Prospettive
assistenziali, n. 134, aprile-giugno 2001
Specchio nero
PERCHÉ I PARENTI DEI MALATI DI ALZHEIMER NON SONO
INFORMATI DALL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE SUI DIRITTI DEI LORO
CONGIUNTI?
Nel settembre 2000, il Centro di promozione e sviluppo
dell’assistenza geriatrica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma ha
pubblicato il volume “Prendersi cura del malato di Alzheimer - Un manuale per i
familiari”, redatto da Caterina Cattel e Roberto Bernabei.
Nelle 69 pagine del libro sono prese in esame le
seguenti questioni: che cosa è la demenza, come aiutare il malato giorno per
giorno, il suo comportamento e l’umore, la sicurezza in casa, le scelte
difficili, le cure, i consigli per il caregiver,
il costo dell’assistenza.
Non c’è una sola parola – fatto gravissimo – sul
diritto del malato di Alzheimer alle cure sanitarie, che – com’è noto – devono
essere fornite gratuitamente e senza limiti di durata dal Servizio sanitario
nazionale.
Addirittura, come se si trattasse di un indigente che non
necessita di cure, si indicano le case di riposo quali strutture idonee nei
casi in cui al caregiver non sia più
possibile continuare ad accoglierlo a casa sua.
Come mai il Centro di promozione e sviluppo
dell’assistenza geriatrica riconosce il diritto del malato di Alzheimer di
essere ricoverato in una struttura sanitaria solamente nei casi in cui subentra
un fatto acuto?
Anche l’Università Cattolica del Sacro Cuore ritiene
che per i malati di Alzheimer “stabilizzati” la competenza non sia più della sanità,
com’è previsto dalle vigenti disposizioni di legge, ma debba essere trasferita
all’assistenza?
LA REGIONE PIEMONTE NEGA NUOVAMENTE LA PARI DIGNITÀ
DELLE ASSOCIAZIONI DI BASE
Come avevamo riferito sul n. 131, luglio-settembre
2000, di Prospettive assistenziali,
la Regione Piemonte con la legge 37/2000, violando le norme costituzionali, i
principi fondamentali del pluralismo e lo stesso buon senso, ha attribuito
all’Unione nazionale mutilati per il servizio (Unms), all’Associazione
nazionale mutilati e invalidi del lavoro (Anmil), all’Associazione nazionale
mutilati e invalidi civili (Anmic), all’Ente nazionale sordomuti (Ens) e
all’Unione italiana ciechi (Uic) “l’esercizio
della rappresentanza e tutela degli interessi morali ed economici delle rispettive
categorie di mutilati e invalidi”, prevedendo addirittura che “gli enti strumentali della Regione possono
stipulare apposite convenzioni con le associazioni (Unms, Anmil, Anmic, Ens e
Uic) per delegare ad esse lo svolgimento dei compiti e funzioni che la legge
non attribuisce in via esclusiva alla pubblica amministrazione”.
Non solo la Regione Piemonte non ha abrogato la legge
suddetta (1), ma ha approvato un altro atto di sospetta matrice clientelare. Si
tratta di una delibera della Giunta regionale, presentata personalmente dal
Presidente Enzo Ghigo (cfr. La Stampa
del 18 aprile 2001) che “dà il via libera
all’adesione della Regione, in qualità di socio ordinario, all’Associazione
Forum interregionale permanente del volontariato Piemonte e Valle d’Aosta,
presieduta da Maria Paola Tripoli e stanzia 100 milioni come quota
associativa”.
Immediata la protesta delle associazioni di base e del
Coordinamento del Terzo Settore, che raggruppa una settantina di organizzazioni
fra cui le Acli, la Gioc, il Gruppo Abele e la Croce verde.
Secondo il portavoce del terzo settore “l’adesione come socio ordinario da parte
della Regione rappresenta un inaccettabile precedente, senza eguali nel
panorama nazionale, che contrasta con i compiti istituzionali della Regione”.
Infatti, da un lato la Regione ha il compito di
legiferare in materia di volontariato e di vigilare sulle attività, svolte
dalle relative associazioni, d’altro lato l’adesione al Forum costituisce una
evidente non neutrale scelta di campo.
Da parte dei Capi gruppo consiliari dei Democratici di
sinistra e dei Verdi è stata presentata una interrogazione per sapere se “la quota sottoscritta a titolo di adesione
non rappresenti, nei fatti, un escamotage per evitare di erogare un contributo
che, in quanto tale, avrebbe comportato una rendicontazione delle attività
effettivamente svolte da parte dell’associazione beneficiaria”.
Significativi i tentativi messi in
atto per giustificare in qualche modo la penosa vicenda. Il Presidente della
Giunta della Regione Piemonte ha insistito di aver ricevuto una richiesta di
adesione che gli uffici avrebbero valutato come accoglibile. La Presidente del
Forum, invece, ha sostenuto che non era stata richiesta alcuna adesione, ma un
contributo economico.
Da notare che, in base alle disposizioni regionali, le
organizzazioni di volontariato possono richiedere sovvenzioni alla Regione
Piemonte solamente dietro presentazione di dettagliati progetti di intervento.
PREMI AMMISSIBILI?
Il Centro servizi per il volontariato “Sviluppo Solidarietà
in Piemonte”, presieduto da Maria Paola Tripoli, la stessa persona a cui si
riferisce la nota precedente, ha assegnato a 25 associazioni di volontariato
premi dell’importo complessivo di ben 175 milioni (1 di 25 milioni, 1 di 20, 3
di 10 e 20 di 5). In base alle vigenti disposizioni i centri di servizio hanno
lo scopo di sostenere e qualificare l’attività di volontariato. A tal fine
dovrebbero erogare le proprie prestazioni sotto forma di servizi a favore delle
organizzazioni di volontariato. In particolare, fra l’altro:
a) approntare strumenti e iniziative per la crescita
della cultura della solidarietà, la promozione di nuove iniziative di
volontariato e il rafforzamento di quelle esistenti;
b) offrire consulenza e assistenza qualificata nonché strumenti
per la progettazione, l’avvio e la realizzazione di specifiche attività;
c) assumere iniziative di formazione e qualificazione
nei confronti degli aderenti ad organizzazioni di volontariato;
d) fornire informazioni, notizie, documentazioni e dati
sulle attività di volontariato locale e nazionale.
Com’è ovvio, i Centri per i servizi non dovrebbero
avere nessuna caratterizzazione di parte e quindi non dovrebbero favorire
alcuno dei possibili campi di azione del volontariato, ad esempio le scelte che
differenziano e spesso contrappongono il volontariato dei diritti e quello
consolatorio.
Se questa linea di neutralità venisse accolta, i
Centri dei servizi non dovrebbero premiare nessuno.
Perché, ad esempio, il suddetto Centro servizi (e gli
altri) non organizza confronti fra i sostenitori del volontariato dei diritti e
quelli che praticano il volontariato consolatorio?
Perché non si impegna nella valutazione della legge di
riforma dell’assistenza e dei servizi sociali e nella individuazione delle
iniziative da proporre alle Regioni ed ai Comuni?
Ritornando ai premi assegnati, rileviamo che sarebbe
molto grave se essi fossero stati, anche in parte, concessi ad associazioni
aderenti al suddetto Centro per i servizi, tenuto conto che gli organi
direttivi del Centro stesso sono nominati dall’Assemblea dei soci.
CONTESTATA IN ITALIA LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
FRANCESE RIGUARDANTE NICOLAS
In Italia ha suscitato reazioni negative la decisione
della Cassazione francese in base alla quale, nei casi di errori commessi da
medici, i danni devono essere corrisposti non solo ai genitori del figlio nato
con gravi handicaps, ma anche allo stesso soggetto interessato.
Ecco i fatti. Mentre la madre di Nicolas è incinta, la
primogenita contrae la rosolia. La donna chiede, quindi, al suo medico di
fiducia di accertare se anche lei ha contratto la malattia. Nel caso
affermativo, la signora dichiara di voler abortire.
Dopo aver effettuato le analisi del caso, il medico
assicura la signora che è immunizzata contro la malattia; pertanto, la
gravidanza prosegue.
Nicolas nasce con gravissimi handicap: è cieco, sordo
ed è colpito da insufficienza mentale di grado profondo.
I genitori fanno causa e ottengono il risarcimento dei
danni da essi subiti.
In un secondo tempo, si rivolgono nuovamente alla
magistratura perché anche il figlio Nicolas sia risarcito.
Dopo due giudizi negativi, la Cassazione francese
afferma il diritto di Nicolas a ricevere un congruo indennizzo.
In Italia la decisione non è condivisa da tutti. Ad
esempio, Franco Bomprezzi, presidente della Uildm, Unione italiana per la lotta
alla distrofia muscolare, che è costretto a spostarsi in carrozzina, afferma
(cfr. La Stampa del 18 novembre
2000): “Questa sentenza mi fa
agghiacciare perché significa che viene sancito un diritto a nascere sano
oppure a non nascere” precisando che “il
diritto alla miglior vita possibile è giustissimo, ma il diritto a nascere sani
è un’aberrazione”.
Perché, ci permettiamo di chiedere, il diritto a
nascere per quanto possibile sano contrasta con il diritto al riconoscimento
dei danni subiti sia dai genitori, sia dall’interessato?
D’altra parte l’erogazione delle pensioni di
invalidità e degli assegni di accompagnamento non è forse una forma di
indennizzo del danno subìto?
Se un medico, o qualsiasi persona, ha procurato per
negligenza o altro motivo, menomazioni gravi, perché non deve essere tenuto a
corrispondere un adeguato risarcimento?
(1) In
merito alla legge 37/2000, il Difensore civico della Regione Piemonte, in data
7 luglio 2000, ha inviato al Presidente del Consiglio regionale la seguente
nota: “Si sono rivolti a questo Ufficio i
Sig.ri Bozza Vincenzo e Sessano Carlo dell’Unione per la tutela degli
insufficienti mentali al fine della modifica della legge regionale 7 aprile
2000, n. 37; essi hanno contestato la presunta violazione dell’art. 3 della
Costituzione derivante dal riconoscimento del ruolo di rappresentanza e tutela
delle varie categorie di mutilati ed invalidi presso le amministrazioni
regionali e locali solo ad alcune associazioni, specificatamente indicate nella
suddetta legge. In altre parole, la legge sovramenzionata privilegerebbe alcune
istituzioni rispetto ad altre. Nel sottoporre tali osservazioni alla cortese
attenzione della S.V. rappresento l’opportunità, attraverso apposita normativa,
di riconoscere la legittimazione in questione ad un più ampio numero di
associazioni, ai fini di una più estesa tutela degli interessi morali ed
economici delle categorie di mutilati ed invalidi”.
www.fondazionepromozionesociale.it