Prospettive
assistenziali, n. 134, aprile-giugno 2001
Libri
Ivo colozzi - Pierpaolo
donati (a cura di), La sanità non profit - Il ruolo del privato sociale nei servizi
sanitari, Maggioli Editore, Rimini, 2000, pag. 261, L. 38.000
Il volume propone i risultati e le riflessioni
scaturite da una approfondita ricerca sul ruolo delle organizzazioni senza fini
di lucro come pilastro dei sistemi pubblici di tutela della salute dei
cittadini.
Nella parte prima sono analizzati i progetti di
riforma elaborati dai principali paesi europei, nell’ottica del ruolo assegnato
al privato, in particolare alle organizzazioni senza fini di lucro, nella
gestione dei servizi. Oltre alle esperienze europee è sembrata particolarmente
significativa la valutazione delle esperienze della HMOs (health maintenance organizations) sviluppatesi negli Stati Uniti
soprattutto al livello della medicina di base e specialistica.
Nella parte seconda si è ricostruita, attraverso una
apposita indagine empirica, una mappa del ruolo già svolto dalle organizzazioni
senza fini di lucro nel settore sanitario in Italia, con particolare
riferimento alle cure ospedaliere, poliambulatoriali e domiciliari.
Il volume si conclude (parte terza) indicando una
prospettiva per il futuro che propone un superamento delle vecchie logiche a
favore di un modello di servizio sanitario capace di mettere in relazione il
settore pubblico e il privato-sociale secondo logiche di reciproca promozione.
Patrizia
taccani, Alessandra tognetti, susanna de bernardinis, aurelia florea, enrica
credentino, Curare e prendersi cura - Manuale per
l’operatore di contatto nella gestione della relazione con l’anziano e la sua
famiglia, Carocci Editore, Roma, 1999, pag. 142, L. 25.000
Dal 1995 al 1998, finanziato dalla Fondazione Finney,
è stato realizzato nel territorio della Provincia di Viterbo un progetto pilota
sugli interventi polivalenti a sostegno della famiglia per quanto riguarda il
compito di cura e assistenza alle persone anziane non autosufficienti. Fra le
varie iniziative sono state svolte azioni formative aperte a più professioni
allo scopo di favorire l’apprendimento delle tecniche fondate per il lavoro di
gruppo.
Base del progetto è stata la constatazione che «farsi carico di un malato che si trova
nella condizione di perdita dell’autosufficienza richiede un cambiamento del
concetto stesso di cura e del curare (...) che deve evolvere dal parametro tradizionale inteso come
“identificazione del problema - rimedio - guarigione”, a quello di
“identificazione del problema - identificazione e potenziamento delle capacità
residue - miglioramento della qualità della vita”».
La formazione, quale strategia di cambiamento nel
nuovo contesto della domanda e dell’offerta dei servizi, è l’argomento
sviluppato di A. Florea e E. Credentino. Gli aspetti relativi alla
comunicazione, all’atteggiamento empatico e alle dinamiche familiari sono
analizzati da P. Taccani. Il burn out
e l’elaborazione del dolore sono le questioni trattate da A. Tognetti.
Infine S. De Bernardinis ha preso in esame le problematiche
concernenti la tutela giuridica e sociale dell’anziano non autosufficiente. Al
riguardo sottolineiamo che l’Autore sostiene che «tutti i cittadini hanno diritto alle cure sanitarie senza alcuna
distinzione; tutti hanno il medesimo diritto alla salute, tanto più gli anziani
non autosufficienti».
SILVIO BERTOTTO, Per
una storia dei servizi sociosanitari nell’area metropolitana torinese - Settimo
1955-1999, Carocci Editore, Roma, 1999, pag. 215, L. 30.000
Situato nella prima cintura del capoluogo regionale,
Settimo Torinese è uno dei centri più industrializzati del Piemonte. A partire
dagli anni del boom economico il territorio settimese è stato oggetto di vaste
e repentine trasformazioni industriali, urbanistiche e demografiche. Per
effetto dei flussi migratori dal Veneto e dal Mezzogiorno d’Italia, Settimo
balzò dai 15.000 abitanti del 1960 ai quasi 40.000 del 1970. Questo impetuoso
sviluppo economico, in gran parte autonomo rispetto all’indotto Fiat e basato
su una specializzazione che fa della città il principale distretto industriale
italiano del settore della penna, ha costretto gli amministratori cittadini ad
affrontare precocemente le conseguenze di una espansione così intensa e veloce
che hanno condizionato la qualità della vita. Si scopre così che una comunità
locale ha saputo elaborare qualificati progetti d’intervento in alcune delle
più complesse e delicate situazioni del disagio urbano e sociale.
Attraverso l’esame dei servizi sociali esistenti,
questo saggio di microstoria offre molteplici spunti d’interesse in relazione
ai “modelli locali di sviluppo”, alle controtendenze rispetto ai fenomeni di
disgregazione e di malessere urbano, ad un possibile superamento della frattura
tra amministratori e amministrati, tra paese legale e paese reale.
MILENA PORTOLANI, LUIGI VITTORIO BERLINI, È Francesca e basta, Edizioni La
Meridiana, Molfetta (Bari), 1998, pag. 192, L. 20.000
Milena Portolani è una signora di Forlì, mentre Luigi
Vittorio Berlini vive e lavora a Roma. Si sono conosciuti tramite Internet e
per via telematica si sono scambiati le loro esperienze vissute in merito ai
loro figli con handicap. Il libro è costituito dalle lettere che gli Autori
hanno inviato e ricevuto.
Milena Portolani è «riuscita
a superare la china della disperazione» trovando la forza di esprimere il
suo dolore ad uno sconosciuto.
Adesso scrive: «Mi
piacerebbe che chiunque leggesse questa raccolta di lettere, ne traesse
speranza, specialmente tutte quelle persone che soffrono nella solitudine. So
benissimo che quando si soffre è difficile, anzi è raro, trovare qualcuno
capace di ascoltare senza pietismi e senza condizioni. A me è successo».
MASSIMO MENGANI, GIOVANNI LAMURA, MARIA GABRIELLA
MELCHIORRE, L’assistenza famigliare agli
anziani - La situazione nel Comune di Senigallia, Il Lavoro Editoriale,
Ancona, 1999, pag. 167, L. 20.000
Non possiamo concordare con quanto è affermato, nella
presentazione del volume, da Massimo Mengani, responsabile del progetto di
ricerca e da Claudio Franceschi, direttore scientifico dell’INRCA (Istituto
nazionale di ricovero e cura) e cioè che l’anziano malato non autosufficiente
sia un soggetto “da accudire” o di cui avere “cura” nel senso di pratiche
materiali e sostegno. Anche se inguaribile, è pur sempre una persona che ha
prioritariamente bisogno di “cure sanitarie” e cioè mediche, infermieristiche
e, in certi casi, riabilitative.
Certamente questi interventi devono essere forniti non
solo con la necessaria competenza tecnica, ma anche con l’indispensabile
supporto umano, relazionale e sociale.
Rileviamo, inoltre, che nel volume si fa riferimento
all’anziano cronico non autosufficiente come soggetto disabile. È ovvio che le
persone (e non solo quelle anziane) colpite da malattie invalidanti presentano
anche varie situazioni di disabilità. Tuttavia queste evidenti circostanze non
possono mai far venir meno l’esigenza delle cure ai malati, compresi quelli
colpiti da patologie inguaribili.
Nelle conclusioni del volume, è ricordata la ormai
riconosciuta priorità delle cure domiciliari. Non viene, però, segnalato che
l’assistenza domiciliare integrata, pur essendo di fondamentale importanza,
molto spesso non è in grado di intervenire adeguatamente nei confronti dei
malati molto gravi. Di qui la necessità, a nostro avviso, dell’unificazione dell’assistenza
domiciliare integrata con il servizio di ospedalizzazione a domicilio.
Inoltre, per un aiuto effettivo ai malati di
Alzheimer, riteniamo che debba essere promossa la costituzione di centri diurni
aperti per almeno 5 giorni alla settimana per non meno di 40 ore.
GIOVANNI CRAVANZOLA (a cura di), Come a casa, solo a casa. Per una migliore vecchiaia, Graf Art
Editore, Manta (Cuneo), 1999, pag. 79,
L. 10.000
Nell’introduzione, Don Benzi afferma giustamente che «gli anziani sono persone, soggetti di
diritti e doveri come tutti i cittadini». Può sembrare una frase banale;
invece è il principio basilare per una politica sociale veramente non
emarginante nei confronti dei vecchi. Pienamente condivisibile anche un’altra
osservazione di Don Benzi: «L’anziano che
rimane solo, o che si ammala e diventa cronico, che è affetto da demenza
precoce o da altri malanni, ha bisogno di rimanere in famiglia».
Tuttavia, non dovrebbe essere trascurato il diritto
degli anziani (e di tutti gli individui) malati di essere curati senza eccessi
terapeutici, ma senza abbandonarli a loro stessi, vivano a casa loro o in
ospedale o in altra struttura. È troppo esteso il concetto che le persone
inguaribili siano incurabili, per non affrontare questo problema.
Per il Servizio sanitario nazionale è comodo
promuovere a parole la permanenza in famiglia dei vecchi, troppo spesso senza
fornire le necessarie cure mediche e infermieristiche. Occorre, dunque, non
solo agire affinché vengano assicurati gli indispensabili interventi sanitari
domiciliari, ma pretendere che essi siano garantiti anche nelle strutture
residenziali.
Fabrizio Dalla Villa, Ah, sì? (Una
storia, una carezza), Silvia Editrice (Via Mozart 43, Cologno Monzese),
1999, pag. 107, senza indicazione del prezzo
L’Autore, colpito da un grave handicap fisico,
racconta le sue esperienze. Nato il 30 dicembre 1958 a Besana in Brianza, una
cittadina che dista una trentina di chilometri da Milano, nell’ottobre del 1964
viene ricoverato nell’istituto di Ponte Lambro gestito dalla “Nuova Famiglia”.
Scrive Fabrizio: «Non
avevo ancora compiuto i sei anni e mi sembrava di essere stato così poco con la
mia famiglia... Mi riusciva difficile accettare qualsiasi tipo di spiegazione
in merito al ricovero. È vero: i miei genitori desideravano tanto che io
potessi camminare e, poiché i medici da loro interpellati li consigliarono di
agire in tal senso, dovettero ascoltarli, anche perché non erano in grado di
dimostrare il contrario».
Le condizioni di vita sono problematiche e l’Autore
osserva: «Dovetti imparare molto presto
come fosse difficile, se non impossibile, riuscire a confidarmi col personale
dell’istituto» anche perché «la vita
a Ponte Lambro ricordava abbastanza da vicino quella militare».
Nonostante che l’esperienza degli anni trascorsi in
istituto abbia lasciato «un segno
indelebile, per cancellare il quale sarebbero stati necessari ancora moltissimi
sforzi», Fabrizio punta decisamente alla sua autonomia, anche finanziaria.
Conseguito il diploma di ragioniere, nel settembre del 1978 si iscrive nelle
liste del collocamento obbligatorio e, dopo diverse vicissitudini, finalmente
viene assunto e nel 1991 si sposa.
La vicenda di Fabrizio Dalla Valle è molto istruttiva
sotto tanti punti di vista, specialmente per tutti coloro che si occupano dei
problemi delle persone “diversamente abili”.
Renato
pigliacampo, Ascolta il mio
silenzio, Edizioni Cantagalli, Siena, pag. 133, L. 18.000
Nel corso degli ultimi decenni, i soggetti sordi hanno
conquistato la loro piena dignità di persone e, quindi, il loro diritto di
vivere nella società di c sono parte, alla pari con gli altri cittadini.
Renato Pigliacampo è un esempio di questa
emancipazione. Divenuto sordo a dodici anni, ha conseguito la laurea ed ha
insegnato in una scuola per sordi. Attualmente lavora con la qualifica di
psicologo dirigente di primo livello dell’ASL di Recanati-Civitanova Marche ed
è docente nei corsi di specializzazione dell’Università di Urbino.
Per venticinque anni ha diretto il trimestrale Il sordudente.
Nel volume sono raccolte le poesie scritte da Renato
Pigliacampo e rivolte a tutti noi e non solo ai “fratelli nel silenzio”.
Le edizioni Cantagalli hanno
sede in via Massetana Romana 12, Siena.
www.fondazionepromozionesociale.it