Prospettive assistenziali, n. 137, gennaio marzo 2002
ricoverati presso Rsa/raf: aspetti etici,
giuridici, sanitari,
sociali, amministrativi ed economici
Organizzato
dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti (1), ha avuto
luogo a Torino il 16 giugno 2001 il convegno regionale piemontese “Anziani
cronici non autosufficienti e malati di Alzheimer ricoverati presso Rsa/Raf:
aspetti etici, giuridici, sanitari, sociali, amministrativi ed economici” (2),
di cui pubblichiamo la relazione
introduttiva tenuta da Maria Grazia Breda de “La Scuola dei Diritti dell’Ulces”
- Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale, la sintesi
dell’intervento di Francesco Santanera ed uno schema indicante la situazione
esistente in Piemonte circa i percorsi sanitari e/o assistenziali riguardanti i
soggetti colpiti da malattie invalidanti.
Relazione di M.G. Breda
L’Ulces è un’associazione di volontariato, che opera dal
1965. Di recente ha modificato il proprio statuto in modo da potersi costituire
parte civile in processi per abusi e maltrattamenti praticati nei confronti di
anziani cronici non autosufficienti ricoverati.
Solo la scorsa settimana abbiamo inviato agli
Assessori alla sanità e all’assistenza e ai Consiglieri della IV Commissione
del Consiglio regionale la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Mondovì
(Cuneo) contro i gestori e il personale di una casa di riposo di Ceva, che si
facevano passare per medici e infermieri, senza esserlo (3).
Al processo eravamo presenti come parte interessata,
in appoggio alle numerose denunce presentate da una nostra socia, sulle gravi
condizioni sanitarie in cui si trovano – e morivano – gli anziani
ricoverati.
Ma quanti sono i fatti che la cronaca, anche solo di
questi mesi, ci segnala?
• Giaveno: in seguito all’ispezione dell’Asl un
ospizio finisce sotto accusa: le anziane erano legate chiuse a chiave e
impossibilitate a muoversi dal letto;
• Balangero: un ospizio è finito nel mirino dei Nas
per maltrattamenti, carenze igieniche, piaghe da decubito non curate;
• Chieri: il medico di base del soggiorno per anziani
patteggia per la morte in circostanze penose di due anziane ricoverate il cui
corpo è stato devastato dalle piaghe da decubito non curate;
• Albugnano: dichiarati colpevoli il presidente di una
cooperativa che gestisce la casa di riposo dove è morto un anziano per mancanza
di cure sanitarie idonee e tempestive. Il p.m. ha sostenuto che la casa di
riposo non era attrezzata per accogliere malati affetti da gravi patologie. Da
qui la rapida evoluzione della malattia che ha portato alla morte;
• Torino: in un’Ipab per non autosufficienti il
direttore sanitario ha patteggiato per la morte per disidratazione di un’anziana
ricoverata a:
Nelle nostre pubblicazioni precedenti trovate altre
rassegne stampa con analoghi fatti di cronaca.
Ma perché continua ad accadere tutto questo?
È chiaro che siamo in presenza di persone gravemente
malate, così come ci è stato confermato anche dai dati che sono riportati in
cartellina (4). In quanto malati dovrebbero avere diritto a cure sanitarie
adeguate, anche solo per evitare di morire in condizioni così disumane.
Che il diritto alle cure sanitarie sia garantito dalle
leggi vigenti è dimostrato dalla nostra piccola attività di difesa: con una
semplice lettera raccomandata (5) si resta in ospedale.
Allora, perché continuano ad esistere queste
situazioni allucinanti di sofferenza inaudita a cui vengono condannati decine e
decine di anziani malati non autosufficienti?
Nella lettera aperta “Difendetemi se divento cronico non autosufficiente” indirizzata
alla moglie, alle figlie e agli amici, Francesco Santanera – già nel 1995
– scrive che «al disprezzo, alle ingiurie,
all’abbandono terapeutico, preferisce la morte, anche procurata». Non
voglio aprire un dibattito sul tema dell’eutanasia. Osservo però che il
dibattito è concentrato soprattutto se non esclusivamente sulla libertà o meno
del singolo di decidere di morire senza dover sopportare dolori tremendi.
Santanera ci invita a riflettere su un altro aspetto: non è detto che nel
momento della maggior violenza del dolore noi saremo consapevoli e soprattutto
in grado di decidere. E per quanto lo riguarda sceglie l’eutanasia, come male
minore.
La nostra associazione chiede, da molti anni ormai,
che sia rispettato dalle istituzioni il diritto alle cure senza limiti di
durata e indipendentemente dalla malattia anche per chi è inguaribile, ma
sempre curabile, proprio per garantire una morte dignitosa e inutili
sofferenze. Una piaga da decubito si deve prevenire e comunque curare: sempre.
Ma se questo diritto viene negato è meno ipocrita chiedere l’eutanasia attiva,
piuttosto che condannare a morte sicura e con sofferenze inutili e
ingiustificate.
Nel 1998 il Cardinale Carlo Maria Martini intervenendo
al convegno da noi promosso a Milano su questi temi, ha evidenziato che il
rischio già in atto è quello dell’eutanasia da abbandono. Abbandono delle cure necessarie
agli anziani cronici non autosufficienti che, senza scegliere di morire, di
fatto muoiono per omissione voluta di cure e interventi sanitari che vengono
negati da chi è tenuto per legge a mantenerli in condizioni di vita dignitose.
Certamente non con accanimento terapeutico, ma garantendo una buona morte.
Prendere coscienza dell’ipocrisia con cui finora si
sono negati sia la condizione di malattia che il diritto alle cure sanitarie,
in primo luogo con la dimissione degli ospedali e dalle case di cura private
convenzionate è il primo passo per cercare di porre rimedio al triste fenomeno
delle pensioni e delle case di riposo lager,
ma anche a quello della insufficienza delle prestazioni mediche
infermieristiche e di assistenza delle Rsa, soprattutto delle Raf (strutture
esclusivamente piemontesi), che speriamo siano finalmente trasformate in Rsa.
È noto a tutti che gli anziani cronici non
autosufficienti delle lungodegenze presentano gli stessi problemi sanitari di
quelli ricoverati in Rsa-Raf.
Si sa anche che è un problema di costi a carico del
Servizio sanitario regionale: la Rsa costa la metà circa della lungodegenza e
la Raf un terzo in meno della Rsa.
Ma allora torniamo alla provocazione di Santanera che,
piuttosto che finire in Rsa-Raf e non essere curato “perché costa”, chiede
l’eutanasia. In questo modo – sarà brutale – ma i risparmi sono
assicurati, senza che il paziente soffra inutilmente.
Per uscire da questa “impasse” mi sembra che sia necessario affrontare il problema con
onestà e chiederci se i comportamenti in atto sono così corretti sul piano
etico. L’etica – dice il vocabolario – è il modo in cui gli uomini
dovrebbero comportarsi, indipendentemente da come si comportano di fatto. Da
questo punto di osservazione, tenuto conto che ci stiamo occupando di come
curare al meglio persone anziane con malattie inguaribili, ne consegue che i
comportamenti conseguenti dovrebbero essere:
1. - Aiuto e sostegno alle famiglie, a domicilio,
senza costringerle a ricorrere al ricovero quando sono allo stremo delle loro
forze economiche e fisiche. «Nel corso
del 1999 due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della
povertà a fronte del carico di spesa sostenuto per la cura di un componente
affetto da malattia cronica» (Documento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, ufficio del Ministro per la solidarietà sociale, “Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, ottobre
2000).
2. - Garanzia delle cure ospedaliere e di
riabilitazione e lungodegenza da parte del Servizio sanitario regionale, come
sancito dalle leggi vigenti, senza limiti di tempo.
Non è la famiglia che ha il compito di curare e sono
inaccettabili le pressioni esercitate da molti direttori sanitari, medici e
assistenti sociali, perché i parenti si sentano colpevoli e subiscano la
dimissione dei loro congiunti, in assenza della certezza che l’anziano
– una volta dimesso – riceverà le cure di cui ha bisogno. Si sa, ma
si fa finta di non sapere, come va a finire se la famiglia accetta le
dimissioni:
– la famiglia cerca di farcela con i risultati citati
dalla relazione del Ministero della solidarietà sociale;
– la famiglia non è in grado di farcela e si rivolge
all’Unità valutativa geriatrica chiedendo un ricovero, che arriverà – se va
bene – dopo mesi di attesa;
– la famiglia non può attendere mesi e si rivolge, a
pagamento, ad una struttura privata dove il posto letto è a questo punto
immediatamente disponibile ma al costo di 4-5 milioni al mese (più gli extra);
– la famiglia non è in grado di pagare quella
cifra e ricovera l’anziano in strutture economiche, del tipo di quelle che
finiscono – quando qualcuno ha il coraggio di denunciare – sotto processo.
3. Per questo ci sembra ragionevole quanto è previsto
dalla circolare 23 ottobre 2000 dell’Assessorato alla sanità, che prevede la
responsabilità dell’Asl per tutto il percorso terapeutico (dentro e fuori
dell’ospedale), d’intesa con l’ammalato e con la famiglia, per garantire a casa
– quando si può – o in Rsa la continuità delle cure.
4. Ci sembra logico pretendere che a questi anziani,
con tre-quattro patologie in corso e con momenti frequenti di riacutizzazione,
che dipendono in tutto e per tutto dagli altri, siano curati e assistiti.
Non è comprensibile – e tanto meno sostenibile alla
luce dei dati oggettivi – l’organizzazione indicata dalla delibera della Giunta
regionale n. 41/1995 per le Rsa e le Raf.
I medici devono essere presenti nelle strutture per
poter intervenire tempestivamente e lavorare in gruppo, con gli infermieri e il
personale di assistenza. Questo è il solo modello operativo accettabile, in
grado di evitare i continui spostamenti dalla Rsa/Raf all’ospedale o, peggio,
morti premature per assenza o ritardo nella prestazione delle cure.
Anche il documento del 9 dicembre 2000 prodotto dalla
pontificia Accademia per la vita, per contrastare l’eutanasia, non a caso al
punto 6 precisa che: «la linea di
comportamento verso il malato grave e il morente dovrà dunque ispirarsi al rispetto
della vita e della dignità della persona; dovrà perseguire lo scopo di rendere
disponibili le terapie proporzionate, pur senza indulgere in alcuna forma di
accanimento terapeutico (...), dovrà
assicurare sempre le cure ordinarie (comprese nutrizione e idratazione, anche
se artificiali)».
Spero che questo sia il primo passo per interventi
della Chiesa – di tutte le Chiese – contro l’eutanasia da abbandono praticata
nelle strutture di assistenza inidonee ad ospitare persone gravemente malate e
contro le dimissioni praticate anche da case di cura e ospedali religiosi a
partire dal 61° giorno di degenza per non subire la riduzione della retta
imposta dalla delibera della Giunta regionale n. 70/1995, indifferenti alla
sorte delle persone anziane che, se restano nel circuito sanitario, finiscono
comunque per essere “condannate” a trasferimenti continui da un posto
all’altro, trattate come pacchi.
5. I direttori sanitari, i medici geriatri delle Unità
valutative geriatriche svolgano compiutamente il loro ruolo di medici:
formulino diagnosi e indichino percorsi terapeutici di cura. Non è loro compito
– anche se spesso lo fanno – imporre dimissioni o suggerire Raf, piuttosto che
Rsa, perché costa meno all’azienda, come dei ragionieri che devono far quadrare
i conti. Lasciate agli amministratori, alle istituzioni che ci governano, la
responsabilità politica di scelte non etiche, che negano i diritti sanciti
dalle leggi ai malati, anche ai malati anziani inguaribili, ma curabili.
Altrimenti si diventa complici di un sistema che
invece dovremmo cambiare insieme se, ovviamente, riconosciamo che sono persone
malate. E, al momento, è il servizio sanitario obbligato – per legge – a curare
i malati.
6. Trovo incredibile l’atteggiamento del sindacato che
ha dato battaglia – giustamente – nel 1955 per ottenere l’approvazione della
legge 4 agosto 1955, n. 692, per l’estensione dell’assistenza di malattia ai
pensionati di invalidità e vecchiaia.
Oggi invece non fa nulla per il diritto alle cure
sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti. Sergio Cofferati,
Segretario generale della Cgil, ha addirittura affermato in una lettera inviata
al nostro Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti che «essere anziani cronici non è una malattia».
Certo essere anziani non vuol dire essere malati. Essere cronici però vuol dire
essere malati sempre, anche se più o meno gravemente, indipendentemente
dall’essere anziani o meno.
Eppure credo che qualcun altro – oltre a noi –
dovrebbe spiegare a Cofferati e a tutti gli altri responsabili sindacali, che
non è sufficiente difendere il potere contrattuale della pensione (anche se
importante) se non si difende con ugual impegno il diritto alle cure sanitarie.
I metalmeccanici protestano per ottenere un aumento di
135.000 lire al mese. Lo sanno i metalmeccanici che, se un domani diventano
anziani cronici non autosufficienti e sono ricoverati in Rsa/Raf devono
sborsare al giorno dalle 60 alle 120 mila lire?
Verrebbe da chiedersi a che sono serviti i contributi
versati durante l’attività lavorativa.
7. Trovo incomprensibile anche il comportamento dei
Comuni, che continuano ad aprire “case di riposo” ribattezzate Raf, quando i
cittadini che vi sono ricoverati sono malati gravi. Più nessun anziano – anche
con limitata autonomia – chiede il ricovero fin che può restare a casa propria.
Il Comune non ha nessun titolo per dotare questi
ricoveri di medici e infermieri e toglie risorse agli interventi che invece
dovrebbe erogare all’anziano con limitata autonomia e privo di redditi
sufficienti, per continuare a vivere a casa propria: con l’assistenza
domiciliare, gli aiuti economici, ecc.
Cosa succede quando il Comune svolge ruoli che non gli
sono propri?
Un esempio: Casa
Serena, Comune di Torino. Visita del 10 febbraio 2000 di due nostri volontari.
Presenti 85 ospiti; 75 infermi non autosufficienti in gran parte malati di
Alzheimer o con altre forme di demenza.
1 medico è
presente il lunedì alle ore 14; 1 infermiere professionale è presente al
mattino.
I rapporti della
struttura con l’ospedale Maria Vittoria sono negativi: gli anziani vengono
dimessi anche quando avrebbero bisogno di più cure: un ospite affetto da tumore
con metastasi diffuse è stato dimesso alle ore 18 con la flebo e riportato a
Casa Serena; non essendoci una infermiera per la notte è stata fatta richiesta
al Carlo Alberto di un letto di sollievo; l’ospite trasferito al Carlo Alberto
moriva il giorno dopo. In seguito alle nostre segnalazioni il Comune di Torino
si è attivato e l’Asl ha aumentato le sue prestazioni, anche se ancora non in
modo sufficiente, in attesa della ristrutturazione in Rsa di una parte della
casa di riposo. Il Comune di Torino, però, continua a voler mantenere la parte
rimanente come Raf (vedi pubblicità in campagna elettorale).
8. C’è qualche forza politica disponibile ad occuparsi
di questi cittadini anche se non potranno essere riconoscenti mediante il voto?
9. E il volontariato?
Il volontariato dovrebbe coprire il vuoto che si è
venuto a creare proprio tra questi anziani ammalati (e neppure in grado di
chiedere aiuto) e le istituzioni (i responsabili del nostro sistema sanitario,
gli assessorati alla sanità, i direttori sanitari...).
Sarebbe urgente un’azione maggiore di pressione e di
vigilanza, a partire dalla contestazione dell’atteggiamento culturale che
domina e che ragiona in termini di “convenienza economica della cura”.
Nella recente polemica sui tagli alla sanità si è
parlato molto di sprechi, ma senza che venissero indicati con precisione quali
e dove. Nella sostanza però abbiamo toccato con mano che i direttori generali
delle Asl, per non superare il budget imposto dalla Regione, hanno trovato
semplice ridurre ulteriormente i posti convenzionati con le strutture private
Rsa e Raf. In alcune situazioni hanno rinviato l’apertura delle Rsa, che erano
già pronte e in altre hanno deciso di aprirle con posti Raf (perché costano
meno) piuttosto che Rsa: anche se i malati ricoverati continuano ad avere gli
stessi bisogni di cura.
È chiaro che il solo volontariato personale non basta
più: per difendere gli anziani malati non autosufficienti ricoverati in
ospedale è indispensabile essere vigili per capire come avvengono ad esempio le
dimissioni e, se non ci sono soluzioni sanitarie praticabili, meglio aiutare i
familiari a opporsi.
Per chi opera invece negli istituti non ci si può
limitare a prestare la propria azione solo nei confronti delle persone. Si
rischia di coprire con il proprio aiuto le carenze del personale o di
intrattenere gli anziani più attivi mentre gli altri, quelli non
autosufficienti, continuano a non aver medici e infermieri a sufficienza.
Il volontario non dovrebbe farsi “usare” dalle
istituzioni, ma, pensando anche al fatto che non è escluso che un domani non si
ritrovi lui stesso nella situazione di chi oggi assiste, agire per cambiare
adesso le regole: la prima è ottenere, appunto, il riconoscimento dello status
di malati per gli anziani cronici non autosufficienti ricoverati e,
conseguentemente, la responsabilità del servizio sanitario regionale alla loro
cura e, pertanto, la modifica della delibera della Giunta regionale n. 41/1995
con il superamento della distinzione tra Raf e Rsa.
Sono una volontaria anch’io e non è escluso che un
domani potrei trovarmi cronica e non più autosufficiente, allettata e incapace
di parlare a causa di un ictus o di un tumore; prima di tutto spero che mi
cureranno al meglio. Se avrò anche la fortuna di poter contare sulla compagnia
di qualcuno e sul suo affetto, ne sarò senz’altro contenta. Ma senza cure
mediche potrei morire e, come ricorda Santanera nella sua lettera aperta, anche
a seguito di maltrattamenti, soprusi o violenza. La solidarietà da sola non
basta.
SINTESI DELL’INTERVENTO DI FRANCESCO SANTANERA
1. Il Servizio sanitario regionale è obbligato dalle
leggi vigenti a curare tutti i malati, siano essi giovani o anziani, guaribili
o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti.
2. I parenti del malato non hanno alcun obbligo
giuridico di svolgere le funzioni affidate dalle leggi vigenti al Servizio
sanitario.
3. La priorità delle cure domiciliari non dovrebbe
essere solamente affermata, ma dovrebbe essere perseguita mediante servizi e
interventi concreti in modo da essere una reale alternativa al ricovero.
4. La degenza presso Rsa/Raf di anziani cronici non
autosufficienti e dei malati di Alzheimer è un intervento che dovrebbe
rientrare a pieno titolo fra le competenze del Servizio sanitario regionale.
5. Nei casi in cui i congiunti non assumano
volontariamente il compito di curare a casa loro gli anziani cronici non
autosufficienti ed i malati di Alzheimer, è necessario che le unità operative
ospedaliere per acuti assicurino il trasferimento del soggetto alle strutture
riabilitative o lungodegenziali o alle Rsa/Raf garantendo la continuità
terapeutica senza alcuna interruzione, com’è previsto dalla circolare
dell’Assessore alla sanità della Regione Piemonte del 23 ottobre 2000.
6. Fermo restando il diritto del malato a non
usufruire degli interventi del Servizio sanitario, in tutti gli altri casi il
ricovero presso Rsa/Raf dovrebbe essere disposto dalle Asl e non dai Comuni.
7. La gestione delle Rsa/Raf dovrebbe essere garantita
dal Servizio sanitario regionale (e non dai Comuni) sia direttamente, sia
tramite strutture private convenzionate.
8. Gli anziani cronici non autosufficienti ed i malati
di Alzheimer ricoverati presso Rsa/Raf non dovrebbero essere considerati come
ospiti, ma come soggetti malati da curare.
9. Dovrebbero pertanto essere superati gli attuali
contratti di ospitalità da sostituire con norme analoghe a quelle degli
ospedali e delle case di cura private convenzionate.
10. Gli impegni economici con le Rsa/Raf dovrebbero
essere assunti dalle Asl e dai Comuni e non dai ricoverati o dai loro
congiunti.
11. Nonostante le leggi vigenti stabiliscano che le
cure sanitarie sono gratuite (oltre che senza limiti di durata) e la quota
alberghiera non sia prevista da nessuna legge, si accetta che i ricoverati
versino una quota alberghiera non superiore a lire 50.000 giornaliere da
calcolare esclusivamente sui redditi pensionistici percepiti. Al riguardo
occorrerà tener conto degli impegni del soggetto nei confronti dei suoi
congiunti e di terzi.
12. In base alle leggi vigenti, i parenti dei
ricoverati, compresi quelli tenuti agli alimenti, non hanno alcun obbligo
giuridico di integrare sul piano economico la quota alberghiera non coperta dai
loro congiunti.
13. L’eventuale integrazione economica spetta ai
Comuni singoli o associati.
14. I contratti stipulati dalle Asl con le strutture
private dovrebbero contenere norme atte a garantire tutte le necessarie
prestazioni. Allo scopo le strutture private dovrebbero essere tenute, fra
l’altro, a trasmettere mensilmente alle Asl fotocopia sia dei libri paga del
personale addetto, sia delle fatture riguardanti le prestazioni professionali
degli altri operatori.
PERCORSI DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI E
DEI MALATI DI ALZHEIMER: LA SITUAZIONE ESISTENTE IN PIEMONTE NEL MESE DI
NOVEMBRE 2001
In tutte le Asl, gli ospedali e le case di cura
private convenzionate dimettono il più presto possibile i soggetti sopra
indicati, anche quando – il che avviene abbastanza spesso – sono ancora colpiti
da fatti acuti (ad esempio, piaghe da decubito). Nei casi in cui i parenti non
assumano volontariamente l’impegno di curare il malato a casa loro, le
conseguenze sono le seguenti:
– il malato e/o i suoi congiunti rivendicano il
diritto, sancito da leggi vigenti dal 1955, alle cure gratuite e senza limiti
di durata;
– l’ospedale o non dimette il malato o lo trasferisce in
una casa di cura privata convenzionata.
Quasi sempre nelle case di cura private convenzionate:
– i letti gratuiti sono tutti occupati;
– ci sono solo letti a 60-80 mila lire al giorno a
carico del malato o del congiunto che ha firmato l’impegnativa;
– se la degenza è presso un reparto di riabilitazione,
la casa di cura dimette il malato dopo 60 giorni di ricovero, anche perché dopo
il suddetto periodo di tempo la retta a carico della Regione viene ridotta del
40%;
– se la degenza è presso un reparto di lungodegenza,
la dimissione viene in genere praticata dopo 120 giorni, anche perché dopo il
suddetto periodo di tempo la retta a carico della Regione viene ridotta del
20%;
– se il malato e/o i suoi parenti insistono per
ottenere il rispetto del diritto alle cure sanitarie, i malati vengono
trasferiti dalla casa di cura in un ospedale.
Il trasferimento deve essere fatto a cura e spese
della sanità.
Il malato e/o i suoi parenti accettano il
trasferimento (non previsto da nessuna legge) in una Rsa (Residenza sanitaria
assistenzial) o Raf (Residenza assistenziale flessibile). In questo caso il
malato deve sempre essere visitato preventivamente dall’Unità valutativa
geriatrica la quale accerta le condizioni di malattia e di non autosufficienza.
Le situazioni che si possono prospettare sono le seguenti:
– il malato e/o i suoi congiunti accettano le
dimissioni dall’ospedale. In questo caso:
a) il malato viene inserito in una lista di attesa di un
posto libero presso le Rsa/Raf. L’attesa può anche durare più di un anno;
b) il malato viene ricoverato a cura e spese sue e dei
parenti che hanno firmato l’impegnativa in un letto non convenzionato di una
Rsa/Raf. La retta varia da 5-6 milioni al mese;
– il malato e/o i suoi congiunti accettano le
dimissioni dall’ospedale solamente a condizione che l’ospedale stesso
trasferisca, direttamente a sua cura e spese, il malato in una Rsa/Raf
convenzionata;
– fino a quando non è disponibile il posto letto in
una Rsa/Raf, il malato resta in ospedale o viene trasferito provvisoriamente in
una casa di cura privata convenzionata.
Possono presentarsi due situazioni molto diverse:
– prima del trasferimento in Rsa/Raf, i parenti del
malato devono prendere accordi con il Comune di residenza del malato stesso per
concordare l’importo della parte della retta a carico del malato e quella a
carico del Comune;
– in base alle leggi vigenti i malati non
autosufficienti devono versare l’intero importo dei loro redditi, esclusa una
quota mensile di L. 150-160 mila per le spese personali;
– nessun onere può essere imposto ai parenti dei
malati.
Norme importanti sono contenute nella circolare
dell’Assessore alla sanità della Regione Piemonte del 15 ottobre 2000, prot.
13569/D028.1;
– se il malato è inserito in Rsa/Raf dai parenti, la
stessa casa di cura chiede al malato ed ai suoi parenti di sottoscrivere
l’impegno del pagamento dell’intera retta alberghiera;
– poiché il malato e il parente hanno sottoscritto un
contratto privato, è molto più difficile ottenere dal Comune di residenza del
malato il pagamento della quota della retta non coperta dai redditi del malato
stesso.
Note:
– Sia nelle case di cura private convenzionate che
nelle Rsa/Raf tutti i prodotti farmaceutici sono a carico della sanità.
– Le Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, sono strutture
in cui sono ricoverati anziani malati cronici non autosufficienti e malati di
Alzheimer. Le Rsa sono gestite o direttamente dai Comuni o dalle Asl o dalle
Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) o da privati.
– Le Raf, Residenze assistenziali flessibili, sono
strutture in cui sono ricoverati in appositi reparti sia anziani
autosufficienti in tutto o in parte, sia anziani cronici non autosufficienti.
(1) Il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti è una
struttura del Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base.
(2) Le Rsa, residenze sanitarie assistenziali, provvedono al ricovero
di anziani cronici non autosufficienti e, quasi sempre in appositi nuclei, di
malati di Alzheimer e persone colpite da altre forme di demenza senile; le Raf,
residenze assistenziali flessibili, sono state create per accogliere persone in
condizioni psico-fisiche di parziale autosufficienza, nonché quelle non
autosufficienti per cause sopravvenute durante il ricovero. In effetti le Rsa e
le Raf ricoverano persone aventi analoghe condizioni di malattia. Pertanto il
Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ha richiesto alla Regione
Piemonte di trasformare le Raf in Rsa.
(3) Cfr. “Gestore e operatori di una casa di riposo condannati dal
Tribunale di Mondovì”, Prospettive
assistenziali, n. 135, 2001.
(4) L’Asl 1 segnala quanto segue: «Il
45% degli ospiti delle Rsa di Torino, via Plava, risulta affetto da almeno 3
patologie importanti che unitamente all’età avanzata ed al deterioramento
cognitivo, denominatore comune, hanno determinato la non autosufficienza e
conseguentemente la collocazione nella Rsa. Le patologie più rappresentate sono
quelle di seguito elencate:
• demenza, nelle sue varie forme 27%
• fratture femore con esiti invalidanti 19%
• osteoartrosi/osteoporosi 19%
• cardiomiopatie 17%
• ictus cerebrale con esiti invalidanti
permanenti 11%
• morbo di Parkinson 11%
• broncopneumopatie croniche 10%
«Sempre più spesso
(35%) gli anziani che si presentano alla nostra attenzione sono “etichettati”
con la diagnosi molto generica di “sindrome involutiva senile” dove, in
pratica, tutte le patologie sopra elencate sono presenti in varia misura».
A sua volta l’Asl 4 dichiara che la Rsa di
Torino, via Botticelli, «è dotata di 95
posti letto dei quali 15 destinati a dimissioni protette e a ricoveri di
sostegno. Gli 80 posti letto di Rsa hanno ospitato dal giorno dell’apertura (3
luglio 2000) ad oggi 99 persone anziane non autosufficienti. Il 99% dei
pazienti risulta non autosufficiente per ragioni mediche, mentre un ospite
risulta non autosufficiente per altri motivi: l’1% dei ricoverati è affetto da
5 importanti patologie, il 25% da 4, il 34% da 3, il 32% da 2 e l’8 da una.
«Il 75% dei
soggetti presenta un deterioramento mentale tale da influire significativamente
in modo negativo sulla propria autosufficienza.
«Relativamente
alla terapia farmacologica, in questo momento solo 1 paziente necessita di
terapia infusionale endovenosa, mentre 8 persone anziane necessitano di terapia
iniettiva intramuscolare e 7 di terapia iniettiva insulinica.
«Le medicazioni
quotidiane sono richieste attualmente da 12 pazienti, di cui 4 presentano
lesioni da pressione del 2°-3° stadio.
«I 15 posti
letto di dimissioni protette e ricoveri di sostegno hanno ospitato dal novembre
2000 ad oggi 99 persone anziane non autosufficienti.
«Il 15% dei
ricoveri era proveniente dal domicilio, un 10% proveniente dal pronto soccorso,
mentre il restante 75% proveniente dalle unità operative di degenza
dell’ospedale G. Bosco: il 4% dei ricoverati è affetto da 5 importanti
patologie, il 9% da 4, il 30% da 3, il 37% da 2 e il 20% da una.
«L’11% dei
soggetti presenta un deterioramento mentale tale da influire in modo negativo
sulla propria autosufficienza.
«Relativamente
alla terapia farmacologica, in questo momento solo 1 paziente necessita di
terapia infusionale endovenosa, mentre 6 persone anziane necessitano di terapia
iniettiva intramuscolare e 6 di terapia iniettiva insulinica.
«Le medicazioni
quotidiane sono richieste attualmente da 8 pazienti, di cui 4 presentano
lesioni da pressione del 2°-3° stadio.
«Al termine del
ricovero: il 69% dei pazienti è rientrato al proprio domicilio; l’1% è
rientrato nell’unità operativa di degenza ospedaliera; il 14% è stato inviato
in Rsa o Raf; il 12% è stato inviato in altre strutture riabilitative; il 4% è
deceduto».
Per quanto riguarda la situazione degli
anziani ricoverati presso l’Irv, Istituto di riposo per la vecchiaia e il Carlo
Alberto (strutture entrambe gestite direttamente dal Comune di Torino)
riproduciamo nuovamente i dati che avevamo già riportato sullo scorso numero di
Prospettive assistenziali, dati
forniti dall’Unità operativa geriatrica dell’Azienda ospedaliera S. Giovanni
Battista di Torino: «Il 98% degli anziani
ricoverati presso l’Irv e il Carlo Alberto non è autosufficiente per ragioni
mediche. Circa il 70% dei pazienti è affetto da 3 patologie importanti sul
piano clinico-terapeutico, gli altri hanno più di 4 patologie.
«Attualmente sono ricoverati all’Irv 210 pazienti e al Carlo Alberto
125 pazienti; circa il 30% è al momento in trattamento per patologia acuta
(ictus cerebrale, broncopolmoniti, scompenso cardiaco, neoplasie in fase
avanzata, anemia, arteriopatia obliterante degli arti inferiori, insufficienza
renale cronica in trattamento dialitico, insufficienza respiratoria in
ossigenoterapia a lungo termine) che richiedono interventi terapeutici multipli
e complessi (vengono praticati in sede emotrasfusioni, antibioticoterapia
endovena, gestione di sondini nasogastrici e di cateteri venosi centrali).
Viene inoltre praticata chemioterapia; i farmaci sono preparati alle Molinette.
«La tipologia degli ospiti, il loro precario equilibrio psico-fisico,
il facile sovrapporsi di complicanze e/o il riacutizzarsi di pregressi eventi
morbosi richiedono infatti interventi spesso immediati.
«L’attuale organizzazione medico-infermieristica consente tuttavia di
limitare il ricovero in ospedale che viene attivato per problemi quasi
esclusivamente chirurgici. Una recente indagine condotta presso l’Irv ed il
Carlo Alberto ha evidenziato che nell’arco di un anno i pazienti trasferiti
sono stati circa il 3,5% e i tempi di degenza sono risultati molto ridotti
(mediamente 4 giorni) grazie alla possibilità di un rapido reinserimento dei
pazienti negli istituti. Molto stretta infatti è la collaborazione sia con la
divisione di ortopedia sia con la divisione chirurgica con la quale vengono
attivati interventi di tipo day surgery. Gli interventi di piccola chirurgia
vengono praticati in sede.
«Presso l’Irv inoltre sono stati attivati servizi (ecodoppler,
ecografia internistica, ambulatorio di urogeriatria, rieducazione posturale
globale, riabilitazione perineale) che consentono di gestire in sede patologie
molto complesse che richiedono un costante impegno di diagnosi e terapia.
Presso l’Istituto Carlo Alberto da anni vengono praticati ricoveri di sollievo
temporaneo (30 giorni).
«Questo modello organizzativo permette non solo di ottimizzare le
risorse sanitarie ma anche di migliorare la qualità della vita dei pazienti,
spesso affetti da gravi deficit cognitivi complicati da disturbi del
comportamento per i quali il trasferimento in ospedale determina spesso un
grave scompenso psico-fisico».
(5) Cfr. l’editoriale del n.
135 di Prospettive assistenziali.
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