visione degli atti.
Allo scopo, è
indispensabile che la persona interessata rivolga al responsabile dell’ente
pubblico (Sindaco, Presidente della Provincia, Direttore generale dell’Asl, ecc.)
istanza, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, inserendo la seguente
frase: «Ai sensi e per gli effetti della
legge 241/1990, lo scrivente chiede che gli venga fornita una risposta scritta,
di conoscere il nominativo del funzionario incarico del procedimento e di
sapere presso quale ufficio deve rivolgersi per prendere visione degli atti».
La mancata risposta da
parte del responsabile dell’ente pubblico, che deve essere fornita in genere
entro e non oltre 30 giorni dalla data in cui l’istanza è stata recapitata,
costituisce reato.
B. Si segnala, altresì, che la
legge 241/1990 stabilisce che: «Al fine
di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo
svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la
tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai
documenti amministrativi».
Ai sensi dello stesso
articolo: «È considerato documento
amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche
interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai
fini dell’attività amministrativa».
Il diritto di accesso è
previsto «nei confronti delle
amministrazioni dello Stato, ivi comprese le aziende autonome, gli enti
pubblici ed i concessionari di pubblici servizi».
Infine si ricorda che «il diritto di accesso si esercita mediante
esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi».
Mentre l’esame è gratuito,
il rilascio della copia «è subordinato
soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti
in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e visura».
Le notizie sopra riportate
sono tratte dal volume “A scuola di
diritti - Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia
sociosanitaria”, di Roberto Carapelle e Francesco Santanera, UTET Libreria,
Torino, L. 12.000, di cui consigliamo vivamente la lettura.
CRITERI PER LA LOCAZIONE
DEGLI ALLOGGI EX IPAB
Il Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, ha
inviato all’Assessore al patrimonio e all’edilizia pubblica del Comune di
Torino la seguente nota:
Questo Coordinamento fa
presente la necessità che il Comune di Torino assuma un provvedimento specifico
in merito al patrimonio immobiliare pervenuto al Comune stesso a seguito della
estinzione di Ipab e dello scioglimento di enti assistenziali.
Ad avviso di questo
Coordinamento detto provvedimento dovrebbe stabilire quanto segue:
1. tutte le volte che
ciascuno dei locali appartenenti al suddetto patrimonio si rende libero,
vie-ne fatta una tempestiva segnalazione all’Assessorato all’assistenza il
quale, entro un periodo di tempo massimo prefissato (ad esempio 10 giorni
lavorativi) può vincolarne l’utilizzo per le proprie esigenze (comunità
alloggio per minori o per handicappati o per anziani o per altri soggetti,
convivenze guidate, centri diurni per handicappati intellettivi, uffici, ecc.)
o per necessità riguardanti altri settori, in particolare comunità alloggio,
centri diurni, convivenze guidate, ecc. per pazienti psichiatrici e altri
soggetti di competenza del Servizio sanitario nazionale;
2. i locali non destinati
ad uso abitativo devono essere locati in base ai prezzi di mercato.
Analogamente si dovrà procedere per gli appartamenti di pregio, il cui elenco
verrà proposto dall’Assessorato al patrimonio, all’esame del Csa e delle altre
organizzazioni interessate;
3. qualora ne ravvisi
l’opportunità, l’Assessorato al patrimonio, sentito l’Assessorato
all’assistenza, promuoverà la vendita dei beni di cui al prece-dente punto 2,
fermo restando il vincolo, stabilito dalle leggi vigenti, di destinazione dei
beni all’assistenza;
4. per quanto riguarda gli
appartamenti da assegnare in locazione a persone singole e nuclei familiari,
verrà assunto come riferimento di base il minimo vitale che, a partire dal 1°
gennaio 2000, dovrebbe essere calcolato dal Comune di Torino nella misura di L.
800.000 mensili circa per 13 mensilità e quindi di L. 10.400.000 annue circa. A
questa cifra occorre aggiungere le altre quote (affitti, ecc.) calcolate per la
determinazione del minimo vitale;
5. per i nuclei familiari
il minimo vitale dovrebbe essere calcolato in base alla scala di equivalenza
adottata dal Comune di Torino;
6. dovrebbero essere
individuate tre fasce di reddito:
fascia A
– persone singole: reddito
fino al minimo vitale calcolato dal Comune di Torino per le persone singole;
– 2 componenti del nucleo
familiare: reddito fino al minimo vitale calcolato dal Comune di Torino per 2
persone;
– 3 componenti del nucleo
familiare: reddito fino al minimo vitale calcolato dal Comune di Torino per 3
persone;
– 4 componenti del nucleo
familiare: reddito fino al minimo vitale calcolato dal Comune di Torino per 4
persone, ecc.
fascia B
– persone singole e nuclei
familiari: reddito dal minimo vitale al doppio del suo importo.
fascia C
– persone singole e nuclei
familiari: reddito dal doppio del minimo vitale al triplo del suo importo.
7. L’assegnazione degli
alloggi dovrebbe essere disposta prioritariamente alla fascia A, privilegiando
le richieste abitative avanzate quale alternativa al ricovero in strutture a
carattere di internato, confermate da relazioni dei servizi dell’Assessorato
all’assistenza.
Al suo esaurimento si
dovrebbe passare alla fascia B e successivamente alla fascia C.
8. Dovrebbero essere
previste le stesse norme del minimo vitale per quanto concerne le esclusioni
dovute al possesso di proprietà immobiliari e di beni mobili registrati non
necessari per lo svolgimento di attività lavorative. La dichiarazione di non
aver venduto o donato immobili nei cinque anni precedenti la richiesta, ecc.)
9. La locazione dei box
dovrebbe essere fatta secondo quanto previsto al punto 2.
Se viene accettata
l’impostazione di cui ai punti precedenti, il Csa avanzerà una proposta in
merito all’ammontare degli affitti.
Questo Csa, infine,
ritiene, allo scopo di una effettiva tutela della fascia più povera della
popolazione, che i criteri di cui ai punti precedenti dovrebbero essere
adottati anche per quanto riguarda gli altri alloggi di proprietà del Comune
non vincolati all’assistenza.
QUATTROCENTOMILA MINORI
ITALIANI
OBBLIGATI A LAVORARE
Quattrocentomila ragazzi
italiani minori di 15 anni lavorano in nero, più di otto ore al giorno e con
una paga inferiore alle 200 mila lire mensili: senza regole, senza sicurezza,
senza legge. Di più: 100 mila di loro sono in una condizione di semischiavitù,
quasi sempre con la complicità delle famiglie. E 160 mila hanno abbandonato la
scuola dell’obbligo, se mai l’hanno frequentata.
È il quadro che emerge da
una ricerca della Cgil sul lavoro minorile, presentata a Roma, con l’auspicio
che si approvi al più presto la legge sul “marchio sociale”: una norma per
garantire che nessun prodotto sia stato realizzato ricorrendo allo sfruttamento.
E così, dunque, sfogliando
il volume “Lavoro e lavori minorili” edito da Ediesse, si scopre che di questa
massa di minori italiani al lavoro, il 10% (quarantamila) ha meno di 10 anni,
il 25% è ridotto quasi in schiavitù al punto che il 13% ha già subito un
infortunio sul lavoro, prontamente messo a tacere – in nove casi su dieci – da
un accomodamento economico con la famiglia.
Nel 30% dei casi è proprio
la famiglia a indurre il bambino al lavoro, spinta non dalla cattiveria ma
dall’indigenza, al Sud, ma anche – in questo caso al Nord – da una eclatante provertà culturale che fa
ritenere prefereibile la scelta del «lavoro subito» allo studio. La scuola,
infatti – rileva la Cgil – è stata abbandonata totalmente dal 42% degli
intervistati, mentre il restante 58% continua a frequentarla nei ritagli di
tempo.
(da La Stampa dell’8 novembre
2000)
L’ON. ANTONIO GUIDI E IL
RISPETTO DELLE PERSONE ANZIANE
Su TV Sorrisi e Canzoni del 18-24 giugno 2000, l’On. Antonio Guidi,
già Ministro per la famiglia del Governo Berlusconi, mentre riconosce che molti
anziani hanno una gran voglia di vivere e «purtroppo
sono soggetti all’egoismo delle famiglie e all’incuria delle politiche di
sostegno di queste culture», si rivolge agli stessi usando termini a nostro
avviso inaccettabili: “nonno”, “vecchietta”, “nonnina”.
Che direbbe l’On. Guidi se
lo chiamassero “omino” o “ometto”?
Anche
gli anziani hanno diritto al pieno rispetto della loro dignità, che è pari a
quella di tutte le persone.
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