Prospettive
assistenziali, n. 133, gennaio-marzo 2001
altre notizie false sulla legge di riforma
dell’assistenza e dei servizi sociali
Nell’editoriale del n. 131, 2000, di Prospettive assistenziali “Abbondano le
notizie false sul testo di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali”,
avevamo segnalato le preoccupanti inesattezze contenute in dichiarazioni
ufficiali del Ministro Livia Turco e dell’On. Elsa Signorino (1), nonché le
errate interpretazioni delle norme fornite da alcune riviste: Prospettive sociali e sanitarie, Rivista del
volontariato, Nuove Proposte, Vita, Avvenimenti e Rassegna di servizio sociale (2).
Purtroppo, sono uscite altre informazioni fuorvianti,
fatto gravissimo non solo per le distorsioni della realtà (non tutte le persone
ed i nuclei familiari in difficoltà sono in grado di interpretare correttamente
le leggi), ma anche per gli orientamenti erronei a cui vengono indotti
operatori, sindacalisti e volontari. Ad esempio, coloro che sono convinti che
la legge 328/2000 garantisce diritti esigibili sono portati a trascurare le
iniziative da intraprendere per ottenere dalle Regioni e dai Comuni ciò che la
legge di riforma dei servizi sociali ha negato (3).
Su “Cittadini in
crescita”, rivista diretta da Alfredo Carlo Moro, Franco Della Mura ha
sostenuto che «quando la legge quadro
sarà stata approvata, avverrà ciò che con la riforma degli anni settanta era
avvenuto con quelli sanitari: l’affermazione dell’esigibilità dei diritti alla
risposta dei bisognosi».
Analoghe le affermazioni di Mons. Giuseppe Pasini,
Presidente della Fondazione Zancan, riportate sul n. 6/2000 di “Politiche e servizi alle persone”,
secondo cui nella legge 328/2000 sarebbe stato stabilito «per tutti il diritto ai livelli essenziali e uniformi di assistenza»
(4). Pertanto, secondo lo stesso Pasini
«queste prestazioni essenziali oggi sono un diritto esigibile analogamente a
quanto avviene nel campo sanitario per determinate prestazioni».
Nello stesso numero della rivista della Fondazione
Zancan, Antonio Prezioso, dopo aver affermato che «l’8 novembre 2000 (data di approvazione della legge) è veramente
dies albo signanda lapillo, giorno
fortunato e... caro agli dei» riporta il giudizio del Sen. Domenico Rosati,
che «ha seguito con la Caritas italiana
le vicende della legge nel suo faticoso procedere». Quest’ultimo sostiene
che «si tratta di una riforma avanzata,
che garantisce su tutto il territorio nazionale e a tutti i cittadini, i
diritti di cittadinanza sociale e un sistema di protezione soprattutto dei più
deboli».
Sulla sopra citata rivista compare anche un articolo
di Tiziano Vecchiato, direttore scientifico della Fondazione Zancan, che, dopo
aver espresso un giudizio estremamente positivo sulla legge 328/2000, dichiara
che «per garantire più giustizia e più
equità sociale», il legislatore ha scelto, giustamente a suo avviso «l’idea di operare per livelli essenziali e
uniformi di risposte che si fonda sulla premessa che non possiamo avere un
sistema di diritti sociali se non a partire da risposte certe distribuite sul
territorio, accessibili, capaci di affrontare in modo efficace i bisogni».
Anche Don Elvio Damoli, all’epoca Direttore nazionale
della Caritas italiana, ritiene valida la legge 328/2000 ed afferma che la sua
approvazione è «un evento di portata
storica (...) soprattutto perché con
le sue innovazioni viene a modificare il concetto stesso di assistenza,
mettendo al centro la persona e i suoi diritti, puntando alla prevenzione del
disagio sociale, a migliorare la qualità della vita dei cittadini, a contrastare
la povertà» (5).
In quali articoli della legge 328/2000, Damoli, Della
Mura, Pasini, Prezioso, Rosati e Vecchiato abbiano individuato diritti di
cittadinanza, la loro esigibilità e le risposte certe è un mistero insolubile
non solo per noi, ma anche – lo crediamo fino a prova contraria – per
i suddetti esperti (6).
D’altra parte non comprendiamo come ad una legge che
non prevede nessun nuovo intervento obbligatorio per le persone ed i nuclei
familiari in difficoltà, possano essere attribuite finalità rivolte a prevenire
il disagio, migliorare la qualità della vita e contrastare la povertà.
Anche l’On. Mimmo Lucà, presentatore alla Camera dei
Deputati della proposta di legge n. 2743 “Legge-quadro sul sistema dei servizi
alla persona”, il cui articolato e la relativa relazione erano stati tratti da
una elaborazione predisposta dalla Fondazione Zancan e dalla Caritas italiana
(7), ha scritto su “Luna Nuova” del 7
novembre 2000 che la legge 328/2000 stabilisce «diritti e prestazioni esigibili» e che «è stato definito un pacchetto essenziale di prestazioni che dovranno
essere garantiti in tutto il territorio nazionale», ma si è ben guardato
dal replicare quando sullo stesso giornale è stato precisato che le sue
affermazioni erano destituite di ogni fondamento.
L’illusione della buona legge a favore dei più deboli
ha colpito anche Don Gino Rigoldi, responsabile della Comunità nuova di Milano,
che su Vivereoggi, novembre 2000, ha
dichiarato che nella legge 328/2000 «viene
affermato un principio fondamentale della Costituzione, il diritto di
cittadinanza indicato come un diritto perfetto, articolato in diversi servizi
esigibili sempre e non legato alla discrezionalità dei vari enti responsabili».
Analoghe informazioni fuorvianti sulla legge 328/2000
sono state pubblicate su “Volontariato
Oggi” (n. 10, 2000), pubblicazione del Centro nazionale per il
volontariato; su “Vento Sociale” (n.
11, 2000), su “Anch’io” (n. 11, 2000)
e su “Diritti e solidarietà” (n. 32,
2000) (8).
Segnaliamo, inoltre, le numerose notizie trasmesse
dalle agenzie Ansa, Agi e Adnkronos in cui è stata diffusa la notizia che la
legge 328/2000 riconosceva diritti esigibili, notizia che quasi tutti i
quotidiani hanno riportato.
Nei comunicati trasmessi dalle suddette agenzie sono
segnalati, in particolare, i commenti spesso entusiasti sulla legge 328/2000
espressi da parte di esponenti della società civile, commenti che sono quasi
sempre incentrati sugli inesistenti diritti esigibili (9).
Ad esempio, Maria Guidotti, presidente nazionale
dell’Auser, Associazione legatissima alla Cgil, afferma che si tratta «di una legge che riforma radicalmente i
diritti di cittadinanza del nostro Paese» e ricorda il ruolo avuto dai
Sindacati dei pensionati per l’approvazione della 328/2000 che, in realtà,
com’è noto, non riconosce nessun nuovo diritto, cancella quelli in vigore e
contribuisce alla negazione del diritto alle cure sanitarie gratuite e senza
limiti di durata sancito dalle vigenti disposizioni nei confronti degli anziani
cronici non autosufficienti (10).
Un’altra
clamorosa disinformazione
Certamente è molto allarmante che un così alto numero
di persone che operano nel settore sociale abbiano fornito alla popolazione
informazioni illusorie sugli inesistenti diritti esigibili della legge 328/2000
ed abbiano taciuto sugli aspetti negativi, in particolare sulle decine di
miliardi dei beni delle Ipab tolti ai poveri per destinarli soprattutto ai
benestanti.
È, altresì, inquietante che la realtà dei fatti sia
stata totalmente travisata in merito alle disposizioni vigenti. Al riguardo, è
estremamente grave che il Ministro della solidarietà sociale, Livia Turco,
l’On. Elsa Signorino, alcuni parlamentari e un numero consistente di esperti
abbia asserito che «l’ultima legge
sull’assistenza nel nostro paese risale al Governo Crispi» (11).
Orbene, tutti coloro che hanno letto la legge 6972 del
1890 hanno riscontrato che, senza ombra di dubbio, le sue disposizioni non
hanno mai regolamentato i settori dell’assistenza e della beneficenza, in
quanto esse erano e sono esclusivamente rivolte (12) a disciplinare il
funzionamento delle Ipab, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
(13).
È stato dimenticato – a nostro avviso volutamente
(14) da chi ne era a conoscenza e ripetuto in buona fede da molti “pappagalli”
che parlano e scrivono sull’assistenza – che prima dell’entrata in vigore
della legge 328/2000 vi erano alcuni provvedimenti che sanzionavano importanti
diritti esigibili, anche se quasi sempre ignorati dalle autorità, dagli
operatori, dai centri studi, dalle associazioni di volontariato e dagli
organismi di tutela della fascia più debole della popolazione.
Ci riferiamo, in particolare, alle seguenti norme:
– regio decreto 19 novembre 1889 n. 6535 in base
al quale i Comuni erano tenuti a provvedere mediante ricovero o altri
interventi nei confronti delle persone «inabili
a qualsiasi lavoro proficuo che (...)
per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo
di sussistenza»;
– art. 154 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773
che, richiamandosi alla norma precedente, recitava: «Le persone riconosciute dalle autorità locali di pubblica sicurezza
inabili a qualsiasi lavoro proficuo e che non abbiano mezzi di sussistenza, né
parenti tenuti per legge agli alimenti e in condizioni di poterli prestare,
sono proposte (...) per il ricovero
in un istituto di assistenza o di beneficenza del luogo o di altro Comune»
(15);
– legge 30 marzo 1971 n. 118, concernente
provvidenze a favore dei malati e invalidi civili, che, fra l’altro, prevedeva
finanziamenti, anche a favore dei Comuni, per la creazione di strutture diurne
e residenziali, di scuole per la formazione di educatori e di assistenti
sociali, l’abbattimento delle barriere architettoniche, l’istituzione e il
funzionamento di corsi di formazione professionale o prelavorativa,
l’inserimento e il trasporto dei soggetti con handicap nella scuola d’obbligo,
nonché per l’erogazione di pensioni e assegni;
– Dpr (decreto del Presidente della Repubblica)
15 gennaio 1972 n. 9, a seguito del quale dagli organi centrali e periferici
dello Stato erano state trasferite alle Regioni funzioni assistenziali in
materia di inabili al lavoro di cui all’art. 154 del regio decreto 773/1931,
assistenza estiva e invernale per i minori, interventi a favore degli
assistibili bisognosi, dei profughi italiani e rimpatriati di Ipab, di enti
comunali di assistenza, nonché «ogni
altra funzione amministrativa esercitata dai prefetti e dagli altri organi
centrali e periferici dello Stato in materia di beneficenza pubblica» (16);
– Dpr 5 giugno 1972 n. 315 riguardante la delega
alle Regioni delle funzioni amministrative statali concernenti le istituzioni
private ed i comitati di soccorso;
– legge 29 luglio 1975 n. 406 “Istituzione dei
consultori familiari”;
– legge 23 dicembre 1975 n. 698 relativa allo
scioglimento dell’Onmi (Opera nazionale per la protezione della maternità e
dell’infanzia) con l’assegnazione delle relative competenze alle Regioni, ai
Comuni e alle Province;
– Dpr 24 luglio 1977 n. 616 riguardante il
trasferimento dallo Stato alle Regioni (legislazione, programmazione,
finanziamenti, ecc.) ed ai Comuni (compiti operativi) delle funzioni
concernenti (art. 22) «tutte le attività
che attengono, nel quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione ed
erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche, sia
in denaro che in natura, a favore dei singoli, o a favore di gruppi qualunque
sia il titolo in base al quale sono individuati i destinatari, anche quando si
tratta di forme di assistenza a categorie determinate, escluse soltanto le
funzioni relative alle prestazioni economiche di natura previdenziale».
A sua volta, l’art. 23 dello stesso Dpr 616/1977
precisava che erano comprese fra le attività trasferite anche l’assistenza alle
famiglie bisognose dei detenuti e delle vittime del delitto, l’assistenza
post-penitenziaria; gli interventi in favore dei minorenni soggetti a
provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili e le prestazioni rivolte alla
lotta contro lo sfruttamento della prostituzione e l’assistenza delle persone
dedite al meretricio.
Inoltre, l’art. 25, mentre stabiliva che «tutte le funzioni amministrative relative
all’organizzazione ed alla erogazione dei servizi di assistenza e beneficenza
di cui ai precedenti art. 22 e 23 sono attribuite ai Comuni», specificava
che le Regioni avevano il compito di determinare «con legge, sentiti i Comuni interessati, gli ambiti territoriali
adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di
cooperazione fra gli enti locali territoriali e, se necessario, promuovendo ai
sensi dell’ultimo comma dell’art. 117 della Costituzione forme, anche
obbligatorie, di associazione fra gli stessi».
Conclusioni
Se si tiene conto delle norme sopra ricordate e del
trasferimento alle Regioni ed ai Comuni dei compiti del personale, delle
strutture, delle attrezzature e dei finanziamenti delle migliaia di enti
disciolti (Onpi - Opera nazionale pensionati d’Italia, Enaoli - Ente nazionale
assistenza orfani lavoratori italiani, Ente nazionale per la protezione morale
del fanciullo, e delle decine degli altri organi inseriti nelle tabelle A e B
del Dpr 616/1977, nonché degli 8055 Enti comunali di assistenza, delle 8148
sedi dell’Onmi - Opera nazionale per la protezione della maternità e
dell’infanzia), risulta evidente che le Regioni ed i Comuni avevano da anni
ampie possibilità di intervenire a favore della fascia più debole della
popolazione.
Mettendo in rilievo quanto sopra (che è anche un
invito a non aspettare passivamente che le Regioni ed i Comuni si decidano
finalmente a rispettare le esigenze della fascia più debole della popolazione)
non vogliamo certamente disconoscere la necessità e l’urgenza (a partire
dall’immediato dopoguerra) di una legge di riforma dell’assistenza (17), ma è
sfacciatamente falso affermare, come hanno fatto ministri, parlamentari,
amministratori, sindacalisti e molti esperti che la legge 328/2000 ha
sostituito le norme varate da Crispi nel 1890, facendo credere che da più di
cento anni non siano stati approvati provvedimenti in materia di assistenza.
È deplorevole che il volontariato consolatorio e
centri di studio e ricerca, per coprire, come purtroppo avviene da anni, le
spesso scandalose omissioni delle istituzioni e il disinteresse dei partiti,
abbiano ingannato la popolazione e soprattutto le persone ed i nuclei familiari
che non hanno i mezzi (non solo economici) sufficienti per vivere.
Noi non accettiamo di essere raggirati, né ci
accontentiamo delle dichiarazioni altisonanti, ma assolutamente prive di
risvolti concreti (18).
(1) L’On. Livia Turco ha continuato imperterrita a fornire notizie
fuorvianti sulla legge 328/2000. Al riguardo si veda, ad esempio, l’intervista
riportata su Vivereoggi, novembre
2000. Anche l’On. Elsa Signorino (cfr. Mondo
sociale, n. 11, 2000) ha insistito sulla validità della legge 328/2000,
asserendo che essa è caratterizzata da «più
servizi, più risorse, più qualità», dimenticando, fra l’altro, che la legge
quadro sottrae all’esclusiva destinazione dei meno abbienti i patrimoni delle
Ipab ed ex Ipab, ammontanti complessivamente a 107-140 mila miliardi.
Stupefacente è, poi, l’affermazione dell’On. Signorino secondo cui alla
richiesta di prestazioni «solo per i più
poveri», «la legge risponde con la consapevolezza che nella residualità non ci
sono diritti per nessuno». Speriamo, quindi, che l’On. Signorino non voglia
sopprimere le leggi che assicurano diritti ai più deboli, quali ad esempio
l’integrazione al minimo delle pensioni Inps, l’abolizione delle barriere
architettoniche, il reddito minimo di inserimento.
(2) Il
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ha scritto a tutte le
sopracitate riviste. Solamente Rassegna
di servizio sociale ne ha pubblicato il testo.
Ricordiamo, inoltre, che nei confronti della legge 328/2000, posizioni
analoghe a quelle di Prospettive
assistenziali sono state assunte da: Mondo
sanitario (ottobre 2000), Lisdha News
(gennaio 2001), Notiziario del Movimento
Handicap (n. 1, 2000), Ruota Libera (n.
4, 2000) e Hpress (n. 2, 2001).
(3) Cfr. “Proposte alle Regioni per limitare i danni della legge quadro
sui servizi sociali” e “Indicazioni per una delibera quadro dei Comuni singoli
o associati sulle attività socio-assistenziali”, Prospettive assistenziali, n. 132, 2000. Si veda, altresì,
l’editoriale di questo numero.
(4) Come osserva giustamente Carlo Giacobini (Lisdha News, gennaio 2001)
«la formulazione della legge quadro è solo teoricamente rassicurante, poiché
prevede vi sia un livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto
forma di beni e servizi, ma lungi dall’indicare quale sia questo livello
essenziale, si limita ad elencare gli ambiti in cui la pianificazione
nazionale, regionale e zonale è chiamata ad intervenire».
(5) Cfr. E. Damoli, “A proposito della nuova legge sull’assistenza”, Avvenire, 28 ottobre 2000.
(6) In un prossimo articolo affronteremo la questione delle illusioni
tecnocratiche che emergono dal citato articolo di Vecchiato, il quale, al fine
di rendere compatibili «universalismo e
selettività» (a nostro avviso due aspetti inevitabilmente antitetici)
ritiene «necessario prevedere meccanismi
di regolazione dell’accesso basati sulla valutazione tecnico-professionale del
bisogno». Ne deriva che il cittadino in difficoltà non è più considerato il
soggetto dell’intervento, poiché questo ruolo è affidato agli operatori.
(7) Il testo e la relazione della proposta di legge n. 2743 sono stati
riportati integralmente sul n. 119, 1997, di Prospettive assistenziali.
(8) Ci riferiamo all’articolo di Roberto Buttura “La nuova legge
sull’assistenza: pregi e limiti”.
(9) Ricordiamo, inoltre, che nella agenzia dell’Ansa del 18 ottobre
2000 sono stati riferiti dati statistici allarmanti, ma a nostro avviso
infondati. Infatti i disabili sarebbero 3 milioni, il numero dei poveri
ammonterebbe a 7,5 milioni, i bambini di strada e quelli abbandonati a se
stessi senza riferimenti educativi sarebbero 500 mila, i disagi nell’infanzia
riguarderebbero 10 milioni di fanciulli.
(10) Fra gli altri sostenitori, che hanno rilasciato alle agenzie
dichiarazioni favorevoli alla legge 328/2000, citiamo Savino Pezzotto -
Segretario generale della Cisl, Giampiero Resinelli ed Edoardo Pazienza del
Forum del terzo settore, i Segretari generali dei Sindacati dei pensionati
Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil.
(11) Dichiarazione di Savino Pezzotta, riportata dall’Agenzia Kronos il
18 ottobre 2000.
(12) La legge 6972/1890 dettava inoltre norme sul domicilio di
soccorso, in parte riprese dalla legge 328/2000.
(13) La legge 6972/1890 era stata approvata dopo che una Commissione,
che aveva lavorato dal 1880 al 1888, aveva rilevato «gli abusi troppo frequenti per i quali la legge (del 1862, n.d.r.) non dava né una efficace prevenzione, né i
mezzi di una giusta riparazione» di fronte alle «rendite colossali che si spendevano senza una vera utilità per la
popolazione sofferente». Caratteristiche salienti della legge 6972/1890
erano: a) i patrimoni ed i relativi redditi dovevano essere utilizzati
esclusivamente a favore delle persone e dei nuclei familiari in gravi
condizioni socio-economiche; b) i beni mobiliari e immobiliari non potevano mai
essere destinati alla copertura delle spese di gestione. Cfr. M. Tortello e F.
Santanera, L’assistenza espropriata - I
tentativi di salvataggio delle Ipab e la riforma dell’assistenza, Nuova
Guaraldi Editrice, Firenze, 1982.
(14) Lo scopo era ed è quello di nascondere le vistose carenze
operative del settore dell’assistenza e le numerose e annose violazioni delle
leggi.
(15) Il
Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti sta esaminando la possibilità
che gli art. 154 e 155 del regio decreto 773/1931 siano ancora in vigore dopo
l’approvazione della legge 328/2000. Questa ricerca la dice lunga sulla
validità della legge di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali se, per
obbligare i Comuni a prestare assistenza agli inabili al lavoro (e cioè ai
minori, ai soggetti con handicap ed agli anziani in situazione di bisogno)
occorre far riferimento ad una disposizione della pubblica sicurezza varata dal
fascismo.
Precisiamo anche che, in base agli articoli suddetti, gli enti pubblici
non possono pretendere contributi economici dai parenti di assistiti
maggiorenni. Ricordiamo, inoltre, che il regio decreto 3 marzo 1934 n. 383,
testo unico della legge comunale e provinciale, stabiliva che le spese relative
al «mantenimento degli inabili al lavoro»
erano vincolanti per i Comuni. L’obbligatorietà delle suddette spese
assistenziali è stata abrogata con il decreto legge 10 novembre 1978 n. 702
(art. 7), convertito nella legge 8 gennaio 1979 n. 3 senza che siano state
sollevate obiezioni di sorta in Parlamento e dalla cosiddetta società civile.
(16) Il testo del Dpr 9/1972 è stato pubblicato sul n. 17, 1972 di Prospettive assistenziali.
(17) Ricordiamo che Prospettive
assistenziali, insieme all’Anfaa, all’Ulces e a numerosi altri movimenti di
base hanno presentato al Parlamento due proposte di legge di iniziativa
popolare: la prima (21 aprile 1970, Senato, firme raccolte oltre 220 mila)
riguardante “Interventi per gli handicappati psichici, fisici, sensoriali e per
i disadattati sociali”; la seconda (8 marzo 1976, Camera dei Deputati, firme
oltre 100 mila) recante il titolo “Competenze regionali in materia di servizi e
scioglimento degli enti assistenziali”.
(18) Il 1° comma dell’art. 1 della legge 328/2000 afferma
truffaldinamente: «La Repubblica assicura
alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi
sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari
opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o
riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e
familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e
condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della
Costituzione».
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