Prospettive
assistenziali, n. 135, luglio-settembre 2001
Specchio nero
La presidente nazionale
dell’anffas ed i diritti inesistenti
Nell’editoriale del n. 1, gennaio-marzo 2001, di “La Rosa blu”, la Presidente nazionale
dell’Anffas, Rosina Zandano, ha affermato che «non è necessario elencare le leggi che negli ultimi cinque anni, su
impulso del Ministero della solidarietà sociale, il Parlamento e il Senato
hanno approvato in favore delle fasce deboli, tra cui l’handicap fisico e
mentale, ma è importante sottolineare l’afflato ispiratore di queste leggi: non
più la pietà per i diversi, per i bisognosi, ma il rispetto dei diritti della
persona umana qualunque sia la sua condizione fisica e psichica».
Dunque, la Presidente nazionale dell’Anffas apprezza
i 22 “possono” della legge quadro sull’handicap 104/1992 e degli altri 3
“possono” contenuti nella legge 162/1998 concernente i soggetti colpiti da
handicap gravi, nonché l’assoluta assenza di diritti esigibili nella legge
328/2000 sui servizi sociali.
È vero che, su iniziativa dell’On. Livia Turco, il
Parlamento ha concesso all’Anffas un regalo di ben 20 miliardi per sanarne le
rilevanti carenze gestionali, ma ci sembra che le affermazioni fuorvianti siano
sempre da condannare.
Circa la gestione dell’Anffas, ricordiamo che la sua
gravità è confermata dal fatto che alla fine del 1999 l’associazione era
coinvolta in oltre 500 vertenze legali; inoltre il debito nei confronti degli
enti previdenziali e dell’Erario raggiungevano l’importo di 33 miliardi. Inoltre,
come ha riferito L’Espresso del 18
maggio 2000, nel centro di Cervinara (Avellino), per assistere 14 handicappati,
erano state assunte 25 persone tra le quali 3 cuochi e 2 autisti senza che vi
fosse un solo mezzo da guidare. Inoltre la sede di Cervinara è stata demolita
perché irrecuperabile a fronte delle norme di sicurezza previste dalla legge.
Fra le priorità del terzo
settore non ci sono i diritti degli utenti
Il Forum del terzo settore «si candida a riformare la politica», come afferma il suo portavoce,
Edoardo Patriarca (cfr. Mondo Sociale,
maggio 2001).
Le richieste rivolte al Governo riguardano le seguenti
questioni:
– educazione e
formazione: un patto tra generazioni. Il terzo settore si candida a
svolgere nei prossimi anni un’azione di formazione continua, di educazione
permanente e di promozione dell’innalzamento delle conoscenze tra i cittadini,
in particolare tra giovani, donne e anziani;
– una nuova
economia del sociale, mediante la predisposizione di nuove politiche di
sostegno, con incentivazioni per l’imprenditoria sociale e con politiche attive
per il settore dei servizi alla persona;
– la
riforma del welfare e la sussidiarietà orizzontale. L’azione di Governo
– a livello centrale come locale – dovrebbe essere incentrata sulle
politiche sociali. Allo scopo il Governo dovrebbe stringere con il terzo
settore un’alleanza di grande respiro;
– i temi della
cultura, della sicurezza e dell’immigrazione. La cultura dovrebbe essere
considerata un collante efficace di coesione sociale e di politiche di welfare
innovative. Le attività culturali sono indicatori utili per misurare la qualità
della vita. In questa prospettiva è prioritaria la lotta al razzismo e il tema
dell’immigrazione;
– la dimensione
internazionale: l’Europa della solidarietà, per la globalizzazione della
cittadinanza e della solidarietà. La globalità dello sviluppo sociale
dell’intero continente deve essere un punto prioritario delle politiche e del
processo di unificazione europea.
* * *
Osserviamo che fra le richieste del terzo settore non
c’è alcun cenno alla questione dei diritti, a nostro avviso di fondamentale
importanza per l’effettivo riconoscimento delle esigenze e della dignità della
fascia più debole della popolazione.
In sostanza, il terzo settore vuole estendere al massimo
la propria operatività e la propria influenza, assicurando a se stesso tutti i
possibili vantaggi economici.
due fra i mille casi di
malasanità sofferti da anziani cronici non autosufficienti
Riportiamo
integralmente le lettere pubblicate su “Salute”, La Repubblica
del 3 maggio 2001 e su “Specchio dei tempi”, La Stampa del 27 giugno 2001.
1. - «Mia madre di 89 anni
convivente con un marito di 91 anni ha una pensione categoria VOBIS decorrenza
dicembre ’66 di L. 560 (cinquecentosessanta) al mese ed è invalida totale
(100%) in seguito a tumore e ad altre patologie gravi. Operata il giorno 9
gennaio per rottura di femore, in un ospedale Rizzoli di Bologna specializzato
in questi interventi, il giorno 20 gennaio è stata forzatamente dimessa con
febbre a 38.5°C, catetere, pannolone ed inabile a camminare (prima
dell’intervento era una donna autosufficiente). Nessuna struttura riabilitativa
idonea per tale tipologia di intervento l’ha accettata. Anche la struttura
riabilitativa collegata all’ospedale operante la casa di cura Villa Bellombra
non l’ha accettata perché troppo anziana. Strutture idonee nel comune di
residenza e a Casalecchio non ce ne sono. Da quel giorno è incominciato un
calvario incredibile, iniziato con un ricovero a Villa Teresa, una struttura
tenuta da religiose che risultò non idoneo per la persona con quella patologia.
Per far fronte al danno ha dovuto ricorrere con risultati incerti a una clinica
privata – Villa Toniolo – con costi per la famiglia esorbitanti. Tutto
questo succede in una città come Bologna considerata la prima città d’Italia
per condizioni di vita. Se così è Bologna immaginarsi le altre città. Se penso
che l’anno ’99 è stato l’anno dell’anziano mi chiedo cos’è stato fatto per loro
e in generale per tutte le persone che escono dal circuito produzione/consumo e
che non hanno mezzi sufficienti a fare fronte a certe calamità».
2. - «Desidero denunciare un caso di malasanità. Sabato 16.
Chiamiamo il “118” perché nostro
padre, diabetico con mille problemi, è caduto e non dà segni di conoscenza.
Viene accompagnato al pronto soccorso di un ospedale della provincia e
trattenuto fino alle 14 del giorno successivo, poi rimandato a casa in
ambulanza con questa diagnosi: “astenia”.
«Ma dopo due ore perde nuovamente conoscenza. Altra chiamata
al 118 (in entrambi i casi il personale è molto gentile e molto preparato),
nuova corsa in ospedale, nuovo recupero. Il lunedì mattina mia madre in pronto
soccorso viene letteralmente aggredita dal medico responsabile di Medicina.
Urla che l’avrebbe dimesso, in quanto la terapia era facilmente eseguibile a
casa con l’ausilio del medico di base e che era inutile occupare un letto per
un’inezia simile.
«A questo punto solo dopo avere minacciato
l’intervento dei carabinieri mio padre viene ricoverato prima in neurologia e
dopo in medicina. Domenica mattina alle 5,50 mio padre è morto! Diagnosi?
Sospetta embolia polmonare. Forse non c’era nulla da fare, ma se si interveniva
subito?
«Mi auguro almeno che gli sia resa giustizia e che se
qualcuno ha sbagliato, il caso non passi sotto silenzio».
Assente l’informazione sul
diritto die malati di alzheimer alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di
durata
Nel numero scorso avevamo segnalato che nel volume
“Prendersi cura del malato di Alzheimer - Un manuale per i familiari” di
Caterina Cattel e Roberto Bernabei, edito dal Centro di promozione
dell’assistenza geriatrica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, non c’era
una sola parola sul diritto delle persone colpite da demenza senile alle cure
sanitarie gratuite e senza limiti di durata, comprese – occorrendo
– quelle praticate in ospedali, case di cura private convenzionate e altre
strutture residenziali.
Purtroppo, detta informazione, a nostro avviso
certamente doverosa, non è nemmeno contenuta negli articoli di Angelo
Bianchetti “La malattia di Alzheimer: una sfida possibile” in Pagine di psicomotricità, n. 67,
gennaio-febbraio 2001, e “Alzheimer e famiglia: conseguenze e interventi” in La Famiglia, n. 205, gennaio-febbraio
2001, nonché in quelli di Elisabetta Farina, “Alzheimer, una sfida aperta”, in Missione Uomo, marzo 2001; di Anna
Rotondo, “Alzheimer e sistema delle cure”, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 17, 2000; di Giampaolo Lai,
“L’accesso ai mondi possibili nella malattia di Alzheimer”, Ibidem, n. 4, 2001.
Da notare che gli Autori citati sono tutti esperti nel
settore della malattia di Alzheimer.
Particolarmente grave è l’analoga omissione contenuta
nella delibera della Giunta della Regione Emilia-Romagna del 30 dicembre 1999
n. 2581 “Prospetto regionale demenze: approvazione linee regionali e piani
interventi attuativi. Assegnazione finanziamenti Aziende Unità sanitarie
locali”.
L’omessa informazione comporta, fra l’altro,
l’assunzione di oneri economici da parte dei familiari di importi che arrivano
a 5-6 milioni al mese!
Sono ancora 285 gli enti
inutili
Alla data del 1° gennaio 2001, erano ancora 285 gli
enti, tutti in liquidazione da anni, eppure ancora in piedi: tra gli enti
inutili che resistono al passaggio del millennio ci sono l’Ente nazionale per
le Tre Venezie, l’Opera nazionale per la protezione della maternità e
l’infanzia (Onmi), l’Ente nazionale assistenza lavoratori (Enal), l’Opera
nazionale per gli invalidi di guerra e l’Opera nazionale combattenti. Poi c’è
l’Ente autonomo gestione aziende termali, l’Ente di gestione case lavoratori e
ancora l’Istituto nazionale gestione imposte di consumo.
Falsi poveri della Provincia
di Enna
Numerosi abitanti di sei Comuni della Provincia di
Enna, che hanno percepito il contributo economico denominato reddito minimo di
inserimento, sono risultati proprietari di case, terreni, consistenti conti
bancari, buoni postali, obbligazioni, auto di grossa cilindrata.
Le false povertà riguardano la metà degli interessati
della Provincia di Enna: 859 persone su circa 2.200 presunti assistibili.
Per l’erogazione del reddito
minimo di inserimento erano stati stanziati ben 27 miliardi.
www.fondazionepromozionesociale.it