Prospettive
assistenziali, n. 135, luglio-settembre 2001
Notiziario dell’Unione per la lotta contro
l’emarginazione sociale
Comunicato stampa sui
contributi economici a carico delle persone assistite maggiorenni (soggetti con
handicap, malati di alzheimer, anziani cronici non autosufficienti, pazienti psichiatrici
con limitata o nulla autonomia) e su quelli richiesti ai parenti tenuti agli
alimenti (*)
1. Cure
gratuite garantite dal Servizio sanitario nazionale. Si premette che, in base alle leggi in vigore da
quasi mezzo secolo (leggi 692/1955, 132/1968, 386/1974, 180 e 833 del 1978),
com’è stato confermato anche dalla sentenza della Corte di Cassazione n.
10150/1996, il Servizio sanitario nazionale è obbligato a fornire gratuitamente
e senza limiti di durata le necessarie prestazioni agli anziani cronici non
autosufficienti, ai malati di Alzheimer ed ai pazienti psichiatrici, compreso
il ricovero in ospedali e case di cura private convenzionate.
2.
Contributi a carico dei soggetti ricoverati presso strutture assistenziali. Si precisa, altresì, che i soggetti di cui sopra,
che, pur non essendo previsto da nessuna legge dello Stato, accettano di essere
ricoverati presso strutture del settore dell’assistenza sociale (comunità
alloggio, istituti, case di riposo, Rsa - Residenze sanitarie assistenziali,
ecc.), sono tenuti a corrispondere una retta in base ai loro redditi, compresa
l’eventuale indennità di accompagnamento. Nella determinazione della quota a
carico dei ricoverati, i Comuni dovrebbero tener conto dei loro obblighi
familiari (mantenimento del coniuge, dei figli invalidi e di altri congiunti),
nonché dei loro impegni economici (rimborso prestiti, mutui, ecc.). Ai soggetti
ricoverati dovrebbe essere riservata una quota per le spese non a carico dell’istituzione
(ad esempio, per l’abbigliamento) nonché per le piccole spese personali.
3. Solo nel
1999, due milioni di nuovi poveri per le spese sostenute per curare i malati
cronici. Per quanto riguarda i
contributi economici richiesti ai parenti degli assistiti maggiorenni, si
ricorda che, come risulta dal documento “Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali”, redatto dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà sociale,
Roma, ottobre 2000 «nel corso del 1999,
due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia di povertà di
fronte al carico di spese sostenute per la “cura” di un componente affetto da
una malattia cronica». Questa allarmante situazione è causata dal rifiuto
illegale del Servizio sanitario nazionale di curare anche i malati cronici e
dall’accettazione delle dimissioni ospedaliere da parte degli stessi malati
cronici e dei loro congiunti, con il conseguente trasferimento, non previsto da
nessuna legge dello Stato, presso strutture assistenziali.
4.
Importanti norme stabilite dal decreto legislativo 130/2000. Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del 6 giugno scorso del decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri “Atto di indirizzo e di coordinamento in materia di
prestazioni sociosanitarie” in attuazione dell’art. 3 septies, del decreto
legislativo 502/1992, i Comuni dovrebbero applicare il decreto legislativo
130/2000 (1).
Si precisa che il suddetto decreto legislativo
stabilisce che i Comuni, le Province, le Asl e gli altri enti pubblici devono
prendere in considerazione la situazione economica del solo assistito
(e quindi non quella dei congiunti, anche se conviventi e/o tenuti agli
alimenti ai sensi dell’art. 433 e seguenti del codice civile). Infatti, per le
prestazioni sociali «erogate a domicilio
o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con
handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5
febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge,
nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o
psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le
disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la
solidarietà sociale e della sanità».
5. Gli enti
pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti agli
alimenti di assistiti maggiorenni. Si
ricorda, fatto importantissimo, che l’articolo 2, comma 6, dello stesso decreto
legislativo 130/2000 non solo precisa che le nuove disposizioni «non modificano la disciplina relativa ai
soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del
codice civile» ma stabilisce che le stesse disposizioni «non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti
erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile
nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione
sociale agevolata».
Resta, dunque, confermato, come precisa l’articolo 438
del codice civile, che «gli alimenti
possono essere chiesti solo da chi
versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento».
Dunque gli alimenti possono essere richiesti solo dall’interessato (o dal suo
tutore se è stata pronunciata l’interdizione) e da nessun altro ente o persona.
La precisazione contenuta nel decreto legislativo
130/2000 non fa altro che confermare che gli enti pubblici non possono
pretendere contributi dai parenti degli assistiti maggiorenni come era stato
disposto dalle note del Direttore generale del Ministero dell’interno del 27
dicembre 1993, prot. 12287/70 e dell’8 giugno 1999, prot. 190 e 412 B.5, del
Capo dell’Ufficio legislativo del Dipartimento per gli affari sociali della
Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1994, prot.
DAS/4390/1/H/795, del 28 ottobre 1995, prot. DAS/13811/1/H/795 e del 29 luglio
1997, prot. DAS/247/UL/1/H/795 e della lettera inviata dal Capo dell’Ufficio
legislativo del Ministro per la solidarietà sociale in data 15 ottobre 1999,
prot. DAS/625/UL-607 all’Anci nazionale, dal parere fornito in data 18
settembre 1996, prot. 2667/1.3.16 dal Direttore del Servizio degli Affari
giuridici della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, dalla risposta fornita
dall’Assessore all’assistenza della Regione Piemonte in data 7 marzo 1996 ad
una interrogazione, dai provvedimenti assunti dal Coreco di Torino in data 13
dicembre 1995 n. 36002, 1° agosto 1996, n. 11004/96 bis e 31 luglio 1997 n.
9152/97 bis e dalla sentenza del TAR del Veneto n. 1785/1999.
A sua volta il Difensore civico della Regione
Piemonte, già Pretore Capo della Pretura di Torino, nella relazione
sull’attività svolta nel 1997 ha formulato il seguente parere: «Nell’ambito dei problemi affrontati merita
un cenno particolare quello relativo ai contributi economici richiesti ai
parenti degli assistiti da parte di strutture socio-sanitarie assistenziali
attraverso il richiamo all’obbligo alimentare. Lo scrivete ha, a questo
proposito, rilevato che l’obbligo patrimoniale può essere imposto solo dalla
legge (art. 23 della Costituzione) e che la normativa vigente non prevede
rivalse di sorta nei confronti dei parenti da parte dell’ente che ha erogato
l’assistenza. Questo difensore civico ha rilevato che la prassi, talvolta
seguita, del ricorso alla normativa concernente l’obbligo alimentare, non è
condivisibile, ponendo in evidenza che i soggetti dell’obbligazione alimentare
sono, da un lato, l’avente diritto (che non può certo identificarsi con l’ente
pubblico) e, dall’altro, l’obbligato, per cui la relativa azione è proponibile
solo nell’ambito di questi soggetti. È stata quindi esclusa la proponibilità da
parte dell’ente pubblico dell’azione dei regressi nei confronti dei coobbligati
agli alimenti; prestazioni assistenziali e obblighi alimentari, infatti,
rispondono a presupposti diversi, non sussidiari gli uni rispetto agli altri,
costituiti, da un lato, dall’obbligo preminente per lo Stato di garantire
l’assistenza e, quindi, la salute e, dall’altro, dall’esigenza, circoscritta
all’ambito famigliare, di provvedere l’avente diritto dei mezzi di sussistenza,
ove il soggetto non sia in grado di procurarseli con il proprio lavoro.
«È stato
escluso che possa ipotizzarsi un ingiustificato arricchimento per il parente
tenuto alla corresponsione degli alimenti, finché questi non vengano richiesti
dall’avente diritto e sia conseguentemente sorto l’obbligo del pagamento. La
proponibilità dell’azione surrogatoria è stata infine esclusa per la
considerazione che tale mezzo processuale ha carattere sussidiario ed ha come
presupposto il mancato esercizio di azioni di cui il debitore trascuri la
proposizione. Si è anche rilevato che la proposizione dell’azione surrogatoria
è esclusa dal legislatore nei confronti di azioni, cioè quella alimentare, che
hanno una precisa connotazione personalistica e non sono perciò esercitabili da
terzi».
La illegittimità delle richieste di contributo avanzate
dagli enti pubblici nei confronti dei parenti tenuti agli alimenti di persone
maggiorenni assistite è ancora più grave ove si consideri che l’ente pubblico
non solo si arroga un diritto che non ha, ma pretende anche di determinare
l’importo che dovrebbe essere versato dai congiunti, arrivando addirittura a
sostituirsi al giudice.
Infatti il 3° comma dell’art. 441 del codice civile
stabilisce quanto segue: «Se gli
obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di
somministrazione degli alimenti, provvede l’autorità giudiziaria secondo le
circostanze».
Per quanto riguarda la sentenza della Corte di
Cassazione n. 481/1998, occorre rilevare che la Corte stessa è incorsa in un
clamoroso errore. Infatti, ha considerato come ancora in vigore la legge 1580
del 1931 (che riguardava la rivalsa
delle spese di spedalità e manicomiali e non quelle di ricovero in istituti di
assistenza), quando con la sentenza 7989 del 1994 la medesima Corte di Cassazione
aveva riconosciuto che la legge 1580/1931 era operante solamente «prima
dell’attuazione della riforma sanitaria».
Ricordiamo, infine, che rispettando le norme vigenti,
i competenti organi centrali dello Stato, per la concessione delle pensioni
sociali e di invalidità e per l’integrazione al minimo delle pensioni INPS, non
hanno mai tenuto conto dei redditi dei parenti tenuti agli alimenti, coniuge
escluso.
A loro volta i Comuni, per le prestazioni fornite
dagli asili nido e dalle scuole materne, nonché per i soggiorni di vacanza di
anziani e per le molteplici attività di tempo libero, non si sono mai rivolti
ai parenti tenuti agli alimenti, nel caso in cui i genitori dei bambini o gli
altri utenti non fossero in possesso dei mezzi economici necessari per il
pagamento dell’intera prestazione.
6. Ciò premesso, nel caso in cui – com’è purtroppo
prevedibile – i Comuni, le Province, le Asl e gli altri enti pubblici non
approvassero i dovuti provvedimenti per dare applicazione al decreto
legislativo 130/2000, è necessario che i soggetti con handicap grave (assistiti
a domicilio o frequentanti centri diurni o ricoverati presso comunità alloggio
o istituti) o coloro che li rappresentano assumano le occorrenti iniziative al
fine di ottenere la dichiarazione di gravità prevista dagli articoli 3 e 4 della
legge 5 febbraio 1992 n. 104. Ad avviso di molti Enti pubblici la suddetta
dichiarazione deve essere richiesta anche da coloro che percepiscono l’assegno
di accompagnamento.
7. Per quanto riguarda gli ultrasessantacinquenni,
occorre che sia stata rilasciata dalle Unità valutative geriatriche la
certificazione di non autosufficienza.
8. Che cosa
possono fare i parenti per non continuare a versare contributi economici agli
enti pubblici. Per poter ottenere che
i Comuni, le Province, le Asl e gli altri enti pubblici, che non applicano il
citato decreto legislativo 130/2000, non richiedano più contributi ai congiunti
di soggetti con handicap grave o di ultrasessantacinquenni non autosufficienti,
occorre che coloro che hanno sottoscritto con i suddetti enti pubblici (in
seguito verrà affrontata la questione dei contributi richiesti dalle Ipab e
dagli enti privati) impegni di pagamento per il ricovero dei loro congiunti
inviino all’ente interessato una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno
come da fac-simile qui di seguito riportato.
Egr. Sig. Sindaco di
...................................
oppure
Egr. Sig. Presidente della Provincia di ......
oppure
Egr. Sig. Direttore Generale Asl ................
Il sottoscritto ...... abitante in ......, Via ......
n. ......, preso atto delle norme del decreto legislativo n. 130/2000, tenuto
conto che il Sig. ...... è in possesso della dichiarazione di handicap grave e
permanente di cui all’art. 4 della legge 104/1992 (oppure è stato valutato non
autosufficiente dall’Unità valutativa geriatrica dell’Asl n. ...... e che lo
stesso ha un’età superiore ai 65 anni) con la presente disdice l’impegno che
aveva sottoscritto in data ......
L’impegno viene pertanto revocato a partire dal primo
giorno del mese successivo all’invio della presente.
Lo scrivente precisa che continuerà ad essere versato
l’importo dei redditi (e dell’assegno di accompagnamento, se percepito) del
soggetto ricoverato, dedotta la quota concessa all’utente per le sue spese
personali (2).
Ai sensi e per gli effetti della legge 241/1990, lo
scrivente chiede gentilmente di ricevere una risposta scritta.
Data ...... Firma
................
9. Che cosa
possono fare i parenti che hanno sottoscritto impegni di pagamento con Ipab o
con enti privati. Se l’impegno di
pagamento della quota non coperta dai redditi dell’assistito (handicappato
grave o ultrasessantacinquenne non autosufficiente) è stato sottoscritto da un
congiunto nei confronti di una Ipab (Istituzione pubblica di assistenza e
beneficenza) o di un ente privato, occorre tener conto che si tratta di un vero
e proprio contratto.
In via generale (fatti salvi i casi specifici da
esaminare uno per uno), il parente dovrebbe inviare al Comune competente (e
cioè a quello di ultima residenza dell’assistito prima del ricovero) e al
responsabile dell’ente in cui la persona è ricoverata due lettere raccomandate
con ricevuta di ritorno, come da fac-simile qui di seguito riportato.
Egr. Sig. Sindaco di ................
Egr. Responsabile ente ..........
In data ......... lo scrivente .......... abitante in
.......... Via ...... n. ...... ha sottoscritto con l’ente ...... l’impegno di
cui si allega fotocopia.
L’impegno è stato sottoscritto in quanto era la
condizione richiesta dall’ente suddetto per accogliere il Sig. ..........
Preso atto che il decreto 130/2000 stabilisce che nel
caso di soggetto con handicap grave e permanente o di ultrasessantacinquenne
non autosufficiente, per le prestazioni sociali deve essere fatto riferimento
esclusivamente ai redditi del soggetto stesso, lo scrivente revoca l’impegno
sottoscritto a partire dal primo giorno del mese successivo all’invio della
presente e chiede che il Comune di .........., al quale la legge vigente (cfr.
in particolare gli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931) attribuisce
l’obbligo di fornire assistenza, versi all’istituto (o Ipab) .......... con
sede in .......... Via .......... n. ......, la differenza fra la retta
richiesta (attualmente Lire ....... al giorno) ed i redditi del ricoverato
(attualmente Lire .......... compresa l’indennità di accompagnamento) dedotta
la quota che il Comune da Lei presieduto lascia al ricoverato per le sue
piccole spese personali.
Ai sensi e per gli effetti della legge 241/1990, lo
scrivente chiede una risposta scritta.
Data ...... Firma
................
10. Per i
malati di Alzheimer ed i pazienti psichiatrici non autosufficienti di età
inferiore ai 65 anni, è auspicabile
che i Comuni, al fine di prendere in considerazione la situazione economica del
solo assistito, li equiparino agli ultrasessantacinquenni non autosufficienti,
oppure accettino la certificazione di soggetti con handicap grave e permanente.
In caso contrario, i Comuni possono applicare le norme sul redditometro
(decreto legislativo 109/1998) che fanno riferimento al reddito familiare. C’è
in questo caso, la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale per la
disparità di trattamento dei malati aventi un’età inferiore ai 65 anni,
rispetto a quelli che la superano.
Nota: Per informazioni in materia, telefonare al n. 011.812.44.69,
ore 9-12.
(*)
Comunicato stampa del 4 luglio 2001 del Csa - Comitato per la difesa dei
diritti degli assistiti, a cui aderisce l’Ulces.
(1) I
Comuni, rispettosi delle esigenze e dei diritti dei cittadini, da anni non
richiedono contributi economici ai parenti degli assistiti maggiorenni con
handicap intellettivo grave. Dal 4 dicembre 2000, il Comune di Torino ha
esentato dal versamento di contributi i parenti degli anziani assistiti
(compresi i malati di Alzheimer) dichiarati non autosufficienti dalle Unità
valutative geriatriche.
(2) Sono a
carico dell’utente (e non dei suoi congiunti) tutte le altre spese concernenti
il ricovero, comprese quelle relative a farmaci non forniti gratuitamente dal
Servizio sanitario nazionale.
www.fondazionepromozionesociale.it