Prospettive
assistenziali, n. 134, aprile-giugno 2001
Editoriale
Il
Governo amato ha diffuso notizie fuorvianti sulla legge 328/2000 ed ha
predisposto un piano sociale mistificatorio
Prosegue la diffusione di notizie fuorvianti e spesso
assolutamente false sulla legge 328/2000 relativa all’assistenza ed ai servizi
sociali (1).
Le bugie
della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Numerose e particolarmente gravi sono le affermazioni
della Presidenza del Consiglio dei Ministri contrastanti con la verità. Nel
depliant “In famiglia si sta meglio”,
predisposto e diffuso in decine di migliaia di copie dalla stessa Presidenza,
viene sostenuto che la legge di riforma dell’assistenza “realizza quei servizi – soprattutto a domicilio – alle persone e alle
famiglie a cui tutti i cittadini, e in modo particolare i bisognosi, hanno
diritto”.
In realtà, com’è stato riportato su “Avvenire” nella lettera inviata dal Csa
- Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti al Direttore, “non c’è alcun diritto esigibile” (2).
Informazioni ingannevoli sono, altresì, contenute nel
fascicolo “Solidarietà sociale: Welfare
amico - Le politiche, le leggi, le iniziative” distribuito nel marzo 2001,
edito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari
sociali.
In questa pubblicazione viene affermato che a seguito
delle norme della legge 328/2000 “i
Comuni recuperano le funzioni della gestione attualmente svolte dalle Province”
e che le Province stesse “non hanno più
compiti gestionali”.
Si tratta di due asserzioni non veritiere in quanto,
ai sensi del comma 5 dell’art. 8, le Regioni possono confermare le attuali
attribuzioni delle Province relative all’assistenza dei minori nati fuori del
matrimonio e dei “ciechi e sordomuti
poveri rieducabili”, così definiti dall’art. 144 del regio decreto 383/1934
(3).
Inoltre, in base al citato 5° comma dell’art. 8 della
legge 328/2000, le sopra indicate funzioni, possono essere assegnate ad altri
enti locali (ad esempio a Consorzi fra Province e fra Comuni e Province).
Non è nemmeno vero quel che è sostenuto nel citato
fascicolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri e cioè che la prestazione
definita reddito minimo di inserimento, “viene
estesa e considerata generale”. Infatti, l’art. 23 della legge 328/2000
prevede solamente che il Governo riferisca al Parlamento “entro il 30 maggio 2001 sull’attuazione della sperimentazione e sui
risultati conseguiti” in merito al reddito minimo di inserimento, rinviando
a “successivo provvedimento legislativo (...) le modalità, i termini e le risorse per
l’estensione dell’istituto del reddito minimo di inserimento come misura
generale di contrasto alla povertà”.
Nella stessa pubblicazione è contenuto, altresì, un
deplorevole inganno. Infatti, viene sostenuto che “il cittadino potrà far valere i suoi diritti attraverso la carta dei
servizi sociali”, quando è noto che i diritti sono esigibili solo se
espressamente previsti da una legge e non da semplici documenti come sono le
carte dei servizi. Analoghe considerazioni valgono per altre indicazioni
contenute nel fascicolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ad
esempio, non è assolutamente vero che la legge 328/2000 prevede l’erogazione
obbligatoria di “assegni di cura per
sostenere la maternità e la paternità”. Al riguardo l’art. 16 della legge
quadro sui servizi sociali stabilisce solamente che le suddette erogazioni
possono (e non devono) essere fornite.
Nella pubblicazione in oggetto viene, altresì,
riferito che “l’accesso alle prestazioni
è riconosciuto in via prioritaria alle persone in difficoltà” (4). Tuttavia
è ovvio che “priorità” non significa “diritto”. Ne consegue, che se gli
interventi non vengono erogati, il cittadino, anche se in condizioni di estremo
bisogno, non ha alcuna possibilità giuridica di esigerli.
Infine, segnaliamo che nello stesso opuscolo viene
affrontata in modo assolutamente scorretto la questione delle Ipab, Istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza. Infatti, si tace sul fatto che, in base
alla delega prevista dalla legge 328/2000, il Governo è stato autorizzato a:
a) abrogare le norme vigenti che destinano
esclusivamente alla fascia più bisognosa della popolazione (bambini senza
famiglia, handicappati intellettivi con limitata o nulla autonomia, genitori e
figli in gravi difficoltà economiche) i patrimoni delle Ipab (Istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza), valutati in ben 37 mila miliardi ed i
relativi redditi. Abrogando le norme che destinano solamente ai bisognosi i
patrimoni ed i redditi delle Ipab, la legge 328/2000 permette l’utilizzo dei
suddetti beni (alloggi, negozi, terreni, titoli di Stato, ecc.) anche a favore
delle persone abbienti;
b) sopprimere le disposizioni della legge 6972/1890 in
base alle quali i patrimoni delle Ipab finora non potevano essere utilizzati
per le spese di gestione (consulenze, stipendi del personale, acquisto
materiale di consumo, ecc.). Questa disposizione ha consentito alle Ipab di
mantenere il possesso dei rilevanti beni sopra indicati;
c) mettere a gratuita disposizione i patrimoni delle
Ipab ad associazioni e fondazioni private, che potranno utilizzarli anche per
coprire le spese di gestione (quali stipendi per i dirigenti, consulenze
esterne, ecc.). Questo favoloso regalo può spiegare l’appoggio di molti gruppi
privati alla legge approvata dal Parlamento;
d) nulla è previsto per la conservazione della
destinazione ai poveri dei patrimoni trasferiti ai Comuni a seguito dello
scioglimento delle Ipab e di migliaia di enti assistenziali (Eca, Onmi, Onpi,
Enaoli, ecc.), il cui importo può essere calcolato in 40-50 mila miliardi. Solo
al Comune di Torino sono pervenuti beni del valore di 1.000 miliardi, che, in
base alle disposizioni in vigore prima della legge 328/2000, dovevano essere
utilizzati esclusivamente per le esigenze delle persone più bisognose;
e) nulla è stato stabilito per il mantenimento del
vincolo a favore dei più deboli delle proprietà delle ex Ipab, proprietà che, a
seguito della sconcertante sentenza della Corte costituzionale n. 396/1988,
sono state messe a gratuita disposizione di organizzazioni private; il loro
valore può essere stimato in 30-40 mila miliardi.
Considerata la sottrazione ai poveri di 107-140 mila
miliardi (a tanto ammontano le proprietà delle Ipab ed ex Ipab), l’incremento
del Fondo nazionale per le politiche sociali di 1.800 miliardi per il triennio
2000-2002, di cui il Ministro Livia Turco si vanta, rappresenta una irrisoria
elemosina rispetto a ciò che è stato tolto ai più deboli.
Rileviamo, altresì, che in un’altra pubblicazione
della Presidenza del Consiglio dei Ministri dal titolo “Solidarietà sociale:
nel laboratorio del nuovo Welfare”, edita
nel dicembre 2000, è stata riportata, fra le numerose inesattezze, anche
l’ingannevole frase, secondo cui “gli
assi sui quali si incentra la riforma possono essere così riassunti: interventi
e servizi che siano obbligatoriamente presenti su tutto il territorio nazionale
per superare le attuali disparità e disuguaglianza”.
Orbene, la legge 328/2000 stabilisce unicamente ai
commi 2 e 4 dell’art. 22 che “nei limiti
delle risorse del Fondo nazionale delle politiche sociali (...) le leggi regionali, secondo i modelli
organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale (...) l’erogazione delle seguenti prestazioni: a)
servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e
consulenza al singolo e ai nuclei familiari; b) servizio di pronto intervento
sociale per le situazioni di emergenze personali e familiari; c) assistenza
domiciliare; d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità
sociali; e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere
comunitario”.
In merito, ricordiamo che, come aveva chiarito il
Sottosegretario al tesoro, on. Gianfranco Morgando, nella seduta del Senato del
18 luglio 2000, stante il vincolo delle disponibilità economiche del Fondo
nazionale delle politiche sociali, tutte le prestazioni previste dalla legge
328/2000, ad esclusione solamente delle erogazioni di natura pensionistica, “non formano oggetto di diritti soggettivi”
e quindi non sono esigibili. Ne consegue che, se i Comuni non istituiscono i
servizi, compresi quelli indispensabili, i cittadini non hanno alcun strumento
giuridico per ricorrere all’autorità giudiziaria.
Il piano
sociale nazionale: un’altra mistificazione
Nel citato opuscolo, “Solidarietà sociale: Welfare
amico - Le politiche, le leggi, le iniziative”, in modo platealmente
fuorviante, viene affermato che “lo Stato
determina ogni tre anni i principi e gli obiettivi di tutta la politica sociale
attraverso il Piano sociale nazionale”.
In primo luogo, è ovvio per tutte le persone di buon
senso che le politiche sociali riguardano non tanto i servizi sociali, quanto
le iniziative concernenti il lavoro, la casa, la sanità, la scuola, la
formazione professionale, i trasporti, la cultura, ecc.
In secondo luogo, il Piano sociale, non essendo
approvato con legge, fornisce solo indicazioni che il Governo, le Regioni, i
Comuni, le Province e gli altri enti pubblici non sono tenuti ad attuare.
Il capitolo più importante del Piano reca il vanitoso
titolo “Le radici delle nuove politiche sociali”. Lo scopo è quello di far
credere ai non esperti che la legge 328/2000 abbia introdotto concetti
innovativi. Invece, le radici indicate dal Piano non sono affatto nuove: sono
vecchie, anzi molto vecchie.
Difatti, fra le radici della legge 328/2000, nel Piano
sono elencate le seguenti banalità: “Le
famiglie non sono solo portatrici di bisogno”, “L’assistenza non è solo
sostegno economico”, “L’approccio non è solo riparatorio”, “Il disagio non è
solo economico”, “Il sapere non è solo professionale”.
Mentre le sopra citate affermazioni non meritano alcun
commento essendo cose note da molti decenni e alcune da secoli, non si possono
ignorare le altre gravi distorsioni della realtà.
Nel Piano è scritto, contrariamente al vero, che in
base alla legge 328/2000 “gli interventi
sociali non sono opzionabili”, quando è ormai arcinoto a tutte le persone
in buona fede che la legge suddetta non prevede alcun diritto esigibile.
Inoltre, nel piano viene sostenuto che la legge 328/2000 garantirebbe il
passaggio dagli attuali “interventi
disomogenei a livello inter e intra regionali, a livelli essenziali su tutto il
territorio”, mentre è evidente che questo obiettivo non può essere
perseguito poiché alle regioni ed ai Comuni la legge in oggetto non ha imposto
vincoli di sorta sui servizi da istituire.
Osserviamo, inoltre, che nel Piano viene precisato che
“la legge 328/2000 propone un sistema”. Se
“propone” significa quindi che non
dispone nulla. È una ulteriore conferma della connotazione facoltativa di tutte
le norme della legge 328/2000, escluse solo quelle – come abbiamo più volte
rilevato – di natura pensionistica.
Ricordiamo, infine, che, con effetto dal 1° gennaio
2001, gli stanziamenti finalizzati (ad esempio quelli vincolati ai soggetti con
handicap previsti dalle leggi 104/1992 e 162/1998), sono trasferiti dalla
“Finanziaria” nel Fondo nazionale per le politiche sociali, la cui destinazione
è stabilita dalle autonome valutazioni delle singole Regioni. Non essendo previsto
nelle suddette leggi alcun diritto esigibile, è possibile che i finanziamenti
dello Stato non siano più, in tutto o in parte, destinati alle persone con
handicap ed agli altri soggetti gravi in difficoltà, ma vengano utilizzati per
altri scopi, compresi quelli di natura clientelare.
Non va neppure dimenticato che per servizi sociali, in
base all’art. 1 della legge 328/2000, si possono intendere tutte le attività
rivolte alla persona, escluse solamente quelle concernenti la sanità, la
previdenza e l’amministrazione della giustizia.
Dunque, le Regioni e gli Enti locali, nel pieno
rispetto della legge 328/2000, possono finanziare per gli importi da essi
ritenuti opportuni, le attività di tempo libero (centri di incontro, corsi di
ginnastica, laboratori fotografici, soggiorni di vacanza, giochi vari non
competitivi, visite a musei, ecc.).
In conclusione, il Piano nazionale degli interventi e
servizi sociali 2001-2003 è un altro insieme di fogli di carta destinato a
suscitare illusorie speranze in coloro che (persone e organizzazioni)
continuano a ritenere (in buona fede?) che ai soggetti più deboli non debbano
essere riconosciuti diritti esigibili per le prestazioni aggiuntive (5) indispensabili per la loro vita, ma siano
sufficienti le promesse.
(1) Nei numeri 131 e 133 di Prospettive assistenziali abbiamo
riferito sulle interpretazioni ingannevoli della legge 328/2000 fornite dal
Ministro Livia Turco, dall’on. Elsa Signorino, da Parlamentari e da alcune
riviste. Purtroppo, altre pubblicazioni hanno sostenuto la presenza nella legge
suddetta di diritti esigibili da parte dei cittadini in gravi difficoltà, hanno
taciuto sulla cancellazione della destinazione esclusiva ai poveri dei beni
(107-140 mila miliardi) delle Ipab ed ex Ipab, hanno omesso di segnalare le
norme che tendono a trasferire dalla sanità all’assistenza una parte delle
competenze concernenti gli interventi nei confronti degli anziani malati
cronici non autosufficienti. A tutte le suddette riviste, il Csa - Comitato per
la difesa dei diritti degli assistiti ha scritto denunciando i travisamenti
della realtà e segnalando la propria posizione. Al riguardo, ringraziamo Vivereoggi e Mondo sociale che hanno pubblicato integralmente le note inviate
dal Csa.
(2) La precisazione del Csa -
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti è stata pubblicata sul
giornale “Avvenire” del 14 Aprile 2001. Finora, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri non ha replicato.
(3) Si ricorda che, mentre la
legge 8 giugno 1990 n. 142 aveva trasferito ai Comuni le funzioni assistenziali
delle Province, esse sono state restituite alle Province stesse a seguito della
legge 18 marzo 1993 n. 67, confermando l’odiosa discriminazione fra minori nati
nel e fuori del matrimonio e fra ciechi e sordomuti poveri rieducabili e gli
altri soggetti colpiti da cecità e da sordomutismo.
(4) Identica, fuorviante
affermazione è contenuta nel citato volume della Presidenza del Consiglio dei
Ministri “Solidarietà sociale: nel
laboratorio del nuovo Welfare”.
(5)
Ripetiamo che, a nostro avviso, le prestazioni di assistenza sociale devono
essere aggiuntive rispetto agli
interventi della sanità, della casa, della formazione, ecc.
www.fondazionepromozionesociale.it