Prospettive assistenziali, n. 136, ottobre-dicembre 2001

 

 

Specchio nero

 

 

IL “DOPO DI NOI” DELLA REGIONE VENETO: SOPRATTUTTO STRUTTURE DI ESCLUSIONE SOCIALE

Nell’articolo «Il “Dopo di noi” non è più un dramma», apparso sul settimanale Vita del 19 ottobre 2001, Antonio De Poli, Assessore alle politiche sociali della Regione Veneto, afferma che «la difficile questione dei disabili, soprattutto adulti, ai quali viene a mancare la famiglia, sta diventando centrale per le politiche sociali della Regione che riguardano il settore dell’handicap». Evidentemente, l’Assessore dimentica (o vuole dimenticare?) che sono in vigore (peraltro da ben 70 anni!) gli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 che obbligano tuttora (1) gli enti pubblici a provvedere alle persone in difficoltà (minori, soggetti con handicap, anziani non malati) (2). Le tipologie residenziali previste dalla Regione Veneto comprendono una iniziativa molti valida e cioè il gruppo-famiglia per soggetti adulti con handicap, inserito in un contesto urbano di civili abitazioni con un massimo di 5-6 persone. Non è accettabile, invece, la previsione di comunità alloggio per individui non autosufficienti a causa di handicap gravi per quanto concerne la capienza, che può arrivare addirittura a 19 posti. Infatti, l’esperienza dimostra che non bisogna superare 8-10 posti al fine di assicurare alla struttura una connotazione parafamiliare e di non sovraccaricare il contesto sociale in cui è inserita con il rischio reale di favorire le situazioni di rifiuto da parte della popolazione. Ancora più negativa e sicuramente emarginante è l’utilizzo dei grandi istituti (Palazzolo di Bassano, Gris di Mogliano Veneto, Opera Divina Provvidenza di Padova) che hanno una capacità ricettiva totale di ben 1.300 soggetti. Per i soggetti con handicap, la Regione Veneto propone anche le residenze sanitarie assistenziali con capacità ricettiva da 20 a 90 posti letto. Se si tiene conto che nei gruppi famiglia e nelle comunità alloggio aventi fino a 8 posti letto sono ricoverati un numero di persone estremamente limitato, risulta evidente che la Regione Veneto prosegue nella linea di ghettizzazione dei soggetti non autosufficienti con handicap, linea che sostanzialmente non è mutata rispetto agli anni ‘60.

 

ASL DELLA PROVINCIA DI BERGAMO: CONTRIBUTI ILLEGITTIMI E RICATTI

Sul Corriere della Sera del 26 settembre è apparsa la notizia del ricevimento da parte del signor S.F. di una raccomanda inviatagli dall’Asl della Provincia di Bergamo, in cui gli veniva comunicato che al proprio figlio S. di anni 18, non autosufficiente a causa di un grave handicap, veniva vietato l’ingresso al centro diurno a seguito del rifiuto di versare il contributo di L. 300 mila chiesto dall’Asl. Premesso che le leggi vigenti – come ben sanno i lettori di Prospettive assistenziali – non consentono agli enti pubblici di pretendere contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni, riportiamo la lettera inviata in data 28 settembre 2001 dal presidente dell’Utim, Unione per la tutela degli insufficienti mentali, al direttore generale dell’Asl della Provincia di Bergamo e la responsabile del servizio disabili dello stesso ente. «È inammissibile il ricatto che traspare dall’articolo e viene da chiedersi cosa altro debba fare una famiglia con un handicappato intellettivo nel suo nucleo oltre ad occuparsi di lui per le rimanenti 133 ore su 168: sono infatti solo 35 ore quelle assicurate dal centro nella settimana. Di tutte le settimane dell’anno. Dove occuparsi di lui significa  tutto: lavarlo, vestirlo, dargli da mangiare, pensare a qualche attività, dargli cure ed affetto e quant’altro si può immaginare. Senza entrare poi nel merito delle rinunce che spesso tale impegno comporta. Il tutto a fronte di un reddito dell’handicappato derivante da una pensione di lire 431.000 mensili. Il tutto nonostante che le leggi vigenti non consentano di chiedere ai parenti il pagamento di qualsiasi contributo economico. Ma qui infatti si ricorre a ben altro: o pagate o ve lo tenete a casa. Verrebbe da augurarsi che le famiglie decidessero di non occuparsi più dei loro congiunti e rispondessero per le rime: non voglio più occuparmene, trovategli una sistemazione residenziale. Allora sì, cari amministratori, direttori, (ir)responsabili e quant’altro siete, capireste quanto risparmiate grazie al volontariato dei famigliari e vi sembrerebbe persino irrisoria, al confronto, la spesa che ora sostenete per la frequenza di un centro diurno.  Non ci aspettiamo, ovviamente, alcuna risposta, ma vi assicuriamo il nostro più vivo disappunto davanti a tanta determinazione. Stiamo valutando l’opportunità di una manifestazione di protesta davanti alla vostra sede. Senza stima».

 

letti a turno nella casa di riposo

Ecco la sconvolgente notizia apparsa su La Stampa del 12 settembre 2001: «I parenti degli anziani ospiti di una casa di riposo di Crema, situata in via Zurla, hanno denunciato l’obbligo di rimanere a letto, a turno, cui vengono sottoposti alcuni pazienti: i degenti sono costretti a passare la giornata a letto, anche se sono autosufficienti e potrebbero alzarsi, per decisione della direzione sanitaria, che non avrebbe personale sufficiente ad accudire e sorvegliare gli anziani».

 

 

 

 

(1) Cfr. Massimo Dogliotti, «I minori, i soggetti con handicap, gli anziani in difficoltà... “pericolosi per l’ordine pubblico” hanno ancora diritto di essere assistiti dai Comuni», Prospettive assistenziali, n. 135, 2001.

(2) Dovrebbe essere noto all’Assessore De Poli che le Asl sono obbligate, ai sensi delle leggi vigenti, a provvedere alla cura degli anziani cronici non autosufficienti secondo le identiche modalità (gratuità e assenza di limiti di durata) previste per i malati acuti.

 

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