Prospettive
assistenziali, n. 133, gennaio-marzo 2001
Regioni,
asl e comuni violano da anni i diritti degli anziani malati cronici, ma il
segretario generale della uil pensionati attacca il csa
Silvano Miniati, Segretario generale della Uil
pensionati, nella relazione introduttiva del convegno di Roma del 4 ottobre
2000 “Un piano nazionale per la non autosufficienza: le proposte dei Sindacati
confederali dei pensionati” (1) ha richiamato il documento “Diritti ed esigenze
delle persone gravemente non autosufficienti”, presentato il 10 marzo 1986
presso la sala del Cenacolo della Camera dei deputati.
Purtroppo, il Segretario generale della Uil pensionati
non ha ricordato ai sindacalisti presenti al convegno del 4 ottobre 2000 i
contenuti del suddetto documento, di cui trascriviamo le undici dichiarazioni
(2), forse perché sono ancora oggi pienamente valide e la loro inosservanza da
parte della Uil, che aveva contribuito alla sua redazione e l’aveva
sottoscritto, ne può mettere in crisi l’operato:
«1) la prevenzione
va garantita a tutti;
«2) la
prevenzione va garantita soprattutto agli anziani, assieme alle cure e alla
riabilitazione, per ogni tipo di malattia, fisica o psichica;
«3) secondo
quanto affermato nella Costituzione italiana, tutte le persone colpite da
malattia hanno diritto ai necessari trattamenti curativi e riabilitativi;
«4) tutte le
persone colpite da malattia hanno diritto a trattamenti sanitari forniti senza
omissioni o ritardi. Soprattutto i pazienti anziani, e più in generale quelli
parzialmente o totalmente non autosufficienti, hanno diritto a cure che
garantiscano la sopravvivenza e una dignitosa vita personale. Non sono
tollerabili disattenzioni che provocano peggioramenti, aggravamenti, nuove
patologie;
«5) nessuno
può negare le cure col pretesto che il malato non guarirà più, essendo cronico:
inguaribile non significa incurabile. Anche se non si può guarire si può
migliorare, continuare, cercare di non peggiorare la situazione, sperando e
lavorando, curando e riabilitando, senza accanimento terapeutico;
«6) tutte le
potenzialità culturali devono essere utilizzate per ridurre al minimo le
conseguenze negative degli stati di cronicità e di non autosufficienza;
«7) ogni
persona cronica, come tutti i cittadini, ha diritto, se malata, ad essere
curata e riabilitata. Questo diritto è rafforzato dalla condizione di parziale
o totale non autosufficienza. Il Servizio sanitario nazionale non può delegare,
in nessun caso – né del tutto né in parte – obiettivi suoi propri
sanciti dalla legge istitutiva (art. 2, legge 23 dicembre 1978, n. 833). Non è
possibile modificare con semplici atti amministrativi, quanto stabilito dalla
legislazione vigente (3);
«8) non è
accettabile che alle persone malate croniche, o ai loro parenti, siano
addossati oneri più gravosi degli altri cittadini. Sarà piuttosto necessario
prevedere delle agevolazioni (sussidi economici, servizi gratuiti, agevolazioni
nel rapporto di lavoro, esenzione dal ticket), affinché sia sostenuta l’opera
della famiglia e della solidarietà sociale;
«9) il
Servizio sanitario nazionale deve istituire l’ospedalizzazione a domicilio
delle persone malate croniche non autosufficienti. Gli Enti locali, le Regioni,
nei loro ambiti di competenza, orienteranno in tal senso le loro risorse. Tale
nuova impostazione esige un ripensamento articolato dal punto di vista
organizzativo, formativo, finanziario;
«10) la
formazione di base e permanente degli operatori sanitari, l’umanizzazione degli
ospedali, degli ambulatori e degli interventi domiciliari devono costituire un
impegno costante del Servizio sanitario nazionale. Tale formazione deve essere
orientata verso i malati cronici in modo adeguato, permettendo l’acquisizione
di nuovi comportamenti professionali, più rispondenti alle necessità dei
cittadini malati e del sistema;
«11) la
continuità terapeutica deve essere garantita anche nella fase non acuta della
malattia. Le prestazioni ai malati cronici debbono essere fornite dal settore
sanitario realizzando il collegamento tra fasi acute e quelle croniche. Tale
sintesi può essere ottenuta ottimamente con la ospedalizzazione a domicilio.
Nel caso di ospedalizzazione a domicilio non saranno richiesti né ticket né
spese aggiuntive ai cittadini e ai loro familiari».
Presentando il suddetto documento nell’incontro del
maggio 1986, il noto giurista Pietro Rescigno aveva rilevato che il decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 agosto 1985 era certamente
anticostituzionale e illegittimo in quanto, pur avendo detto provvedimento
solamente natura amministrativa, tendeva nella sostanza a modificare i diritti
dei cittadini sanciti da leggi approvate dal Parlamento (4).
A sua volta, Mons. Giovanni Nervo aveva precisato
quanto segue: «La tutela della salute è
un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione. Nell’attuale
ordinamento legislativo la cura della salute è gratuita per tutti i cittadini.
L’anziano malato cronico non autosufficiente, anche se stabilizzato, è un
malato con tutti i suoi diritti di cittadino alla tutela della salute.
«Mentre
l’ospedale nella fase acuta e in quella di riabilitazione tutela, bene o male,
il diritto dei cittadini alla salute, non altrettanto può dirsi per molte delle
attuali case di riposo, che si chiameranno strutture protette socio-sanitarie,
garantiscano il “mantenimento” allo stato di stabilizzazione raggiunto, se
funziona, dall’ospedale. La conseguenza è che ci sono i cittadini di categoria
A che godranno della tutela della salute nella fase acuta e nella fase di
riabilitazione perché poi rientreranno nel circuito più o meno attivo e
produttivo, o comunque per il momento non graveranno ulteriormente sulla
società; e ci saranno i cittadini di categoria B, gli anziani malati cronici
non autosufficienti stabilizzati, che saranno emarginati nei cronicari senza
nessuna garanzia effettiva, nella situazione attuale, che la loro salute sia
realmente curata, sia pure in ambiente diverso, con modalità e con ritmi
diversi: cioè perdono parzialmente il diritto alla tutela della salute perché
non sono più produttivi, attivi o comunque autosufficienti e perciò costano
troppo alla collettività.
«Quello che
si chiede è che si eviti l’errore della legge 180: non basta supporre i servizi
adeguati, fuori dall’ospedale, bisogna organizzarli e garantirli prima di
estromettere gli anziani dall’ospedale. Rimane l’altro problema, quello del
pagamento della retta alberghiera. Se l’anziano malato cronico non
autosufficiente stabilizzato continua ad essere un malato, perché deve pagare
la retta alberghiera, che invece non pagava quando era in fase acuta o di
riabilitazione?
«Non è una
penalizzazione e una discriminazione dei più deboli, proprio nel momento in cui
avrebbero maggior bisogno di risorse, perché ad esempio hanno bisogno di
assistenza infermieristica integrativa e non hanno più i familiari accanto?
«Si dice: se
hanno risorse, è giusto che paghino. Può essere un criterio giusto, ma allora
deve essere applicato a tutti i cittadini malati, anche a quelli che sono
curati nella fase acuta e nella fase di riabilitazione. In fondo la Costituzione
lo consente, perché il vincolo delle cure gratuite è limitato agli indigenti.
Si tratta di modificare la linea politica sociale, ma non si può partire a
tagliare dai più deboli».
Le accuse di
Miniati al Csa
Nella relazione tenuta al citato convegno di Roma del
4 ottobre 2000, Miniati rammenta che nel 1990 era stata ipotizzata «la creazione di un grande schieramento
unitario rotante attorno ai Sindacati dei pensionati, che affrontasse il
problema della non autosufficienza con la forza necessaria».
Tale disegno – ha proseguito il Segretario
generale della Uil pensionati – «si è
realizzato solo in parte. Con altri gruppi, invece, i rapporti si sono
deteriorati. (...) Con il Csa e altri
gruppi registriamo infatti un dissenso netto in merito alla legge di riforma
dell’assistenza», dissenso che – aggiungiamo noi – riguarda in
particolare la questione del diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici
non autosufficienti.
Silvano Miniati ha anche aggiunto che il Csa e gli
altri gruppi «hanno scatenato una vera e
propria campagna denigratoria» nei confronti dei sindacati confederali dei
pensionati; è arrivato addirittura ad affermare che «gli emendamenti sostenuti dal Csa e da altri apparentemente, e solo in
qualche caso, migliorerebbero la legge, ma di fatto ne impedirebbero
l’approvazione entro la fine della legislatura» (5).
Osserviamo che Miniati, che non ha fornito ai
partecipanti del convegno del 4 ottobre 2000 i necessari elementi oggettivi di
valutazione, non ha detto che gli emendamenti predisposti dal Csa riguardavano
in primo luogo il riconoscimento del diritto esigibile alle prestazioni per i
soggetti che, se non sono assistiti, o muoiono (bambini figli di ignoti,
handicappati intellettivi non autosufficienti e orfani o privi di validi
sostegni da parte dei loro genitori o di altri congiunti, ecc.), oppure cadono
nel baratro dell’emarginazione sociale (soggetti e nuclei familiari non in
possesso di mezzi economici o di altra natura indispensabili per vivere,
persone senza fissa dimora, uomini e donne che intendono uscire dalla schiavitù
della prostituzione, ecc.).
Fra gli altri emendamenti più importanti sostenuti dal
Csa, segnaliamo quelli diretti a salvaguardare la destinazione esclusiva dei
patrimoni delle Ipab (ammontanti complessivamente a 107-140 mila miliardi) (6)
ai servizi di assistenza, l’eliminazione della odiosa separazione praticabile
dalle Regioni fra gli interventi rivolti ai minori nati nel matrimonio
(discrezionalmente affidati ai Comuni) e quelli per i nati al di fuori di esso
(affidabili dalle Regioni alle Province o ad enti diversi dai Comuni).
Inoltre, altre iniziative erano state avviate dal Csa
per ottenere il rispetto delle leggi vigenti che attribuiscono al Servizio
sanitario nazionale il compito di curare anche gli anziani cronici non
autosufficienti nello stesso modo con cui deve provvedere nei confronti degli
altri malati. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il Csa riproponeva i
contenuti del sopra citato documento “Diritti ed esigenze delle persone
gravemente non autosufficienti” al quale Silvano Miniati aveva dato la sua
adesione non solo come Segretario generale della Uil pensionati, ma anche a
nome della Direzione nazionale della stessa Uil.
Su questi problemi e sulle altre questioni, mai il Csa
ha scatenato, come sostiene Miniati «una
vera e propria campagna denigratoria» nei confronti di Cgil, Cisl e Uil. Ha
solamente denunciato, riferendo fatti concreti, l’inattività dei Sindacati dei
pensionati nei riguardi delle esigenze e dei diritti dei cittadini più deboli e
l’inerzia pluriennale nei confronti della illegale e spesso selvaggia
espulsione dalle competenze del Servizio sanitario nazionale degli anziani
cronici non autosufficienti, dei malati di Alzheimer e dei pazienti
psichiatrici con limitata o nulla autonomia.
Il Csa non ha agito e non agisce, come malignamente ha
sostenuto Miniati per «far propria la
teoria dei duri e puri», ma semplicemente per rivendicare i diritti sanciti
dalle disposizioni vigenti, il cui riferimento fondamentale è rappresentato
dalla validissima legge 692/1955, lodevolmente voluta proprio dai Sindacati,
legge che ha riconosciuto il diritto – mai cancellato o limitato da altre
norme – dei pensionati e dei loro congiunti alle cure sanitarie gratuite e
senza limiti di durata, comprese – occorrendo – quelle fornite dagli
ospedali e da altre strutture sanitarie (7).
Abbiamo accusato e accusiamo i Sindacati dei
pensionati di non aver operato, dall’approvazione del documento citato (1986)
ad oggi, per impedire le dimissioni ospedaliere degli anziani cronici non
autosufficienti, iniziativa che ha sempre esito positivo salvo che i congiunti
accettino soluzioni differenti, con il semplice invio da parte dell’interessato
o dai parenti di due lettere raccomandate indirizzate al direttore generale
dell’Asl e al direttore sanitario dell’ospedale in cui il soggetto è ricoverato
(8).
Al riguardo non è assolutamente vero quanto sostiene
Miniati e cioè che esistono norme aventi valore di legge (ad esempio i Dgr) che
regolamentano «la durata della degenza a
seconda della patologia».
In quale legge Miniati ha letto che la degenza negli
ospedali o nelle case di cura convenzionate con il Servizio sanitario nazionale
è limitata dai Dgr o da altre disposizioni?
Invece, siamo d’accordo con il Segretario generale dei
pensionati Uil sulla necessità del riconoscimento concreto del «principio che l’anziano non deve più essere
dimesso in assenza di soluzioni alternative quali: l’ospedalizzazione
domiciliare, le Rsa o, prioritariamente, l’assistenza domiciliare
socio-sanitaria» (9).
Per evitare le dimissioni selvagge non c’è la
necessità di nessuna legge: sono sufficienti le disposizioni attuali. Ma, per
quali motivi, Cgil, Cisl e Uil non intervengono?
Concordiamo anche con il giudizio dato da Miniati
sulle Rsa che in molti, troppi casi sono «la
beffa di strutture private alle quali si è soltanto cambiata la targa all’ingresso:
da manicomi a cronicari e a Rsa» (10).
Ma, anche a questo riguardo, gradiremmo conoscere
quali sono state le iniziative dei Sindacati dei pensionati e soprattutto quali
saranno gli impegni concreti assunti perché la situazione cambi in modo che
– finalmente – siano rispettate le esigenze ed i diritti dei vecchi
malati.
Le basi per una collaborazione fra il Csa ed i
Sindacati (di cui è nota la forza contrattuale non posseduta da nessuna
organizzazione di volontariato) ci sono, visto che Miniati, nella relazione in
oggetto, ha affermato che «occorre avere
ben presente che un non autosufficiente è un malato cronico e grave, e quindi
che anche alcune prestazioni apparentemente di carattere alberghiero possono
far parte essenziale della cura e devono quindi essere considerate a tutti gli
effetti sanitarie».
Infatti, il riconoscimento della condizione di malati
è sempre stato l’elemento imprescindibile dell’azione del Csa.
Al riguardo, ricordiamo che, mentre la Uil pensionati
aveva sottoscritto il già citato documento “Diritti ed esigenze delle persone
gravemente non autosufficienti”, che partiva dalla constatazione dell’obbligo
– sancito dalle leggi vigenti – del Servizio sanitario nazionale di
garantire le cure anche agli anziani malati cronici, la Cgil pensionati, aveva,
invece, assunto una posizione nettamente contraria (11). Successivamente la Uil
e la Cisl pensionati si erano allineate alla linea della Cgil (12), il cui
Segretario generale, Sergio Cofferati, è poi arrivato ad affermare che «essere anziani cronici non è una malattia»
(13).
I parenti
tenuti agli alimenti
Nella relazione in oggetto, è stata inoltre sollevata
la questione dei parenti tenuti agli alimenti, che – afferma Miniati – «è una situazione che si sta aggravando in
modo drammatico per tante famiglie».
Stupisce che il Segretario generale della Uil non
abbia ancora capito, nonostante l’imponente documentazione disponibile, che le
leggi vigenti non consentono agli enti pubblici di pretendere contributi
economici dai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di assistiti
maggiorenni (14).
Sarebbe urgente che si aggiornasse visto che, come
risulta dalla pubblicazione della Presidenza dei Ministri, Ufficio del Ministro
per la solidarietà sociale “Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”, ottobre 2000, «nel corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese sotto la
soglia di povertà a fronte del carico di spesa sostenuto per la “cura” di un
componente affetto da una malattia cronica».
Purtroppo, nonostante innumerevoli tentativi, finora
il Csa non è riuscito ad ottenere dai Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e
Uil, sia a livello nazionale che locale, appoggi di sorta per far cessare le
truffaldine richieste di contributi economici ai parenti di assistiti
maggiorenni, imposte da Comuni e Asl spesso con odiosi ricatti: o voi firmate
l’impegno a pagare o il vostro congiunto non verrà ricoverato nella Rsa o altra
struttura.
Nei numerosi contratti sottoscritti dai Sindacati dei
pensionati Cgil, Cisl e Uil con Regioni, Comuni e Asl nulla viene detto né
sulla illegale esclusione degli anziani cronici dagli interventi esercitati dal
Servizio sanitario nazionale nei confronti dei malati giovani e adulti;
inoltre, è sempre accettata l’imposizione – anch’essa illegittima – di
contributi economici ai parenti dei vecchi malati ricoverati in strutture a
carattere residenziale.
Sono queste, e solo queste, le questioni che
attualmente dividono il Csa dai Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil.
Se potranno essere superate, evidenti saranno le
conseguenze positive per gli anziani malati di oggi e di domani.
(1) Il testo della relazione è riportato sul n. 163/164,
settembre-ottobre 2000 di Il cittadino
pensionato, mensile della Uil pensionati.
(2) Il documento è stato integralmente pubblicato sul n. 75, 1986, di Prospettive assistenziali. Sul n. 77,
1987, era riportato l’elenco delle numerose adesioni.
(3) Si fa riferimento al decreto amministrativo del Presidente del
Consiglio dei Ministri dell’8 agosto 1985 (n.d.r.).
(4) L’affermazione del Prof. Rescigno è stata confermata dalla sentenza
della Corte di Cassazione n. 10150 del 1996.
(5) Al momento della relazione tenuta da Silvano Miniati (4 ottobre
2000), il testo di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali, già approvato
dalla Camera dei Deputati, era all’esame del Senato. Nello stesso numero di Il cittadino pensionato in cui è
pubblicata la relazione di Silvano Miniati, è commentata molto favorevolmente
la legge quadro sull’assistenza e sui servizi sociali con numerose affermazioni
prive di qualsiasi fondamento. Ad esempio, nonostante che nella legge 328/2000
non sia previsto nessun diritto esigibile (ad esclusione delle prestazioni
economiche da anni erogate agli invalidi civili, ai ciechi ed ai sordomuti),
sul mensile della Uil si sostiene che «le
persone in difficoltà potranno contare su una rete di servizi personalizzati
che dovranno essere garantiti su tutto il territorio nazionale: dall’assistenza
domiciliare per gli anziani, ai servizi per l’infanzia; dai percorsi di
inserimento per i disabili, ai finanziamenti a tasso zero per le famiglie in
difficoltà; dalle agevolazioni fiscali e tariffarie a favore delle famiglie che
assumono responsabilità di cura per disabili e anziani, ai bonus per l’acquisto
dei servizi; dal reddito minimo di inserimento, all’assegno di cura per
l’accudimento di persone non autonome».
Nulla, inoltre, viene detto sulle migliaia di miliardi delle Ipab ed ex
Ipab non più destinati in via esclusiva alle persone ed ai nuclei familiari in
difficoltà dalla legge 328/2000.
(6) Precisiamo ancora una volta che ammontano a 37-50 mila miliardi i
beni delle Ipab ancora funzionanti; 40-50 mila miliardi è il valore stimato dei
patrimoni delle Ipab estinte trasferiti ai Comuni o ad altri enti; infine
valgono 30-40 mila miliardi le proprietà immobiliari e mobiliari assegnate a
titolo gratuito ad organizzazioni private a seguito della sentenza della Corte
costituzionale n. 396/1988.
(7) Cfr. F. Santanera, “Sancito dalla legge 4 agosto 1955 n. 692 il
diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie, comprese
quelle ospedaliere”, Prospettive
assistenziali, n. 73, 1986 e 119, 1997.
(8) Cfr. F. Santanera e M.G. Breda, Come
difendere i diritti degli anziani malati, UTET Libreria, Torino, 1999.
(9) Come ripetiamo da anni, a nostro avviso le Rsa devono essere
«strutture a valenza essenzialmente sanitaria» com’è indicato nel regolamento
della Rsa gestita direttamente dall’Asl 4 di Torino.
(10) A nostro avviso, le numerose e gravissime violenze che subiscono
molto spesso gli anziani ricoverati in strutture private e nelle pensioni
abusive, a volte veri e propri lager, sono una diretta conseguenza della loro
appartenenza al settore assistenziale. Al riguardo è significativo che questi
episodi siano di gran lunga inferiori nei complessi privati appartenenti al
settore sanitario.
(11) Cfr. l’editoriale “Il Sindacato pensionati Cgil contro il diritto
degli anziani cronici non autosufficienti alle cure ospedaliere”, Prospettive assistenziali, n. 75, 1986.
(12) Cfr. “Preoccupante rivolta dei Sindacati in materia di anziani
cronici non autosufficienti”, Ibidem, n.
105, 1994.
(13) Cfr. “Cgil, Cisl e Uil negano lo stato di malattia degli anziani
cronici non autosufficienti”, Ibidem,
n. 119, 1997.
(14) Come abbiamo più volte ripetuto, pur essendo
consapevoli che, in base alle disposizioni in vigore, le cure devono essere
fornite gratuitamente e senza limiti di durata anche agli anziani cronici non
autosufficienti, il Csa accetta che ai suddetti soggetti ricoverati presso Rsa
e altre strutture sanitarie sia imposto un contributo non superiore a 50 mila
lire giornaliere, da calcolare esclusivamente sui loro redditi pensionistici.
Le attuali quote alberghiere superano in molti casi le 100 mila lire al dì.
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