Prospettive assistenziali, n. 133, gennaio-marzo 2001

 

Libri

 

 

PAOLO CORNAGLIA FERRARIS, Camici e pigiami - Le colpe dei medici nel disastro della sanità italiana, Editori Laterza, Roma, 1999, pag. 197, L. 20.000

Le esperienze descritte in questo libro sono vere, vissute di persona dall’Autore durante i venticinque anni in cui ha svolto da medico numerosi compiti di intervento diretto e di ricerca. Non c’è nulla di inventato, per quanto incredibile ciò possa sembrare.

Gli episodi riportati hanno carattere esemplificativo e sono stati scelti perché emblematici di un sistema che presenta situazioni di degrado culturale ed etico.

Chi sono i responsabili? Secondo l’Autore li troviamo «nei panni del professore arrogante, del primario millantatore, del medico carrierista e ignorante con tessera di partito, del medico di famiglia che nonostante il lauto compenso ricevuto dal Servizio sanitario nazionale intasca un pagamento non dovuto e fa accordi commerciali con colleghi specialisti, ditte farmaceutiche o laboratori e cliniche private, dell’infermiere cinico o maleducato, dell’ausiliario che non pulisce, del portantino che ruba l’orologio ai malati incoscienti in pronto soccorso, del funzionario corrotto, del fornitore che lavora solo grazie alle bustarelle, del burocrate pigro e incompetente, del magazziniere ladro, del magistrato che pretende di prescrivere ricette, del sindacalista fannullone che difende i fannulloni, dei maghi, degli pseudo-omeopati e dei guaritori che lucrano sulla disperazione della gente, e di molti altri ancora».

Cornaglia Ferraris ritiene che non sarà facile cambiare la situazione «visto che i truffatori possono sentirsi garantiti da passività e da reticenza degli Ordini dei medici e da un’abitudine all’arbitrio generata dalla tradizionale impunità»; giustamente afferma che «coscienza pubblica e controllo sociale sono gli unici strumenti per realizzare nei fatti quelle riforme scritte sulla carta e pubblicate sulle gazzette ufficiali che solo pochi leggono, e, tra questi, pochissimi sono quelli interessati a costruire davvero una sanità migliore».

 

GIOVANNI NERVO, Dio Padre, Voi tutti fratelli, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1999, pag. 95, L. 10.000

Le pagine di questo libro sono nate dagli appunti delle meditazioni di Mons. Giovanni Nervo, tenute nel 1998 in corsi di esercizi spirituali per laici, radicati anche dentro la complessità storico-sociale e la quotidianità della vita. Fra le numerose riflessioni di Mons. Nervo citiamo:

a) «La prima forma obbligatoria di condivisione e di solidarietà per il bene comune è il pagamento delle tasse. È ovvio e non occorre dimostrarlo: tutti i servizi della comunità (la scuola, le strade, l’ordine pubblico, la sanità, ecc.) sono pagati con le tasse»;

b) «Se concepiamo la solidarietà come “impegno per il bene comune” dove “tutti siano veramente responsabili di tutti”, anche l’impegno politico diventa un dovere morale»;

c) «In quale maniera saranno tutelati i diritti dei poveri alla piena cittadinanza, a vedersi attribuita e rispettata l’eguale dignità sociale garantita dalla Costituzione, se si lasciano andare allo sfascio i servizi di tutti, pagati con i soldi di tutti?».

 

GIOVANNI MANCINI, GIUSEPPE SABBATINI (a cura di), Riabilitazione e lavoro: una metodologia per l’inserimento lavorativo delle persone ex tossicodipendenti, disabili e dei pazienti psichiatrici, Carocci, 1999, pag. 126, L. 20.000

Il libro raccoglie il contributo di alcuni professionisti, che operano nell’ambito dei servizi per l’inserimento lavorativo (SIL) degli enti locali e delle Asl della Regione Umbria, impegnati a promuovere l’integrazione sociale di ex tossicodipendenti, disabili e pazienti psichiatrici attraverso il lavoro. Scopo degli Autori è quello di presentare il SIL come modello ormai consolidato in Italia, indispensabile per garantire l’incontro tra la persona che si presenta con difficoltà di inserimento lavorativo e l’azienda.

È interessante la lettura dei diversi punti di vista, perché, sia che si tratti dell’operatore-educatore del SIL che racconta la propria esperienza, che del funzionario dell’Asl da cui dipende il servizio o del dipendente dell’Azienda che ha assunto, ad esempio, il giovane handicappato intellettivo, aiutano il lettore a cogliere le diverse componenti – tutte importanti – che devono concorrere perché vi sia un successo lavorativo.

E tutti, comunque, alla fine sono convinti della validità dell’integrazione lavorativa, intesa come assunzione di un ruolo lavorativo “vero”, e non fittizio, per il recupero nel senso più positivo del termine di persone che, a diverso titolo e per motivi diversi, rischierebbero altrimenti l’esclusione sociale.

A questo proposito, non mancano le prese di distanza da forme di lavoro “protetto”, che può assumere anche forme diverse da quelle finora conosciute.

Interessante la riflessione sul ruolo delle cooperative sociali di tipo B, di Enrico Montobbio, che nelle conclusioni sottolinea come «le cooperative sociali di tipo B possano essere una soluzione, seppure in termini compromissori, abbastanza buona, purché si inseriscano nel mercato. Ma se, come spesso accade in Italia, sono cooperative largamente sussidiarie, allora bisogna riflettere su cosa sta accadendo nelle relazioni e nelle identità di una persona disabile (dato che non sta con dei colleghi di lavoro) ma è accudita da un opera­tore».

 

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