Prospettive
assistenziali, n. 133, gennaio-marzo 2001
Il programma di azione 2000-2003 del governo per
le politiche dell’handicap: un’altra presa in giro
Parole, ancora parole. Parole che
suscitano vane speranze. Il programma di azione 2000-2003 del Governo per le
politiche dell’handicap è un altro provvedimento che non prevede nessun diritto
esigibile e contiene solo indicazioni astratte che i Comuni, le Asl, le
strutture scolastiche e le altre istituzioni possono ignorare senza che i
cittadini colpiti da handicap abbiano la benché minima possibilità giuridica di
intervenire.
Il programma di azione riguarda i
seguenti settori: prevenzione, riabilitazione, scuola, lavoro, integrazione
sociale e “Dopo di noi”, mobilità e abbattimento delle barriere architettoniche,
tempo libero e sport, sistema informativo, iniziative della Comunità europea.
Nel lunghissimo testo o vengono
richiamate norme già presenti, ad esempio quelle concernenti l’integrazione
scolastica, oppure c’è la desolante elencazione delle iniziative che dovrebbero
essere assunte, elencazione che da anni viene ripetuta.
Ad esempio, la sezione
riguardante l’integrazione sociale inizia con l’ovvia affermazione:
«Ogni persona disabile, di qualsiasi età sia, ha diritto ad un sistema
di aiuto che garantisca lo sviluppo massimo della sua personalità e ad un
inserimento sociale il più attivo e partecipato possibile».
Circa gli interventi da attivare
si sostiene la necessità di «sollecitare
l’emanazione delle normative regionali in attuazione della legge 104/1992 e
162/1998».
Ma gli estensori del programma di
azione del Governo si sono dimenticati che le due suddette leggi contengono
solo dei “possono” e non dei “devono”? Che cosa significa realmente attuare i
“possono”? È ovvio, per l’utente significa non avere alcun diritto.
E per quali motivi, non avendo
voluto le forze politiche nel 1992 e nel 1998 inserire nemmeno un “devono”
nelle leggi 104 e 162, sarebbero adesso disponibili a cambiare posizione a
livello regionale, tanto più che i pochi “devono” contenuti nei regi decreti
del 1800 e del periodo fascista sono stati cancellati dalla legge 328/2000 sui
servizi sociali che non prevede nemmeno un solo diritto esigibile?
Se si vogliono veramente
rispettare le esigenze delle persone con handicap (e di tutti i soggetti in
difficoltà), bisogna che i diretti interessati e le forze sociali, in
particolare quelle che asseriscono di tutelare i soggetti deboli, decidano
comportamenti completamente diversi da quelli finora assunti.
È indispensabile che si riparta dai
diritti dei cittadini, rivendicando ad esempio, il servizio di aiuto personale
e il collocamento al lavoro nelle normali aziende pubbliche e private (e non
solo presso le cooperative sociali come prevede la legge n. 68/1999) sia dei
soggetti con rendimento analogo a quello degli altri lavoratori, sia di coloro
che hanno una ridotta capacità lavorativa, ma comunque proficua per gli
interessati e l’azienda.
Occorre che una legge a carattere
nazionale garantisca la frequenza dei centri diurni, aperti almeno 40 ore
settimanali, agli ultradiciottenni colpiti da handicap intellettivo,
impossibilitati a svolgere qualsiasi lavoro a causa della gravità delle loro
condizioni psico-fisiche, assicuri l’accoglienza presso comunità alloggio
aventi al massimo 8-10 posti ai soggetti con limitata o nulla autonomia privi
di adeguato sostegno familiare, per i quali non è possibile la permanenza a
casa loro o l’inserimento presso famiglie o persone singole, ecc.
Ovviamente, affinché siano reali
ed esigibili, i diritti devono essere sanciti da leggi. Nei provvedimenti
riguardanti le esigenze fondamentali delle persone in difficoltà, bisogna che
siano eliminati i “possono” (i Comuni “possono”, le Regioni “possono”, ecc.):
devono essere previsti, se del caso gradualmente, obblighi precisi per gli enti
pubblici, ad esempio per i Comuni singoli e associati.
Se i diritti non vengono
riconosciuti da una legge approvata dal Parlamento, bisogna rivolgersi alle
Regioni che, ovviamente, rispettano le norme nazionali lasciando le cose come
stanno e cioè non prevedendo alcuna disposizione azionabile da parte dei
cittadini.
Gli enti pubblici dovrebbero
poter gestire direttamente i servizi o affidarli ad enti privati (cooperative,
ecc.).
I programmi, i piani nazionali,
regionali e locali non dovrebbero più contenere l’elenco astratto delle cose da
fare, ma prevedere interventi specifici, ad esempio nel 2001 saranno
predisposti x centri diurni per
handicappati intellettivi, y comunità
alloggio per soggetti privi di un adeguato sostegno familiare; le cure
domiciliari per i malati acuti e cronici dovranno coprire z nuclei familiari, ecc.
È, altresì, indispensabile che i
programmi definiscano le modalità ed i tempi di attuazione, la localizzazione
delle strutture e dei servizi previsti, i finanziamenti in conto capitale, le
risorse occorrenti per la gestione, la qualità e quantità del personale
addetto, ecc.
In questo modo, finalmente, i
cittadini possono conoscere quali sono i loro diritti/doveri ed avere la
possibilità di accertare la validità o meno delle iniziative assunte (ad
esempio, sono informati se i finanziamenti erogati riguardano le comunità
alloggio o gli istituti di ricovero), di verificare se i tempi di attuazione
sono rispettati, di conoscere i costi e di avere le altre notizie occorrenti
per una valutazione corretta.
In sostanza, nel settore dei
servizi rivolti alle persone ed ai nuclei familiari, dovrebbero essere
approvate leggi strutturate similmente a quella varata dal Parlamento per
l’incentivazione della rottamazione delle auto, di cui riportiamo l’art. 29 del
decreto legge n. 669/1996:
«1. Alle persone fisiche che acquistano in Italia, anche in locazione
finanziaria, un veicolo nuovo di fabbrica e che consegnano per la rottamazione
un veicolo immatricolato in data anteriore al 1° gennaio 1987 o che nel periodo
di vigenza dell’agevolazione superi i dieci anni dalla data di immatricolazione
è riconosciuto un contributo statale fino a lire unmilionecinquecentomila per i
veicoli di cilindrata fino a 1.300 centimetri cubici e fino a lire due milioni
per i veicoli di cilindrata superiore sempre che sia praticato dal venditore
uno sconto pari alla misura del contributo. Il contributo è corrisposto dal
venditore mediante compensazione con il prezzo di acquisto.
«2. Il contributo spetta per gli acquisti effettuati tra il 7 gennaio
1997 e il 30 settembre 1997 e risultanti dal contratto stipulato dal venditore
e dall’acquirente nello stesso periodo, a condizione che: a) il veicolo acquistato sia un’autovettura o un autoveicolo per il
trasporto promiscuo, di cui all’art. 54, comma 1, lettere a) e c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, non immatricolato in
precedenza; b) il veicolo consegnato
per la rottamazione sia un’autovettura o un autoveicolo per il trasporto
promiscuo di cui all’art. 54, comma 1, lettere a) e c), del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e che sia intestato, da data anteriore al
30 giugno 1996, allo stesso soggetto intestatario del veicolo nuovo o ad uno
dei familiari conviventi alla data di acquisto del veicolo nuovo, ovvero, in
caso di locazione finanziaria del veicolo nuovo, che sia intestato al soggetto
utilizzatore del suddetto veicolo o a uno dei predetti familiari; c) nell’atto dell’acquisto sia espressamente
dichiarato che il veicolo consegnato è destinato alla rottamazione e siano
indicate le misure dello sconto praticato e del contributo statale di cui al
comma precedente.
«3. Entro 15 giorni dalla data di consegna del veicolo nuovo, il
venditore ha l’obbligo di consegnare il veicolo usato ad un demolitore e di
provvedere direttamente o tramite delega alla richiesta di cancellazione per
demolizione al pubblico registro automobilistico.
«3-bis. I veicoli usati, di cui al comma 3, non possono essere rimessi
in circolazione e vanno avviati o alle case costruttrici o ai centri
appositamente autorizzati, anche convenzionati con le stesse al fine della
messa in sicurezza, della demolizione, del recupero di materiali e della
rottamazione.
«4. Le imprese costruttrici o importatrici del veicolo nuovo rimborsano
al venditore l’importo del contributo e recuperano detto importo quale credito
di imposta per il versamento delle ritenute dell’imposta sul reddito delle
persone fisiche operate in qualità di sostituto d’imposta sui redditi da lavoro
dipendente, dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul
reddito delle persone giuridiche, dell’imposta locale sui redditi e
dell’imposta sul valore aggiunto, dovute anche in acconto per l’esercizio in
cui viene richiesto al pubblico registro automobilistico l’originale del
certificato di proprietà e per i successivi».
Se i soggetti con handicap, ad
esempio quelli incapaci di vivere autonomamente, fossero stati considerati dai
Governi e dai Parlamenti che si sono succeduti in tutti questi anni come
persone aventi almeno le stesse esigenze dei cittadini possessori di auto da
rottamare (e, ovviamente, anche se non soprattutto delle aziende produttrici
dei veicoli) sarebbero state emanate norme riguardanti i loro diritti, i
servizi messi a disposizione ed i tempi di attuazione.
Per fare un esempio, come è stato
stabilito che il possessore di una automobile ha diritto ad agevolazioni
economiche, allo stesso modo era ed è possibile precisare che un individuo
privo di sostegno familiare, colpito da handicap così grave da determinare la
sua dipendenza totale da terzi, ha diritto all’accoglienza presso una comunità
alloggio.
Purtroppo, al di là delle
affermazioni verbali che non vincolano nessuno (e nemmeno i Ministri che le
fanno!), le persone in difficoltà e in particolare quelle con handicap, sono
state reputate, sulla base degli atti assunti (leggi 104/1992, 162/1998,
328/2000, programma di azione 2000-2003 del Governo per le politiche
dell’handicap) come esseri umani per i quali è sufficiente, perché stiano zitti
(e magari approvino), che le autorità preposte diffondano documenti con
migliaia di parole, ma senza alcun impegno concreto.
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