Prospettive
assistenziali, n. 134, aprile-giugno 2001
famiglia
e salute: differenze e DISUGUAGLIANZE di mortalità a torino negli anni novanta
Mario cardano (*), giuseppe costa (**), Moreno demaria (*), Gian lorenzo venturini (**)
1.
Introduzione
Nello studio dei meccanismi che legano le traiettorie
sociali degli individui alle loro sorti sul piano della salute e della
malattia, la famiglia costituisce un luogo di osservazione privilegiato. È
noto, e ampiamente documentato in letteratura, il legame tra le condizioni di
vita nella primissima infanzia e lo stato di salute nell’età adulta (Lundberg
1993; Power, Manor e Fox 1991; Wadsworth 1991, 1999).
Nella determinazione delle condizioni materiali e
culturali del processo di socializzazione primaria, la famiglia gioca un ruolo
di primo piano per la costruzione del “capitale biologico” e dei primi
sedimenti del “capitale sociale”. Tutto ciò ha a che fare con le condizioni
abitative, la dieta e, più in generale, con la cura e l’attenzione ottenute nei
primi anni di vita (e nella vita in utero), e ancora, con il clima affettivo
delle relazioni famigliari, con le pratiche educative, prima famigliari e poi
scolastiche.
Cruciale nei primi anni di vita (vedi Vågerö e Illsley
1995), la famiglia conserva anche in seguito una funzione di primo piano nella
produzione della salute. La famiglia costituisce la rete di relazioni sociali
più prossima all’individuo: luogo di risorse, affettive, economiche, culturali,
ma anche di vincoli espressi dalle responsabilità di assistenza e di cura che
gravano su taluni dei suoi membri.
La famiglia, intesa qui nell’accezione più vasta di
istituzione sociale, costituisce inoltre uno dei luoghi chiave entro cui si
dipanano le traiettorie, i corsi di vita degli individui, dalla transizione
dalla famiglia d’origine a quella costruita – legata e talvolta modellata dallo
stato di salute (1) – agli eventi di vita che marcano deviazioni e cesure nelle
“carriere famigliari”, quali la morte del partner,
le separazioni, la ricostruzione di una famiglia altra.
Sul piano delle politiche di promozione della salute è
inoltre opportuno ricordare il rilievo della famiglia quale interlocutore delle
istituzioni sanitarie nelle iniziative di educazione sanitaria così come in
quelle mirate alla prevenzione primaria e secondaria.
Questo lavoro si propone di fornire un contributo
empirico allo studio del rapporto tra famiglia e salute. In particolare verrà
analizzata la relazione tra configurazione famigliare e mortalità, utilizzando
a questo scopo le informazioni raccolte nell’archivio dello Studio
longitudinale torinese, un sistema informatizzato di sorveglianza della
mortalità e della morbilità della popolazione torinese (vedi Costa e Demaria
1988).
Lo Studio longitudinale torinese raccoglie tutti i
soggetti residenti a Torino che risultano almeno una volta censiti negli anni
1971, 1981 e 1991. Per ciascun individuo l’archivio contiene tutte le
informazioni sociodemografiche rilevate negli ultimi tre censimenti della
popolazione, unitamente alla storia sanitaria del soggetto: i ricoveri
ospedalieri, l’uso di farmaci, e in ultimo la data e la causa del decesso (2).
La relazione tra famiglia e salute verrà analizzata
considerando le caratteristiche della struttura famigliare, definite da una
tipologia costruita nel solco del contributo di Laslett (1972). La
presentazione dei principali risultati di queste analisi è preceduta da una
concisa illustrazione della tipologia delle cause di morte e delle statistiche
adottate in questo lavoro (3).
2. Le cause
di morte, le statistiche di mortalità e la configurazione famigliare
Le cause di morte che costituiscono la tipologia
impiegata in questo lavoro sono state selezionate considerando di ognuna la
capacità di gettar luce sui meccanismi causali responsabili delle differenze e
delle diseguaglianze di mortalità osservate. Si tratta di cause di morte legate
in modo specifico ai principali fattori di rischio che agiscono selettivamente
sulla salute degli individui in ragione delle loro caratteristiche sociali. Le
cause di morte considerate sono elencate di seguito, corredate da una concisa
descrizione di quanto ciascuna lascia intravedere delle traiettorie biografiche
che, in quel modo, hanno trovato la loro conclusione.
Tumore dello stomaco. Le
morti per questa causa vengono interpretate quale indizio di una prolungata
esperienza di privazione sociale ed economica, caratterizzata dall’esposizione
ai fattori di rischio specifici della povertà, quali le infezioni,
l’alimentazione a base di amidi, di cibi conservati e con poca frutta e verdure
fresche.
I tumori del colon retto. Le
diseguaglianze di mortalità per questa causa derivano dalla composizione di due
processi di segno inverso. L’incidenza di questo tumore è maggiore tra i
soggetti delle classi sovraordinate, in ragione delle loro abitudini di vita
(alimentazione ricca di grassi e povera di fibre, vita sedentaria); mentre
sotto il profilo della sopravvivenza, sono i soggetti delle classi subordinate
a mostrare la minor protezione. Questa duplicità informa l’interpretazione delle
morti per questa causa: lette quale indizio di abitudini di vita insalubri per
le classi sovraordinate e quale espressione di prontezza e adeguatezza delle
cure per le classi subordinate.
Il tumore del polmone. Il
tumore del polmone viene utilizzato come indicatore delle cause di morte
correlate all’abitudine al fumo, e – limitatamente ai lavoratori manuali
– quale indizio di un’esposizione ai rischi occupazionali, segnatamente,
polveri e fumi.
Il tumore della mammella. La
mortalità per tumore della mammella viene interpretato sia quale segno delle
difficoltà di accesso a una diagnosi precoce e a cure appropriate, sia quale
espressione delle caratteristiche della vita riproduttiva (pochi figli e in età
avanzata), del tipo di alimentazione (ricca di grassi e povera di fibre) e
delle abitudini di vita (sedentarietà).
Le malattie nervose e psichiche.
Le morti per queste cause vengono per lo più interpretate quale indizio del
cosiddetto “effetto selezione” che relega i soggetti colpiti da queste
patologie nelle posizioni sociali meno ambite, sia sotto il profilo educativo e
occupazionale (mobilità selettiva), sia sotto il profilo della vita di
relazione (matrimonio, convivenza, ecc.).
AIDS e overdose. Le morti per
queste cause vengono interpretate quale conseguenza della incapacità di
limitare i danni dovuti alla tossicodipendenza (4).
Il diabete. Le morti per
diabete vengono utilizzate come indicatore imperfetto di prevalenza dei
principali fattori di rischio di questa patologia, soprattutto dell’obesità, e di
una inadeguata incapacità di controllo sanitario della patologia.
Le malattie ischemiche del cuore e le malattie cerebrovascolari. Le morti per malattia ischemica del cuore e quelle
per malattia cerebrovascolare vengono utilizzate come marcatore sia di fattori
di rischio tipici della transizione epidemiologica (alimentazione troppo ricca
di grassi e calorie e troppo povera di fibre, fumo, ipertensione, obesità,
sedentarietà), sia di fattori di rischio psicosociali legati alle condizioni di
vita e di lavoro.
Le malattie respiratorie. Le
morti per malattie respiratorie vengono interpretate quale esito ultimo di
traiettorie biografiche caratterizzate dalla cumulazione di numerosi svantaggi
per il buon funzionamento dell’apparato respiratorio: dalle cattive condizioni
di vita che hanno accompagnato la sua maturazione in utero e nei primi anni di
vita, agli insulti ambientali, nella vita adulta, provenienti dall’ambiente di
vita e di lavoro.
Cirrosi epatica. La mortalità
per cirrosi epatica viene per lo più interpretata come la conseguenza del
sovraconsumo di alcool e della diffusione delle infezioni da virus
dell’epatite.
Gli incidenti stradali. Le
morti per incidenti stradali vengono utilizzate per mettere in evidenza
differenze sociali legate al tipo di lavoro e quindi all’uso di un automezzo,
alla sensibilità personale per la sicurezza, all’organizzazione del traffico
nell’area di residenza oltre che alla disponibilità di un mezzo di trasporto
sicuro.
Le cadute e gli infortuni sul lavoro. Le morti per queste cause vengono interpretate quale segno
dell’esposizione a fattori di rischio per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Suicidio. Le morti per questa
causa vengono interpretate quale conseguenza di una situazione di disagio
sociale ed esistenziale.
Omicidio. La mortalità per
omicidio viene considerata quale conseguenza di una situazione di disagio e
marginalità sociali e quale indizio di una prossimità, ancorché non
intenzionale, ad ambienti sociali devianti.
La mortalità per cause evitabili. Questo insieme di cause di morte viene utilizzato per esprimere la
qualità dei servizi sanitari cui i soggetti osservati hanno avuto accesso.
L’analisi delle diseguaglianze di mortalità sviluppata
nei paragrafi che seguono si serve di due statistiche, lo Standardized Mortality Ratio, e la proporzione di morti
attribuibili. Lo Standardized Mortality
Ratio (d’ora in poi Smr) è dato dal rapporto tra morti osservate e morti
attese. I valori dell’Smr sono centrati su cento, valore che esprime la
mortalità nella popolazione di riferimento. I valori superiori a 100 indicano
un eccesso di mortalità, quelli inferiori un difetto. L’intervallo di
confidenza qualifica la significatività statistica degli Smr osservati. Questi
sono statisticamente significativi se i valori che racchiudono l’intervallo
sono entrambi al di sotto, o entrambi al di sopra di 100 (5). La proporzione di
morti attribuibili (%) consiste nella percentuale di morti osservate che
sarebbero evitabili se nella popolazione in esame tutte le persone avessero un
rischio di morte pari a quelle appartenenti alle categorie di riferimento (di
norma la categoria più protetta).
Per descrivere, insieme con l’età, i cicli di vita
delle famiglie, dalla formazione alla estensione alla contrazione alla
dissoluzione, è necessario far ricorso ad uno strumento di classificazione
composito, concepito per rappresentare – nella prospettiva che orienta questo
lavoro – le diverse configurazioni delle unioni familiari. Per la popolazione
torinese adulta, la classificazione adottata deriva da una rielaborazione della
tipologia messa a punto da Cioni (Cioni e altri, 1997); distingue 19 tipi di
famiglia in ragione della dimensione del nucleo, del carico di assistenza o di
cure, di cui è gravato e della natura del legame che unisce i suoi membri, nei
termini descritti in nota (6).
Per i bambini (da 1 a 14 anni) e i giovani (da 15 a 29
anni), si è reso necessario un ulteriore adattamento della tipologia: la
conformità alla consuetudine costituisce il criterio di demarcazione che
consente di ridurre le 19 modalità proposte Cioni a due sole categorie.
La ricodifica è stata condotta raggruppando le
famiglie “nucleari” ed “estese” nella categoria “conformi” e le restanti nella
categoria “non conformi” (7).
La collocazione delle famiglie di fatto composte dai
soli coniugi ha richiesto una riflessione più approfondita. Ci si è chiesti
quanto fosse corretto definire non conforme alla consuetudine una
configurazione famigliare che può costituire una semplice fase di transizione,
in particolare per quei giovani che intendono sottoporre la decisione
definitiva circa il matrimonio al vaglio di un periodo di convivenza. Tuttavia,
l’aumento significativo dei rischi per morti droga-correlate, che si osserva
classificando le famiglie di fatto come “non conformi”, conduce a supporre che
questa configurazione famigliare porti con sé una qualche forma di disagio
generalizzato più frequente in condizioni famigliari non usuali.
Ancorché discutibile sotto diversi punti di vista,
questa operazione compensa la scarsa numerosità delle osservazioni, accresce la
quantità di valori
statisticamente significativi e propone una interessante chiave di lettura
della relazione tra conformazione della famiglia e rischio di morte, in
particolare per quelle cause che maggiormente toccano la vita dei giovani:
Aids, overdose, incidenti stradali e suicidi.
Le tabelle 1 e 2 illustrano la distribuzione di
frequenza della popolazione torinese per tipologia familiare al censimento del
1991.
3.
Configurazione famigliare e mortalità nella popolazione giovanile
Nulla si può dire sulla relazione che intercorre tra
configurazione famigliare e cause di morte, per i bambini di età compresa tra 1
e 14 anni. Il numero – fortunatamente – esiguo di decessi registrati tra il
1991 e il 1995 rende le stime poco attendibili. Di ben altra natura è, invece,
la tendenza che si osserva analizzando i risultati relativi ai giovani tra i 15
e i 29 anni. In via generale, si osservano due condizioni distinte di cui una
garantisce protezione verso qualsiasi causa di morte e l’altra espone a rischi
decisamente superiori alla media.
Per gli uomini, il passaggio da una condizione di
protezione a una di eccesso di rischio è da attribuire, congiuntamente, alla
presenza, o meno, di credenziali educative “pregiate” (diploma superiore o
laurea) e al grado di conformità. Coloro che vivono in una famiglia “nucleare”
o “estesa” sono significativamente protetti verso tutte le cause di morte; ciò
è particolarmente vero per i decessi da attribuire alla tossicodipendenza e
alle malattie dell’apparato respiratorio.
L’eccesso di rischio aumenta man mano che ci
avviciniamo alla condizione più disagiata, rappresentata da coloro che vivono
in una famiglia non conforme e in possesso di scarse credenziali educative. Qui
è rilevante notare come siano elevati e statisticamente significativi i rischi
per cause di morte droga-correlate e per incidenti da trasporto.
Per le donne, il rapporto tra configurazione
famigliare e istruzione si modifica. Spostandoci da una classe all’altra,
l’eccesso di rischio ha un andamento sinusoidale: cresce passando dai conformi
istruiti ai conformi non istruiti, decresce nuovamente muovendoci verso i
conformi non istruiti e tocca il massimo tra i non conformi non istruiti. A
parità di condizione, inoltre, l’essere inserita come madre o figlia in un
ambiente famigliare poco colto e non conforme pare segnare con maggior forza il
destino sanitario delle donne rispetto a quanto accade tra gli uomini. Gli
eccessi di rischio – ancorché non statisticamente significativi – sono costantemente
più alti, fino a triplicare per i decessi da attribuire all’Aids.
4.
Configurazione famigliare e mortalità nella popolazione adulta
La relazione tra configurazione famigliare e mortalità
è stata studiata separatamente per i due generi e per tre coorti: gli adulti
(30-59 anni), gli anziani (60-74 anni) e i grandi anziani (75 anni e più). Gli
eccessi di rischio relativi a cause di morte specifiche sono riportati in
Costa, Cardano, Demaria (1998, 206-217), cui si rimanda per ulteriori
approfondimenti.
Tra gli adulti di entrambi i generi lo stato di
coniugato all’interno di una famiglia nucleare con figli conviventi è quello
con la maggior protezione rispetto al rischio di morte, con particolare
intensità di protezione rispetto al tumore del polmone, all’Aids, all’overdose,
alle malattie ischemiche, alle cirrosi, ai suicidi e alle malattie evitabili.
Relativamente a questa condizione, tutte le altre configurazioni familiari
presentano eccessi di rischio di morte.
Tra i più significativi si rilevano quello dei figli
(soprattutto maschi) conviventi con genitori soli, quello delle persone che
vivono sole o in convivenza senza
nuclei familiari, i parenti che convivono in famiglie estese, i genitori soli
(soprattutto uomini) che sopportano il carico di figli o anziani dipendenti
(molte di queste condizioni configurano una situazione di povertà).
Ancorché non statisticamente significativi, sono degni
di nota gli eccessi di rischio di morte in tutte le condizioni di convivenza
con un partner, diverse da quella di
coniugato con figli: coniugato senza figli e convivente di fatto.
Tra gli anziani le stesse differenze rimangono
apprezzabili e nuove configurazioni familiari, quali quella degli anziani
ospiti di famiglie estese o multiple, individuano situazioni a rischio. Anche
in questo caso lo stato di coniugato convivente con coniuge con figli o quello
di coniugato con coniuge senza figli (meno chiaramente distinguibili in questa
fascia di età) sono significativamente protettivi rispetto al rischio di
malattie ischemiche, a quello di malattie cerebrovascolari, a quello di
malattie respiratorie, cirrosi e suicidi, e a quello per diabete (limitatamente
alle donne). Tra i grandi anziani è la condizione di coniugato convivente con
il coniuge – la più diffusa – a mostrare la maggiore protezione, in particolare
per le malattie circolatorie e respiratorie.
L’osservazione delle tendenze di medio periodo mostra
come le diseguaglianze dettate dalla configurazione famigliare tendano a
crescere con il tempo. La proporzione di morti attribuibili calcolata
utilizzando come categoria di riferimento la configurazione famigliare che,
fascia di età per fascia di età, mostra la maggior protezione cresce con
regolarità muovendo dagli anni Settanta agli anni Novanta.
Per la popolazione adulta (30-59 anni) la quota,
rispettivamente per uomini e donne, pari negli anni Settanta all’8,8 e al
10,8%, diventa negli anni Ottanta 12,4 e 14,7%, per raggiungere negli anni
Novanta valori pari a 20,4 e 15,5%. La causa va ricercata sia in un aumento delle
differenze relative nel rischio di morte sia in un aumento delle persone che
vivono in tipi di famiglia diversi da quello scelto come riferimento. Tra gli
anziani queste proporzioni passano dal 2,3 e dal 1,3% degli anni Settanta al
2,8 e al 7,8% degli anni Ottanta, al 2,3 e al 12,1% degli anni Novanta. Le
stesse proporzioni per i grandi anziani passano da 1,9 e 3,9% negli anni
Settanta, a 6,4 e 6,7% negli anni Ottanta e a 4,0 e 9,7% negli anni Novanta.
Anche questa prospettiva di analisi mette in luce una
preoccupante polarizzazione del rischio di mortalità tra le persone che vivono
in una famiglia non del tutto conforme alla norma e alla consuetudine. Sembra
che la mortalità sia influenzata da una regola per la quale la norma guida la
salute: chi si conforma alla norma socialmente codificata in ogni fascia di età
è più protetto nel rischio di morte di chi agisce altrimenti. La tipologia
familiare consente, inoltre, di identificare lo stato di particolare rischio di
alcuni gruppi di popolazione, ognuno con un suo profilo epidemiologico
particolare: i figli conviventi in famiglia (bersaglio innanzi tutto
dell’epidemia di Aids e overdose), i genitori soli con figli o anziani
dipendenti (con eccessi di rischio come le morti fumo correlate), le persone
sole (con il profilo già osservato tra i celibi e le nubili), le persone
anziane ospiti in famiglie estese o multiple (selezionate per avere limitazioni
di autonomia).
5.
Osservazioni conclusive
La configurazione della famiglia d’appartenenza ha con
la mortalità un legame particolarmente stretto; questo per entrambi i generi e per tutte le fasce d’età, in
particolar modo per quella adulta. Alcune configurazioni famigliari, quelle più
conformi alla norma, alle aspettative
di senso comune sui tempi e sui modi canonici di sviluppo delle “carriere
familiari”, si caratterizzano per una consistente protezione. Un fenomeno di
selezione dei soggetti meno sani, sia nella situazione di svantaggio per la
ricerca di un partner sia nella
situazione di soggetto a carico di un nucleo familiare, è ben evidente. Un
ruolo importante viene, inoltre, giocato dalla mediazione del fumo,
dell’alcool, dall’alimentazione errata, dalla dipendenza da oppiacei e dalle
patologie loro correlate nell’espressione dei meccanismi di adattamento e risposta
alla solitudine e agli svantaggi. L’incapacità di prendersi cura di sé,
espressa nel fallimento del controllo delle morti evitabili, contribuisce
all’espressione di queste differenze. Il suicidio rappresenta la manifestazione
più drammatica del disagio generato da questi svantaggi.
La notazione più importante che emerge dalla lettura
di questi risultati riguarda il progressivo allargamento delle diseguanze di
mortalità, dovuto alla crescita della consistenza numerica delle configurazioni
familiari meno protette (9). Questi risultati autorizzano la formulazione di
alcune ipotesi interpretative.
La prima individua nel mutamento dei modelli
residenziali un importante fattore di crescita delle diseguagliane osservate.
Le trasformazioni economiche e sociali della città avrebbero eroso l’omogeneità
culturale e sociale dei quartieri di cui si compone (desegregazione). Questo
processo, dettato innanzitutto dai cambiamenti della struttura sociale: la
riduzione dei ceti operai e la crescita dei ceti impiegatizi (Bagnasco, 1986;
cap. 3), avrebbe indebolito i legami sociali basati sulla residenza,
impoverendo il capitale sociale di individui e famiglie.
La seconda ipotesi interpretativa legge la crescita
delle diseguaglianze di mortalità concentrando l’attenzione sulle
caratteristiche delle configurazioni familiari che mostrano la maggior
protezione: le famiglie nucleari con
figli, per la popolazione adulta, le famiglie nucleari, per la popolazione
anziana. Questo tipo di famiglie, o meglio, i corsi di vita familiare che ad
esse fanno capo, sarebbero associati a un insieme di condizioni favorevoli,
dalle quali gli altri tipi di famiglia sembrerebbero esclusi. Un’occupazione
stabile, la disponibilità di un’estesa rete familiare, di un solido capitale
culturale, costituirebbero le risorse associate, d’un canto, alle
configurazioni familiari più in sintonia con la norma e, dall’altro, alla protezione dal rischio di morte. La
documentazione empirica dello Studio longitudinale torinese non consente,
tuttavia, di decidere della plausibilità di queste ipotesi, consegnate a uno
specifico studio ad hoc, il cui
rilievo sembra invece particolarmente evidente. Tuttavia la crescita delle
diseguaglianze dettate dalla configurazione famigliare getta una luce
preoccupante sugli effetti che la crisi delle reti sociali e familiari produce
in un contesto di erosione delle tradizionali forme di protezione sociale.
Riferimenti
bibliografici
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Day N.E. (1987), Statistical Methods in
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caratteristiche socio-economiche, come rilevate ai censimenti di popolazione:
descrizione e documentazione del sistema, in “Epidemiologia e
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Wilkinson R.G.
(1996), Unhealthy Societies. The
Affliction of Inequality, Londra, Routledge.
(*) Dipartimento di scienze
sociali - Università di Torino.
(**) Area di epidemiologia
ambientale - A.R.P.A. Grugliasco.
(1) Nel testo alludiamo al
caso in cui uno stato di salute gravemente compromesso, ad esempio da un
handicap fisico o mentale, rende meno facile la ricerca di un partner.
(2) La porzione di archivio
utilizzata per questo studio contiene, per il 1981, 1.091.288 osservazioni e
930.072 osservazioni per il 1991. Per un approfondimento sugli aspetti tecnici
di costruzione e manutenzione dell’archivio (via record-linkage) così come sui suoi principali punti ciechi si veda
Costa, Cardano e Demaria (1998: cap. 2).
(3) Per una discussione più
piana di questi temi si rinvia a Costa, Cardano e Demaria (1998) e a Cardano
Costa (1998).
(4) Questo, quantomeno, vale
per le morti da Aids overdose osservate
in Italia.
(5) Per un approfondimento
sulle procedure di calcolo dell’Smr si rinvia a Breslow e Day (1987: 65 e ss.).
(6) La tipologia comprende le
seguenti figure che qualificano l’appartenenza familiare dei singoli individui:
– unipers: costituita da una
sola persona;
– senza nuclei: appartenenti
ad un nucleo composto da un capofamiglia ed altre persone apparentate a lui ma
non legate da vincolo di coppia o di filiazione, oppure coresidenti non
apparentati;
– nucl.con: appartenenti ad
un nucleo composto da una coppia sposata senza figli conviventi;
– difat.con: appartenenti ad
un nucleo composto da una coppia di fatto senza figli conviventi;
– nucl.con.fi,co: i coniugi
di un nucleo composto da una coppia sposata con figli conviventi;
– nucl.con.fi,fi: i figli di
un nucleo composto da una coppia sposata con figli conviventi;
– dift.con.fi,co: i coniugi
di un nucleo composto da una coppia di fatto con figli conviventi;
– dift.con.fi,fi: i figli di
un nucleo composto da una coppia di fatto con figli conviventi;
– P/M.fi,gravato: il
capofamiglia in un nucleo composto da un genitore, senza distinzione di sesso,
con uno o più figli. Questa risulta essere la persona gravata da carichi
d’assistenza trattandosi di padri o madri soli con figli piccoli oppure di
figli con un genitore non capofamiglia;
– padre.fi,f: il figlio in un
nucleo composto da un genitore di sesso maschile con uno o più figli;
– madre.fi,f: il figlio in un
nucleo composto da un genitore di sesso femminile con uno o più figli;
– madre.fi,m: la madre del
capofamiglia in un nucleo composto da un genitore di sesso femminile con uno o
più figli;
– estese,con: i coniugi,
sposati o di fatto, appartenenti ad un nucleo “esteso”, composto da un
aggregato domestico del tipo solo coniugi, coniugi e figli, padre e figli,
madre e figli, con altre persone apparentate con i componenti il nucleo, ma non
facenti parte di alcun nucleo proprio;
– estese,fig: i figli del
capofamiglia appartenenti al nucleo esteso prima descritto;
– estese,anz: i genitori o i
suoceri del capofamiglia appartenenti al nucleo esteso prima descritto;
– estese, par: altri parenti
del capofamiglia appartenenti al nucleo esteso prima descritto;
– mult,con: coniugi
appartenenti a famiglie “multiple”, cioè composte da più di un nucleo con la
presenza o meno di altre persone apparentate con i componenti il nucleo, ma non
facenti parte di alcun nucleo proprio;
– mult,fig: i figli del
capofamiglia appartenenti a famiglie “multiple” prima descritte;
– mult,anz: i genitori o i
suoceri del capofamiglia appartenenti a famiglie “multiple” prima descritte.
(7) Più nel dettaglio, le
modalità “nucl.con”, “nucl.con.fi,co”, “nucl.con.fi,fi”, “estese,con”,
“estese,fig”, “estese,anz” e “estese,par” sono state assegnate alla categoria “conformi”. Le modalità “unipers”,
“senzanuclei”, “dift.con.fi,co”, “dift.con.fi,fi”, “P/M,gravato”,
“padre.fi,fi”, “madre.fi,fi”, “madre.fi,m”, “mult,con”, “mult,anz”, “mult,par”,
invece, sono state riunite sotto l’etichetta “non conformi”.
(8) Il livello di istruzione
è un attributo da intendersi riferito alla famiglia nel complesso. Abbiamo
definito “istruite” le famiglie in cui il massimo grado di istruzione presente
è il diploma superiore o la laurea. Al contrario, “non istruite” sono quelle
famiglie in cui il più alto titolo di studio presente non è superiore alla
terza media.
(9) Questa crescita si
riflette in un incremento della proporzione di morti attribuibili.
Tabella
1 - Composizione della popolazione giovanile a Torino secondo la tipologia
familiare al censimento 1991, l’istruzione, valori percentuali (8)
Uomini
15-29 anni Donne
15-29 anni
Tipologia Famiglia Famiglia Famiglia Famiglia
famigliare istruita non
istruita istruita non istruita
Conformi 43.2 32.5 48.3 30.6
Non conformi 12 12.3 12.1 8.9
Tabella
2 - Composizione della popolazione adulta a Torino secondo la tipologia
familiare al censimento 1991, il sesso e l’età, valori percentuali.
Tipo di famiglia Uomini Donne
30-59
anni 60-74 anni 75 + anni 30-59
anni 60-74 anni 75 + anni
Unipers 12.4 12.1 23.8 9.7 32.8 59.0
Senza
nuclei 1.2 1.4 2.0 1.2 2.9 4.6
Nucl.con 13.4 49.5 58.4 14.5 38.2 16.1
Difat.con 1.0 0.8 0.9 0.8 0.6 0.3
Nucl.con.fi,co 57.4 29.2 7.5 56.2 13.2 1.6
Nucl.con.fi,fi 3.6 0.0 1.8 0.0
Dift.con.fi,co 1.2 0.2 0.1 1.1 0.1 0.0
Dift.con.fi,fi 0.1 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0
P/M.fi,
gravato 2.3 2.5 2.6 7.9 6.7 5.4
Padre.fi,f 0.5 0.0 0.3 0.1
Madre.fi,f 2.3 0.2 1.4 0.4
Madre.fi,m 0.2 0.9 4.2
Estese,con 2.9 2.6 1.3 2.8 1.8 1.1
Estese,fig 0.3 0.0 0.4 0.0 0.0
Estese,anz 0.1 0.3 1.9 0.1 1.1 6.3
Estese,par 0.5 0.2 0.3 0.7 0.5 0.8
Mult,con 0.6 0.8 0.6 0.6 0.6 0.2
Mult,fig 0.2 0.0 0.2 0.0
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www.fondazionepromozionesociale.it