Prospettive
assistenziali, n. 133, gennaio-marzo 2001
la
nuova legge sull’adozione: dai fanciulli senza famiglia soggetti di diritti ai
minori oggetto delle pretese egoistiche degli adulti (*)
In linea con la cinica negazione delle esigenze e dei
diritti della fascia più debole della popolazione sancita dall’iniqua e
truffaldina legge quadro sui servizi sociali n. 328/2000 (1), con
l’approvazione del testo, avvenuta il 1° marzo 2001, il Parlamento e il Governo
hanno inflitto una profonda ferita, forse mortale, alle norme dell’adozione,
che – fin dalle leggi 431/1967 e 184/1983 – erano rivolte ad assicurare il
preminente interesse dei minori totalmente privi delle indispensabili cure
familiari da parte del o dei loro genitori e dei parenti.
Da anni sono
sovrabbondanti le domande di adozione: il Parlamento e il Governo ne decidono
l’aumento
Dal 1967 ad oggi non c’è mai stata alcuna difficoltà
ad inserire i bambini senza famiglia presso le coppie adottive selezionate dai
tribunali per i minorenni con l’ausilio dei servizi sociali degli enti locali
(2).
Anzi, vi sono sempre stati problemi non indifferenti
dovuti all’eccessivo numero di richieste presentate da coniugi disponibili ad
adottare.
Restavano e restano da individuare le modalità più
appropriate per far comprendere alle coppie, alle quali non poteva essere
affidato un bambino a scopo di adozione, che il vero e insormontabile motivo
era la mancanza di fanciulli adottabili.
Infatti, come più volte abbiamo riferito su questa
rivista, le richieste di adozione sono sempre state, dal 1967 ad oggi, di gran
lunga superiori ai minori dichiarati adottabili.
Ad esempio, nel quinquennio 1995-1999 (i dati relativi
al 2000 non sono ancora disponibili), a fronte di 6.471 minori italiani
adottabili, c’erano ben 60.545 istanze depositate da coppie aspiranti
all’adozione.
Dunque, nel quinquennio suddetto, senza alcuna
alternativa possibile, a 54.074 coppie non è stato affidato alcun bambino, né
poteva esserlo, per il semplice fatto che non c’erano fanciulli adottabili.
Inoltre, nello stesso periodo, sono state circa 21
mila le coppie, autorizzate dai tribunali per i minorenni all’accoglienza di
minori stranieri, che non hanno potuto realizzare l’adozione, non per motivi
attribuibili alla legge o per intralci burocratici o per altre cause, ma,
ancora una volta, per la mancanza di fanciulli stranieri adottabili (3).
Al riguardo, va altresì rilevato che il numero dei
minori adottabili provenienti dai Paesi del Terzo Mondo è destinato a ridursi
notevolmente a seguito dell’attuazione della Convenzione internazionale de
L’Aja, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 476/1998, convenzione che ha
lo scopo di rendere più trasparenti e sicure le adozioni internazionali e di
stroncare il mercato dei bambini.
Di fronte all’enorme sproporzione fra i minori
adottabili e le domande di adozione, il Parlamento e il Governo, invece di
ridurre il numero delle coppie che vengono illuse e di evitare di impegnare i
tribunali per i minorenni ed i servizi sociali in attività assolutamente inutili,
hanno deciso in modo diametralmente opposto.
Difatti, la differenza massima di età fra adottanti e
adottandi, stabilita dalla legge 184/1983 in 40 anni, è stata elevata a 45
dall’art. 6 del nuovo testo.
Non solo. È stato, altresì, previsto dal 6° comma
dello stesso articolo che «non è preclusa
l’adozione quando il limite di età sia superato da uno solo di essi in misura
non superiore a 10 anni».
Pertanto, un cinquantacinquenne con un coniuge
quarantacinquenne potrà adottare un neonato. Quest’ultimo a venticinque anni
(età che mediamente raggiungono i giovani prima di essere in grado di vivere
autonomamente) avrà quindi un padre di ottant’anni. Tuttavia, più facilmente,
sarà rimasto orfano da circa otto anni, in quanto la vita media dei maschi è
attualmente di 72 anni.
Purtroppo, l’art. 6 prevede altre deroghe. Infatti,
non sono previsti limiti di età per i coniugi adottanti se essi «siano genitori di figli naturali o
adottivi dei quali almeno uno sia minore, ovvero quando l’adozione riguardi un
fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato». In tal modo
anche gli ultraottantenni che, ad esempio hanno sposato una donna giovane con
un figlio minorenne, potranno adottare neonati.
Particolarmente preoccupante è, poi, la prevista
deroga (cfr. l’art. 6, comma 5 del nuovo testo) della differenza massima di età
«qualora il tribunale per i minorenni
accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti
evitabile per il minore».
Come si è già verificato negli scorsi anni, la
suddetta disposizione verrà utilizzata dalle coppie anziane o inidonee che,
mediante il «fai da te», si procurano
un bambino italiano o straniero (4), lo accolgono per uno o due anni
all’insaputa dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali, e poi ne
chiedono l’adozione.
Estendendo la differenza di età dai 40 ai 45 anni, non
solo non si otterrà un maggior numero di adozioni di bambini grandicelli
(l’esperienza insegna che per queste accoglienze, quasi sempre problematiche,
sono disponibili ed idonee soprattutto le coppie giovani), ma vi saranno molti
ultraquarantenni che premeranno per ottenere in adozione bambini piccolissimi.
Ciò succederà, nonostante che, com’è evidente a tutte
le persone di buon senso, a parità delle condizioni imprescindibili (accettazione
reale di un fanciullo procreato da altri, adeguate capacità affettive ed
educative, ecc.), sia sicuramente preferibile, nell’interesse dei minori, la
loro adozione da parte di soggetti giovani.
Circa il rilevante numero di coppie, certamente di
gran lunga superiore a quello attuale (ripetiamo 54.074 dal 1995 al 1999), che
si illuderanno di poter adottare, non vorremmo che il Parlamento sia stato
indotto ad approvare le relative norme sulla base dell’evidente madornale
sciocchezza contenuta nella relazione del disegno di legge n. 4648
“Disposizioni in tema di età dei genitori idonei all’adozione” presentato al
Senato dai Ministri Livia Turco e Piero Fassino in data 7 giugno 2000, in cui,
incredibile ma vero, è scritto che dall’aumento della differenza di età fra
adottanti e adottandi «il risultato
atteso è quello dell’estensione del numero dei minori adottati»!
In sostanza, mentre le leggi 431/1967 e 184/1983 erano
fondate sulle esigenze dei bambini senza famiglia, le nuove norme sono state
approvate per dare la possibilità anche alle coppie non più giovani di
soddisfare il loro bisogno (soprattutto egoistico e non altruistico) di avere
un bambino o un discendente o, come temiamo, un sostegno specialmente durante
la loro vecchiaia.
È dunque ricomparsa l’arcaica concezione dell’adozione
quale istituto giuridico orientato alla soluzione delle esigenze degli adulti.
Gli inutili
e gravosi carichi di lavoro imposti dal Parlamento ai tribunali per i minorenni
ed ai servizi sociali
Come abbiamo già rilevato, fin dall’entrata in vigore
della legge 431/1967, le domande di adozione sono state sempre notevolmente
superiori ai minori adottabili.
Il Parlamento, con la legge 184/1983 aveva arginato la
situazione stabilendo che le istanze decadevano (art. 22) «dopo due anni dalla presentazione» e riducendo dai 45 ai 40 anni
la differenza massima di età fra adottanti e adottandi.
Nel testo approvato in via definitiva il 1° marzo
2001, il Senato e la Camera dei Deputati hanno scelto un percorso
diametralmente opposto. Infatti, ai sensi dell’art. 22 del nuovo testo le
indagini sulle coppie aspiranti all’adozione «devono essere tempestivamente avviate e concludersi entro centoventi
giorni» (5).
Dunque i 29 tribunali per i minorenni esistenti nel
nostro Paese ed i servizi sociali coinvolti, esclusivamente per quanto riguarda
le adozioni nazionali, sono obbligati ad esaminare ogni anno tutte le 10-15
mila domande di adozione per circa mille bambini, e cioè 350-500 pratiche per
ciascun tribunale. Inoltre un carico di lavoro analogo concerne le adozioni
internazionali. Si tratta di una attività immane che, a nostro avviso, i
tribunali per i minorenni ed i servizi sociali non sono in grado di svolgere;
è, altresì, assurdo che si attivino nei confronti di tutti i richiedenti stante
– come abbiamo già rilevato – il limitatissimo numero di bambini adottabili.
Sarà, dunque, un lavoro inutile dei tribunali per i
minorenni e dei servizi sociali procedere alle indagini sulle capacità
educative dei richiedenti, emanare i relativi provvedimenti, per poi inserirli
in interminabili liste d’attesa.
Quasi tutti
i 20 mila minori ancora istituzionalizzati non possono essere dichiarati
adottabili
Va ribadito, ancora una volta, che quasi tutti i 20
mila bambini ancora ricoverati in istituti di assistenza, non possono, né
devono, essere dichiarati adottabili dai tribunali per i minorenni in quanto
hanno legami validi con i loro genitori o con parenti.
Pertanto, per superare la loro istituzionalizzazione
che, com’è noto da oltre 50 anni, provoca danni gravi e spesso irreparabili
alla loro personalità è indispensabile – come poteva peraltro essere realizzato
da anni applicando le leggi allora in vigore (6) – fornire i necessari sostegni
economici e sociali ai nuclei familiari d’origine in difficoltà.
Purtroppo il Parlamento, con l’approvazione della
legge quadro sui servizi sociali n. 328/2000, non solo non ha stabilito nessun
diritto esigibile per i minori con gravi difficoltà familiari, ma ha
cinicamente cancellato quelli allora vigenti.
Ne consegue che la totale discrezionalità degli enti locali di provvedere o meno alle esigenze dei minori riguarda anche le prestazioni di sostegno ai nuclei familiari e gli affidamenti a scopo educativo.
Ricordiamo, altresì, che, ai sensi del 5° comma
dell’art. 8 della legge 328/2000, le Regioni possono assegnare alle Province i
compiti relativi all’assistenza ai minori nati fuori del matrimonio, mentre gli
interventi per i fanciulli nati nel matrimonio sono attribuiti dalla stessa
legge alla competenza discrezionale dei Comuni singoli o associati.
Il Parlamento, invece di eliminare l’incivile
discriminazione sopra riferita (7), ha inserito nell’art. 1 della nuova legge
sull’adozione una condivisibile affermazione di principio, che può restare del
tutto disapplicata.
Infatti, mentre è previsto che «lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie
competenze, sostengono con idonei interventi (...) i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di
consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia»,
viene precisato che detti interventi sono forniti «nei limiti delle risorse finanziarie disponibili», nonostante che
per la finanza pubblica le prestazioni domiciliari siano meno onerose rispetto
alle rette di ricovero versate agli istituti di assistenza dal settore
pubblico.
Un’altra prova della insensibilità del Parlamento e
del Governo nei riguardi delle persona più deboli!
Le coppie
adottive dominate dall’egoismo non dovrebbero essere favorite dalla legge
Come da anni ripetiamo, dall’entrata in vigore della
legge 431/1967 ad oggi, tutti i bambini piccoli adottabili sono stati inseriti
presso famiglie adottive. Nello stesso tempo, con un po’ di buona volontà, è
stato possibile reperire, soprattutto quando erano garantiti i necessari
servizi di supporto, coppie disponibili e valide per l’adozione di minori
handicappati, malati o grandicelli.
Però, come anche in questo caso l’esperienza insegna,
va precisato che non tutte le istanze di adozione sono finalizzate ad
assicurare una famiglia ai minori che ne sono privi.
Vi sono anche coloro che vorrebbero un bambino per
risolvere i loro problemi esistenziali o per tentare di sanare conflitti di
coppia.
Le leggi italiane, ma solamente a partire dal 1967,
hanno stabilito che i tribunali per i minorenni devono valutare le capacità
affettive ed educative degli adottanti, il che significa che essi devono
soprattutto essere persone con una forte carica di oblatività nei confronti dei
minori che intendono accogliere.
Se gli aspiranti all’adozione, soprattutto quelli di
età avanzata, volessero veramente il bene dei bambini, accetterebbero che i
pochi fanciulli adottabili siano accolti da coppie, parimenti idonee, che
offrono maggiori garanzie, ad esempio quella statisticamente valida di essere
in vita e in presumibili migliori condizioni di salute fino al momento in cui
il figlio sarà in grado di provvedere a se stesso in modo autonomo.
Gli adottanti, che pretendono un bambino come se fosse
un atto dovuto in base alle loro esigenze, sono quasi sempre persone non più
giovani e con una mentalità rigida. Affidare bambini ai suddetti soggetti è, a
nostro avviso, un rischio che non bisogna assolutamente far correre ai bambini
adottabili.
Spesso i suddetti aspiranti adottanti hanno numerose
conoscenze ed un peso politico non trascurabile nei confronti di molti
parlamentari: solo in questo modo riusciamo a spiegare le scelte, contrarie
all’interesse dei minori, assunte dal Parlamento e dal Governo.
Troppi sono stati i deputati ed i senatori dei vari partiti,
insensibili alle vitali esigenze dei minori, forse anche a causa delle
imminenti elezioni politiche, che si sono fatti portavoce della lobby degli adulti frustrati dalla
mancanza di discendenti.
L’accesso
all’identità dei genitori biologici: la negazione dell’adozione
Il primo comma dell’art. 28 del nuovo testo della
legge 184/1983 prevede quanto segue: «Il
minore adottato è informato di tale sua situazione ed i genitori adottivi
provvedono nei modi e nei termini che essi ritengono più opportuni».
La suddetta informazione è contenuta nell’articolo che
stabilisce la possibilità dei figli adottivi di accedere alle informazioni
relative all’identità dei loro genitori biologici.
Si tratta di una impostazione della questione non
condivisibile. L’informazione al figlio adottivo non deve essere fornita perché
possa in seguito sapere chi l’ha generato. È, invece, la base fondamentale per
un valido rapporto adozionale.
infatti, adottare significa diventare madre e padre di
un minore non procreato: tu sei mio figlio e non ti ho messo al mondo io.
L’informazione non può nemmeno essere un obbligo
imposto dal legislatore; la decisione di dire la verità al proprio figlio deve
essere una condizione sine qua non,
accertata dai servizi sociali e dai tribunali per i minorenni nell’ambito della
valutazione dell’idoneità della coppia adottiva.
Al riguardo, non si possono non denunciare gli aspetti
deleteri delle varie “adozioni” fasulle propagandate da giornali, radio e
televisioni: adozioni a distanza, adotta un papà dei paesi poveri, adotta un
cane, adotta un monumento.
Infatti, l’adozione non è un’azione di solidarietà nei
confronti di un fanciullo senza famiglia. Non è accettabile il travisamento di
una realtà importante come l’adozione: si è figli a tutti gli effetti anche nei
casi in cui non vi siano rapporti biologici con i genitori, bensì valide
relazioni affettive.
È di somma importanza, soprattutto per le famiglie
biologiche, che venga riconosciuto che il vero ruolo fondativo della
filiazione, della maternità e della paternità non consiste nella trasmissione
del Dna; la sua essenza è costituita dai rapporti affettivi reciprocamente
formativi instaurati dai figli (biologici o adottivi) con coloro (genitori
biologici o adottivi) che li hanno accolti, amati e protetti.
A questo proposito, ricordiamo, ancora una volta,
quanto ha sostenuto il 5 settembre 2000 il Pontefice Giovanni Paolo II: «Adottare dei bambini, sentendoli e
trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori
e figli non si misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è
innanzitutto dono di sé. C’è una “generazione” che avviene attraverso
l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne scaturisce è così
intimo e duraturo, da non essere per nulla inferiore a quello fondato
sull’appartenenza biologica. Quando esso, come nell’adozione, è anche
giuridicamente tutelato, in una famiglia stabilmente legata dal vincolo
matrimoniale, esso assicura al bambino quel clima sereno e quell’affetto,
insieme paterno e materno, di cui egli ha bisogno per il suo pieno sviluppo
umano. Proprio questo emerge dalla vostra esperienza. La vostra scelta e il
vostro impegno sono un invito al coraggio e alla generosità per tutta la
società, perché questo dono sia sempre più stimato, favorito e anche legalmente
sostenuto».
Di contenuto analogo, il messaggio inviato dal
Cardinale Carlo Maria Martini agli organizzatori ed ai partecipanti del
convegno europeo “Bambini senza famiglia e adozione” (Milano, 15-16 maggio
1997) in cui viene sottolineato, fra l’altro «l’esigenza molto avvertita da
coloro che vivono personalmente queste forme di accoglienza, di vedere
riconosciuti la piena dignità e il valore della filiazione e della
genitorialità vere» precisando che «la
maternità e la paternità non si identificano semplicemente con la procreazione
biologica, perché “nato da” non è
sinonimo di “figlio di”».
In concreto, l’adozione di un fanciullo è
equiparabile, come aveva sostenuto il dotto giurista Padre Salvatore Lener di Civiltà cattolica ad un innesto. Se si
procede, ad esempio, all’innesto di un pesco su un susino o su un mandorlo, i
frutti belli o brutti, buoni o cattivi, sono sempre e solo pesche, allo stesso
modo di quel che avviene quando le radici sono di pesco.
Nonostante le notevoli prese di posizione sopra
riferite, il Parlamento ha deciso di consentire al figlio adottivo (cfr. l’art.
28) di «accedere a informazioni che
riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici» (8).
La possibilità di riconoscere i propri procreatori è
una ferita profonda, forse mortale, che il Parlamento e il Governo hanno
inflitto all’adozione, disconoscendo la connotazione essenziale sancita dalle
leggi 431/1967 e 184/1983, in base alle quali l’adottato e gli adottanti
costituivano una vera famiglia, avente gli stessi doveri/diritti della famiglia
biologica.
Inoltre, l’accesso alle suddette informazioni
costituisce una intollerabile intromissione dello Stato nell’autonomia delle
famiglie adottive. Se è vero che il figlio adottivo ha il diritto di essere
tempestivamente e correttamente informato della sua situazione (fra l’altro,
non si possono costituire rapporti validi basandoli sulla falsità), se è
altrettanto vero che bisogna tenere conto della storia individuale e
irripetibile di ognuno (si tratti di figlio biologico o adottivo), è
inaccettabile che lo Stato intervenga nel merito dei rapporti interni della
famiglia, in quanto adottiva. Infatti l’intromissione dello Stato è diretta,
sul piano etico e culturale, nonché su quello giuridico, a svalutare la
pienezza dei rapporti fra figli e genitori adottivi ed a rilanciare il mito del
cosiddetto vincolo del sangue.
Come ha giustamente rilevato Marisa Biancardi «chi lavora da molti anni in tema di
adozione sul piano psicologico e psicoterapeutico conosce la fatica di dover
affrontare numerosi pregiudizi. Tra tutti, il più radicato, talvolta
sottaciuto, altre volte proclamato, è quello che sottintende il sospetto che,
per quanto si voglia, e possa dire o tentare di dire bene dell’adozione, un figlio
adottato non potrà mai sentirsi pienamente figlio dei suoi genitori e due
genitori adottivi restano per sempre genitori non del tutto veri, non
“naturali”» (9).
Appello ai
magistrati minorili ed agli operatori sociali
Il destino di migliaia di fanciulli totalmente privi
di adeguate cure da parte dei loro congiunti è fortunatamente ancora nelle mani
dei magistrati minorili ed anche degli operatori sociali.
Si tratta, com’è arcinoto, di minori che spesso hanno
sofferto e soffrono a causa delle carenze familiari (a volte a seguito di
violenze e di trascuratezze durate anni) e del ricovero in istituto.
Compete ai giudici affidare i bambini a coppie idonee
sia al momento dell’inserimento, sia ancora valide, per quanto prevedibile,
durante l’adolescenza dei fanciulli adottati.
Per questo motivo rivolgiamo un pressante appello ai
magistrati dei tribunali per i minorenni, delle Corti di appello e della
Cassazione e delle relative Procure, nonché agli operatori dei servizi sociali
affinché interpretino le nuove norme alla luce delle esigenze preminenti dei
minori.
(*) Prossimamente prenderemo
in esame le norme della nuova legge, di cui si attende la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, anche per quanto
riguarda l’affidamento familiare a scopo educativo, nonché le disposizioni non
commentate in questo articolo.
(1) Cfr. l’editoriale del n.
132, ottobre-dicembre 2000, di Prospettive
assistenziali.
(2) I tribunali per i
minorenni ed i servizi sociali più attenti ai bisogni dei minori in difficoltà,
hanno informato le coppie, a cui non veniva dato un bambino in affidamento
preadottivo, in merito alle esigenze dei minori handicappati o malati o
grandicelli. Un numero non irrilevante di fanciulli ha così potuto essere
positivamente inserito presso valide famiglie adottive.
(3) Com’è noto, numerosi sono
i bambini di razza nera adottabili, ma le richieste di adozione che li
concernono sono molto scarse sia in Italia che negli altri Paesi.
(4) Migliaia sono i minori
stranieri che arrivano in Italia per soggiorni turistici o per motivi di studio
o per ragioni sanitarie.
(5) Ai sensi del medesimo
art. 22 «con provvedimento motivato, il
termine entro il quale devono concludersi le indagini può essere prorogato una
sola volta e per non più di centoventi
giorni».
(6) Si tratta, fra gli altri
provvedimenti, dei regi decreti 6535/1889, 773/1931 e 383/1934, nonché della
legge 2838/1934 e del Dpr 616/1977.
(7) Il Presidente della
Repubblica non ha recepito la richiesta presentata dall’Anfaa e dall’Ulces di
non promulgare il testo di riforma dei servizi sociali approvato dalla Camera
dei deputati e dal Senato a causa della discriminazione fra i minori nati nel e
fuori del matrimonio, discriminazione che palesemente contrasta con il
principio di uguaglianza dei cittadini sancito dalla legge fondamentale dello
Stato.
(8) Lo stesso articolo 28
prevede che «l’accesso alle informazioni
non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla
madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato
di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a
condizione di rimanere anonimo». Si osservi che il legislatore ha definito
“madre” colei che ha procreato il bambino; essa, nemmeno sul piano giuridico,
può essere così chiamata in quanto non ha proceduto al riconoscimento del
proprio nato.
(9) Cfr. M. Biancardi, “Davanti a un figlio
acquisito molti risentono dei pregiudizi genetici”, Avvenire, 10 settembre 2000. Sull’argomento si vedano E. De Rienzo,
C. Saccoccio, F. Tonizzo, G. Viarengo, “Storie di figli adottivi. L’adozione
vista dai protagonisti”, Utet Libreria, Torino, 1999; N. Quémada, “Cure materne
e adozione”, Utet Libreria, 2000; D. Ghezzi, “L’adozione: diventare madri,
padri e figli”, Prospettive assistenziali,
n. 130, 2000.
www.fondazionepromozionesociale.it