Prospettive
assistenziali, n. 136, ottobre-dicembre 2001
il rapporto inviato dal governo italiano
all’onu
contiene
notizie scorrette sui minori
Nel volume “I diritti attuati” edito dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali, Roma, 2000, è
riportato un estratto del secondo Rapporto inviato dal Governo italiano all’Onu
sull’applicazione nel nostro Paese della Convenzione internazionale sui diritti
del fanciullo redatta nel 1989.
Nella premessa viene affermato che «il Governo italiano ritiene di poter
contare su un ordinamento giuridico adeguatamente conforme alla Convenzione del
1989», aggiungendo che «il principio
della non discriminazione non è previsto nel nostro ordinamento giuridico in
riferimento specificatamente ai minori di età, ma, costituendo un principio
generale dell’ordinamento sancito a livello di Costituzione (art. 3, comma 2),
non consente deroghe e tutela pienamente, pertanto, anche i cittadini minori».
L’art. 2 della Convenzione internazionale sui diritti
del fanciullo stabilisce che gli Stati che l’hanno ratificata (1) «si impegnano a rispettare i diritti
enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che
dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da
ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti
legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione
finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra
circostanza.
«Gli Stati
parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia
effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione
motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o
convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi
familiari».
Coloro che hanno redatto il Rapporto italiano sanno
che nella nostra legislazione l’assistenza ai nati nel matrimonio è di competenza
dei Comuni, mentre quella dei nati al di fuori di esso spettava al momento
della stesura del Rapporto alle Province?
Sanno che da molti decenni le leggi (cfr. ad esempio
la n. 2277 del 1925) stabilivano che per i minori nati nel matrimonio il ricovero
in istituto, nei casi di genitori inidonei, poteva essere disposto solo se non
c’erano famiglie affidatarie disponibili, mentre per i nati fuori del
matrimonio l’art. 32 del regio decreto 29 dicembre 1927 n. 2822, ancora in
vigore, disponeva e dispone quanto segue: «Trascorso
il periodo di allattamento ritenuto necessario dal direttore sanitario
dell’istituto, il bambino può essere trattenuto o ritirato dalla madre, che
riceve in tali casi un sussidio mensile sino al compimento del periodo di
assistenza di cui all’art. 4 del regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798.
«I divezzi,
che non vengano ritenuti o ritirati dalle madri, sono di regola ricoverati,
sino al terzo anno di età, in un distinto reparto del brefotrofio o in altri
istituti, a cura del brefotrofio stesso, e allevati da apposito personale
femminile che abbia seguito corsi di puericultura.
«Dopo il
terzo anno, i fanciulli sono preferibilmente collocati in idonei istituti,
tenuto conto delle designazioni fatte dalla Giunta esecutiva della Federazione
provinciale, a norma dell’art. 94 del regolamento 15 aprile 1926, n. 718.
«Qualora non
siano possibili le predette forme di assistenza, i fanciulli vengono affidati
ad allevatori esterni, possibilmente abitanti in campagna, che hanno diritto ad
una congrua retribuzione.
«Solo quando
non possa essere collocato presso la madre o la nutrice, il divezzo può essere
affidato, per l’allevamento esterno, ad altra persona»
Com’è possibile che i redattori del Rapporto non si
siano ricordati che, mentre la legge 8 giugno 1990 n. 142 aveva trasferito ai
Comuni le funzioni assistenziali svolte dalle Province in materia di assistenza
ai fanciulli nati fuori del matrimonio, la legge 18 marzo 1993 n. 67 ha
stabilito all’art. 5 che «le funzioni
assistenziali già di competenza delle Province alla data di entrata in vigore
della legge 8 giugno 1990 n. 142, sono restituite alla competenza delle
Province che le esercitano, direttamente o in regime di convenzione con i
Comuni, secondo quanto previsto dalle leggi regionali di settore, che le
Regioni approvarono entro il 31 dicembre 1993»? (2).
L’odiosa discriminazione reintrodotta dalla legge
67/1993 non riguarda solo i minori nati fuori del matrimonio, ma anche i ciechi
e sordi di qualsiasi età. Infatti, ai sensi delle disposizioni di legge sopra
citate, l’assistenza ai «ciechi e sordomuti poveri rieducabili», così definiti
dal regio decreto 383/1934 è di competenza delle Province, mentre per gli altri
soggetti colpiti da sordità e sordomutismo devono intervenire i Comuni (3).
Nonostante i ripetuti solleciti del Csa, l’On. Livia
Turco non solo non ha eliminato la discriminazione fra nati nel e fuori del
matrimonio nella legge da lei tanto osannata n. 285 del 1995 “Disposizioni per
la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” (4),
ma ha consentito che nella legge 328/2000 di riforma dell’assistenza e dei
servizi sociali, come risulta dal 5° comma dell’art. 8, le Regioni possono
confermare l’attribuzione alle Province delle competenze in materia di assistenza
ai minori nati fuori del matrimonio, nonché ai ciechi ed ai sordomuti poveri
rieducabili.
Segnaliamo, infine, che, mentre l’art. 4, comma 52
della legge della Regione Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1, ha attribuito ai
Comuni le funzioni relative all’assistenza dei minori nati fuori del
matrimonio, dei ciechi e dei sordomuti, successivamente in base all’art. 40
della legge 27 marzo 2000, le suddette competenze sono state riaffidate alle
Province (5).
Dunque, si tratta di discriminazioni dure a morire, che
non si dovrebbero ignorare, specialmente da parte di coloro che redigono i
rapporti inviati dal Governo italiano all’Onu (6).
(1) L’Italia ha provveduto a ratificare la Convenzione internazionale
sui diritti del fanciullo con la legge 27 maggio 1991 n. 176.(2) La maggior
parte delle Regioni non ha attuato quanto previsto dalla legge 67/1993, senza
che nessuno sia intervenuto.
(3) Ricordiamo che la restituzione delle competenze assistenziali alle
Province in materia di minori nati fuori del matrimonio, dei ciechi e dei sordi
è stata promossa dall’Unione italiana ciechi. Finora l’Ente nazionale sordomuti
non ha mai avanzato alcuna obiezione circa la discriminazione riguardante le
persone affette da sordomutismo.
(4) Cfr. “Perché e come completare il disegno di legge del Governo
sull’infanzia e l’adolescenza”, Prospettive
assistenziali, n. 118, 1997.
(5) Cfr. Virginio Brivio, “Le Province nella legge di riforma”, Prospettive sociali e sanitarie, n.
20/22, 2000.
(6) Anche
il “Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo
sviluppo dei soggetti in età evolutiva per gli anni 2000-2001”, pubblicato
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari
sociali, Roma, 2000, ignora totalmente le problematiche sviluppate in questo
articolo.
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