Prospettive
assistenziali, n. 136, ottobre-dicembre 2001
decreto sui requisiti delle strutture
assistenziali
diurne
e residenziali
Molto deludente è il decreto 21 maggio
2001 n. 308, emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri sui requisiti
delle strutture assistenziali diurne e residenziali, che riportiamo
integralmente su questo numero. È l’ultima - speriamo - botta inferta ai più
deboli dall’On. Livia Turco.
Numerosi giornali e riviste avevano
segnalato nei mesi scorsi che il testo di riforma dell’assistenza e dei servizi
sociali prevedeva la chiusura dei
vecchi istituti di ricovero.
Sul numero del 14 giugno 2000 di “Oggi”
era apparso un articolo dal titolo “Orfanotrofi
addio: ogni bimbo avrà il calore di una famiglia”. Le autrici, Antonella Amendola
e Rita Cenni, inventavano la chiusura degli orfanotrofi asserendo che «d’ora in poi i bambini e i ragazzi
abbandonati, o in difficoltà, non finiranno mai più in istituto».
La falsa notizia sulla chiusura degli
orfanotrofi era stata divulgata, altresì,
da “La Repubblica” del 31 maggio 2000 con l’intestazione “Orfanotrofi, il giorno dell’addio”; da “Avvenire” del 1° giugno
2000 con il titolo “Addio orfanotrofi,
c’è la casa famiglia”; dal “Corriere
della Sera” del 1° giugno 2000 con il titolo “Primo sì all’assistenza su misura. Rivoluzione nel welfare:
orfanotrofi addio, incentivi al non profit”; infine, da “Vita” del 9 giugno
2000 “Avanza la riforma dell’assistenza,
l’articolo 22 chiude gli orfanotrofi”.
Com’è stato rilevato (1), la chiusura
degli istituti era una frottola «conseguente
con ogni probabilità alla diffusione di “veline” predisposte per raccogliere
consensi al testo di riforma da parte
di chi ne conosceva le gravissime carenze e voleva mascherarle. Infatti, alla
lettera c) dell’art. 22 è semplicemente stabilito che le “strutture comunitarie
di accoglienza” devono essere di tipo familiare, il che non esclude istituti di
40-50 o più posti, suddivisi in gruppi di 10-15 utenti. Inoltre, la legge
328/2000 non vieta la costruzione di nuovi istituti di ricovero per
l’infanzia (e per gli adulti con
handicap o altre difficoltà) e la ristrutturazione di quelli esistenti (a volte
con oltre 100 minori ricoverati)».
Le considerazioni sopra riportate sono
pienamente confermate dal provvedimento
in oggetto in cui è stabilito all’art. 1 che «il presente decreto fissa i requisiti minimi strutturali e
organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo diurno e residenziali di
cui alla legge n. 328 del 2000, con previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo familiare
con sede nelle civili abitazioni» (2).
Invece (cfr. l’ultima parte dell’art. 3),
«per le comunità che accolgono minori,
gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini, degli adolescenti, sono
stabiliti dalle Regioni».
Dunque, nulla vieta che le Regioni e le
Province autonome di Bolzano e Trento definiscano i requisiti in modo da
considerare “comunità” (3) anche le strutture comprendenti 2-5-10 “comunità”.
Infatti, in nessuna parte del decreto 308/2001 sono vietati gli accorpamenti.
Identiche considerazioni valgono per il
3° comma dell’art. 8 del decreto 308/2001 che recita: «Le Regioni, nell’ambito delle norme di cui all’articolo 1, comma 2, adottano
i tempi e le misure volte al definitivo superamento degli istituti per minori con particolare riguardo ai requisiti
minimi richiesti ai sensi dell’art. 22, comma 3, della legge 328 del 2000».
Orbene, il sopra citato 3° comma
dell’art. 22 della legge 328/2000 non stabilisce alcunché in merito ai
requisiti minimi, in quanto precisa solamente che «i servizi e le strutture a ciclo residenziale destinati all’accoglienza
dei minori devono essere organizzati esclusivamente nelle forme comunitarie di
tipo familiare».
Quindi le norme suddette sono pienamente
rispettate - lo ripetiamo - quando l’istituto di 100 posti è organizzato in
tanti nuclei, come avviene, ad esempio, per i villaggi Sos (la cui capienza
media è di 170 minori!) e l’istituto
“Mamma Rita” di Monza (autorizzato ad accogliere fino a 100 fanciulli).
Rileviamo, inoltre, che la formulazione
del decreto 308/2001 non tiene conto
che il 4° comma dell’articolo 2 della legge 149/2001 sull’adozione e l’affidamento
stabilisce che «il ricovero in istituto
deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una
famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante l’inserimento in comunità di
tipo familiare caratterizzate da organizzazioni e rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia» (4).
Per quanto riguarda i soggetti con
handicap, innumerevoli sono state le iniziative assunte in questi ultimi
vent’anni per la creazione, quale soluzione da praticare solo nei casi di
impossibilità della permanenza dei soggetti in difficoltà a casa loro o presso
famiglie e persone affidatarie, di comunità alloggio aventi al massimo 8-10
posti.
Il decreto 308/2001, non tenendo
assolutamente conto delle esigenze degli assistiti e delle numerose
esperienze realizzate, ha stabilito che
la capacità ricettiva massima é di 20 posti letto.
Anche in questo caso, il suddetto
provvedimento non vieta gli accorpamenti di più strutture, per cui il futuro
dei grossi istituti è assicurato, purché stabiliscano una suddivisione interna
in “comunità” aventi non più di 20 posti letto (5).
Inoltre, il decreto in oggetto arriva a
prevedere un massimo di 80 posti letto per le «strutture residenziali a prevalente accoglienza alberghiera» che
sono (cfr. il 3° comma dell’art. 7) «caratterizzate
da bassa intensità assistenziale, media e alta complessità organizzativa in
relazione al numero di persone ospitate, destinate ad accogliere anziani
autosufficienti o parzialmente non autosufficienti».
(1) Cfr. M. G. Breda, D. Micucci e F. Santanera,
La riforma dell’assistenza e dei servizi
sociali. Analisi della legge n. 328/2000 e proposte attuative, Utet
Libreria, Torino, 2001.
(2) Da notare che le «comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni» rappresentano
una percentuale esigua (1-2%?) delle
altre strutture di ricovero per minori,
soggetti con handicap, anziani, ecc.
(3) Analoghe considerazioni valgono per i gruppi
appartamento che, come precisa la prima parte dell’art. 3 del decreto 308/2001 «accolgono, fino ad un massimo di sei
utenti, anziani, disabili minori o adolescenti, adulti in difficoltà».
(4) La legge 149/2001 prevede, altresì, che «le Regioni, nell’ambito delle proprie
competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che
devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e
verificano periodicamente il rispetto dei medesimi».
(5) Occorre, pertanto, agire affinché le
norme regionali vietino gli accorpamenti, anche solo di due strutture, sia per
le comunità che per i gruppi che accolgono minori o soggetti con handicap.
www.fondazionepromozionesociale.it