Prospettive
assistenziali, n. 132, ottobre-dicembre 2000
Strumentalizzati dal senato i bambini senza
famiglia:
sono
prevalse le pretese degli adulti
associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie
Il Senato ha approvato il 6 dicembre 2000 il disegno
di legge «Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 recante “Disciplina
dell’adozione e dell’affidamento dei minori” nonché al titolo VIII del libro
primo del Codice civile».
Alla fine di novembre la Conferenza dei Presidenti dei
Gruppi Parlamentari del Senato aveva disposto l’assegnazione del suddetto
disegno di legge in sede redigente alla Commissione speciale per l’infanzia che
ha concluso con poche e rapidissime riunioni il riesame di tutto l’articolato,
apportando al già inaccettabile testo precedentemente approvato dalla stessa
Commissione in sede referente, modifiche in gran parte ulteriormente
peggiorative.
Numerose le prese di posizione nettamente contrarie
dal mondo dell’associazionismo (Forum delle associazioni familiari,
Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, Associazione amici dei
bambini, ecc.) sia sui contenuti e sia sulla procedura velocissima adottata che
ha portato il testo in Aula per l’approvazione finale nel giro di una decina di
giorni.
L’accelerazione, determinata da motivi elettorali, è
stata favorita anche dalla presentazione nel giugno scorso del preoccupante
disegno di legge del Governo in materia (1) e dalla campagna pubblicitaria
dallo slogan: «Per dare a ogni bambino una famiglia - Adozioni più semplici» lanciata
in tutta Italia all’inizio di novembre dall’on. Berlusconi.
In questo articolo intendiamo illustrare le modifiche
più significative apportate dalla Commissione speciale in materia di infanzia
in sede redigente e integrare le considerazioni in merito al testo approvato
esposte nell’articolo “La Controriforma dell’adozione proposta dalla
Commissione infanzia del Senato” (2).
L’art. 1 giustamente riafferma, al primo comma, il
principio che «il minore ha diritto di
crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia» precisando
ai commi successivi quanto segue:
«2. Quando la
famiglia non è in grado di provvedere convenientemente alla crescita e
all’educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente
legge.
«3. Le
condizioni di povertà dei genitori o del genitore esercenti la potestà
genitoriale non possono essere d’ostacolo all’esercizio del diritto di cui al
comma 1. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di
sostegno e aiuto.
«4. L’ente
locale, nell’ambito delle proprie competenze e nel limite delle proprie
risorse, interviene con misure specifiche atte a rimuovere le cause economiche,
personali e sociali che impediscono alla famiglia di svolgere i propri
compiti».
Va però sottolineato che quest’ultima disposizione non
ha rilevanza sul piano operativo in quanto non prevede alcuno strumento per
rendere esigibile da parte delle famiglie il diritto ad usufruire degli
interventi di cui necessita per superare le proprie difficoltà.
Tale diritto non è previsto neppure dalla legge n.
328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi
e servizi sociali” (vedi l’editoriale di questo numero). Significativo è, al
riguardo, l’inciso «nell’ambito delle
proprie risorse», introdotto anche su richiesta della Commissione Bilancio,
al comma 4, a ulteriore conferma che purtroppo queste disposizioni non hanno
alcun valore prescrittivo.
Gli articoli riguardanti l’affidamento, rispetto al
testo della legge n. 184/1983, hanno subito alcune sostanziali modifiche: ne
segnaliamo le più significative.
Il comma 4 dell’art. 4 prevede che l’affidamento
familiare consensuale a scopo educativo, disposto dal servizio sociale locale
in accordo con la famiglia d’origine o col tutore, non possa «superare la durata di ventiquattro mesi»,
trascorsi i quali è prorogabile solo dal Tribunale per i minorenni «qualora la sospensione dell’affidamento
rechi pregiudizio al minore».
Riteniamo preoccupante e negativo, in base anche alle
esperienze realizzate, l’intervento del Tribunale, dopo solo due anni, con la
conseguente trasformazione dell’affidamento da consensuale in giudiziario.
Vi è il rischio reale che in tal modo l’affidamento si
caratterizzi sempre più come un intervento “punitivo” nei confronti della
famiglia d’origine e non come prestazione di aiuto al bambino e alla sua
famiglia.
Sarebbe stato invece auspicabile prevedere, nei casi
di proroga, la semplice segnalazione al Tribunale per i minorenni degli
affidamenti, il che avrebbe giustamente consentito un “monitoraggio” della
situazione da parte dell’autorità giudiziaria, anche allo scopo di scongiurare
la possibilità di precostituzione di situazioni dirette ad “aggirare” la
normativa sull’adozione.
Nessun limite di permanenza è stato, invece, previsto
per quanto riguarda il ricovero dei minori in istituto o in comunità di tipo
familiare.
Inoltre l’art. 5 prevede che il servizio sociale solo «se richiesto dagli interessati o disposto
dal giudice» svolga «opera di
sostegno educativo e psicologico», agevoli «i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa
del minore, curando che esso avvenga nel modo più opportuno».
Le esperienze realizzate e tutta la letteratura esistente
confermano invece il ruolo essenziale che hanno i servizi sociali sul buon
esito degli affidamenti (informazione alla famiglia d’origine e al minore,
reperimento, preparazione e valutazione degli affidatari, elaborazione del
progetto specifico, sostegno degli affidatari, della famiglia d’origine e
dell’affidato fino alla conclusione dell’intervento).
L’art. 9 attribuisce al giudice tutelare il compito di
vigilare e fare ispezioni ordinarie ogni sei mesi e straordinarie «in ogni tempo» negli istituti di
assistenza pubblici o privati e nelle comunità di tipo familiare.
Purtroppo, per ammissione degli stessi giudici
tutelari, sappiamo che queste importanti funzioni non vengono quasi mai svolte
e che spesso non viene effettuato il controllo sugli elenchi dei minori
ricoverati loro inviati.
Era stato per questi motivi da più parti (Anfaa
compresa) richiesto al Senato che copia degli elenchi suddetti fosse inviata
anche ai Tribunali per i minorenni.
Invece i Senatori della Commissione speciale in
materia di infanzia hanno deciso di attribuire ai giudici tutelari una
ulteriore importantissima competenza: quella di valutare le segnalazioni dei
minori in presunto stato di adottabilità per poi riferire, dopo aver disposto «i necessari accertamenti» tramite i
servizi sociali locali e gli organi di pubblica sicurezza, al Tribunale per i
minorenni «per il definitivo accertamento
dell’eventuale stato di abbandono del minore». Questo ulteriore
appesantimento della procedura, nella delicatissima fase della segnalazione, se
mai dovesse diventare legge, comporterà nella migliore delle ipotesi gravi ritardi
e una dilatazione ulteriore dei tempi per l’assunzione dei provvedimenti
conseguenti da parte del Tribunale a tutela dei bambini.
Va anche precisato che nel testo varato dal Senato è
carente la tutela giuridica del minore nel procedimento di adottabilità:
infatti mentre è prevista all’art. 10, giustamente, la nomina di un difensore
per la famiglia di origine del minore fin dal momento dell’apertura del
procedimento stesso, è solo stabilito che il tribunale possa (non debba)
disporre la sospensione della potestà dei genitori sul minore e la nomina di un
tutore provvisorio.
In merito ai requisiti degli adottanti, si è molto
dibattuto in Commissione. Il preoccupante risultato è stato l’introduzione di
ulteriori deroghe sulla loro età. Infatti l’art. 6 è così stato riformulato:
«1.
L’articolo 6 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:
«Art. 6 - 1.
L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni o che
prima del matrimonio abbiano stabilmente convissuto per un eguale periodo. Tra
i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre
anni separazione personale neppure di fatto.
«2. I coniugi
devono essere ritenuti affettivamente idonei e capaci di educare, istruire ed
adeguatamente mantenere i minori che intendano adottare.
«3. L’età
degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque
anni l’età dell’adottando.
«4. I limiti
di cui al comma 3 possono essere derogati previa valutazione, caso per caso, da
parte del Tribunale per i minorenni della idoneità affettiva e della capacità
di educare, istruire, mantenere i minori, di coloro che intendono adottare
qualora dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile
per il minore.
«5. Non è
preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia
superato da uno solo di essi, ovvero quando essi siano genitori di figli
naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando
l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi
adottato.
«6. Ai
medesimi coniugi sono consentite più adozioni anche con atti successivi e
costituisce criterio preferenziale ai fini dell’adozione l’aver già adottato un
fratello dell’adottando o il far richiesta di adottare più fratelli, ovvero la disponibilità
dichiarata all’adozione di minori che si trovino nelle condizioni indicate
dall’art. 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992».
La possibilità di adottare da parte di coniugi che si
sono sposati dopo aver convissuto almeno tre anni è stata al centro di un
dibattito che ha visto contrapposti quanti considerano (e condannano) questa
disposizione come accettazione, seppure indiretta, della convivenza e quelli
che ne ritengono necessario invece il riconoscimento giuridico (e prendono
quindi le distanze dal matrimonio “riparatore” e propedeutico all’adozione).
Noi vogliamo rimarcare che questa disposizione servirà
solo ad aumentare inutilmente il numero degli aspiranti genitori adottivi,
ulteriormente dilatato dalla previsione contenuta nel 5° comma che consentirà
anche ad un sessantenne (se ha sposato una quarantacinquenne) di aspirare
all’adozione di un neonato!
Ricordiamo, ancora una volta, che è contrario
all’interesse dei bambini adottabili elevare la differenza massima di età fra
adottanti e adottati a 45 anni, differenza che può ulteriormente aumentare a
discrezione del Tribunale per i minorenni, quando già adesso ci sono moltissime
domande rispetto al numero dei minori adottabili.
Nel 1999 i bambini dichiarati adottabili sono stati
1.246 a fronte di 23.807 domande giacenti; 2.186 sono stati i provvedimenti di
adozione di bambini stranieri a fronte di 17.663 domande!!!
Se dovesse essere approvata l’elevazione della
differenza massima di età non sarà adottato un solo bambino in più rispetto
agli attuali, ma:
– crescerà il numero delle domande e quindi il numero
delle coppie illuse ed escluse (incrementando, peraltro inutilmente, il carico
di lavoro dei servizi e dei tribunali);
– sarà più difficile l’adozione dei bambini
grandicelli, perché gli ultraquarantacinquenni premeranno per avere un bambino
piccolo.
A parità di requisiti affettivo-educativi non si
capisce perché i bambini adottabili dovrebbero avere dei genitori-nonni invece
di genitori giovani, in grado di seguirli fino al loro inserimento autonomo
nella società.
Fortunatamente, rispetto al testo precedente, è stata
soppressa all’art. 24 la possibilità di adozione nei casi particolari da parte
degli affidatari, scaduti i due anni di affidamento. Sono state però introdotte
alcune modifiche e pertanto le riportiamo integralmente:
«1.
L’articolo 44 della legge n. 184 è sostituito dal seguente:
«Art. 44 - I
minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui
al comma 1 dell’articolo 7:
a) da persone
unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente
rapporto stabile e duraturo, quando questi è orfano di padre e di madre, o
anche quando sia figlio di genitori in gravi e irreversibili condizioni di
salute;
b) dal
coniuge nel caso in cui il minore sia figlio adottivo dell’altro coniuge;
c) quando il
minore si trovi nelle condizioni indicate dall’art. 3 comma 1 della legge 5
febbraio 1992, n. 104, e sia organo di padre e di madre;
d) quando il
minore si trovi nelle condizioni indicate dall’art. 3 comma 1 della legge 5
febbraio 1992, n. 104, ed entrambi i genitori prestino il proprio assenso,
ovvero quando essendo orfano di uno solo dei genitori l’altro presti il proprio
assenso;
e) quando vi
sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
«2.
L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di
figli legittimi.
«3. Nei casi
in cui alle lettere a), c), d) ed e) del comma 1, l’adozione è consentita,
oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona
coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a
seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.
«Nei casi di
cui alle lettere a) ed e) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di
almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare».
Rispetto a quanto previsto al punto c), si osserva che se un minore
portatore di handicap (3) è orfano dovrebbe essere dichiarato adottabile, come
tutti gli altri minori in questa situazione, solo se non ha parenti che si occupano
di lui – e che, se credono, possono adottarlo in base al punto a) –; in questo caso, se non è possibile
l’adozione legittimante, si dovrebbe giustamente prendere in considerazione
anche per questi minori l’adozione “nei casi particolari” prevista al punto e) del suddetto articolo.
Preoccupante è la formulazione del punto d) che introduce nel nostro ordinamento
il principio dell’assenso dei genitori biologici all’adozione indipendentemente
dalla sussistenza dello stato di adottabilità.
Questo punto è stato introdotto probabilmente con
l’intenzione di ampliare le possibilità di adozione per i bambini che più
difficilmente trovano una famiglia e, in questo senso, potrebbe essere
considerato positivo.
Due però sono le preoccupazioni: la prima è che la definizione
del comma 1 della legge 104/1992 è molto generica (quale bambino deprivato non
ha problemi di apprendimento?) e quindi potrebbe essere invocata questa deroga
anche per bambini che non presentano gravi handicap (4).
La seconda è che il Senato, ignorando anche in questo
caso le precise richieste in merito avanzate da più parti, non ha previsto
nessun sostegno socio-economico specifico per quanti accolgono bambini
handicappati o malati: infatti si è limitato a riconfermare all’art. 46 quanto
previsto già dall’art. 80 della legge 184/1983 che non vincola in nessun modo
le Regioni, come abbiamo purtroppo potuto constatare in questi anni. Pertanto,
visto anche che la legge n. 328/2000 già citata non prevede alcun diritto
esigibile, continuerà ad essere facoltativo per i servizi locali, ad esempio,
versare i rimborsi delle spese sostenute dagli affidatari.
Per quanto riguarda poi i congedi parentali il Senato
ha perso una buona occasione per rimediare ai grossi limiti contenuti nella
legislazione vigente (v. al riguardo l’articolo “Congedi parentali e astensione dal lavoro di genitori adottivi e affidatari”
pubblicato nel notiziario Anfaa di questo numero).
Concludendo, non ci resta che augurare, nell’interesse
dei bambini, che la Camera dei Deputati non approvi il testo varato dal Senato,
in considerazione anche del fatto che, purtroppo, è anche previsto l’accesso
all’identità dei procreatori da parte dei figli adottivi.
(1) Cfr. l’articolo “Le
domande di adozione sono già troppo numerose. I Ministri Fassino e Turco:
aumentiamole”, Prospettive assistenziali,
n. 130, aprile-giugno 2000.
(2) Riportiamo solo gli
articoli modificati. Per gli altri si fa riferimento al testo pubblicato sul n.
131 di Prospettive assistenziali.
(3) Il comma 1 dell’art. 3
della legge 104/92 precisa: «È persona
handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale,
stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di
relazione o di integrazione lavorativa è tale da determinare un processo di
svantaggio sociale o di emarginazione».
(4)
Cfr. il paragrafo “La precostituzione
truffaldina di condizioni favorevoli per la propria adozione” dell’articolo
“La controriforma dell’adozione proposta
dalla Commissione infanzia del Senato” (vedere la nota 2).
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