Prospettive
assistenziali, n. 133, gennaio-marzo 2001
Interrogativi
Adottare un “nonno
bolognese”?
Sul n. 50/2000 del settimanale “Vita”, il Cesevolo, Centro di servizio per il volontariato
bolognese, segnala che «gran parte degli
anziani residenti in Emilia-Romagna vive al di sotto della soglia di povertà»
e che «molti di loro possono contare solo
sulla pensione minima di anzianità»: devono quindi «sbarcare il lunario con una media di 800 mila lire al mese»!
Alcuni «non hanno soldi per il
riscaldamento e passano l’inverno a letto, senza luce, sotto vestiti e
coperte».
Partendo dalla situazione sopra descritta, invece di
proporre iniziative per il riconoscimento del diritto ad una vita decorosa
degli anziani, e quindi per un congruo aumento del livello delle pensioni
minime, o, nel transitorio, per una integrazione da parte del Comune, il
Cesevolo informa che l’Associazione di volontariato “Accanto” ha predisposto il
progetto “Adotta un nonno”. Il progetto “Adotta un nonno” consiste nella
richiesta alla popolazione di versare un importo mensile fisso.
Non si rendono conto questi volontari che invece di
essere promotori di diritti, rilanciano una forma di beneficenza che era
praticata nel Medio Evo?
In secondo luogo, non ritengono il Centro dei servizi
e la suddetta associazione che definire “nonni” gli anziani da parte di coloro
che non hanno con essi alcun rapporto di parentela, sia uno schiaffo al
rispetto della dignità delle persone?
L’anziano in famiglia: dove
sono i servizi di sostegno?
Su “Sempre”,
pubblicazione dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, dell’11 dicembre 2000,
Paolo Ramonda, sostiene che, affinché gli anziani possano continuare a vivere
nella propria casa, occorre che «si
investano risorse finanziarie, di personale sanitario e sociale a sostegno
delle famiglie».
Però, per quanto riguarda i servizi esistenti, non si
comprende, vista la loro estrema carenza in quasi tutto il nostro paese, come
Ramonda possa affermare che «ci sono i
centri diurni anche per i non autosufficienti, comprensivi di servizio al
trasporto (che preleva gli anziani da casa e li riaccompagna)».
Ma dove sono questi centri? Quanti sono?
Nello stesso articolo, Ramonda, afferma che in base
alla nuova legge quadro sui servizi sociali «devono
essere garantiti dei livelli minimi di servizi», ma in quale disposizione
della legge 328/2000, ha trovato questo obbligo? Dove l’ha letto? Com’è
possibile che si vedano disposizioni inesistenti?
È per questo motivo che l’Associazione Papa Giovanni
XXIII ha appoggiato la legge 328/2000, nonostante non preveda alcun diritto
esigibile?
Da anziani malati cronici non
autosufficienti a soggetti fragili
Come sanno i lettori di Prospettive assistenziali, gli anziani malati cronici non
autosufficienti sono stati definiti semplicemente “non autosufficienti”,
negando la loro condizione di malati cronici al fine di poterli espellere dalla
sanità, per collocarli nel meno costoso (per le ASL, ma non per l’interessato
ed i suoi congiunti) settore dei servizi sociali.
Adesso questo imbroglio sta funzionando sempre meno,
sia per gli alti costi economici che ne derivano per i malati e le loro
famiglie, sia perché sempre di più i cittadini prendono coscienza dei diritti
delle persone malate colpite da patologie inguaribili.
Dunque, adesso viene praticata una diversa
classificazione: infatti, gli anziani malati cronici non sono più “non
autosufficienti”, ma “fragili”. Dalle notizie in nostro possesso, la prima
persona che ha usato il nuovo termine è stata l’On. Elsa Signorino. Nell’intervento
fatto alla Camera dei Deputati il 18 gennaio 2000, lo ha ripetuto ben sette
volte (cfr. Prospettive assistenziali,
n. 129, gennaio-marzo 2000).
Nelle scorse settimane abbiamo ritrovato il termine
‘fragile” nell’articolo “La salute degli anziani in Lombardia”, uscito sul n.
98, agosto-settembre 2000 della pubblicazione dell’Irer, Istituto regionale di
ricerca della Lombardia. È solo un caso? È un nuovo sistema classificatorio?
Quali sono le finalità dell’uso di questo termine? Quali sono le
caratteristiche del cosiddetto “indice sintetico di fragilità”? Aspettiamo una
risposta dall’Irer.
Polizze assicurative per i
malati di alzheimer: importi da capogiro
I promotori di Azimut propongono una polizza che
garantisce all’assicurato una rendita vitalizia quando verrà a trovarsi in una
situazione di non autosufficienza, ad esempio perché colpito dalla malattia di
Alzheimer. La polizza può essere sottoscritta a partire dai 18 fino ai 75 anni;
la durata minima del contratto è di cinque anni e quella massima di 50 (cfr. Il Sole - 24 Ore dell’11 dicembre 2000).
La rendita vitalizia viene corrisposta a partire dal 90° giorno successivo alla
perdita dell’autosufficienza.
Passando ai costi, arrivano
le sorprese: per ottenere una rendita di 1 milione al mese, il premio annuo da
versare nel caso di contratto della durata di 15 anni per una persona
quarantenne è pari a 741 mila lire per gli uomini ed a 1 milione e 457 mila
lire per le donne. La retta mensile a carico dei malati di Alzheimer ricoverati
presso Rsa (esclusa la quota sanitaria) varia da 3 milioni a 4 milioni e 200
mila lire (Pio Albergo Trivulzio di Milano), anche se, com’è noto, in base alle
leggi vigenti, gli oneri relativi alla degenza sono interamente a carico della
sanità.
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